(Questo articolo è stato scritto a febbraio 2020, quindi prima della pandemia e del lockdown. Volutamente abbiamo lasciato al presente il riferimento a Matteo Bernasconi e Matteo Pasquetto, scomparsi rispettivamente il 12 maggio e il 7 agosto 2020, NdR).
Molti studi confermano che l’arrampicata gestita in strutture indoor è sicuramente uno dei migliori allenamenti total body che si possano fare. Secondo uno studio riportato sul British Journal of Sports Medicine, il cardio e l’energia consumata durante l’arrampicata sono simili a una corsa eseguita a un ritmo tra gli 8 e gli 11 minuti al miglio. La Harvard Health Publications ha riferito che una persona di 70 kg brucia circa 818 calorie l’ora durante la salita in parete e 596 calorie l’ora durante una discesa.
In questo post vogliamo occuparci dell’arrampicata sportiva indoor e lo facciamo avendo scelto una delle più significative strutture italiane, UrbanWall di Milano e uno degli eventi più onnicomprensivi, il Milano Climbing Expo 2020.
MCE20
C’è poco da fare… se oggi volete essere al corrente di quanto alto vola l’arrampicata dovete passare attraverso le sale: dove non si va solo a provare l’esperienza dell’arrampicata, non si va solo ad allenarsi, ma anche a incontrare i grandi campioni internazionali, e infine scoprire i segreti e gli aspetti più divertenti di una disciplina che nel 2020 farà il suo esordio alle Olimpiadi di Tokyo.
Un esempio di questo lo ha dato Milano Climbing Expo 2020, giunto alla terza edizione dopo quelle del 2018 e 2019, una grande rassegna dell’arrampicata sportiva che si è svolta presso la palestra UrbanWall di Pero dal venerdì 31 gennaio al sabato 1 febbraio 2020. Una “due giorni” dedicata agli appassionati ma anche e soprattutto a chi di arrampicata sa poco o nulla, ma è incuriosito dalle ‘emozioni verticali’ connaturate a questo sport.
E come tutte le manifestazioni che si rispettino, anche MCE20 si è svolto con la sapiente regia del giornalista Dario Ricci di Radio24 – IlSOle24Ore: un’altra giornalista, Valentina Graziosi, ha animato il “Video&Talk” del venerdì sera.
Insomma, è stata una festa, con diversi momenti clou:
– la competizione agonistica con gli assi italiani e internazionali delle specialità lead (arrampicata con la corda) e boulder (arrampicata senza corda);
– la possibilità per tutti di partecipare ai nove workshop tematici, svoltisi il 1° febbraio e qui sotto elencati:
Life on the wall
Jacopo Larcher e Barbara Zangerl hanno mostrato agli appassionati cosa significa affrontare una Big Wall. Gli iscritti hanno usato le maniglie jumar per issarsi su corde fisse, simulato vie multi-pitch e provato la porta ledge appesa a mezz’aria sul grande strapiombo della palestra.
Dry Tooling Experience
Angelika Rainer ha illustrato materiali, tecniche di progressione ed esercizi fisici e psicologici per questa nuova disciplina che unisce l’arrampicata su ghiaccio e su roccia. Tutti hanno provato ad usare le piccozze.
Physio-Climbing 2.0
Silvio Reffo ha spiegato cosa è il Physio-climbing: tramite test di forza funzionali per il gesto verticale, il climber ha un report della sua situazione fisica, così da individuare eventuali disequilibri muscolari o semplicemente avere un parametro per gestire al meglio l’allenamento e il carico di lavoro.
Paraclimbing
Michele Maggioni e Pietro Dal Pra sono stati i testimoni di quanto UrbanWall voglia dare un’accelerata al mondo del paraclimbing, ritenendo sia ora di far capire a tutti i disabili che l’arrampicata è una disciplina per tutti, non solo per gli “eroi” e nello stesso tempo avvicinare gli stessi ai “normodotati”.
A questi ultimi è stata data la possibilità di simulare le disabilità, capendo quindi direttamente che l’arrampicata è possibile a tutti: sono stati guidati come “non vedenti” e hanno provato le varie limitazioni in fase di compimento di semplici manovre che normalmente risultano banali (legarsi, infilare l’imbrago o le scarpe, far sicura).
Movement Class & Metodologie d’Allenamento
Emanuele Snider e Andrea Giani hanno spiegato a parole un concetto così ampio e ricco di dettagli come la pratica del Movimento. E’ vero che siamo fatti per muoverci, ma l’unico modo per provare a capirci realmente qualcosa è mettersi in gioco senza pregiudizi o freni relativi a età, sesso e preparazione fisica. Ben lontani dai soliti 45 minuti di esercizi a circuito per bruciare più calorie possibile.
Sicurezza nelle vie di più tiri
Daniele Guagliardo ha dato una precisa idea di cosa significhi scalare le multi-pitch. Progressione, materiali, soste, protezioni, corretto uso dei freni, gestione della corda in sosta e anche uso delle protezioni veloci (friend e nut).
Tecnica d’arrampicata in fessura
Paolo Marazzi e Nicolò Balducci hanno dedicato questo workshop alle varie tecniche d’arrampicata in fessura, dall’incastro di dita fino al pugno per scalare le cosiddette fessure fuorimisura, un tipo di arrampicata totalmente differente da quella a cui si è abituati indoor. Una tecnica molto utile in montagna, spesso su granito o arenaria, ma perché no, anche su qualche nuovo boulder creato in palestra secondo nuove concezioni di tracciatura.
Autosoccorso in parete
Pino Gidaro ha parlato di auto-soccorso, cioè il sapersela cavare con il solo materiale che si ha a disposizione in caso di incidente su una salita a più tiri. Le manovre che sono state analizzate sono il paranco semplice e doppio dal primo al secondo di cordata e lo svincolo per il passaggio da recupero a calata del secondo di cordata.
Lead Clinic
Mina Markovic ed Emma Vallania hanno dato con tanta simpatia consigli pratici, trucchi e suggerimenti per scalare da primi sulle vie di UrbanWall.
Ad arricchire le due giornate di Milano Climbing Expo 2020 ci sono stati anche incontri e dibattiti sulla montagna, sull’escursionismo e sul rapporto tra sport e natura, perché l’arrampicata non è solo un’attività sportiva spettacolare e divertente, è una filosofia di vita e un modo di essere in simbiosi con se stessi e l’ambiente che ci circonda.
Il venerdì sera c’è stato un momento importante con la presenza della due volte Campionessa mondiale di scalata di ghiaccio, l’italiana Angelika Rainer e di due alpinisti appena rientrati da una spedizione al Manaslu, Marco Camandona e Francesco Ratti, intervistati dalla giornalista Valentina Graziosi e supportati da video inediti.
Nicolò Balducci ha raccontato la sua ultima impresa (compiuta a soli 15 anni), Gondo Crack – 8c (terza ripetizione dopo Jacopo Larcher e Barbara Zangerl).
Lo scultore Maurizio Perron ha presentato la sua scultura dedicata a Milano Climbing Expo 2020.
La Nazionale Giovanile Italiana ha duellato con la Nazionale Olimpica della Repubblica Popolare Cinese.
Il sabato 1 febbraio 2020 invece la fortissima coppia di alpinisti Jacopo Larcher e Barbara Zangerl ha presentato dei bellissimi video delle loro ultime imprese. Jacopo Larcher ha proiettato il cortometraggio Rise che documenta la sua ultima impresa, la scalata al monotiro trad più difficile del mondo liberato a Cadarese a marzo 2019, chiamato Tribe. Mentre Barbara Zangerl invece ha raccontato il suo progetto in corso sulla via Sangre de Toro sulla parete sud della Rote Wand (Lechquellengebirge, Austria) e successiva discesa con gli sci della parete nord.
Stefano Tirelli, mental coach di molti campioni dello sport e docente di Tecniche Complementari sportive all’Università Cattolica di Milano, chiacchierando con Dario Ricci, ha illustrato il progetto Sport for Nature, con il racconto di un viaggio alle Isole Svalbard, in Islanda e in Patagonia alla scoperta di luoghi suggestivi minacciati da inquinamento e riscaldamento globale.
C’è stato pure uno spettacolo di danza aerea con Urban Gravity Academy di Vigevano, scuola di arti aeree ideata da Veronica Testa su ispirazione ed in collaborazione con Ambra Orfei Circus School.
Sono tanti i nomi che hanno affollato questo appuntamento, con ospiti d’onore come il Presidente della IFSC (International Federation of Sport Climbing) Marco Maria Scolaris e il neoPresidente della FASI Davide Battistella. La presenza di questi due nomi sottolinea quanto MCE20 (e di conseguenza UrbanWall) siano ormai importanti in ambito internazionale.
Presente la 18enne romana Laura Rogora, che ha staccato un biglietto per il Giappone e che e che ha già vissuto l’emozione delle Olimpiadi Giovanili di Buenos Aires 2017; il 26enne torinese Stefano Ghisolfi, tra i più forti arrampicatori internazionali. Assieme a loro, tanti altri campioni italiani e stranieri, come il fortissimo Gabriele Moroni, Marcello Bombardi, altro grande atleta della compagine della squadra nazionale Italiana, Anak Verhoeven, già campionessa europea nella specialità lead e argento ai Mondiali di Parigi 2016, o la slovena Mina Markovic, vincitrice di due Coppe del Mondo e un argento mondiale a dimostrazione che l’arrampicata sta attirando sempre più donne, incuriosite da questo mix di equilibrio, determinazione, forza fisica e mentale che serve per divertirsi davvero in parete.
38 atleti internazionali – un parterre che nulla ha da invidiare ad una tappa di Coppa del Mondo, sono stati in diretta streaming con i commenti di un team eccezionale: Marzio Nardi e Luca Canon Zardini per la parte in italiano e Nicoletta Costi assieme alla collega e amica Antonella Zuchelli per la simultanea in inglese.
La Direzione Gare era affidata a Paolo Morandi con il supporto del corpo Istruttori UrbanWall e di un giudice FASI.
I Tracciatori (in ordine alfabetico) sono stati: Alberto Gnerro, Andrea Zanone, Antonio Zecchino, Francesco Franz Spadea, Gabriele Moroni, Lorenzo Puri, Martino Sala, Stefan Scarperi.
Il Responsabile Sicurezza è stato Antonio Zecchino.
MCE20 ha voluto essere anche rampa di lancio pure per i bambini e gli adolescenti della squadra agonistica Kundalini che hanno svolto una sessione di allenamento accompagnati dagli istruttori di UrbanWall, gli stessi che stanno seguendo i primi passi ‘in verticale’ di molti studenti delle scuole di Pero e provincie limitrofe integrando in palestra l’attività fisica prevista dal programma didattico.
I vincitori dell’MCE20
UW Lead Femminile
1. Verhoeven Anak
2. Rogora Laura
3. Kalan Tjasa
4. Stohr Anna
5. Ghisolfi Claudia
6. De Preto Martina
7. Papetti Federica
8. Markovic Mina
UW Lead Maschile
1. Ghisolfi Stefano
2. Carnati Stefano
3. Verhoeven Jorge
4. Bombardi Marcello
5. Colombo Davide
6. Balducci Niccolò
7. Linacisoro Mikel
8. Diaz-Rullo Jorge
UW Block Femminile
1. Gibert Fanny
2. Kadic Katja
3. Gejo Stasa
4. Moroni Camilla
5. Fogu Miriam
6. Hammelmuller Eva
7. Campana Petra
8. Saurwein Katharina
9. Jiang Rong
10. Medici Giulia
UW Block Maschile
1. Khazanov Alex
2. Moroni Gabriele
3. Vezonik Gregor
4. Favre Nils
5. Yufei Pan
6. Peharc Anze
7. Biagini Pietro
8. Schenk Filip
9. Scherz Stefan
10. Carretero Eneko
UrbanWall
Alcuni amici storici tra i quali Mirko Masè, Gianmarco Marco Lucchini, Antonio Zecchino, Giovanni Pontini, Paco dell’Aquila, Ilario Toffolon, Maddalena Benedetti, Mario Invernizzi e Claudio Rodà hanno l’idea di ampliare quello che era la realtà di RockSpot di via Mecenate, in funzione dal 2008: il progetto prende forma in una pizzeria, l’obiettivo è quello di inserirsi in un altro bacino, a Pero, al polo opposto della città di Milano. Perciò nel 2013 apre al pubblico RockSpot Nord-ovest, che quindi accosta la sua attività a quella di RockSpot Sud-est. Nel settembre del 2018 le palestre si dividono e RockSpot Nord-ovest diventa UrbanWall.
Dice Mario: «Abbiamo voluto subito focalizzarci su ciò che abbiamo da raccontare della nostra storia, sulla comunicazione (oggi più che mai necessaria), sull’investimento nelle wall da allargare, sull’ampliamento della zona a secco (con travi, sfere in legno, fasce elastiche per il riscaldamento e molto altro), sul potenziamento della zona boulder: e infine, dopo un anno, siamo riusciti ad avere un negozio interno alla palestra, indipendente da qualunque brand, con gli amici di Oliunìd».
Infatti, grazie alle nuove ultime aggiunte sia per la Lead che per il Boulder, dai 2000 e rotti mq sono stati raggiunti i 3.500 mq di superfice di parete! Che è alta fino a 17,5 metri, a diverse graduazioni di verticalità e strapiombo; c’è una parete strapiombante di 15 metri. Il totale dei tracciati arriva a circa 300, costantemente rinnovati. I problemi boulder sono spesso nuovi, pronti per ogni palato e capacità. Ci sono circa 40.000 prese di differente tipologia, colore e fattezza.
I partner della struttura aumentano: Millet (vestiario e corde, qualche migliaio di corde all’anno) si aggiunge a La Sportiva e Climbing Technology. Vibram, che mai si era inserita nell’indoor, lo fa in primizia con UrbanWall. Garmin è l’ultima arrivata. E Oliunìd sceglie proprio Urban Wall per aprire il suo primo store in Lombardia, dopo quelli di Vicenza e Padova. L’apertura del negozio, con la definizione dei suoi spazi, è stata il motivo per il quale solo nel 2019 si è proceduto all’allargamento delle aree.
Continua Mario: «Investiamo molto sulle prese, perché abbiamo scalatori che vengono più volte alla settimana, dunque dobbiamo rinnovare continuamente le vie e le prese, abbiamo 4-5 tracciatori nostri orchestrati dal responsabile Martino Sala, tra i quali spicca il grande Gabriele Moroni, e collaboratori come Alberto Gnerro o Stefan Scarperi, quindi un po’ il top a livello internazionale della tracciatura. A livello di prese abbiamo cinque-sei brand diversi, alcune sono un’assoluta novità».
