Un’Italia che scompare

Un’Italia che scompare
(l’arco alpino occidentale tra spopolamento e resistenza) <
di Fabio Balocco

Lo spopolamento dell’arco alpino occidentale, accentuatosi specialmente dopo la seconda guerra mondiale, è lungi dal terminare. E sempre elevato è il gap con quell’arco alpino orientale, dove – come autorevolmente afferma l’amico Annibale Salsa – le condizioni socio-economiche sono ben diverse di quelle che troviamo nelle Liguri, nelle Marittime, nelle Cozie e parte delle Graie. Certo, ora anche sulla spinta del Covid, con il mainstream che ci decanta la bellezza dell’abitare fuori città e che “tanti giovani dovrebbero andare a vivere le terre alte”, chi governa a vari livelli spinge perché questo fenomeno si concretizzi: che chi ancora ci vive in montagna non se ne vada e chi invece vive in pianura faccia la scelta di salire.

La cartiera di Ormea e il Monte La Guardia

Ma non è così facile, come non lo era all’inizio degli anni Ottanta in cui io andai nelle Cozie a raccogliere le testimonianze di chi ancora viveva/sopravviveva nei comuni montani: Elva, Bellino, Pontechianale, Castelmagno. Erano parole spesso dure e disincantate come quelle di “Cadranno i casolari dei villaggi” del poeta Piero Raina, o di chi aveva i propri cari ancora seppelliti sotto l’invaso della diga di Castello. E questa era la condizione quarant’anni fa: da allora la demografia si è ancor più smagrita. Prendiamo un caso su tutti: Vinadio, Valle Stura di Demonte, dove io andavo da ragazzo a trascorrere buona parte delle vacanze estive: nel 1981 aveva ancora 897 abitanti, A fine 2020 erano rimasti in 603. E questo nonostante la famosa fabbrica dell’acqua minerale Sant’Anna. Ah, però, dimenticavo, Vinadio di abitanti ne contava ben 3735 quando fu dichiarato il Regno d’Italia. Quindi, da allora ne sono rimasti un sesto. Perché restare o andare a vivere in montagna continua ad essere duro: non ci si inventa dall’oggi al domani margari, o agricoltori di montagna, o raccoglitori e trasformatori di erbe officinali, e comunque ci devi vivere, devi ottenere un reddito satisfattivo.

Un castagno patriarca a Chioraira

E poi, come ricorda giustamente il sindaco di Ormea, sui monti spesso mancano i servizi e “se hai bisogno di una scatola di Aspirina magari devi farti venti o trenta chilometri”. Perché parlo di Ormea? Per restare nella concretezza. Pochi lo sanno, ma all’inizio del 1900, Ormea, in Val Tanaro, Alpi Liguri, era uno dei Comuni più floridi dell’arco alpino occidentale italiano. Aveva quasi seimila abitanti. Aveva una ferrovia (una delle poche dell’arco alpino) che lo collegava alla pianura. Aveva una cartiera conosciuta ed apprezzata anche all’estero. Aveva undici alberghi, persino una dependance del Casinò di Sanremo che funzionava d’estate, e molteplici esercizi commerciali. Ed in più aveva la classica economia di montagna. Bene, da allora la sua popolazione si è ridotta ad un quarto. Perché la ferrovia è stata declassata a linea turistica, la cartiera ha chiuso i battenti, ma soprattutto dalle frazioni tutto intorno al capoluogo la gente è fuggita. E questo nonostante l’apertura di strade e nonostante la vicinanza col capoluogo. Un esempio per tutti: lo splendido borgo di Quarzina, da cui nelle giornate terse puoi vedere la Corsica: Quarzina aveva 401 abitanti ad inizio ‘900, oggi ne conta solo più 9. Sì, certo, qualcuno potrebbe anche pensare di recuperare una delle case e prendere magari la residenza, ma questo non significherebbe far rivivere la frazione.

L’entroterra del ponente ligure è pieno di danesi, tedeschi, anche norvegesi che hanno recuperato antiche dimore, ma i borghi continuano ad essere economicamente morti. Ed anche la scommessa del turismo ha il fiato corto, se non legata ad una produzione economica primaria o secondaria: il Covid è stato maestro in tal senso. Ma torniamo ad Ormea, perché mi sembrava alquanto balzano che non se ne conoscesse la storia, che è tutt’altro che quella del comune semplicemente spopolato. Ed allora mi ci sono fermato qualche giorno per raccogliere le testimonianze specie di chi in quelle frazioni oggi quasi deserte ci ha vissuto, ma anche le voci di chi nel capoluogo, parafrasando Francesco Saverio Borrelli “resiste, resiste, resiste”. Alla fine ne è scaturito un breve saggio (Un’Italia che scompare. Perché Ormea è un caso singolare) che rientra appieno nella mia filosofia, che è quella di far parlare chi non ha voce. Un’opera forse utile per capire la nostra montagna e le condizioni di vita al di là della vuota retorica dei politici.

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Un’Italia che scompare ultima modifica: 2022-06-09T05:29:00+02:00 da GognaBlog

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8 pensieri su “Un’Italia che scompare”

  1. Una via di mezzo sarebbe l’affitto a pensionati, a prezzo abbordabile  non turistico.Ultima esperienza personale :luglio 1200, agosto 1400 , da settembre al giugno dell’anno sucessivo chiedevano 500 almese Almeno per alcuni mesi l’anno ci sarebbe un aumento di movimento.Un medico di base operante in una miriade di  borghi di una valle, si e’ attrezzato con un camper-ambulatorio 4×4 e  risale la valle facendo tappe in punti pre stabiliti. Idem si potrebbe fare con truck alimentari, detersivi, ecc.poi quando ci saranno droni, ancora meglio.

