Vagabondare immersi nella natura delle cose

Vagabondare immersi nella natura delle cose
di Leonardo Caffo
(già pubblicato su In movimento, settembre 2017)

Lettura: spessore-weight***, impegno-effort***, disimpegno-entertainment**

Mistica dell’andare
«Se sei un uomo libero, allora sei pronto a metterti in cammino». A ciascuno il suo ritmo, «secondo la musica che sente, per quanto sia lontana».

Si fa tanta filosofia delle cose e poca, pochissima, filosofia nelle cose. È forse questa, in breve, la posizione più originale di Henry David Thoreau: il camminatore della filosofia di cui quest’anno si festeggiano i duecento anni dalla nascita. Il suo legame con la montagna, con la natura, non è il «solito» e strumentale campo di indagine di un qualche filosofo ma un luogo, il suo luogo, entro cui è stato possibile realizzare opere come Walden (non a caso ripubblicato da poco in italiano con la prefazione di Paolo Cognetti), Camminare, appunto, o La disobbedienza civile.


La filosofia di Thoreau è quella di una forma di vita che cerca uno spazio per questa stessa vita: fuggitivo a 28 anni, mentre costruisce la sua capanna sul lago dove rimarrà fino ai trenta, insofferente e in fuga dalle gerarchie scolastiche che imponevano pene corporali agli studenti, restio a partecipare con le tasse alla vita sociale di Concord, dato che con queste stesse tasse finanziava la guerra in Messico. Thoreau era un ragazzo strano: aveva un’azienda tutta sua, era laureato ad Harvard, e la vita in provincia era economica e serena; perché decidere di abbandonare tutto ciò per un rifugio di fortuna? Thoreau assomiglia più a un mistico che a un filosofo perché cerca l’essenza delle cose non solo nello studio delle loro strutture, ma anche e soprattutto nel loro impatto per la nostra esistenza. La mattina del 4 luglio del 1845 Thoreau si mette in cammino, pochi libri e utensili per costruire e procacciarsi il cibo, e lascia quella che è una vita modello per descrivere le nostre: lavoro, frenesia del produrre, riti sociali di varia natura, costruzione di una casa, di una credibilità, di una reputazione.

Lascia tutto ciò a ventotto anni, che poi è l’età del grande bilancio rivolto al futuro – che tipo di uomo, di esemplare di Homo Sapiens, voglio diventare? Ma soprattutto, chi sono? – consegnandoci questa immagine di un ragazzo, tutto barba e filosofia, che decide dunque di fare questo bilancio lontano dal mondo. O meglio, dal suo mondo: come se osservarlo da fuori potesse costituire un punto prospettivo privilegiato – lo guardi, ti immagini al suo interno, ne vedi i limiti e le risorse in un solo affresco.

A luglio il lago di Walden e il suo bosco, forse uno dei boschi più belli del mondo, hanno temperature sostenibili: l’inverno è ghiacciato ma l’estate è tiepida, soleggiata, bellissima. Così quella mattina di circa centosettant’anni fa, che ha cambiato il corso della filosofia riconsegnandola alla sua natura di «pratica» e non solo di teoria, Thoreau ha un vestito leggero e si dirige verso la scrittura del suo nuovo capitolo del diario di una vita con un atteggiamento che somiglia tanto, tantissimo, a quello dei ragazzi europei che per la maturità iniziano un Interrail: il loro cammino è curioso come un primo amore. Secondo Thoreau, il cammino della vita, e dunque il camminare come visione del mondo, ha la funzione di ricongiungere sfere tra loro sconnesse muovendosi, non solo con la mente, da un punto A verso un punto B: il movimento, lento e riflessivo, è l’essenza delle forme di vita. È celebre, citata in centinaia di libri e film, la sua frase sull’andare nei boschi per non scoprire, in punto di morte, di non aver vissuto davvero ma forse è meno celebre, ed è giusto così, il motivo per cui è necessario andarci. La natura, quella vera e incontaminata, quella che con Thoreau s’inizia a chiamare «selvaggia», ha una funzione concettuale decisiva (è il trascendentalismo, del suo maestro Emerson, a darle questa rinnovata importanza concettuale); ricorda, a chiunque è in grado di osservarla davvero, un’infinità di temi su cui ancora oggi si discute nelle scienze più disparate.

L’importanza degli ecosistemi (che Thoreau caratterizzò per primo come vite autonome), la follia della solitudine a cui l’antropocentrismo ci ha condannati, la caducità delle cose, l’importanza dei lavori manuali, o la metafora dell’orto come saper aspettare solo i cibi che le stagioni possono darti. Sono tutti temi che stanno alla base di Walden, scritto nel 1854, quando gli Stati Uniti erano appena all’inizio del processo di trasformazione industriale che porterà alla crisi ecologica da cui oggi Trump sembra fuggire negandone l’esistenza.