Nel 2019 la palestra crea una propria squadra agonistica, gestita dall’apposita Associazione Kundalini. Dice Paolo Morandi (presidente di Kundalini): «Ogni palestra importante ha una squadra agonistica, così ho selezionato tre istruttori FASI allo scopo di insegnare ai ragazzi nel modo migliore, con le tecniche e le prese più innovative. Adesso in squadra siamo in 32 e, grazie all’inquadramento nella FASI, partecipiamo alle gare regionali, con i migliori classificati che vanno ad Arco agli Assoluti (nel giugno 2019 ci abbiamo mandato 8 ragazzi). Questo permette a loro, in base alla graduatoria, di competere a livello di Coppa Italia, e da qui ancora a livello europeo. La nostra Martina De Preto è andata ai campionati giovanili in Russia. Siamo orgogliosi anche di Gabriele Moroni, che tra le molte gare di Coppa del Mondo che ha fatto, nel 2018 ne ha vinta una in Giappone».
Nicola Noè, prezioso aiutante di Mario per l’MCE, già scafato dalla più che decennale consulenza all’organizzazione di Melloblocco, aggiunge che è importante quanto UrbanWall fa per promuovere anche le attività outdoor. Mario coglie la palla: «Ci pensano le guide che collaborano con noi, alcune sono proprio “di famiglia”, come i tre Mattei (qui si riferisce a Matteo Della Bordella, Matteo Bernasconi e Matteo Pasquetto che in quei giorni partivano per tentare la libera del Diedro degli Inglesi sulla parete est del Cerro Torre, NdR).
L’anno scorso abbiamo fatto una diretta skype con El Chaltén in Patagonia. Se sono in parete, no way, ma se purtroppo per loro c’è brutto tempo… Beh, col brutto tempo per loro è una festa! Qualunque evento che spezzi la monotonia è il benvenuto! In ogni caso Bernasconi è il coordinatore delle nostre attività con le guide alpine, consiglia su dove andare, con, quando, ed è il beniamino di tutti: una volta, alla conclusione di un evento con Millet, dopo una giornata di gare e dopo l’ennesimo giro di birre a tarda ora, Berna raccoglie la provocazione “prova tu, adesso”. Così è rimasto appeso a un appiglio con una birra in mano, leggermente alticcio: e, incitato dalla folla, ne chiedeva un’altra!».
Giovanni aggiunge: «La moglie Marta gli ha organizzato la festa a sorpresa di compleanno proprio qui da noi!».
Marco puntualizza: «C’è un fil rouge che lega tutto questo. Noi siamo partiti dalla passione e questo ci ha permesso di differenziare molto le attività. Possiamo dire che UrbanWall è degli istruttori, ma anche delle guide, e anche dell’Associazione sportiva Kundalini. Siamo sempre stati aperti alle collaborazioni perché pensiamo che sia un valore avere più voci in questa realtà. E’ anche fuori di dubbio che abbiamo usato tutte le nostre capacità organizzative: Mario per esempio ha creato MCE, con l’aiuto di Nicola Noè, portandola in tre anni a dove siamo adesso, un lavoro straordinario».
Interviene ancora Mario: «Certo noi non andiamo in sala a guardare i tracciati o come sono messe le prese, lì ci sono già i tecnici dei quali abbiamo la massima fiducia. Noi facciamo il business plan per quali e quante prese comprare… Gestiamo la parte amministrativa, fiscale, la comunicazione. Sono Antonio e Paolo invece a coordinare la parte strettamente tecnica. Un’efficace divisione dei compiti».
A questo punto sorge spontanea una domanda: “Perché c’è la collaborazione con le guide e non c’è invece quella con gli istruttori del CAI?”.
Risponde ancora Mario: «Le attività di arrampicata indoor sono organizzate in accordo con la federazione di riferimento, nel nostro caso la FASI. Questa garantisce il giusto percorso da seguire in merito all’attività della scalata in una palestra indoor includendo l’aspetto assicurativo che quest’anno si estende anche alle falesie, la collaborazione con loro quindi una scelta voluta e unica sul mercato».
Sì, ma riguardo strettamente al passaggio indoor-outdoor: se uno impara qui dentro e poi vuole andare fuori, certamente può essere aiutato dalla guida alpina. Ma magari anche gli istruttori del CAI possono essere utili. Perché questo non è successo?
Mario: «Come testimonia il nostro amico Antonio, che è quasi sempre qua, forse ci dorme anche qui, ed è l’addetto alla sicurezza, spesso arrivano pullman di soci del CAI di una qualche sezione che, visto il brutto tempo, cambiano meta. Dunque il CAI ci conosce benissimo. Se non c’è collaborazione sull’outdoor non è per volontà di nessuno. Semplicemente non è successo. Nessuna preclusione, comunque».
Nicola: «Storicamente le palestre nascono perché pensate da una guida. Tuttavia, in futuro, molte cose possono succedere. Noi continueremo a cercare la “contaminazione” dei diversi mondi della galassia arrampicata».
Mario: «Noi siamo felici di offrire un posto al coperto nelle giornate in cui l’outdoor non è possibile. Noi non possiamo e non vogliamo organizzare uscite all’aperto, possiamo solo dire “ecco, qui c’è la guida che ti può portare fuori”. Siamo aperti a ogni possibile collaborazione, però con FASI siamo coperti per la nostra attività. E sappiamo che le guide hanno le necessarie coperture assicurative di RC».
A noi sembra che UrbanWall dimostri in ogni modo di essere molto aperta (basta osservare la varietà di proposte dell’MCE, con i suoi workshop tesi all’outdoor): e del resto è logico, qui siamo già al chiuso, dunque bisogna essere il più aperti possibile!
Last but not least, l’aspetto ricreativo, è assicurato da un bar-ristoro di qualità.
Lo staff del bar è costituito da Liuke, Francesca e Riky. Quest’ultimo orgogliosamente, neanche fossimo al bar Magenta, ci enuncia la varietà di birre in offerta, con relativo tagliere: «Questa settimana c’è la Pils della Kulmbacher, la Weiss (Sucker), una Ipa irlandese, una Gotha italiana, ancora la birra di Natale (una strong ale italiana), la Cimay bruna, belga».
– Vabbè, ci hai fatto venire sete…!
I corsi di UrbanWall
Sono rivolti a tutti: da chi non ha mai scalato a chi vuole migliorare o tenersi in allenamento. Tutti i corsi sono tenuti da istruttori FASI con competenze specialistiche in campo sportivo e nell’arrampicata.
Bambini e Ragazzi comprende Propedeutico, Base, Intermedio e Avanzato;
Adulti comprende Corso Base, Intermedio, Avanzato, Boulder, Montagna, Drytooling, Indoor, Outdoor;
Personal e Schede d’Allenamento prevede Lezioni Individuali per allievi di ogni età e capacità e Schede d’Allenamento personalizzate per migliorare la tecnica in autonomia.
Scuole prevede Convenzioni per scuole (elementari, medie e licei) per introdurre gli studenti al mondo dell’arrampicata e della montagna.
Per ulteriori informazioni, visitare la segreteria della palestra, in via Antonio Gramsci, 29 – Pero (MI), oppure scrivere a info@urbanwall.it o chiamare lo 02-93549162.
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Probabilmente chi ha coniato originariamente il termine caiano lo ha tratto dal dialetto modenese…chissa’… in effetti l’ho sempre sentito utilizzare da parte di detrattori della figura del socio medio del Cai. A me ormai non fa’ pou” fastidio e lo uso anche per me stesso. Tra l’altro il caiano tipico non è neppure interessato alla cultura (da questo punto di vista, io sono un caiano anomalo e illuminato), men che meno e’ interessato all’evoluzione dell’alpinismo, se non come interesse astratto. I caiani richiedono al Cai una serie di servizi molto basilari: un fitto calendario di gite sociali nelle diverse discipline (e, non nascondiamocelo, molto spesso anche la richiesta delle uscite delle varie scuole è concepita come richiesta di gite sociali camuffate), con un gruppetto che si preoccupa di organizzare il tutto (il caiano si limita a iscriversi e ha la pappa fatta), poi riunioni conviviali varie, dalla polentata alla conferenza al concerto del coro, poi assicurazioni e cose del genere (soccorso ecc), sconti nei rifugi, addirittura skipass scontati e convenzioni con negozi e produttori ecc ecc. Molti poi, più o meno inconsciamente, chiedono al Cai di funzionare anche da agenzia matrimoniale, considerato che si incontrano persone con gusti e valori esistenziali simili (per la cronaca, io stesso – 30 anni fa – ho incontrato mia moglie al Cai e quindi sono molto riconoscente al Cai anche per questo). Il tutto inserito in un contesto sociale e umano gradito e consolidato agli occhi del caiano: stesse ripetute amicizie, magari pluridecennali, stesse persone, forse addirittura stesse gite, stesse prassi e abitudini ripetute quasi maniacalmente ecc ecc. In generale il caiano chiede la ‘”sicurezza” di una ripetitività dei servizi a lui graditi, cioè vuol contare anche domani e dopodomani su quello che lui aspetta dal Cai. Per cui ogni novità lo spaventa (perché c’è il rischio che, in un domani, il Cai non fornisca più ciò che lui si aspetta). Di conseguenza temi oggettivamente interessanti a tavolino, quali l’evoluzione dell’alpinismo/arrampicata (ma anche dello sci o di altro), nonché l’evoluzione stessa dell’associazione (laddove evoluzione presuppone il rischio di “cambianenti”), altri temi di attualità montanara e cose del genere non solo non stuzzicano i caiani, ma li spaventano o addirittura li infastidiscono. Figuriamoci l’ipotesi di una eventuale convergenza istituzionale con il mondo indoor così agli antipodi. Per cui aspettarsi che il Cai si attivi istituzionalmente verso quel mondo è cosa completamente irrealistica, almeno in tempi medio-brevi. Io non sono scandalizzato che il Cai assecondi le esigenze dei caiani: il Cai è la casa fisiologica dei caiani, cioè dei soci medi, ed è corretto che si occupi e si preoccupi principalmente di loro e delle loro esigenze. Chi appartiene alle minoranze, anche elette, e ha altre esigenze deve perseguirle a titolo personale oppure dare vita a una nuova associazione alpinistica parallela e autonoma, con altre finalità e altri standard.
In dialetto modenese esiste il termine “caiàun”. Significa “coglione”.
Anzi, in senso ancor piú dispregiativo, “coglionazzo”. Avete presente la partita di biliardo del ragionier Fantozzi con uno dei tanti megadirettori: «Questa è classe, coglionazzo. Il suo è culo, coglionazzo!».
Roberto: Ho ri-utilizzato la tua “descrizione” (del mondo indoor) perché l’ho trovata molto azzeccata, ma non ho mai sottinteso che le tue parole fossero intrise di disprezzo, coinvolgendoti in un giudizio morale. Se non l’ho precisato e ciò può aver creato un malinteso agli occhi dei lettori, mi scuso, ma lo davo per scontato. Cmq hai fatto bene a precisare, così evitiamo ogni equivoco.
Fabio: sono i detrattori della pancia del Cai che hanno coniato (non solo qui, ma molto tempo fa) termini quali caiano, caiota (che probabilmente allude a idiota) e barbacai… io mi limito a utilizzarli per indicare ciò che loro disprezzano. Buon week end a tutti.
DOMANDA DI PERSONA INGENUA
Una volta tutt’al piú si diceva “caino”. Perché ora dite “caiano”?
Per Crovella. Game over Carlo. Però non farmi dire ciò che non ho detto. Io ho descritto con ironia e anche una sottile invidia per la vitalità, la bellezza e l’abilità tecnica, il mondo serale della palestra indoor che frequento io, mettendo in luce le differenze di stile con ambienti tradizionale montagnardi. La stessa ironia che uso verso me stesso e la mia generazione. Il disprezzo e il rifiuto non fanno parte del mio repertorio. I Millenial che arrampicano indoor non sono peggio o meglio di chi alla sera si allenava al Parco di Porta Venezia negli anni 70. Cpme sempre accade nella storia della specie sono diversi da chi li precede. Non produciamo cloni. Grazie.
Continuate a non voler accettare il principio che non è il “solo” Crovella a determinare la posizione del Cai, sia locale che nazionale, ma lìenorme massa che costituisce il corpo elettorale e quindi nomina i responsabili. Per farvi comprendere di che pasta è fatta tale massa, vi racconto un aneddoto di circa pochi anni fa. In una scuola di scialpinismo, alcuni istruttori, più giovani di età e appassionati anche di snowboard, hanno creato il corso di snowboard. Gli organizzatori di tale corso avevano previsto, originariamente, una o due gite in comune con le uscite di scialpinismo, proprio per finalità sociali, cioè per far reciprocamente conoscere gli scialpinisti e i snowboarder. Sapete com’è andata a finire? Che in poco tempo il nucleo storico dello scialpinismo ha chiesto di eliminare le gite in comune perché gli snowborad danno fastidio, in salita con le ciaspole distruggono la traccia in sci, in discesa si lanciano giù come matti, ululando e poi “dammi il cinque” e tutte cose del genere. Da allora i due corsi proseguono, ma in modo assolutamente parallelo e senza minimamente mescolarsi. E voi vi aspettate che un ambiente, che non riesce neppure ad accettare gli snowborad, sia disposto/interessato a mescolarsi con il mondo dell’arrampicata indoor? Rileggete la descrizione che di ques’ultimo fa (benissimo) Pasini al commento 4: energumeni a petto nudo, ragazze in abbigliamento discinto, musica a palla, birra a fiumi, rutto liberto, linguaggio triviale… Ma ve li vedete i “caiani”, gli attuali caiani intendo, che si mescolano con un ambiente umano del genere? I caiani sono conformisti, tradizionalisti, “chiusi”, gelosi del loro orticello e non vogliono che il Cai perda il ruolo di punto di riferimento per loro ecc ecc ecc. Figuriamoci cosa gliene frega, ai caiani, di ragionamenti quali “il cambiamento”, il “miglioramento”, l’ “evoluzione”… anzi sono tutti elementi che loro fuggono come la peste, proprio perchè tali novità producono tendenzialmente dei fastidi.
Il punto è che i caiani sono numericamente dominanti e di gran lunga: per ogni individuo “illuminato” (un Battimelli, un Manera ecc) ci sono 10.000 caiani, chi più chi meno caiano, ma sempre caiani e questi fanno quadrato. In assemblea ognuno dispone di un voto, individualmente parlando. Quindi il Battimelli di turno avrà un voto, mentre i 10.000 caiani insieme hanno 10.000 voti. E’ questo il meccanismo chiave: allo stato attuale sono ancora i caiani a eleggere i rappresentanti (sia locali che nazionali) e di conseguenza i rappresentanti attuano politiche “caiane”, cioè politiche che vanno incontro alle preferenza della loro base elettorale (che è caiana). Per cui ogni riflessione sull’opportunità/necessità di cambiamento/miglioramento/evoluzione ovvero sul confronto fra la mentalità più illuminata di alcuni (numericamente pochi, se non pochissimi, all’interno del Cai) contro il becerume della massa è del tutto incongruo con l’attuale realtà del Cai. Se volete agire, dovete darvi da fare in prima persona, realizzare degli esempi concreti (come mi par di capire hanno fatto Marini e Battimelli), ma non basta ancora: dovete impegnarvi in una “campagna elettorale” (chiamiamola così) lunghissima, estenuante e snervante per convincere il corpo elettorale (che non ha nessuna interesse a “essere convinto” nella vostra direzione). Forse fra almeno 20 anni, con uno o addirittura due turn over generazionali del corpo elettorale Cai, troverete un terreno più fertile. Ma adesso mi pare una velleità che non ha nessuna probabilità di venire realizzata. Se non condividete tale mia conclusione, l’unico modo per dimostrare che è fallace è quello di mettervi pancia sotto e cambiare il Cai. Ah già, ma ci avete provato e vi siete stampati contro un muro: vedete che la realtà è ancora quella che descrivo io? Buona giornata a tutti!
