Vela, kite, SAT e bike: sul Garda è tutti contro tutti
di Gianfranco Piccoli
(pubblicato su Trentino il 27 agosto 2015, ma ancora del tutto attuale)
Giorgio Daidola: «Ambiente saturo, ma i divieti non servono: bisogna convivere. Come? Sport a giorni alterni»
Lettura: spessore-weight(2), impegno-effort(2), disimpegno-entertainment(2)
SAT contro le mountain bike sui sentieri, velisti contro il kitesurf. Mai come questa estate le attività outdoor sono entrate in rotta di collisione. Segno dell’appeal che l’Alto Garda esercita su queste discipline (con il kite a giocare il ruolo di giovane che “sgomita” per crescere), ma anche sintomo di quanto il territorio – acqua e terra – sia ormai saturo. SAT e vela tradizionale invocano i divieti contro gli “intrusi”; dall’altra parte si paventa il rischio del “fuggi fuggi” di fronte a norme restrittive. Giorgio Daidola, 72 anni, docente di economia all’università di Trento, è uomo di terra e di mare.
– Daidola, si ha la sensazione di un clima da “tutti contro tutti”. Cosa succede?
«È evidente che siamo in troppi e gli spazi liberi sono sempre più limitati. Anche gli orsi, non solo i biker e i kite surfer, restringono in modo assurdo questi spazi. Le lobby tradizionali, in questo caso gli escursionisti e i velisti classici tendono a difendere i loro territori, è normale e comprensibile».
– Difesa legittima?
«Qui non c’è qualcuno che ha ragione e qualcuno che ha torto. Ha torto chi dice: “E’ tutto mio”. Io credo però che i nuovi sport, se sono effettivamente “outdoor” (ossia non richiedono mezzi meccanici – esempio: impianti si risalita – o mezzi di propulsione meccanica, come i motori, per essere effettuati) abbiano diritto a un proprio territorio, come gli sport tradizionali. Poiché la “convivenza” è difficile, pericolosa e antipatica per tutti, ritengo che l’unica soluzione sia definire i diversi “territori dell’avventura”, cercando un giusto compromesso».
– Quale compromesso?
«Se il Garda trentino è stretto si potrebbe optare per la soluzione a giorni alterni o definire orari che richiedano il minore sacrificio a tutti. Mandare i kiter a Malcesine mi sembra una miope idiozia. Il kite surf è uno sport stupendo, sarebbe un grave errore vietarlo. Io mi sono trovato spesso con la mia barca a vela in mezzo ai kiter ma non è mai successo nulla. Ovviamente anche io al timone, come loro alla barra, ho cercato di evitare collisioni. Basta un po’ di buon senso e di rispetto. Bisogna saper rallentare quando è necessario, sia con la barca che con il kite. Chi non capisce queste cose e si sente padrone del territorio è un povero ottuso, sia che si tratti di un kiter che di un velista».
– Giorni alterni: è una provocazione?
«No. Poi io penso che i veri problemi di affollamento ci siano solo nei fine settimana».
– E veniamo allo scontro SAT-mountain bike.
«Sui sentieri è la stessa cosa. Personalmente mi dà fastidio dovermi fermare per lasciar passare dei biker ma accetto. A condizioni che questi siano prudenti e non si sentano loro i padroni del territorio. Una pratica di mountain bike che dovrebbe essere seriamente regolamentata con percorsi ad hoc è il downhill: liberalizzare il downhill significherebbe trasformare le montagne in pericolosi circuiti per kamikaze. Quando si va veloci, sia in barca, sia in kite, sia in mtb, si è pericolosi anche se si è bravi. Occorre riscoprire, in tutti gli sport outdoor, il piacere della lentezza e del controllo».
– Ovvero?
«È una questione di stile, non di tecnica. Purtroppo i corsi formativi sviluppano solo la tecnica, che significa velocità, arrivare primi non importa come. Purtroppo la matrice agonistica fa da padrona anche nella vela, nel kite, nel windsurf, nella mtb e così prima o poi arrivano gli incidenti. In Italia, ahimè, lo sport è il CONI, come se lo sport come elemento ludico non esistesse. Ma la verità è che l’agonismo appartiene solo a una parte limitata della vita».