  2. Perth. Ma come fa il balcone a reggere l’elefante? Ah…che domanda stupida. Dimenticavo che ci sono cose che lo scientismo non può comprendere ma solo il pensiero magico. Flussi energetici emessi posteriormente dall’elefante?

  3. sono un cultore di geopolitica la studio da 58 anni ne ho 70,opero nel settore della cyber security sci alpinistica e collaboro alle settimane musicali di Stresa,suono oboe  e tardo cembalo, alla filarmonica di Torino murazzi, mi adopero alla riparazione artigianale di panzer, mi chiamano il Patton della brugola.Non faccio smart ne clark,ma scrivo su blog especializzado,dove sommessamente mi nascondo per non evidenziare le mie innate,innumerevoli e modeste capacità. Ho 16 figli due di colore,non miei, amo  gli animali,ho adottato un elefante,che tengo sul balcone ,anche se i vicini si lamentano per via dell’aerofagia,dove abito  me compreso si fa circa  16 più due ,marito e moglie,più l’elefante,una piccola comunità,alla quale vanno sommate un enormità di specialità che studio analizzo e appronto con torinessisssima puntuale.Mi faranno sindaco, mi presento con la lista Indaco, e rilancerò questo ridente posto,Mi presento…………madamin questa la censuriamo?

  4. Amo la Valle Maira e il suo modello di turismo ma non posso non far notare come il suo comune principale (Acceglio) sia passato da 650 abitanti del 1961 a 150, per non dire dei 2000 abitanti di fine Ottocento… 

  5. Invece nelle Orientali c è un ripopolamento mai visto , si ma di case chiuse (non bordelli😜)che tra un po  superano in numero le anime del fuori stagione…

  6. Lo stile di vita smart (faccio smartworking, sono un freelancer, basta un pc e mi collego, lavoro anche in piena notte e di giorno vado ad arrampicare…) ha in parte compensato lo spopolamento delle antiche vallate. Numericamente solo in minima parte: per una famiglia che se n’era andata, è arrivato al massimo un single. Inoltre funziona solo per una fascia molto ristretta di popolazione: single o quanto meno senza famiglia, in buona salute, con uno stile di vita smagliante (“smart”). Se hai figli, specie piccoli (che necessitano quanto meno di una scuola vicina), se viceversa hai acciacchi vari, se hai legami con persone che hanno altri impegni… la delocalizzazione è un miraggio. Per questo le valli si spopolano. Eppure qualche esempio virtuoso lo contiamo anche nelle Occidentali. La già citata (in passato) Valle Maira era un vero deserto negli anni ’70-80-primi ’90, quando la frequentavo con una certa assiduità (da alpinista della domenica). Anziché puntare sul solito modello degli impianti sciistici, ha imboccato senza rendersene conto una strada alternativa. Alcune coppie si sono trasferite dalle città e hanno rimesso in sesto le osterie con alloggio nelle borgate anche dei valloni laterali. Posti sperduti, sembrava un azzardo economico. Invece sono presto diventate dei punti di appoggio di un turismo green e slow, quasi sempre composto da nord europei (tedeschi, olandesi, svedesi…). Vengono a camminare, a piedi in primavera-estate-autunno, oppure con le ciaspole (o gli sci) nei mesi innevati. Il tutto ha rimesso in vita un circuito virtuoso. Ci sono molte traversate fra i diversi valloni laterali, si è creata una rete di trekking, con appoggio nelle varie locande ristrutturate. Per i trasporti da7per i punti di partenza (dei trekking) chiamavano i tassisti della pianura e alla fine almeno tre tassisti di Cuneo hanno spostato la loro attività in valle. Mi hanno detto che nei mesi di punta (in genere quelli primaverili, tipo i ponti pasquali ecc), fanno più corse in valle che in città… Vediamo come si riprenderà il tutto, una volta completamente passata la fase pandemica. Però quello è un esempio. non tutto è perduto.

  7. Lo spopolamento non riguarda solo l’arco alpino occidentale. Murano la conoscete tutti: i suoi abitanti sono scesi da 9000 nel 1961 a 4000 oggi. Ripatransone (Marche), che conosco, è scesa  nello stesso periodo da 7600 a circa 4000.  Per non parlare di Venezia (centro storico) crollata da 137.000 a 50.000.
    Ma Bresso, a due passi da Milano, è passata da 11.600 a 26.000 e Verbania (Piemonte, lago Maggiore) è invece rimasta pressoché stabile con circa 30.000 abitanti. Le dinamiche demografiche sono tutt’altro che omogenee.

  8.  Si favoleggia di recapito farmaci a mezzo drone, connessione web via satellite. e telemedicina, pronto arrivo di elicotteri per problemi di salute urgenti(escluso caso di nebbia .)Primo periodo dopo seconda guerra mondiale…inizio dell’abbandono.
    Tra le cause mettiamoci pure la strage di giovani arruolati e mandati a morire  al confine con  Francia ( per vantare qualche migliaio di morti per sedersi al tavolo delle trattative ) in Albania, Russia …

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