Dino, il cambiamento e l’ammodernamento si innestano inequivocabilmente su ciò che già esiste. Si chiama evoluzione e quello che già esiste serve sempre da base a ciò che segue senza cancellare quello che precedeva.Mi fa impressione il chiudersi a riccio verso nuove possibilità di certe persone che, secondo me, nascondono così la loro insicurezza e la loro paura del nuovo. Lo trovo una forma di dittatura pericolosa che, nonostante la scusa della cultura, cerca di lasciare le cose come stanno per comodità e incapacità di affrontare nuove sfide. Se tutti fossimo così la razza umana si sarebbe già estinta.
L’argomento è davvero giunto al capolinea ma prima che succedesse abbiamo visto diversi pareri e ognuno avrà tratto le sue conclusioni. Succede con ogni argomento, ma questo in particolare ha dato a me tante spiegazioni socio-antropologiche e politiche su come funzionano certi meccanismi associativi. Grazie a tutti.
Mi sembra che l’argomento sia arrivato a capolinea. Voglio solo riportare una frase che uno storico istruttore di una delle più importanti scuole di alpinismo del Cai
“Il cambiamento e l’ammodernamento sono importantissimi e guai se non ci fossero; ma ogni cambiamento si innesta sulla cultura esistente che lascia una traccia indelebile”
Roberto, ma io ho focalizzato perfettamente la tua posizione, anzi dico che, a tavolino, essa non fa una grinza (grinzless, diciamo in ambito professionale noi piemontardi). Ma l’attuale realtà è diversa di ragionamenti a tavolino: io ho una certa rispondenza del mondo Cai, non il mondo degli alpinisti di punta, ma quello (numericamente molto consistente e quindi dominante a livello associativo) degli alpinisti medi, cioè quello dei caiani (di cui sono un rappresentante molto caratteristico) e ho la percezione che, al momento, tale mondo non avrebbe piacere di veder girare per le nostre sedi sezionali individui come da te molto ben decritti nel commento 4. Può darsi che ci siano alcuni singoli soci Cai, anche nella sabauda Torino, che sono ben disposti e/o incuriositi verso il mondo indoor autoctono, ma il “gruppone” dei caiani non me lo vedo proprio, ad iniziare dal sottoscritto. Ci vorrà un ampio ricambio generazionale nel Cai, e non so se basta una generazione sola, per cui se ne riparlerà fra una ventina d’anni circa. In termini di preoccupazioni per il futuro del Cai io non ne ho proprio, quando giro per scuole e sezioni vedo un sacco di giovani, ovviamente col cliché| dei “bravi ragazzi” se paragonati al mondo indoor come descritto nel commento 4. A volte, nell’ambito del Cai, vedo moltissimi ragazzi di giovanissima età, tipo scuole medie o inizio liceo: sono raggruppati nei Gruppi giovanili. Anzi approfitto per sottolineare che il Gruppo giovanile del Cai Torino ha un’attività di elevata qualità, consolidata da moltissimo tempo, a tal punto che un paio di anni fa circa si è trasformato in una vera e propria Scuola, molto ben strutturata, ottimamente gestita e molto affollata dai giovanissimi. Per cui, almeno dal mio osservatorio nordoccidentale, penuria di giovani del Cai non ne vedo proprio e quindi non sento nessuna necessità di “intercettare” altri individui appartenenti a mondi diversi o addirittura ideologicamente conflittuali. Ciò non toglie che chi desidera frequentare a titolo personale le sale d’arrampicata possa farlo nella più ampia libertà. Basta solo che sia chiaro che non è oggettivamente assodato che lo spaccato socioculturale del mondo indoor è “meglio” per definizione. Le valutazioni sono molto soggettive e, a livello di associazione, è la media aritmetica ponderata delle singole opinioni che determina la mentalità complessiva, non la mentalità di singoli individui, ancorché abili arrampicatori/alpinisti. Buona giornata a tutti!|
Per Crovella. Carlo, la tua posizione è coerente. Tu sei per il contenimento qualitativo o la descrescita dei montagnardi e quindi giustamente sei per una distanziamento dei due canali, ne sottolinei le diversità e preferiresti che l’indoor tale rimanesse e non ci fosse un travaso, destinato inevitabilmente ad aumentare la domanda. Io qui mi sono limitato a fare il mio vecchio mestiere di Segretario (alias osservatore) Se si persegue un obiettivo diverso, cioè l’incremento dei montagnardi, possibili soci “aggiuntivi” CAI, come ipotizzava DinoM, allora è evidente che la strategia non può che essere quella di una qualche forma di convergenza tesa ad intercettare volumi elevati , e non residuali come oggi di quella domanda che attualmente si rivolge all’indoor, con tutte le difficoltà che sono evidenti per un’organizzazione come il CAI. Mi sembra abbastanza chiaro persino per il Professore, almeno se ascolta gli amorevoli consigli del Portinaio di non andare al bar prima di cena, altrimenti finisce che il Preside lo fa seguire dall’Usciere fino a casa😁
@73, non @72 (fretta, sorry)
@72 certo che ci deve essere la massima libertà, ma vale per tutti. Non forzate, come implicitamente auspicato da altri, la convergenza fra il Cai e il mondo indoor autoctono (quello descritto al commento 4) obbligando, nel Cai, a ingoiare il mondo indoor autoctono anche a chi non lo ama. Frequentatelo pure, ma non obbligare alla necessaria convergenza/convivenza istituzionale. Questo il succo della mia posizione, basata sulla constatazione che, come media aritmetica ponderata, il mondo Cai, tendenzialmente “vecchio stampo”, non ama i fenomeni socioculturali come quelli descritti (molto bene) nel commento 4. Se reclamate rispetto, dovete parimenti riconoscere rispetto per le posizioni altrui. Se convergenza avverrà, sarà fisiologica (e quindi con tempistiche molto lunghe) e non forzata a breve perché una minoranza e’ “incuriosita” dal mondo indoor autoctono. Buona serata!
Per Battimelli. Immaginavo che i numeri fossero quelli. Penso che anche a Milano sia la stessa cosa. Sono due canali distinti e diversi, con una fascia di sovrapposizione da stimare avendo più dati a disposizione. Canali non necessariamente in conflitto, a meno che questo venga artificialmente creato dai gestori per ragioni di “mercato”, più che di “invidia”. “ Segui i soldi se vuoi capire” dice sempre un buon poliziotto. Il canale indoor è cresciuto enormemente negli ultimi anni e ha portato verso l’arrampicata un pubblico, prevalentemente di giovani che in passato si sarebbe probabilmente rivolto in altre direzioni. Come evolverà il fenomeno, rimarrà confinato in se stesso, sarà un canale verso la falesia e la montagna? Difficile prevedere, almeno dalla Portineria come direbbe il Professore. Bisognerebbe abitare piani più altti. Per usare un termine economico, io penso che la “domanda aggiuntiva” verso l’arrampicata in montagna potra’ venire più da qui che dal ricambio normale che avviene attraverso i canali tradizionali. Questo incremento per qualcuno è un fenomeno da contrastare in ogni modo perché aumenterebbe la frequentazione, per altri invece sarebbe cosa positiva per diverse ragioni, anche educative e valorisli e non solo “commerciali”. Se si decidesse di seguire la linea della crescita e non del contenimento è chiaro che come abbiamo già detto il CAI dovrebbe fare i conti con questa realtà, magari anche con una politica di alleanze di reciproco vantaggio. Certo cosa non facile per i motivi di diversità che abbiamo già detto ma non impossibile.
Per Pasini @ 66. Numeri esatti non sono in grado di darli, ma è certo che nell’area romana, mentre gli allievi che frequentano annualmente le scuole del CAI (ne abbiamo due) si aggirano (parlo solo dei corsi di roccia/arrampicata di vario livello) su un centinaio di unità (e sto abbondando), i frequentatori più o meno abituali delle varie palestre indoor sono di un buon ordine di grandezza più numerosi.
Per Crovella @ 72. Non voglio forzare nessuna convergenza. Dico che per quanto mi riguarda è possibile (e anche realizzata in pratica) una gradevole convivenza. Con possibile arricchimento reciproco. Trovo abbastanza naturale e del tutto comprensibile ciò che tu trovi incomprensibile e innaturale. Il mondo è bello perché è vario.
Pasini Nell’intervento 33 fa un’analisi oggettiva e dimostra che il mondo indoor (quelloautoctono indoor, non i corsi Cai fatti in sale indoor) è strutturalmente diverso con sue caratteristiche. Forzare una convergenza del genere è innaturale. C’è poco da capire il fenomeno: per alcuni (come me) è talmente incomprensibile che non ci voglio minimamente avere a che fare. Se mi nominate usciere delle sale indoor, attenzione che mi reinvento rapidamente cime buttafuori e faccio selezione all’ingresso!
Battimelli for President!
Pasini segretario con anche mansioni di portineria.
Crovella usciere.
Gianni, poche storie! Pure Messner – scusa se è poco – si fratturò il calcagno o qualcosa di simile, il che non gli impedí poi di continuare a vivere come un vulcano in attività.
Se tu non potessi piú scalare la Via Ambarabaciccicoccò di grado 15c++, ti rimarrebbe pur sempre, a consolazione, lo Sperone della Brenva, magari in invernale e in solitaria. Il che non è proprio come fare micio-micio-bau-bau…
Ti ricordo lo svizzero Jean Juge, alpinista, fisico, presidente UIAA, morto a settanta anni dopo aver salito la parete nord del Cervino, stroncato in discesa durante una terribile bufera. Tu sei un fisico, vero? E allora segui le orme del vecchio Jean, però senza accopparti sul Cervino.
Ti rammento anche quel giramondo di “Bill” Tilman, disperso in mare alla bellezza di quasi ottanta anni mentre ancora teneva alta la bandiera della sua vita.
Insomma, in canna c’è ancora qualche cartuccia… Sparala!
Sono scappato dalla frequentazione serale incasinata e troppo lontana da me per tutto (perché vista l’età posso andare di giorno). L’ipotesi che penso sia realistica è che le palestre sono, almeno per la parte predominante dei frequentanti ormai un canale autonomo di forte peso quantativo rispetto ai canali tradizionali. Poi possiamo discutere sulle caratteristiche di questo canale, sulla “cultura” che veicola e se e quanto è propedeutico e/o parallelo al fuori. Ma bisogna mettersi in un atteggiamento di comprensione del fenomeno, senza problemi di schieramento difensivi o offensivi. Prima capire, poi valutare.
@66: è corretto ricordare che il dibattito si è incentrato sulla presenza/assenza del Cai (dal mondo indoor) al seguito dell’intervento 23 di Marini, che ha legittimamente posto un interrogativo e che peraltro successivamente (32) ha ringraziato per le argomentazioni avanzate dai diversi contributori. Il tema specifico è evidentemente caldo.
@63: cosa significa guardare le realtà locali senza stereotipi? Il commento 4 (Pasini) ha descritto la realtà di una sala indoor milanese e, per sua stessa ammissione, è scappato (mi papre che abbia scritto proprio così). Attenzione quindi ai presunti “anti stereotipi” che finiscono per diventare a loro volta stereotipi in direzione opposta. Uno di questi stereotipi al contrario è che il mondo indoor è bello per definizione, che i giovani sono più evoluti per definizione, che quindi per forza bisogna approvarli se no si è in errore. Il tutto è estremamente soggettivo: anche io ho visto realtà indoor simili a quella descritta da Pasini e sono a mia volta scappato. Non ci deve essere l’obbligo di allinearsi a cose che non piacciono. La media aritmetica dei soci di una associazione (in questo caso il Cai) determina la mentalità dominante. Se molti degli interventi precedenti lamentano l’assenza del Cai dal mondo indoor significa che il fenomeno dominante non è quello raccontato per Roma. Anche l’esperienza di Roma dimostra però che se ci sono persone che ci danno dentro, come Marini in altra zona d’Italia, non scatta nessun ostacolo istituzionale che impedisca. Quindi chi è interessato ci dia dentro, ma non pretenda che siano a muoversi i non interessati. Ciao!
Per Battimelli. Scusa, solo per capire, quanti sono gli iscritti alla palestra da te citata e quanti sono gli allievi che annualmente frequentano i corsi della scuola che prevedono sedute indoor? Personalmente non frequento da 40 anni il mondo Cai e mi interessa poco il tema della contrapposizione. Credo sia più intressante capire cosa si muove dentro l’indoor, che poi era il motivo, penso, della pubblicazione del pezzo. Grazie Ps. Se riesco a trovare il tempo proverò a scrivere ai gestori delle palestre più importanti chiedendo una stima di quanti vanno anche fuori. Se tiro su qualcosa poi ovviamente lo socializzo.
Grazie Fabio. Ma non funziona del tutto. Mettiamola così. Dal collo in su, ho l’età che mi sento. Ma dal collo in giù, ho l’età che ho. Per continuare a fare certe cose, mi servono tutte e due… e se sulla prima posso intervenire, sulla seconda ho pochi margini di manovra. Ma va bene lo stesso, vuol dire che al Rock-It andrò a “lumare le pupe”, come diceva Snoopy…
Abbiamo trasmesso: “Gianni Battimelli e il Discorso della Montagna”. Bravo e saggio!
Un’unica critica: tu non hai affatto settanta anni. Tu hai l’età che ti senti. Per me sei ancora il baldo trentatreenne che vedevo volteggiare chissà dove in fotografia. Tieni alta la bandiera.
Boh. Vediamo un po’.
Ho passato i settanta (anni). Mi considero un mediocre (nonché stagionato) alpinista e uno scarsissimo arrampicatore (by modern standards).
Vado regolarmente al Rock-It, una delle tante palestre indoor di Roma (veramente da un po’ non ci vado più perché mi sono rotto il calcagno, ma conto di tornarci al più presto). Prima del Rock-It, ho bazzicato varie strutture simili da quando a Roma inaugurammo il primo “muro” artificiale di arrampicata (una orrenda impalancata di assi di legno al Foro Italico, 1985).
“Inaugurammo” chi? Ma la sezione romana del CAI, pensate un po’…
Capita infatti che, pur essendo un frequentatore di strutture indoor (la plastica, aarghhh!!!) io sia anche da cinquant’anni istruttore della scuola di alpinismo “Paolo Consiglio” della sezione del CAI di Roma.