– Il suo pensiero sembra: convivenza ma non divieti.
«I divieti hanno due controindicazioni: fanno scappare le persone e inducono alla trasgressione».
– Nell’Alto Garda c’è un altro sport diffuso: lamentarsi per il traffico. Però ogni volta che Ingarda diffonde i dati sulle presenze – macinando record su record – nessuno si lamenta. Non la trova una contraddizione?
«E’ il modello nefasto del turismo mordi e fuggi, quello che porta pochissimo valore aggiunto sul territorio. Sempre più persone, ma permanenze sempre più brevi».
Mtb, la SAT denunciata per i cartelli
di Matteo Cassol
(pubblicato su Trentino il 27 agosto 2015)
I satini di Arco hanno apposto i segnali “solo a piedi” vicino ai tradizionali cartelli.
«Abbiamo denunciato la SAT. I loro divieti sono abusivi»: l’annuncio è stato dato ieri pomeriggio sulla pagina Facebook “Unione Bikers Trentini”. L’atto, protocollato sempre ieri dalla Comunità Alto Garda e Ledro (in quanto capofila del servizio di polizia locale intercomunale dell’ex C9), è stato presentato ai vigili urbani e firmato da Carlo Argentieri, titolare del Bike Service e Garda Bike Shop di Riva (nonché presidente di GardaOnBike e “storica” guida mtb), che l’altro giorno su queste pagine – dopo che la sezione satina arcense aveva preannunciato l’intenzione di applicare sui propri sentieri il cartello “solo a piedi” – aveva già detto la sua contestando le decisioni della Provincia riguardo ai sentieri aperti o meno ai biker (ne potrebbe rimanere percorribile solo il 10%, secondo le previsioni più pessimistiche), propiziate a suo dire dal pressing della SAT con la “complicità” di APT come Ingarda (Il posizionamento delle scritte è stato fermamente voluto dall’allora presidente della SAT Arco, Fabrizio Miori, NdR).
«Con la presente – si legge nel documento – intendo denunciare l’apposizione di cartelli non conformi alla legge, ossia in modo abusivo, da parte della Società Alpina Tridentina sul territorio altogardesano, in particolare nella zona del Monte Velo, San Giovanni, Arco. Segue via email il mio invio delle relative prove fotografiche». Uno dei segnali documentati è quello in corrispondenza dell’indicazione del sentiero SAT 608, con direzione verso Salve Regina, Monte Velo, Monte Stivo o Bolognano. Secondo Unione Bikers Trentini, i cartelli non sono conformi all’articolo 77, co. 7 del Dpr 16 dicembre 1992, n. 495 (regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada).
Soci della SAT con la con le t-shirt anti mountain bike
A seguire, il commento dello stesso Argentieri: «Un giretto al comando della polizia locale ogni tanto ci sta. Battuta a parte, quei cartelli vanno rimossi al più presto. In ogni caso queste azioni non dovrei farle io che mi ritrovo ogni volta quasi obbligato a muovermi in prima persona vista l’immobilità (o l’incapacità, fate voi) che c’è in giro, ma altri che meglio e più di me dovrebbero controllare cosa succede nel loro territorio anche e soprattutto per tutelare il benessere, il lavoro, l’impegno e i diritti delle persone, dei cittadini e dei soci che si trovano a rappresentare e amministrare. Mi riferisco ai sindaci di tutto il comprensorio e all’ente di promozione turistica Ingarda. Datevi una svegliata». A tal proposito, dal profilo dell’Eco-Hotel Primavera, in un commento al post di Argentieri, arriva un invito: «Ingarda fa una riunione per tutti lunedì 31 alle 20 al Palazzo dei Congressi sala 100 dedicata a chiarire la nuova normativa provinciale (che sarà “svelata” stamattina a Trento). Non trovate scuse popolo di Fb e amanti delle mtb, venite e fatevi sentire».