Cosa ne sarà delle grandi distese d’erba quando tutto, si chiede Thoreau, sarà utilizzato per i meccanismi di produzione? Ma sono anche i temi di Camminare, il libro del 1861 (da una conferenza del 1851 al Concord Lyceum), ma anche del camminare come pratica, che rappresenta una via di uscita all’idea che l’unico modello di vita sia quello dell’urbanizzazione ed è così che assume un ruolo centrale un certo simbolismo legato all’escursione o alla spinta al movimento come liberazione dall’ansia o dal malessere avvertiti nel mondo. «ll viaggiatore più veloce», secondo Thoreau, è infatti «colui che va a piedi», perché il punto non è tanto spostarsi ma proprio muoversi, riequilibrare il fuori e il dentro delle cose: andare, vagabondando senza obiettivo, nella natura delle cose. Che ogni uomo tenga il suo ritmo, continua Thoreau, e «se tiene il passo con i compagni forse questo accade perché ode un diverso tamburo. Lasciatelo camminare secondo la musica che sente, quale che sia il suo ritmo o per quanto sia lontana».

Il cammino che ricongiunge l’essere (la natura) con il dover essere (la città), e in cui ognuno è libero di tenere il proprio passo, una nuova e rinnovata spinta a comprendere una vita senza separazione tra mondo esterno e interno, ovvero tra soggetto e oggetto o meglio, ancora con le parole di Thoreau, a capire che «in generale, noi non siamo dove siamo, ma in una falsa posizione. Per un’infermità della nostra natura, noi immaginiamo una situazione e ci poniamo in essa; così ci troviamo in due situazioni diverse, contemporaneamente. L’uscirne è due volte difficile».

Il camminare nella natura selvaggia, piuttosto che le «escursioni», sono una via di uscita da questa doppia posizione: perché i viaggi esistenziali, come quelli del protagonista di In to the wild (che si ispira a Thoreau per il suo viaggio) devono sempre implicare una certa dose di scomodità, pericolo, e messa in discussione delle facilità che abbiamo raggiunto con tante difficoltà? La risposta, che ha a che fare con questa prima caratterizzazione della semplicità che stiamo costruendo, sta tutta nel corpo. La posizione del camminatore, o meglio la postura, è essenzialmente una posizione corporale, anti-dualista per definizione, che riporta il corpo a un unico spazio di conoscenza diretta, immediata e certa di una determinata forma di vita.

La società cui Thoreau manifestava il suo dissenso e opposizione era una società che aveva cominciato a fare del nostro corpo un rimosso: e allora il freddo, la fatica, la durezza del luogo che Thoreau si era autoimposti agivano come una traccia, come una denuncia di questa resistenza. La sua costruzione di un cammino nel sentiero della vita e della natura selvaggia mira a creare un luogo entro cui l’essenziale torni visibile agli occhi e dove il corpo, costretto a stress impensabili in società, ritorni garante di questa presenza a noi stessi ormai perduta.

 

Henry David Thoreau

Vita e opere del pensatore americano, nel bicentenario
(a cura della redazione di In Movimento)
Thoreau è nato nel 1817: quest’anno sono dunque stati i suoi duecento anni dalla nascita festeggiati in tutto il mondo. In italiano è da poco riedito Camminare, pubblicato da Piano B e curato da Stefano Bucci con una introduzione di Leonardo Caffo. Sempre Caffo ha introdotto e curato l’edizione in uscita con Einaudi di La disobbedienza civile tradotta da Andrea Mattacheo, da poco riuscita anche per i tipi di Feltrinelli. Due convegni a Ischia, ad aprile 2017 presso I Giardini Ravino e in giugno 2017 a Stromboli in occasione del Teatro Eco Logico, hanno celebrato il pensiero di questo autore insieme a filosofi, attori, scrittori e giornalisti. Sulla vita e il lascito filosofico di Thoreau Leonardo Caffo ha scritto Il bosco interiore (Sonda, 2015). In lingua inglese il miglior libro sull’eredità della filosofia di Thoreau è di Stanley Cavell, The Senses of Walden, pubblicato nel 1972 dalla University of Chicago Press. Sulla filosofia di Thoreau, recentemente, è stato addirittura rilasciato un videogioco: Walden, a game sviluppato dall’USC Game Innovation Lab con il design di Tracy Fullerton. La migliore antologia completa sulle opere di Thoreau è The Portable Thoreau, pubblicata da Penguin nel 1947.

Per altre informazioni su Henry David Thoreau vedi https://it.wikipedia.org/wiki/Henry_David_Thoreau.

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Vagabondare immersi nella natura delle cose ultima modifica: 2017-11-14T04:51:29+01:00 da GognaBlog

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