Scuola che nel 1988 (ancor prima che la CNSASA o come diavolo si chiamava allora introducesse ufficialmente la “arrampicata libera”) organizzò corsi di arrampicata con sedute in palestra, e accettò in organico i giovani arrampicatori sportivi.
Da allora, le sedute in palestre indoor fanno sistematicamente parte del programma dei nostri corsi di arrampicata. Finiti i quali, alcuni ex-allievi continuano allegramente a frequentarle e magari diventano pure in breve tempo più bravi dei loro ex istruttori, altri si dedicano all’equitazione, altri preferiscono accontentarsi di moderate arrampicate in ambiente. E in genere nessuno si fa venire la puzza al naso a vedere gli altri.
Quanto sopra, per quel che posso vedere, non è solo una anomalia del sottoscritto, ma vale per la quasi totalità dei miei amici/compagni di cordata/colleghi istruttori della suddetta scuola.
Siamo, evidentemente, dei marziani che vivono in un mondo parallelo. Certo non in quello che trapela dalle contrapposizioni in cui si sono crogiolati (con qualche meritoria eccezione) i sessanta e passa interventi precedenti.
E se la smettessimo di rimpallarci grandi costruzioni filosofiche fondate su stereotipi privi di senso (“Il CAI”, “i giovani”, “i vecchi”, chi più ne ha più ne metta) e cominciassimo a guardare con curiosità quello che succede davvero nelle varie realtà locali, che a quegli stereotipi non sono mai riconducibili?
Proprio l’ammirevole attività di Marini dimostra che chi vuole darsi da fare ha tutto lo spazio a disposizione anche nel Cai che voi definite “ammuffito”. Allora: forza, dai! Dovete muovervi voi in prima persona, come appunto fa Marini. Perché non aprite, in ogni sezione Cai, una “sottosezione arrampicata sportiva con annessa attività indoor“? Nessuno ve lo vieta. A me non interessa, ma non vi pongo nessun ostacolo: però dovete agire voi. Dove vi critico è che vi limitate a “protestare”, aspettando che altre persone facciano quello che voi vi “aspettate” dal Cai. Questo atteggiamento non sta in piedi. Se volete cambiare il Cai nel suo complesso, dovete rinnovare i vertici e se volete rinnovare i vertici, sia locali che nazionali, dovete presentarvi alle rispettive assemblee con almeno un voto in più dei vecchi soci ammuffiti (che presumibilmente sostengono gli attuali vertici). Solo in questo modo vincerete le elezioni e, dagli scranni di comando, potrete poi cambiare il Cai. Finché sugli scranni restano gli attuali vertici, regolarmente eletti da una numerosissima base di soci, è impossibile che maturi qualsiasi cambiamento. Per ottenere l’appoggio della base, dovrete impegnarvi pancia a terra in una campagna elettorale snervante e faticosissima (a maggior ragione se a livello nazionale: dovrete mettere di andare sezione per sezione fino in Sicilia, per sensibilizzare i soci e i rispettivi rappresentati all’assemblea nazionale, affinché votino per voi): siete disponibili a tale massacrante investimento di tempo ed energie? Se sì, avete la mia ammirazione, ma voglio vedervi all’atto pratico, sennò le vostre son solo parole al vento. Se no, le vostre considerazioni sono solo aria fritta, perché restano a livello di “istanze”, cui non segue nessuna vostra azione pratica. Se, infine, avete già tentato in qualche modo (anche solo a livello locale) e vi siete stampati contro un muro, significa che il Cai (il popolo del Cai, intendo) non ha ancora voglia di cambiamenti. Dovete agire lì, sul popolo del Cai, cioè dovete puntare a far cambiare la mentalità e la composizione dei soci: quella è la variabile dominante. Quando i soci saranno in gran parte interessati all’attività indoor, verrà naturale aprirsi anche a livello istituzionale. Se invece la maggioranza dei soci continuerà a non essere interessata, magari anche per il meccanismo dell’invidia come accennato (perché no? è umano), l’istituzione non cambierà. L’eventuale iniziativa per cambiare il Cai deve partire da chi si lamenta, non da chi complessivamente sta bene nell’attuale Cai. Segnalo infine un’ultimissima cosa: io frequento due sezioni cittadine (Cai Torino e Uget) per un totale complessivo di 7.000-8.000 soci, e in più ho molti contatti con numerose sezioni dell’hinterland torinese, dove spesso tengo conferenze, serate, interventi vari, oppure sono in contato con i rispettivi responsabili per vari motivi. Orientativamente ho un “polso”, approssimativo, su un bacino complessivo che stimo intorno ai 15.000-18.000 soci Cai (ovviamente di tutte le età). Devo dire che di giovani, anche giovanissimi (cioè minorenni, per esempio nei rispettivi Gruppi giovanili) ne vedo molti, a prescindere dal fatto che si faccia o meno l’attività di arrampicata indoor. Infatti i giovanissimi non sono attirati solo dall’arrampicata indoor, moltissimi si dedicano alle attività tradizionali, dall’escursionismo allo scialpinismo alle scuole di roccia come le abbiamo sempre conosciute. Per lo spaccato che ho io del Cai, timori di non avere più soci Cai nei prossimi decenni vi dico che non li percepisco proprio. Quindi se quello è il tema, tranquillizzatevi. Buona giornata a tutti!
Sapere che nel Cai ci sono persone come Dino Marini fa ben sperare per le nuove generazioni e per il futuro del Cai stesso.
Certe convinzioni ottuse, rappresentano proprio quel mondo che sa di muffa e che sta facendo annegare il Cai di chi vuole fare. Fare per la gioia di vivere le proprie passioni e non di affossarle al solo scopo di mantenere in piedi un dinosauro decrepito che le montagne le vede dalla finestra, con la scusa della cultura.
Il caiano che intendo io non arriva a certe aberrazioni.
E poi un po’ meno egocentrismo da “birreria dopo qualche boccale” gioverebbe all’ambiente.
Pace e bene.
Posso rassicurare Enri. Almeno nel nord-est il movimento è ben vivo. Nel 2018 abbiamo organizzato due w.e propedeutici agli esami IAL con la partecipazione di oltre 40 persone. Nel 2019 al corso per istruttori oltre 25 istruttori hanno superato l’esame. Nel novembre 2019 abbiamo organizzato un we di aggiornamento a Cortina per istruttori titolati relativo ad allenamento, tecnica d’arrampicata e chiodatura cui hanno partecipato 50 persone e relatori di livello nazionale presi a prestito anche dal mondo delle Guide. I corsi d’arrampicata libera sono sicuramente tra i più frequentati. Molti corsi sono focalizzati proprio sull’arrampicata indoor. E’ dello scorso anno la nascita di un a nuova figura, in ambito CAI, per l’assistenza e la sorveglianza in sala indoor. Insomma qualcosa si muove, con fatica, ma si muove. Ci mancano molto le competizioni e spero che presto anche il Cai si apra a queste iniziative molto sentite e richieste soprattutto dai giovani e giovanissimi. Io credo che sia venuto il momento per abbattere gli steccati (Guide, Fasi, Cai) e sfruttare questo momento di forte dinamismo per attrarre più persone possibile. Nella mia visione la montagna, la falesia l’arrampicata non può essere riservata a pochi eletti ma a tutti coloro che dotati di un bagaglio tecnico e culturale adeguato possano approcciare questo mondo con educazione e rispetto dell’ambiente e delle regole civili.
Dino Marini
Etichette a parte (CAI o Palaxyz) conta la mentalità delle singole persone. Ricordo che nei (soli) due anni che ho passato come istruttore nella scuola Figari di Genova, vi fu la prima selezione per IAL (Istruttore arrampicata Libera) ad Arco di Trento. Seguirono corsi ben fatti, organizzati da istruttori bravi e competenti, naturalmente i più giovani della sezione. Io sono lontano dal Cai da decenni, non so se questi corsi esistano ancora, spero di si. Ho spesso messo in evidenza i difetti del CAI. Non posso però evitare di dire che anche ai giovani che ambiscono subito al 9a e vanno in palestra non farebbe male sapere come si passa un cordino su una sosta a due fittoni (resinati, si intende) senza che si stacchi tutto se uno dei due cede. E in questo il CAI qualcosa da dire l’avrebbe. Ecco, con gente intraprendente le due cose si coniugano e la platea apprezzerebbe. Certo che se il CAI è disquisire del sesso degli angeli in sale riunioni ottocentesche circa il primato della Lotta con l’Alpe sul Gesto e La Pietra….allora non se ne fa nulla.
Marcello Cominetti @34 domanda se, sotto tutto questo fastidio, non ci sia altro che l’invidia. Invidia è forse parola sbagliata, ma non poi tanto. Certo, persone che scalano da decenni possono vedere con qualche imbarazzo ragazzi e ragazze che dopo un mese o due vanno indoor su difficoltà che essi (quorum et ego) si sognano di anche solo avvicinare. Qualcuno di questi, forse pochi, potrà poi fare il passo dalla plastica alla pietra. Dopo l’imbarazzo però viene fuori la simpatia per questo mondo nuovo, così diverso da quello in cui sono cresciuto, come tanti altri, io. Il primo anno dopo il corso di roccia, per le cordate di ragazzi usciti dal corso pareva imprudente andare oltre il IV, nel secondo potevi toccare il V e nel terzo potevi forse ardire sul VI …
L’ambiente delle palestre indoor, che ho frequentato ma da un po’ non frequento, anche per il Covid, è certo particolare. Resta vero che andarci permette di non scendere troppo velocemente come livello di difficoltà, per gli anziani di “fermare il declino”.
Credo che il Cai dovrebbe aprirsi al mondo indoor, almeno se vuole avere un futuro. Altrimenti si condanna a morire di vecchiaia insieme con il suo corpo sociale. A Crovella ricordo che l’Accademico è chiaramente un altro mondo, lui lo sa come tutti.
Ciao
@53 L’obiezione a quel tipo di obiezioni è già stata descritta: perché non vi impegnate voi a cambiare le cose? Risposta: ci ho provato mi mi sono schiantato contro un muro. Allora significa che il muro esiste oggettivamente ed è costituito dalla stragrande maggioranza dei soci votanti che, alla fin fine, si aspettano quello da voi disprezzato, ovvero pernottamenti, minestroni, polizze assicurative ecc ecc. Se non riuscite a modificare la realtà, pirtroppo non resta che prenderne atto.
@51: ma chi ti impedisce di effettuare il tuo insegnamento??? Sei meritevole se fai quanto hai scritto. È però ingenuo aspettarsi che sia un obbligo per tutti i soci Cai. Io sono titolato da 40 anni ormai (e quindi la propensione didattica è connaturata al mio modo di vivere), ma non obbligo gli altri iscritti Cai a condividere lo stesso principio: deve venire genuinamente, non per imposizione. La stragrande maggioranza dei soci, i famosi caiani, non ha nessuna intenzione di impegnarsi in quella direzione. Lo stesso per il tema indoor: non può essere imposto all’ambiente, se si vivera’ in tale verso sarà per evoluzione naturale, non perché una minoranza numerica imporra’ le proprie scelte. Non ne faccio neppure una questione di “democrazia”, ma proprio di fisiologia dei gruppi. Il gruppo dei caiani tenderà a difendersi e respingere le mutazioni che rischiano di sembrarlo. Ciao!
Durante gli anni 80-90 del secolo scorso avevo proposto al CAI BG, fra le tante cose, di fissare la durata della permanenza dei soci anche nelle varie Commissioni come è per il Consiglio con una differenza però. Se nelle Commissioni non si fosse fatto avanti nessuno di nuovo sarebbero rimasti in carica quelli che c’erano. Questo avrebbe permesso tante belle cose. Allora non se ne fece niente, adesso non so come stanno le cose. Sono ancora socio del CAI BG ma da allora non collaboro più. E per certi aspetti mi dispiace ancora molto. Per me le dimissioni sono irrevocabili.
DinoM. Sono d’accordo. L’età di per se’ non è un elemento che spiega i comportamenti di un gruppo dirigente. Ho incrociato quarantenni o cinquantenni, terrorizzati dalla concorrenza di giovani smart sotto di loro, assumere comportamenti di chiusura ben più rigidi di over70, ormai liberi dalle miserie quotidiane, fortemente focalizzati sul “lascito” da passare alle nuove generazioni. Il vero, grande tema sono le maggioranze, azionarie o di voti, che scelgono questi gruppi dirigenti. E qui il discorso diventa complesso e delicato, perché va a toccare questioni che riguardano gli orientamenti della cultura prevalente in una società, di cui l’elettorato CAI è un sotto-insieme, anche se probabilmente con qualche carattere peculiare. Come ha giustamente sottolineato Dino, qui c’è forse sotto qualcosa di problematico che va oltre l’arrampicata indoor e la valorizzazione dei giovani ragazzi e ragazze Millenials che la praticano.
Il paragone CAI-azienda mi pare un po’ azzardato, se non altro perché non c’è un azionista di maggioranza.
Così come mi pare come minimo azzardata le stima di Crovella sulla unanimità caiana della mentalità dei soci.
Credo che realtà sia che “il nostro Club non è riuscito a sembrare una casa accogliente ma solo un fornitore di assicurazioni o pernottamenti” e a questo è interessato chi si associa, lasciando ben volentieri quattro sfigati paternalisti con manie di protagonismo a dirigere. I quali ovviamente per lo più non hanno la volontà, l’interesse o la capacità di incidere sulla cultura o sulla mentalità dei soci o di intercettarne i mutamenti
personalmente ogni volta che in falesia o montagna vedo una persona rischiare perché non utilizza correttamente gli attrezzi o adotta comportamenti sbagliati, mi dico che il nostro Club non è riuscito a sembrare una casa accogliente ma solo un fornitore di assicurazioni o pernottamenti. Mi dico anche che tutto ciò che il Club mi ha dato in molti anni di scuola e aggiornamenti è un bagaglio che moralmente ho l’obbligo di trasferire. Ovunque montagna, falesia o sala.
Solo anziani e pensionati possono gratuitamente dedicare molto tempo a convegni, assemblee etc. E’ pertanto naturale che i vertici di un club di volontari, quale il Cai sia composto da persone che hanno meno problemi di tempo libero. Non è per nulla scontato che l’età anagrafica ( vedi Ugo Manera) impedisca loro di cogliere lucidamente il mutare dei tempi e l’evolversi di quello che era ed è il compito morale e sociale del Club, uno dei quali è avvicinare i giovani e quanti vogliono accostarsi all’alpinismo e all’arrampicata trasferendo loro uno zaino di conoscenze tecniche e cultura. Questo per consentire loro il rispetto della vita fisica individuale e dell’ambiente che li circonda. Soprattutto se ci0 non danneggia e può convivere con tutte le altre anime presenti in un’associazione così grande. Certo che la frequenza di sale assembleari anzichè di falesie può non far cogliere immediatamente le mutazioni; sta a noi cercare di evidenziarle. Rinunciare con prepotenza e arroganza al contributo di freschezza e passione che viene dalle falesie e dalle sale indoor è pari a quello che vede i nostri migliori talenti andare a lavorare all’estero.