Sviluppi odierni
Il 23 febbraio 2017 l’APT Garda Trentino, con una nota dove ha ripercorso la complessa evoluzione del difficile rapporto tra escursionisti e biker, ha confermato che, in parallelo al posizionamento della segnaletica sui 44 sentieri, verranno apposti anche i divieti: «Nell’autunno scorso – si legge nel documento – è cominciata l’opera di tabellazione dei percorsi autorizzati dalla Provincia, attraverso il posizionamento dei cartelli segnavia approvati dal Servizio Turismo. Completata la posa in opera del primo lotto, realizzata in collaborazione con le associazioni di biker locali, l’APT sta realizzando la segnaletica per il secondo e ultimo lotto di lavori, che saranno completati entro l’inizio della nuova stagione. Saranno posizionati contestualmente i cartelli segnavia, quelli di divieto e anche i cartelli che, in presenza di divieti, indicheranno ai biker un percorso alternativo consigliato per completare il tracciato». «Al momento – prosegue Garda Trentino – sono in atto, secondo le indicazioni del progetto Outdoor Park Garda Trentino, lavori di manutenzione a cura della Forestale e del SSOVA (Servizio sostegno occupazione e valorizzazione ambientale) su alcuni dei sentieri autorizzati. Rimane inoltre costantemente aperto il tavolo di lavoro tra BGT (Bike Garda Trentino, realtà associativa locale) e tutte le parti in causa per un dialogo e un confronto continuo sulla situazione: la nuova Rete dei percorsi mtb può essere a tutti gli effetti considerata come un punto di partenza, suscettibile quindi di essere modificata e allargata, aggiungendo nuovi tracciati o proponendo itinerari alternativi a quelli su cui sono stati imposti i divieti della Provincia. A tale proposito si sta già lavorando su proposte per nuovi trail».
«Dallo scorso autunno – prosegue la nota – è aperto anche un tavolo di confronto con il comune di Malcesine e la società della Funivia del Baldo per studiare collegamenti bike tra Garda Trentino e Malcesine, superando l’ostacolo della Riserva integrale del Baldo, preclusa alla mtb».
Giorgio Daidola, 72 anni (74 oggi, NdR), piemontese d’origine, è docente di economia all’Università di Trento. Vive, per scelta, a Frassilongo, in valle dei Mocheni. Daidola è uomo di terra e di mare. Ha legato il suo nome soprattutto allo sci, (ri)portando negli anni Ottanta la pratica del telemark. Esperto di montagna (dall’alpinismo alla mountain bike), ha anche una grande passione per la vela, che ha declinato in molti modi, kitesurf compreso. È un profondo sostenitore della pratica sportiva «slow», dove l’agonismo e la fretta non trovano spazio. Maestro di sci emerito – si legge nel suo profilo Montura, di cui è testimonial – direttore della Rivista della Montagna e dell’annuario Dimensione Sci per molti anni, ha pubblicato articoli e fotografie su tutte le più prestigiose riviste di outdoor italiane, francesi, spagnole, norvegesi, australiane e statunitensi. Ha partecipato come regista e come attore a parecchi film di sci e di montagna che hanno ricevuto premi nei principali festival. Collabora a riviste di montagna (SkiAlper) e di vela (Vela e Fare Vela).
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Condivido molto di quello che è stato detto, anche nei toni. Conosco abbastanza bene il contesto in quanto mia mamma era originaria di Arco e per oltre vent’anni abbiamo avuto una casa nella suddetta località. Pertanto, pur non vivendoci stabilmente, ho avuto modo di vedere l’evoluzione sportiva di quei luoghi fin dagli anni 60.
Non ho soluzioni ma comprendo che non è semplice trovarne. Mi limito ad esprimere la mia opinione su un punto, peraltro ripreso da Lorenzo e riguardante la matrice agonistica come causa, o quantomeno concausa, di certi problemi.
La pratica agonistica porta con sè pregi e difetti e quindi non è portatrice soltanto di competitività (peraltro quest’ultima diventa negativa soltanto nel momento in cui viene esasperata).
Credo che la competitività sia innata nel genere umano e che la pratica agonistica sia in fondo un modo per canalizzare un’aggressività che in caso contrario si manifesterebbe in altro modo.