Dino Marini
Matteo, intendo dire che come nelle aziende, anche nelle associazioni (anche se in questo caso i voti hanno tutti lo stesso valore e non si pesano) gli operativi che prendono poi le decisioni quotidiane sono scelti da chi rappresenta la maggioranza. Ha ragione Crovella a ricordarlo. È inutile prendersela con loro, salvo poi ovviamente le responsabilità individuali. PS. Sempre difficile fare confronti tra paesi. Anche nelle aziende tedesche succede di tutto. Diciamo che la linea di demarcazione tra vertici lungimiranti, pirati e galleggiatori passa all’interno dei paesi. Il passaporto da solo non è una garanzia. Almeno nella mia esperienza. Anche se poi anche qui le culture locali esercitano una certa influenza, come nell’andare per monti.
Roberto, con “il CAI è un po’ come nelle aziende. Tutto dipende dagli azionisti di maggioranza” intendi dire che se l’Italia e gli italiani non sono capaci di far andare le aziende come i tedeschi (in Germania l’80% delle aziende sono grandi il resto medio-piccole, in Italia l’esatto opposto), c’è ben poca speranza che sappiano fa andare il CAI?
Deprimente, ma probabile…
Domanda: perché i detrattori del Cai attuale (il Cai “caiano” intendo) non fondano un loro Cai, cioè una nuova associazione del tutto indipendente dal Cai? Nello specifico un nuovo Cai aperto all’arrampicata sportiva agonistica o para-agonistica…
In subordine: oltre al Cai generalista, esiste il CAAI, l’Accademico, che racchiude l’eccellenza dei soci Cai, cioè quelli forti, evoluti, anche illuminati perché figli o sensibili alle nuove tendenze. Perché allora non rivolgete le vostre istanze (nella fattispecie, quelle relative al mondo indoor o cmq sull’arrampicata sportiva in generale) al CAAI? Sono molto curioso di sapere che risposta avreste… Secondo me non diversissima da quella del Cai generalista, ma chissà… Provate: magari potrebbe essere la soluzione che salva capra e cavoli. Cioè si lascia il Cai generalista ai caiani mangiapolenta e si fa convergere ogni attività evolutiva in una squadra corse specializzata, come fosse una scuderia di F1 rispetto alla produzione di serie della Panda. Buon pomeriggio a tutti, ciao
Matteo, per il CAI è un po’ come nelle aziende. Tutto dipende dagli azionisti di maggioranza (vedi caso Juventus citato da Crovella). Dipende dai loro obiettivi: consolidamento, resistenza, sviluppo, cambiamento radicale di rotta…Ovviamente gli azionisti nello loro scelte sono influenzati da valutazioni oggettive e soggettive. Queste ultime possono essere legate alle loro caratteristiche, età, modelli mentali, emozioni. Sappiamo bene ormai che molte decisioni derivano da elementi che hanno a che fare con le emozioni più che con fredde valutazioni razionali. Secondo Crovella gli azionisti attuali di maggioranza del CAI sono più orientati ad una strategia di consolidamento o di “progresso senza avventure” e il cambiamento avverrà col cambio generazionale, se mai tale ricambio avverrà dentro quel contenitore. Può essere. Non lo so e non conosco i fatti. Le organizzazioni possono anche collassare o essere superate dai competitor se non agiscono per tempo. Vedremo.
Ps. Cominetti so che era ironia. Volevo solo sottolineare che il target di cui parliamo è istruito, cosmpolita e con una forte componente femminile. Mi ripeto ma cito di nuovo l’ultimo numero di UPclimbing dedicato all’arrampicata al femminile e si parla anche di big wall, roba tosta, non di plastica. Leggetevi le interviste a queste nuove eroine. Fa capire molto di un mondo nuovo che sarà sempre più influente.
Ma voi volete “forzare” un cambiamento che, allo stato attuale, non è desiderato né dal mondo Cai né dal mondo indoor italiano. Li volete costringere a sposarsi, quando entrambi si detestano a vicenda. Mi pare velleitario e ingenuo. Cmq, io mi limito a descrivere la situazione: se desiderate impegnarvi a cambiare le cose, da parte mia non c’è nessun ostacolo, agite pure. Ma come al solito, protestate e vi fermate lì, al massimo citate tentativi andati a vuoto. Mi pare però ingenuo pretendere che siano i caiani a cambiare il Cai: non succederà mai perchési autoescluderebbero. Credo sia una conclusione indiscutibile. (PS: si può essere iscritti ad un Club Alpino straniero, anche senza essere cittadino di quello stato).
Quando si dice: muro di gomma …
Scimmioni ignoranti era ironico.
“io dico che personalmente non considero un problema il fatto che mondo Cai e mondo indoor vivano due strade separate e parallele: sono due mondi “diversi” fra loro e non vedo neppure l’utilità di fonderli (tra l’altro, secondo la mia sensibilità, neppure gli indoor hanno tanto piacere di finire fagocitati dal Cai).”
Direi che per mettere in forse le due convinzioni sottolineate, basterebbe fare un giretto sul sito del DAV tedesco.
Anche senza una parola di tedesco appare evidente la differenza di approccio, mentalità, contenuti e look generale. E c’è tutta una sezione è dedicata all’arrampicata alle olimpiadi.
Gli effetti della differenza si evidenziano nel numero dei soci, 750000 soci per il DAV: più dello 0.9% della popolazione di una Nazione sostanzialmente senza montagne rispetto a meno del 0.5% del CAI
Appunto: il Cai è incambiabile, ne sono convinto da sempre e l’ho detto apertamente (anche qui in molte altre occasioni) e tutto ciò perché la massa dei soci è caiana e quindi difende un contesto caiano, perché in un club “non caiano” non si riconoscerebbe più e dovrebbe andarsene. Tra l’altro, è molto probabile che fra i caiani, nei confronti del mondo indoor, giochi un ruolo fondamentale il fattore “invidia” (verso i ragazzotti che volteggiano sul 9z). Ma a maggior ragione, proprio perché dominata dall’invidia, la massa caiana non sarà mai spontaneamente portata ad aprire al mondo indoor: sarebbe come pretendere che il centravanti Higuain, ormai vecchio e bolso, si fosse fatto da parte di sua iniziativa, dicendo ai dirigenti juventini “prendete Kusuleski che è giovane e infinitamente più bravo di me”. Sono stati i dirigenti juventini che hanno fatto fuori Higuain, risolvendo il contratto (con lauta buonuscita). Il meccanismo edipico, vecchio come il mondo, prevede che siano i figli ad “ammazzare” (metaforicamente!) i padri: non capiterà mai che saranno i padri a farsi spontaneamente da parte, a maggior ragione a vantaggio di soggetti verso i quali provano sentimenti complessivamente “negativi” (invidia, scarsa considerazione, in alcuni casi forse addirittura disprezzo, ecc). Toccherà eventualmente ai ragazzotti indoor, se interessati, entrare nel Cai, diventare maggioranza sia numerica (=voti) sia di pensiero e modificare prospetticamente l’impostazione dell’associazione. Ad essere sinceri, per quel poco che lio ho visti, non mi danno neppure loro l’idea di volersi impelagare in questa missione, piuttosto complicata e faticosissima. In conclusione dico che, a me personalmente dei volteggi sul 9z compiuti dai ragazzotti non mi importa un fico secco, cioè li ammiro come raffinata tecnica biodinamica ma non sono minimamente invidioso: però non credo che sia quella la variabile chiave in nome della quale sia legittimo cambiare il Cai. Se cambiamento avverrà (e ne dubito), sarà per un movimento fisiologico interno e di lungo periodo e non imposto da una minoranza (perché tali sono, allo stato attuale, i soci Cai con mentalità “non caiana”).
Mi scuso per gli errori. Stupida fretta. Spero si capisca ugualmente.
Dal punto di vista generale i Millenials non sono affatto ignoranti. Spesso hanno un livello di istruzione formale superiore alle altre generazioni. Anzi il loro problema è che spesso sono over-educated , come si dice, rispetto a quello che offre in
convento. Di qui la diffusa frustrazione. Nello specifico anch’io penso, per quello che ho sperimentato, siano interessati alla storia dell’arrampicamento, come lo chiama Cominetti. Dipende come la presenti e su cosa ti focalizzi. Sicuramente non funzionano la grancassa e il trombone, così come interessa poco il carico da 90 dei tormenti e delle supreme “idealità “ novecentesce. E poi molto dipende da chi la racconta questa storia, dalla sua credibilità e come si pone nei loro confronti.
Se lo scopo (anche statutario) del Cai è quello di diffondere la cultura e la pratica della montagna, io credo che ci debba essere un’apertura maggiore verso chi, frequentando l’arrampicata come sport a se stante ma con la possibilità dichiarata di portarlo su pareti naturali tanto di fondovalle quanto d’alta quota, dimostra attualmente una sorta d’apatia culturale verso la storia.
E non dimentichiamo che anche l’arrampicata HA una sua storia e conosco molti giovani arrampicatori sulla plastica che comunque ne sono affascinati quando la conoscono.
Forse il compito del Cai dovrebbe essere proprio quello di usare l’immenso patrimonio storico-narrativo dell’arrampicamento (così sono certo che tutti capiranno) come ponte per “acculturare” la miriade di giovani scimmioni ignoranti frequentatori dei muri artificiali.
Poi ognuno deciderà (come già accade) cosa preferisce fare, ma intanto avrà acquisito la cultura per farlo meglio.Che poi è lo stesso compito che ha la scuola.
Per Crovella: personalmente ci ho provato in vari modi a cambiare certe cose del Cai che non mi andavano bene, tutti democratici, statutari e rispecchianti appieno ogni codice di buon senso e maniere, ma sono sempre rimbalzato su un muro di gomma e mi sono rotto i coglioni. E scusa la parolaccia, ma l’ho scritta apposta!
Lo statuto del Cai ha un modo di esprimersi che appare ridicolo (se letto ai giorni nostri), poiché “ottocentesco”, ma è tutt’ora in vigore. Per cambiarlo occorre seguire le procedure sostanziali e formali (delibere assemblee straordinarie ecc ecc ecc). Finché non si avrà un “nuovo” statuto, quello in essere è regolarmente valido e determina l’attività e il tenore dell’associazione. Chi desidera “cambiare il Cai” deve impegnarsi a salire – con regolarità formale e democratica – nella scala gerarchica interna, assumerne i posti di comando e cambiarlo con prassi regolare nei contenuti e nella forma (cioè delibere assembleari ecc). A quel punto, con il Cai “cambiato”, si creeranno delle condizioni in cui i caiani presumibilmente non si riconoscono più nel “nuovo Cai” e quindi in gran parte se ne andranno, ma sarà la conseguenza di un processo regolare e democratico. Finché tutto ciò non accadrà, il Cai continuerà ad essere legittimamente il “rifugio” dei caiani. E’ ingenuo criticare il Cai (su questo tema indoor oppure su qualsiasi altro argomento) e aspettarsi che i caiani stessi cambino il Cai per far piacere a quei (pochi, anzi pochissimi, se raffrontati all’intero panorama dei soci – tra l’altro i soci nazionali sono più vicini ai 350.000 che ai 300.000) cui il Cai non piace: non si concretizzerà mai un’aspettativa del genere. Per cui chi davvero è interessato a un Cai diverso si impegni all’atto pratico nella direzione descritta. Se obiettate che in Italia è impossibile fare tutto ciò perché il Cai è ormai pappa e ciccia con situazioni di “potere”, per cui chi occupa gli scranni non li abbandonerà mai, dovete farvene una ragione: questa è la specifica realtà italiana del Club Alpino. E’ un bene, è un male? Dipende dai punti di vista: i caiani sono felici che il Cai sia “caiano”. In ogni caso, sfugge a molti che il punto nodale sul tema indoor non è l’attività in sé (cioè arrampicare su prese artificiali anziché su rocce vere esterne), ma il contesto umano che caratterizza le sale indoor e che non è coerente con le caratteristiche e la mentalità del Cai attuale. Se rileggete con attenzione i contributi, in particolare di Pasini (in particolare il 4, quando descrive i frequentatori delle sale indoor), nonché l’accenno, in un altro commento, al fatto che l’approccio medio di chi fa solo indoor è molto simile a quello dei frequentatori di palestre per squash (trovo questa osservazione molto azzeccata), converrete anche voi che fra costoro e il mondo “caiano” del Cai non ci sono proprio comuni denominatori. Per far convergere questi due mondi bisogna “decaianizzare” il Cai, ma appunto è ingenuo aspettarsi che siano i caiani stessi che lo facciano dall’interno e per loro iniziativa. Forse ciò potrebbe avvenire con un ampio e profondo ricambio generazionale del Cai, ma non so se basta una sola nuova generazione. Per cui se ne parla fra 20 o 30 anni, come minimo… Cambiamenti del Cai con tempistiche più rapide presuppongono azioni come quelle descritte (presa di potere dei non caiani e modifiche statutarie), cosa che non vedo molto realistica perché i caiani, che sono la stragrande maggioranza dei soci Cai, saranno portati a difendere il contesto istituzionale in cui si riconoscono. In conclusione io dico che personalmente non considero un problema il fatto che mondo Cai e mondo indoor vivano due strade separate e parallele: sono due mondi “diversi” fra loro e non vedo neppure l’utilità di fonderli (tra l’altro, secondo la mia sensibilità, neppure gli indoor hanno tanto piacere di finire fagocitati dal Cai). C’è spazio per tutti, specie nelle grandi realtà metropolitane. Buona giornata!
Il segmento principale dei frequentanti delle palestre indoor è costituito da cosiddetti Millenials (nati a cavallo del secolo) con una forte componente femminile. Si tratta di una generazione cosmopolita, post-moderna, totalmente non-ideologica, poco interessata alle grandi “narrazioni” che hanno caratterizzato il secolo scorso anche a proposito dell’arrampicata e dell’andare per monti. Ovviamente parlo in generale. Ci sono poi eccezioni. Basta ascoltare qualche intervista di Honnold, Ondra, o i nostri Regora e Ghisolfi e confrontarli con “eroi” del passato. Nessuno di loro si sente portatore di grandi messaggi o valori e significati. Sono molto concreti e pratici, concentrati sulle cose da fare, senza tirare in ballo cielo e terra, bene e male e altre cose di questo genere. Certi dibattiti e certi approcci che vanno per la maggiore anche sul nostro blog dubito li possano interessare. Infatti non credo nessuno ci parteciperà mai. Lo considera probabilmente una cosa inutile e legata al passato. Preferisce fare altro, concentrarsi su singoli problemi da risovere. Non a caso una delle specialità dell’arrampicata indoor si chiama Problem Solving. Il problema dunque non è tanto l’ostilita’ o l’invidia, ma la differenza di approccio mentale che può rendere difficile il rapporto con questa generazione da parte di organizzazioni che hanno quote maggioritarie appartenenti ad altre generazioni. Il tema è generale. Non riguarda solo la montagna. Me ne sono occupato professionalmente anche rispetto al mondo del lavoro, dove questa generazione si appresta nel medio periodo a diventare sempre più rilevante. Anche il loro approccio alla leadership e’ diverso. Le figure che apprezzano come leader hanno caratteristiche e attributi diversi dalle figure apprezzate in passato. Sicuramente il macho-man non è il loro modello. C’è poi il problema delle modalità di comunicazione di cui abbiamo già parlato in passato. Questa è la generazione di Tik Tok , di Twitter e di Instagram e forse di altro che io neppure conosco. Se un’organizzazione, un blog, un’associazione volesse espandersi verso questa generazione e sottolineo Se, dovrebbe abbandonare una serie di pre-giudizi e riflettere su cosa cambiare del suo approccio e del suo stile di comunicazione. Un po’ scherzando dico che l’Aquila imperiale del CAi non è il massimo ad esempio, forse sarebbe meglio qualche simpatico e arrotondato animaletto o magari una coppia di animaletti…
Egregio Sig. Barsottini,
tra quei 300.000 soci ci sono anch’io, ma non sono caiano.Forse non ha colto la differenza.
Cordiali saluti.
egregio sig. Cominetti,
accomunare 300.000 soci CAI, scrivendo che disprezzano gli arrampicatori indoor mi sembra riduttivo nei confronti della sua intelligenza.
Come le è già stato fatto notare nei precedenti commenti, il club alpino è costituito da singoli soci, che in un percorso di crescita decidono di mettere a disposizione la loro esperienza per chi viene successivamente, cercando di trasmettere tecniche ma anche principi e valori descritti nello statuto dell’associazione. Tra i vari soggetti ci sarà chi lo fa meglio e chi lo fa peggio, tutti pronti ad ascoltare e migliorare.
Ovviamente, moltissimi soci sono anche arrampicatori e frequentatori di palestre, così come molte sezioni si sono adoperate per fornire questo “servizio” molto spesso a prezzi vantaggiosi perchè si basa sul volontariato dei soci (esclusione fatta per le spese vive di gestione).
Dimenticavo. Mentre e sovente i caiani disprezzano gli arrampicatori indoor perché non vanno sulla roccia (figuriamoci in montagna), gli arrampicatori di falesia e indoor praticano la loro passione senza preoccuparsi manco dell’esistenza del Cai.E’ un po’ come se un pilota di Formula uno dovesse agire secondo quanto fa un automobilista veneziano.
E’ noto che i possessori di auto a Venezia sono rari perché i garage costano e sotto casa in macchina non ci si arriva.
Fa un po’ sorridere leggere citato l’articolo dello statuto del Cai risalente al momento della sua fondazione, posto in relazione con l’argomento dei muri indoor di arrampicata. Due secoli fa l’arrampicata sportiva (con tutte le connessioni che ha da decenni con l’alpinismo, pur essendo due attività differenti, come già appurato), non esisteva, oggi si.
Anche se Carrel, a metà dell’ottocento, si allenava all’arrampicata “a secco” perché aveva capito che se voleva salire il Cervino dal lato sopra casa sua doveva darsi da fare sul piano prettamente tecnico, chiusa parentesi!Mi è parso che il Cai abbia sempre cercato di fare proseliti inglobando quante più attività nuove tra quelle che propone. Mi viene in mente la Mountain Bike e pure l’arrampicata, anche se l’ha chiamata col nome inopportuno e già vecchio di “arrampicata libera”. Ci sono persino degli Sci Club Cai, salvo poi condannare l’esercizio della costruzione di piste e impianti di risalita. Insomma, anche per altre esperienze che vi risparmio, perché rischierei la denuncia, sembra che il povero Cai, di cui sono socio anch’io, spesso e volentieri operi con la mano destra senza sapere cosa fa la mano sinistra.
Come fa notare Dino Marini, siamo l’unico paese d’Europa in cui il Club Alpino non appoggia nessuna manifestazione correlata all’arrampicata sportiva agonistica. Frequentando ambienti Cai e di arrampicatori, noto una frattura netta a causa delle differenze di vedute. Dirò una cattiveria ma, pur condividendo la maggior parte delle teorie di Crovella, io sono convinto che il motivo sia l’invidia. I caiani più convinti non sopportano che il ragazzetto (o ancor peggio la ragazzetta) arrampicatore faccia spesso molti gradi di difficoltà in più o corra dove il barbacai con panzetta e patacca fatica e suda.
Io in montagna ci vado 350 giorni l’anno, così come in falesia e in qualche palestra, e noto spessissimo queste cose (Crovella non è l’unico che osserva) e nulla mi toglie dalla testa che il motivo che ho appena sollevato sia quello reale. Vediamo chi è disposto ad ammetterlo?
CAI e palestre. Sono due mondi diversi, attualmente distanziati quantitativamente ma che in prospettiva potrebbero equivalersi. Il CAI ha circa 300.000 iscritti. Le palestre sono 240 circa. Calcolando una media di 800/ 1000 frequentanti a palestra (con meno penso che una palestra faccia fatica a far quadrare i conti da quanto mi hanno detto) si arriva un po’ sopra i 200.000. Probabilmente questo numero comprende anche i circa 30.000 iscritti alla FASI. Si deve tener conto poi che tutti i dati disponibili dicono che il 60% di coloro che frequentano le palestre ha un’età tra i 15 e i 35 anni. Ci possono essere probabilmente delle sovrapposizioni ma sono chiaramente due mondi diversi in termini di immagine, stile, abitudini. Basta farsi un giro sui siti per vedere le differenze anche iconografiche e di linguaggio, compresi gli stessi loghi (vedi aquila del CAI). Persino lo stile degli ambienti e degli arredi e’ diverso. Basta visitare una sede CAI e una delle palestre più trendy. Il CAI, viste le caratteristiche della popolazione italiana, ha sicuramente oggi un solido posizionamento. Mi ricorda la differenza tra televisione generalista e televisione on/demand. Certo in prospettiva, se fossi un dirigente del CAI, qualche domanda me la porrei. Con l’invecchiamento della popolazione non intercettare in modo adeguato la nuova utenza potrebbe erodere la base “clienti” attuale e costituire un problema. Il problema potrebbe porsi tra 10/15 anni e quindi avrebbero il tempo per lavorare ad un piano di modernizzazione, anche senza cambiare le basi valoriali del marchio. Piano che richiederebbe energie ed investimenti e forse anche un nuovo management.
Grazie per le vostre opinioni in merito al Cai. Ho tuttavia delle obiezioni. Pasini suggerisce la scelta di posizionamento: a me sembra strano poichè sia lo sviluppo attuale che le prossime olimpiadi porteranno moltissime persone all’arrampicata soprattutto indoor e quindi a me sembra proprio il contrario. Se si desidera ampliare i numeri questa è l’attività giusta. Dal punto di vista pratico (anche a me piacciono i numeri), quando la nostra Sezione ha aperto il suo micro impianto, i nuovi soci sono stati pari al 10% circa legati specificatamente a questa attività. Volendo quindi quantificare i nuovi soci potrebbero essere da 30 a 40 mila.
Le argomentazioni svolte da Crovella sono le stesse utilizzate e poi scartate in ambito Cai e scuole quando iniziò l’attività di arrampicata libera. Allora si decise per farla propria quindi è inutile ritornare sull’argomento. E’ poi appena il caso di ricordare che il Cai è l’unico club alpino che non sponsorizza o organizza gare IFSC; lo fanno Francia, Svizzera, Austria e Slovenia. L’UIAA stessa e lFSC hanno discusso a Parigi su come cooperare. Convengo tuttavia che quel passo fu contestato da molti anziani tradizionalisti che mal digerirono quella decisione e che ancora oggi mettono ad ogni livello, senza motivo, i bastoni tra le ruote
Discorso impianti commerciali/non commerciali; mi sembra che non sia attuale. Gli impianti commerciali ormai sono enormi e sopravvivono anche grazie ai servizi che propongono (bar, negozio sportivo, fitness etc) i costi di gestione della parete sono davvero consistenti. Gli impianti CAI sono piccoli.
Tutti i commentatori, nella discussione, hanno convenuto che questa attività sia propedeutica sia al grande alpinismo che all’avviamento dei ragazzi alla montagna.
Quindi francamente non so spiegarmi, razionalmente, l’assenza del CAI salvo che non si pensi di eliminare l’arrampicata libera dalle attività cosa che a me pare sbagliata.
Dino Marini
Per chi si domandava dove fosse il CAI, Crovella nel suo penultimo commento ha dato a mio parere una esauriente risposta, alla quale mi permetto di aggiungere due dettagli:
-il CAI è arrivato ben prima di queste mega palestre ad offrire anche alle periferie delle città dei luoghi di ritrovo/allenamento/avviamento alla montagna, luoghi che posso conferare in alcuni casi “strappano” clienti a queste mega palestre per diversi motivi come ad esempio il prezzo più basso per l’ingresso, oppure il sapere che li dentro troverai sicuramente gente appassionata di montagna, che spesso e volentieri è disposta ad elargire (gratuitamente) consigli sia sulla tecnica di arrampicata che sul dove andare ad arrampicare/sciare/camminare la domenica successiva.
-Basterebbe leggere lo statuto del CAI per capire come i suoi obiettivi (alpinismo, ambiente, sociale, scienza) siano più vasti e nobili di quelli chi apre una palestra indor, che seppure in alcuni casi è stato guidato dalla passione, non vi è dubbio che lo faccia per portare a casa lo stipendio.
Concludo quindi dicendo che le due strade (CAI e iniziativa privata nel mondo dell’arrampicata indor) sono solo in parte parallele e contigue, ma sono diverse, e seppur nessuno possa escludere una futura collaborazione, questa non va vista come necessaria. E’ possibile che le due strade non si incrocino mai e che ognuna delle due parti continui a fare il proprio lavoro e a coltivare i propri interessi.
“la cultura è il risvolto più eletto di ogni esperienza umana…Il cervello è il motore del corpo … Camminare in sé è solo mettere un piede davanti all’altro, non ha nulla di particolarmente significativo…le valutazioni sono assolutamente soggettive…se tu non sei interessato alla cultura, la tua preferenza è ma non puoi estenderla a 360 gradi.”
!!!
“Medice, cura te ipsum” [Lc 4,23]
…
@24 la cultura è il risvolto più eletto di ogni esperienza umana, compreso l’andar in montagna. Il. cervello è il motore del corpo e quindi caratterizza l’esistenza stessa dell’individuo. Camminare in sé, tecnicamente parlando, è solo mettere un piede davanti all’altro, non ha nulla di particolarmente significativo. Ciò che lo nobilita è l’insieme di valori culturali che spingono a camminare. Però anche in tale frangente le valutazioni sono assolutamente soggettive. Tuttavia, proprio per questo, se tu non sei interessato alla cultura, la tua preferenza è legittima per la tua persona, ma non puoi estenderla a 360 gradi. Ciao!
@26: è tutto molto soggettivo. Se non ricordo male proprio tu, qualche giorno fa, hai raccontato l’aneddoto di Andreotti che, scartato alla visita militare per eccessiva gracilità, decenni dopo ha presenziato al funerale del medico che lo aveva riformato. Si sa che Andreotti non ha salito a piedi neppure una rampa di scale in vita sua. Quello che tu descrivi ha un indubbio fondamento, ma ognuno lo affronta come meglio si sposa ai suoi gusti personali. A me piace di più camminare, mi sposto a piedi all’interno della città (sia per impegni sia per piacere) e faccio almeno 10.000 passi al giorno (circa 5 km) tutti i giorni, a volte arrivo anche fino a 10 km in un giorno. Per me sarebbe una tortura rinchiudermi in una palestra, anche per fare aerobica o pesistica. Quindi il collegamento “sala d’arrampicata=passione per la montagna” non ha una rispondenza oggettiva: per qualcuno vale, per altri assolutamente no. Ci sono appassionati di montagna che detestano le sale e viceversa. Altrettanto chiaro che lo spettro dei frequentatori delle sale d’arrampicata è molto ampio e per fortuna che ci sono dette sale, lo ribadisco. Vorrei che ne ce fosse una in ogni quartiere, magari al posto delle discoteche o dei kebabbari. Io non penso che il Cai sarà mai interessato a questa attività. Non ricopro alcun ruolo né locale né tanto meno nazionale nel Cai e quindi parlo per sensazioni, ma la situazione è quella sintetizzata da Pasini: il Cai segue un altro target di persone e, secondo me, fa bene, nel senso che i suoi presupposti costitutivi hanno un indirizzo completamente diverso, basta leggere lo Statuto. Art 1: Il Club alpino italiano (C.A.I.), fondato in Torino nell’anno 1863 per iniziativa di Quintino Sella, libera associazione nazionale, ha per iscopo l’alpinismo in ogni sua manifestazione, la conoscenza e lo studio delle montagne,specialmente di quelle italiane, e la difesa del loro ambiente naturale. Data l’esplosione, negli ultimi decenni, di attività atletiche collaterali (dalla ginnastica presciistica alla MTB), penso che il Cai dovrebbe tornare alla definizione più stretta di alpinismo (come attività, non come livello di difficoltà), cioè quello strettamente legato al fatto di salire e scendere le montagne (e non i muri di cemento). Altrimenti a questo punto il Cai dovrebbe aprirsi a una miriade infinita di altre attività, dalla pesca alla trota al taglio dei boschi, e rischierebbe di perdere il suo spirito caratterizzante. Nessuno deve sentirsi “obbligato” ad iscriversi al Cai, ma neppure il Cai deve essere obbligato a correre dietro ad ogni nuova attività e ai suoi seguaci. Buona giornata!
Siamo decrepiti, ma io no.
https://www.planetmountain.com/it/notizie/arrampicata/john-gill-padre-del-boulder-moderno-video-american-alpine-club.html
Monaco sei sotto l’effetto del peyote?
Veramente io non volevo fare l’elogio della Mens Nana in Corpore Sano. Solo dire che invecchiando è ormai assodato che investire un po’ di tempo ( solo un po’) in attività mirate a mantenere forza e flessibilità è utile anche per chi ad esempio fa solo cose molto tranquille. Non c’è bisogno di fare il 7a per danneggiare un ginocchio, magari usurato, a causa di un quadricipite debole. È prevenzione primaria che l’andare in giro e basta non garantisce adeguatamente. Se poi si riesce a farlo in modo divertente e vagamente collegato alle proprie passioni, in mezzo a ragazzi molto performanti che suscitano in persone sagge ammirazione e non invidia, meglio ancora. Tutto qui. Lavoreranno sicuramente meno i fisioterapisti e gli ortopedici. Quindi lo spettro d’uso delle palestre di arrampicata è molto ampio. Per quanto riguarda il CAI, caro DinoM, è evidente che ha scelto un altro “posizionamento”, come direbbe un markettaro. Avranno fatto i loro calcoli e avranno deciso che puntare su un altro target consente di mantenere, almeno sul medio periodo, la loro base di 300.000 iscritti. Al futuro dell’organizzazione quasi nessun dirigente ci pensa troppo. Pensa a sopravvivere il prossimo anno. A meno che sia un leader, figura che oggi scarseggia.
per Roberto: non mi ricordo di preciso dove le lessi, mi ricordo che erano in lingua inglese (specificavano per il risibile 1% come “ice climbing”…che immagino andasse da dal fossile a 0 gradi al free hanging a 95 gradi…).
mi ricordo che riguardavano le grandi palestre europee. quindi, forse, il 90/10 e’ pessimistico, visto che le grandi strutture spesso sono in metropoli in mezzo al piattume.
in ogni caso il discorso non cambia e perfino qui, in quello che decenni fa era la mecca del climber (il sud della francia) le palestre fanno pubblicita’ per un target di non-arrampicatori (anche perche’ l’arrampicatore in media e’ 1) micragnoso 2) sabato e domenica va a scalare e non in palestra 3) a fine marzo smette e fa solo falesia ).
la maggioranza pratica l’indoor come se fosse squash (con tutto il rispetto), una simpatica attivita post-studio/lavoro e pure + socializzante. una minoranza scala fuori, chi saltuariamente per diletto e chi e’ un tossico (indipendentemente dal grado). una minoranza della minoranza va oltre la falesia.
questo e’, con buona pace dei benpensanti. e se un bimbotto/adulto/vegliardo scopre le meraviglie della arrampicata passando dall’indoor, ben venga.
a proposito del cai…e’ un eterogeneo marasma. sorvolo sul cai nazionale dove l’unica preoccupazione rimange la mangialonga, a livello locale penso si trovi di tutto…sia chi ha da tempo capito che la falesia non e’ antitetica alla montagna ma una bellissima attivita’ e, alle volte, la porta d’ingresso verso l’alpinismo…e magari inizia a guardare alla resina come alla porta della porta…sia chi continua nel credo A0 o morte!
@ Crovella al 22: Cultura, cultura, cultura . . . “Facciamo le scarpe più belle del mondo, che bisogno c’è di tutta questa cultura?”
Dagli interventi letti mi sembra però di non cogliere (forse perchè non interessa) il tema per me più importante ovvero l’assoluta assenza del CAI da questo mondo e per tutto ciò che ad esso sta attorno. A me sembra gravissimo ma mi piacerebbe sentire il parere di altri.
Si’, Roberto, tu hai perfettamente ragione, ma parti da un presupposto che dai per scontato. Ovvero che sia un valore condiviso da tutto il “volersi mantenere fit”. È una scelta legittima, anzi ammirabile, ma non è detto che sia un comune denominatore, neppure fra gli appassionati di montagna. Per esempio io piuttosto che trascorrere serate cittadine in palestra (che sia a tirar su pesi che a salire su prese artificiali), preferisco andare ai concerti, al cinema, a teatro, a conferenze, a dibattiti politici e non, a riunioni politiche, a presentazioni di libri… ecc ecc ecc perché trovo queste attività più vive e cmq piu’ intriganti ai miei occhi (purtroppo il covid ha notevolmente ostacolato queste attivita’). Chiaro che, pensandola cosi, non si può poi pretendere di fare il 9z o il Trofeo Mezzalama. Ma io sono sereno, sono ormai 20-25 anni che, se faccio vie estive di roccia, mi sono assestato sul IV grado o poco più. Per fare vie di 10-15 tiri di IV (pero’ magari con 2-3 ore di avvicinamento e discesa gabolosa…), mi torna utile la resistenza fisica, ma non certo l’allenamento tecnico. Cmq ampio spazio anche per chi si diverte nelle palestre indoor, ribadisco che sostengo apertamente una loro apertura a tappeto sull’intero territorio. Vorrei pero’ sottolineare che è numericamente molto ampio il panorama di individui che concepiscono la montagna come hobby domenicale, senza ansie prestazionali e relativa “necessita’” di allenamento. Ciò nonostante, sono anche loro legittimamente degli appassionati di montagna. Ciao!
Per Crovella. Non si tratta di uno scambio indoor/outdoor. Lasciamo da parte i giovani che vogliono progredire. Ne ha parlato correttamente Enri. Tutta la letteratura su come mantenersi fit over 50 (parlo delle persone normali non i professionisti o semiprofessionisti) dice che per contrastare la diminuzione della massa muscolare bisogna allenare la forza oltre che assumere più proteine e gestire bene i recuperi. Certo che è una menata, ma serve non a fare i fighi rincorrendo un passato che non torna, ma ad evitare traumi e lesioni che comportano lunghi periodi di inattività. Questo spiega perché nelle palestre ci trovi anche gente “matura” e “ipermatura”. È un modo meno noiso che tirar su pesi per fare prevenzione primaria. Poi ognuno fa quello che vuole. Liberi di non ascoltare fisioterapisti, osteopati e ortopedici, che non possono che essere contenti se pensiamo di essere sempre gli stessi a 30 come a 70/80 anni. Quindi io sono contento che ci siano a disposizione anche per noi over queste strutture, sebbene in questo periodo la promiscuità di quelle più grandi e affollate come quella che frequento io un po’ mi preoccupa.
Scusa Monaco, premesso che siamo sulla stessa linea di pensiero, dove hai preso i dati? Io non conosco analisi italiane accurate. Ho visto i dati USA e stimano come più elevata la percentuale di quelli che vanno fuori. Intorno al 30-35% . Dato che coincide con quello che hanno detto a me due gestori di palestre milanesi.
@21 (e altri). Solo per amor di precisione: mi pare di aver sempre detto (specie negli interventi a questo post) che ammiro la raffinata tecnica di progressione elaborata dagli arrampicatori indoor, anche se è “cosa” che non mi appartiene (anzi, proprio per questo la ammiro). Parallelamente ho sempre detto, anche in altre occasioni, che a me personalmente non piace rinchiudermi in una palestra. Non lo faccio neppure per attività “ginniche” in senso stretto (infatti piuttosto che far pesi o reazioni preferisco camminare o correre al parco), figuriamoci se a titolo personale sono disposto a concambiare una giornata all’aperto con una seduta indoor! E’ anche vero che, ideologicamente parlando, ho sempre pensato che arrampicare indoor non è uguale ad arrampicare all’aperto, perché lo considero un esercizio ginnico, più o meno come salire su un muro. È un’altra attività, parallela e assolutamente legittima. Ideologicamente ho sempre pensato così, ma ho anche sempre espresso ammirazione per la tecnica di progressione, anche solo in termini biodinamici, elaborata in sede indoor. Per concludere, ribadisco che, last but not least, sono felicissimo se i ragazzi si allenano numerosissimi in palestra, anziché alimentare la movida. Per tutti questi motivi, che ce ne siano tante di strutture indoor, anche se a titolo personale non penso che ci metterò mai piede. Ciao!
mha!!??
certi commenti sembrano l’ennesima scoperta dell’acqua calda.
le statistiche parlano chiaro, il 90% degli utenti di palestre non escono, il 10% va in falesia, l’1% pesta pure la neve.
e se quel 10% permette, oltre a far allenare chi su roccia poi ci va, ad avvicinare alla falesia (e magari alla montagna) chi inizia dalla plastica…che famo ? ci sputiamo su ?
come in tante attivita’, sono “i veterani” del luogo (sia esso palestra, falesia o club/associazione varia) e non il luogo stesso a fare la differenza nel trasmettere passione e voglie ai neofiti
Mi aggiungo anche io a coloro che hanno, giustamente a mio modo di vedere, detto che non vi è diatriba nè dicotomia nè rivalità fra coloro che praticano (anche) l’arrampicata indoor e coloro che non lo fanno perchè preferiscono sempre e comunque andare fuori. Liberi tutti di fare ciò che più ci piace. Cercare di valutare gli uni meglio degli altri sarebbe una sciocchezza, nel tentativo, neanche tanto nascosto, di affermare la supremazia di chi fa solo outdoor rispetto a chi (anche) pratica in palestra. Sarebbe come criticare uno che va in piscina dicendo “eh si ma poi lo voglio vedere al miglio marino….” e magari a quel tizio nememno gli è mai sfiorata l’idea di andare a fare il miglio marino.
Detto questo però alcune cose penso sia giusto dirle. Per migliorare le proprie prestazioni bisogna lavorare duro, molto duro e questo va fatto ogni giorno e quindi o siamo dei professionisti oppure ognuno si ritaglia il tempo che ha e nel luogo in cui vive. quindi ovvio che vi siano strutture di questo tipo. Allenarsi indoor può voler dire che si desidera fare solo quello e va bene cosi, che si desidera fare quello per allenamento e poi nel we via in falesia o far boulder e va bene cosi, che ci si annoia come matti a scalare indoor ma che è sempre meglio che restare sul divano alla sera a guardare la TV. E questo comunque a mio avviso, comunque, è un buon modo di porsi, darsi obiettivi e provare a migliorarsi costantemente, anche nel fisico, per migliorare. E ben venga che ci siano giovani che alle ore 18 vanno a scalare in palestra e non solo al bar a prendere sto benedetto aperitivo che è uno dei mali più gravi delle nuove generazioni, diciamolo una volta per tutte. Spesso nella mia vita alpinistica-arrampicatoria ho avuto discussioni su questo tema ed alla fine, in chi ciriticava gli allenamenti e peggio quelli indoor, ho sempre percepito una qualche forma di invidia. Ripeto, per scalare bene, ovunque, bisogna allenarsi duramente e questo lo si fa con i modi e gli strumenti che abbiamo più vicini e più comodi. Ho sempre diffidato di chi dice: “ah, no, allenarsi al chiuso no, poi vi voglio vedere a salire quel passaggio xyz con il chiodo lungo…..” e poi succede che chi si allena il passaggio xyz molto spesso manco lo vede. Poche parole, l’allenamento, anche indoor è indispensabile per chi vuole migliorare le proprie capacità arrampicatorie (salvo non abbia la fortuna di scalare outdoor tutti i giorni).
Permettetemi poi ed infine una considerazioni, anche un po’ personale, in riferimento a chi si azzarda a fare classifiche di “passione” ed “etica alpinistica” fra i corrotti della resina e i puristi della lotta con l’alpe: io apprezzo entrambe le tipologie, se alla base quello che spinge è una sana passione. Personalmente sono “nato” alpinista, molto molto da giovane, ho poi dedicato anni solo all’arrampicata sportiva (e quando dico “dedicato anni” intendo inclusi allenamenti furiosi in cantina e diete da top model) poi ho ripreso anche a ridesiderare l’alta montagna…. non ho mai rinnegato il fatto di aver dedicato più tempo a questa o quella specialità: alla base c’è sempre stata la mia passione, che mi ha fatto leggere con la stessa emozione “le mie montagne” come “Grimper” e mi emoziono quando rileggo un racconto di Bonatto o Desmaison come quando leggo Alex Megos che racconta del suo 9c a Ceuse. Perchè in fondo, alla base di tutto, ci sta quella voglia matta di andare sempre oltre. E quindi se per alcuni significa transitare per una palestra, chi sono io per dire di no?
Complimenti a Ugo Manera
Se qualcuno è interessato ad una breve storia delle climbing gym indoor segnalo questo articolo. Alcune immagini fanno tenerezza. I lettori più maturi ricorderanno sicuramente i pannelli di legno costruiti in casa delle prime palestre indoor cittadine. Sarebbe bello qualcuno scrivesse una ministoria italiana, magari con foto d’epoca. Fatevi sotto.
https://www.gymclimber.com/how-we-went-from-this-to-this/
DinoM. Hai ragione. Non vorrei essere accusato di fare promozione ma dove la trovi una riscostruzione dell’arrampicata femminile come quella sull’ultimo numero di UP climbing che colma una lacuna di molta “storiografia” (esageruma nen) alpinistica ?
Riva. Rilassati. Tanti ci vanno perchè lavorano in città e durante la settimana si ricavano qualche spazietto per allenarsi senza annoiarsi tirando su pesi o appendendosi alla sbarra. Poi vanno ad arrampicare fuori e se la godono come si è sempre fatto. Allenarsi in modo specifico serve a migliorare e anche a non farsi male. Lo sappiamo ormai da quasi cento anni.
Complimenti, come sempre, alla visione illuminata (anche dall’età e per questo ancor più notevole) di Manera, che ha detto tutto.
Riva, “quelli che decidono di vivere la montagna, l’alpinismo in particolare” se saranno usciti da una palestra saranno atleticamente più preparati di chi invece fa tanti discorsi su come dovrebbe essere l’alpinista perfetto. Avranno una marcia in più rispetto a chi si avvicina alla montagna partendo da zero. Lo credo che il Cai è un’associazione di vecchi fatta per i vecchi. Finchè c’è chi pensa così si dimostrerà la validita della storia della volpe e l’uva. Ma come fate a non rendervene conto?
Personalmente sono contro ogni forma di conservatorismo, come diffido di ogni considerazione “moralistica”. Nel nome di regole morali sono stati perpetrati i peggiori crimini.
Mi ha sempre fatto sorridere la citazione di Guido Rey sulle antiche tessere del CAI: ” …io credo le lotte con l’Alpe utili come il lavoro, nobile come un’arte, bella come una fede….”. Ritengo alpinismo ed arrampicata come manifestazioni di libertà per cui ognuno lo pratichi come vuole con il solo condizionamento di cercare di salvaguardare comunque e sempre l’ambiente.
Io, ultra ottantenne, frequento la palestra indor SASP di Torino (con risultati poco soddisfacenti) e spesso incontro lì Enzo Appiano che di anni ne ha 11 o 12 più di me. Guardo con invidia i ragazzi che volteggiano sugli strapiombi ma mai mi è successo di fare considerazioni negative sulla loro attività.
Riguardo a commenti precedenti voglio affermare che”cazzate”pericolose da incompetenti in montagna se ne sono fatte sempre, forse più ai miei tempi che oggi. Io cominciai la mia attività con “collezionisti di Cime” e spaventato dall’incompetenza che notavo in compagni anziani che avevano collezionato già 40 o 50 “quattromila” mi decisi, da autodidatta, ad andare nelle palestre di roccia disdegnate da molti, così mi avviai all’alpinismo delle grandi difficoltà.
Se ai miei tempi per praticare un alpinismo all’avanguardia era sufficiente la preparazione nelle palestre di roccia ora non è più cosi. Ora se vuoi porti grandi obiettivi e sfiorare i vertici devi per forza praticare con metodo anche l’allenamento indor per le tecniche di movimento e la preparazione atletica. Non spaventiamoci, è ormai la regola per ogni sport ad alto livello.
Restiamo fortunatamente liberi di praticare l’alpinismo che più ci piace, conforme alla nostra preparazione ed al nostro coraggio basta accontentarsi. Ritengo però non saggio avanzare critiche nei confronti di chi vuole spingersi oltre.
Concludo con il ricordare che è lunga la lista di scalatori che non si sono fermati alla plastica ma hanno realizzato attività ad altissimo livello.
Bellissimi e bravissimi! Più ne tenete lì, più va meglio per me. Perchè i problemi sorgono quando questi mettono il naso fuori dalla porta. “Fare un atleta dai piedi al collo è facile, il difficile è farlo dal collo in su.” Figuriamoci per quelli che decidono di vivere la montagna, l’alpinismo in particolare.
L’articolo mi ha lasciato molto triste. E’ stata la conferma che ormai il CAI è uscito completamente dal mondo giovanile e rimane un club per anziani più o meno nostalgici e ormai nemmeno per alpinisti considerato ciò che si legge sulla rivista ufficiale del club. Oramai l’unica rivista che parla di arrampicata e alpinismo è up climbing. Dalle falesie e dalle sale indoor escono decine di ragazzi curiosi che rimangono privi di qualsiasi riferimento e sempre più carenti dal punto di vista formativo poichè le scuole hanno sempre maggiori difficoltà di ogni tipo a svolgere la loro attività. E’ molto triste che questa considerazione venga fatta da un vecchio come il sottoscritto con molti anni di attività alpinistica e formativa. Spero di sbagliare.
Dino Marini
Non leggo mai con superficialità. Rileggiti Crovella e noterai che tu aggiusti la tua posizione in base anche a cosa scrivono gli altri se e quando questi “altri” sono certe persone. Ognuno ha le sue idee e teniamocele, ma non accusiamoci di cose inesistenti. Grazie, ciao.
Rubo un secondo al mio lavoro per precisare a scanso di ogni possibile equivoco (però, anche voi, metteteci del vostro: leggete con attenzione e non sempre e solo con superficialità!) che NON ho mai sostenuto che gli arrampicatori indoor siano “incapaci”, anzi mi sono reso conto da solo, osservandoli di persona, che sono “capacissimi” (nel senso che hanno affinato tecniche di progressione davvero molto evolute). Personalmente ciò che mi piace dell’andar per monti è… proprio l’andar per monti, compresa anche l’arrampicata. Chiudermi in una struttura artificiale per realizzare una cosa che, ai miei occhi, è strumentale per uscire di città mi pare un controsenso, ma qui sotto ho ripetuto mille volte che sono felicissimo che ci siano tanti giovani che arrampicano, “benissimo”, in strutture indoor. Ciao!
Per Massimiliano: posso garantire che l’articolo non si appoggia su alcun tipo di interesse economico da parte di GognaBlog, come del resto in sette anni abbiamo abbondantemente dimostrato. Abbiamo semplicemente preso in considerazione un fenomeno che sta diventando di massa e lo abbiamo fatto descrivendo minuziosamente una delle tante realta’ che lo costituiscono, piaccia o non piaccia. Il fatto che in questo caso non abbiamo espresso alcuna opinione personale non deve far pensare a interessi sotterranei. Lasciamo ai lettori il compito di svolgere questo argomento, preannunciando che in futuro potranno esserci altri post di approfondimento.
Massimiliano, un po’ gratuita la tua “assunzione” sul motivo per il quale è stato pubblicato l’articolo. Ricordo che come già detto “ Ass-u-me make an ass of u (you) and me” . Anch’io ho fatto assistenza a due fortissimi sullo spigolo della Rossa al Devero che sbagliavano continuamente strada mettendosi nei guai. Niente di nuovo. Anch’io e il mio socio, nel Giurassico, abbiamo fatto cazzate su Torre-Fungo-Lancia che siamo andati a fare dopo la blasonata scuola di roccia e ghiaccio Parravicini. Impareranno, sperando non facendosi troppo male. Putroppo qualcuno ogni tanto paga caro gli errori. Possiamo fare tutta la prevenzione che vogliamo ma sappiamo che è il prezzo collegato a certe “pericolose abitudini” come l’alpinismo. Altre sono ancora più pericolose come dice Crovella. E poi gli incidenti collegati all’alpinismo e all’arrampicata sono duminuiti in valore assoluto, rispetto all’aumento vertiginoso dei praticanti.
Mi sembra che sia dalla metà degli anni ’80 che l’arrampicata sportiva abbia preso una strada diversa dall’alpinismo e comunque dalla frequentazione della montagna. Le palestre per l’arrampicata indoor sono palestre, esattamente come quelle dove si pratica l’aerobica, il basket o le arti marziali.
Praticare per passione o professione l’arrampicata indoor non prevede il farlo anche outdoor, o meglio, sono scelte personali di ognuno. Se uno fa l’8b sulla resina non è affatto detto che si sappia destreggiare in un canalone a 40 gradi, anche perché il raggiungere determinati obiettivi in arrampicata presuppone una dedizione totale in termini di tempo.
Non credo che i miei colleghi che mostrano le manovre di autosoccorso (che sono una serie di nodi e loro applicazioni) della cordata, diplomino gli allievi con un certificato che li abiliti alla pratica sulle pareti del Fitz Roy. Semplicemente perché chiunque capisce che i due ambienti sono diversi e occorrono capacità e pratiche differenti. Immagino che questo punto sia reso molto chiaro dalle guide che tengono i corsi (si parlava di workshop in occasione di una manifestazione) e che l’obiettivo di queste ultime sia quello di portare gli interessati alla pratica in montagna. Un po’ come succede con le lezioni teoriche nei corsi Cai, che, visto che spesso si svolgono in città durante la settimana, servono a dare comunque informazioni agli allievi che poi verranno applicate sul terreno “outdoor”.
Poi il nome di URBANWALL è inequivocabilmente collegato a qualcosa di cittadino: se vuoi uscirne ti diamo la possibilità, ma anche no, dipenderà da te.
Crovella dovrebbe gioire del fatto che tutti quegli arrampicatori (secondo lui incapaci, ma si sbaglia) se ne restino là dentro invece di affollare le montagne di cui peraltro non sanno nulla.
Io non sono di certo un assatanato dell’arrampicata ma frequento un muro indoor per fare bouldering (è così bello lasciare a casa corde, imbraghi e moschettoni!) e lo trovo molto allenante anche per l’alpinismo e mi diverto con gente di tutte le età a fare garette sui passaggi sfidandoci all’ultimo sangue. Certi giorni torno a casa più stanco di quando faccio una via sulla nordovest del Civetta, e so che sono due cose molto diverse ma una non esclude l’altra.
Secondo me il fatto che ci siano questi muri indoor nelle città è una cosa positiva perché permette un’aggregazione (anche in tempi di Corona Virus se fatta usando la testa, per fortuna) a scopo sportivo per giovani e meno giovani. Poi ognuno farà le sue scelte, ma intanto muoversi e confrontarsi fa bene. Qualcuno riscontrerà la mancanza dell’aspetto culturale, ma in chi lo rifiuterebbe comunque non ci sarebbe in ogni caso. Così come lo si trova in chi vuole svilupparlo. Sentendo parlare certi calciatori o ciclisti atleti formidabili non mi sembra che per vincere occorra anche essere degli intellettuali, a ognuno il suo.E poi non ci sono solo i corsi Cai!
Per diversi anni ho frequentato la parete di cemento del Palavela torinese quando la aprirono (mi pare metà anni ’80): allora tutti la consideravamo una novità eccezionale, un qualcosa in più, un passo avanti nell’evoluzione del modo di andare in montagna. Per me era sostanzialmente un modo di allenarmi in vista della domenica sulla roccia vera. Non credo che allora su quella struttura si andasse tanto oltre il V-VI. A volte mi facevo calare, già allora. Dopo qualche anno, passata la “cissa” iniziale, non ci sono più andato, oppure ci andavo come pretesto relazionale. Per me era sostanzialmente un bel modo di trascorrere una serata insieme con l’intera compagnia, a chiacchierare alla base della struttura e “dopo” si andava sempre in birreria a far tardi. Questi giovani di oggi (quelle due/tre volte che ho messo piede nelle attuali strutture) li vedo molto “tecnici”, come movimenti sanno arrampicare infinitamente negli di chi impara solo su strutture esterne, alla vecchia maniera. Ma la sensazione che mi danno è che per loro esiste solo l’indoor, la domenica non vanno sulle rocce vere, fanno completamente altro. Da vecchio scarpone quale sono, mi pare una forma “falsa” di arrampicare, anche se sono in media molto raffinati sulla tecnica di progressione, come giustamente sottolinea Pasini. Tuttavia (per farmi comprendere meglio) è come cogliere un’essenza profumata in natura (che giunge da un fiore, da un albero, da una resina) oppure costruirla chimicamente in laboratorio. A me pare una cosa “falsa”. Però facciano pure, questi ragazzi, anzi… e ringrazio chi, per volontariato o per business, gestisce le strutture artificiali di arrampicata. Infatti ai miei occhi (di padre preoccupato) il risvolto più importante è di tipo sociologico: meglio registrare immense frotte di arrampicatori da laboratorio che vederli in discoteca a riempirsi di pasticche e altro. Buon proseguimento a tutti!
Butto giù qualche osservazione di fretta. L’articolo ha il limite di avere finalità promozionali ma solleva un tema di grande interesse: l’arrampicata urbana e le sue strutture. Bisogna premettere che qui viene fotografata la situazione pre-covid. Se la situazione di criticità dura potrebbero esserci molti cambiamenti anche nelle strutture. Come ha fatto Rock and Ice per gli USA sarebbe bello che qualcuno ricostruisse l’evoluzione del fenomeno. A Milano ad esempio siamo passati dai giardini di Porta Venezia e dal muro esterno dell’Arena negli anni ‘70 alle prime palestrine artigianali fino ai Climbing-dromi, o come vogliamo chiamarli, attuali. Ad Arese era prevista, come ricorderete la costruzione di un complesso che prevedeva climbing/sci/ghiaccio, come accade ad esempio a Dubai. Io frequentavo pre-Covid la palestra omologa di Urban Wall in Via Mecenate. Oggi non più perché lo ritengo troppo pericoloso come luogo di contagio. La palestra ha 10.000 iscritti. Per Gallese: I costi si aggirano sui 50€ mensili a seconda delle formule. Queste palestre ( 250 in Italia) di solito sono collocate in mesti posti di periferia, di solito capannoni ex/industriali. Il pubblico è molto vario e cambia durante il giorno. Alla mattina ci siamo noi vecchietti che non lavoriamo più e le scuole, poi varia. Ci sono andato una sera e un werkend per vedere e sono scappato. Musica a palla, code sulle vie, molti giovanissimi, birra a fiumi, urla ed esibizione generosa di corpi maschili e femminili. Anche d’inverno i più muscolati esibiscono a torso nudo pettorali e tartaruga (tutta invidia ovviamente). Sulle ragazze dico solo che la divina Destivelle era vestita da suora. Capacità tecniche medie altissime. Qui dissento da Crovella. Ho visto padronanza eccezionale dei vari movimenti dell’arrampicata. L’aspetto sociale/ricreativo esiste sicuramente accanto a quello sportivo, che rimane comunque centrale. I gestori lo spingono ovviamente per allargare il business. I costi di gestione sono alti. A volte questo allargamento mi ricorda i bowling anni 60 aperti ovunque. Vi ricordate? Ho fatto una piccola inchiesta: il 30% – 40% va anche fuori, prevalentemente in falesia. Utilità per che arrampica: sicuramente permette di allenarsi e di migliorare nel gesto e nelle difficoltà, anche se dato l’uso delle prese mancano l’aderenza, le fessure e i diedri. Se ci dai dentro e ti impegni, imparando per imitazione da quelli più bravi, sicuramente migliori anche se sei “maturo” e impari ad esempio in sicurezza a migliorare la capacità (parlo per me) di lateralizzare o di fare i bloccaggi di piede, cose che chi ha iniziato con l’arrampicata frontale fa piu’ fatica a migliorare. Ora devo andare. Spero che altri portino la loro esperienza. Il fenomeno val la pens di essere approfondito.
Mi viene da piangere ma è già da qualche anno che si sa che ormai sono questi i luoghi di diffusione della nuova cultura della montagna.
Ho visto molti esaltarsi per “chiudere” i 7a in palestra e poi (esempio reale accaduto veramente a gente che conosco) chiamare i soccorsi sul canalino Albertini, oppure (giusto un altro esempio) perdersi all’attacco dello spoglio Boga e subito dopo, perdersi di nuovo al colle Valsecchi e chiamare i soccorsi. Tutta gente che chiude i gradi! Mi dispiace che per 4 soldi e due citazioni si promuovano questi posti che non sono altro che luoghi di aggregazione per far business (e non c’è nulla male nel business dei luoghi di aggregazione). Ma se poi ti ritrovi questi tapini in montagna sperduti e ignoranti e incapaci di reagire ad ogni minima avversità questi diventano luoghi di produzioni di individui pericolosi per se stessi. Non esiste che vaghino per le montagne pensando di essere esperti perché hanno fatto il workshop di autosoccorso indoor. Poi vabbè, se volete fargli pubblicità significa che qualche “interesse” l’avete. Quanto vi hanno dato? Così per curiosità.
Manco a dirlo, condivido le “perplessità” di Gallese, anzi… A titolo strettamente personale io detesto frequentare anche solo le palestre normali (sia body building che corpo libero), figuriamoci andare ad arrampicare sulla plastica! Il punto però non sono le mie preferenze, ma che “messaggio” viene diffuso attraverso questa attività quasi esclusivamente indoor. A Torino ci sono alcune strutture di arrampicata indoor, non così numerose come a Milano. Non le frequento abitualmente, ma mi è capitato di doverci mettere il naso per occasioni tipo aggiornamento istruttori o incontri istituzionali. C’erano anche i soliti frequentatori, in genere ragazzi/e giovani. Da buon osservatore, “guardo” sempre con attenzione il contesto in cui mi trovo e ho visto individui che sostanzialmente salivano su prese artificiali come se stessero facendo qualsiasi altra attività da palestra (es sollevare dei bilancieri con pesi). Intendo dire che “salgono”, ma non “arrampicano”. Salgono su prese dove io manco riesco ad attaccarmi, ma dell’arrampicata non “sanno” niente. Ho attaccato discorso con alcuni di questi ragazzi/e e ho sostanzialmente trovato conferma che fanno “climbing” in palestra, ma quasi nessuno va poi ad arrampicare “veramente” sulle rocce esterne. Si tratta di un’altra attività. E’ un messaggio che rischia di essere fuorviante: la palestra indoor è come il grembo materno, ti protegge ma poi la vita vera è fuori da lì. Tuttavia sono il primo a riconoscere che, sociologicamente parlando, è molto meglio che i ragazzi/e stiano a limarsi le unghie sulla plastica indoor piuttosto che vederli ciondolare fra bar e discoteche, magari fumando/facendosi di pasticche e altre cose così. Mens sana in corpore sano. Buona giornata a tutti!
Personalmente non ho nulla da eccepire. È un luogo di sport, si fa sport, ci si confronta. Soprattutto ci si diverte moltissimo.
Non sono al corrente, ma devo supporre che accedere costi, come tutte le palestre milanesi, città non famosa per essere a buon mercato (ci ho vissuto 35 anni).
Quello che mi preme è che si lavori per chiarire la differenza che corre tra fare sport indoor (o outdoor ma in città) e confrontarsi con un ambiente naturale.
La Natura richiede non solo “prestazione”, ma “reazione” mossa da “grande esperienza”. Un tipo particolare di resilienza che non prescinde da Un profonda conoscenza.
Siete d’accordo?