Negli ultimi anni, forse perchè l’età anagrafica mi dice che non potrò continuare a praticare sport all’infinito, mi sono cimentato e mi sto’ tuttora cimentando, in attività nuove (kayak, sup, ecc.) e devo dire che sono venuto a contatto con un tessuto piuttosto sano, in cui la pratica agonistica in senso stretto viene tenuta ben distinta da quella amatoriale.
Però vanno fatte alcune riflessioni.
La prima riguarda l’età perchè se con un ultracinquantenne come me è abbastanza facile imbastire certi discorsi con un giovane forse è un po’ più problematico (poi è chiaro che le eccezioni ci sono sempre, sia da una parte sia dall’altra).
La seconda è che dall’agonismo si pescano anche informazioni assai utili per l’attività amatoriale (leggasi metodiche di allenamento, sicurezza, ecc.).
Nei corsi viene insegnata principalmente la tecnica e questo è sicuramente vero ma bisogna poi vedere se i maestri/istruttori delle varie discipline si limitano a ciò oppure se sono gli allievi a non voler approfondire ulteriormente.
Per es. io ho iniziato a fare kayak fluviale a 51 anni suonati (oggi ne ho 56) e cerco di allenarmi almeno una volta a settimana. Non disdegno i corsi di perfezionamento e sono sempre pronto ad imparare cose nuove ma vedo tanti che, o per impossibilità o per pigrizia, si mettono a fare cose anche difficili senza un’adeguata preparazione.
In tutte le attività sportive, soprattutto quelle che richiedono un certo controllo (che poi alla fine lo sono pressochè tutte), oltre che sulla tecnica bisogna lavorare sulla sensibilità, la qual cosa comporta altresì una sensibilità in senso lato (per l’acqua, per la roccia, per l’ambiente, per gli altri, ecc.). Cominciare fin da subito a lavorare sulla sensibilità la vedo però un po’ dura, soprattutto in quegli sport in cui vi sono dei movimenti codificati.
Per dirla in parole povere, non credo sia solo un problema di mentalità agonistica intesa come ardente desiderio di arrivare primi. Non escludo quest’aspetto che senz’altro esiste ma credo che la questione sia più complessa e necessiti di un approccio globale che non può esaurirsi in così poco tempo.
Dal punto di vista relazionale trovo molto utile il cosiddetto terzo tempo del rugby, ovviamente quando non si limita alla sola abbuffata post attività.
Il terzo tempo può essere un momento in cui ci si confronta su altri aspetti e dove si può cominciare a sviluppare quella sensibilità necessaria al fine di progredire non solo tecnicamente.
Però esistono ed esisteranno sempre coloro i quali cantano fuori dal coro, così come esistono ed esisteranno sempre gruppi portatori di messaggi fuorvianti.
Insomma non è semplice e bisogna pure fare attenzione a non voler imporre modalità relazionali che potrebbero portare ad un eccessivo imbrigliamento della liberta individuale.
Mi pare che la liberta’ “di fatto” per i bikers di percorrere qualsiasi tracciato dovra’ essere rivista. Con i crescenti numeri in gioco, il problema non e’ solo la sicurezza dei pedoni e la gestione del traffico, ma l’impatto distruttivo sui sentieri. I comuni dovrebbero classificare tutti i percorsi non carrozzabili e individuare quelli sui quali puo’ essere consentito l’accesso alle bici. Laddove non autorizzato esplicitamente, deve essere inteso come vietato. Ah, e vietato ovunque alle bici con pedalata assistita, che devono poter andare solo dove vanno le auto.
Ecco il punto:
«È una questione di stile, non di tecnica. Purtroppo i corsi formativi sviluppano solo la tecnica, che significa velocità, arrivare primi non importa come. Purtroppo la matrice agonistica fa da padrona anche nella vela, nel kite, nel windsurf, nella mtb e così prima o poi arrivano gli incidenti. In Italia, ahimè, lo sport è il CONI, come se lo sport come elemento ludico non esistesse. Ma la verità è che l’agonismo appartiene solo a una parte limitata della vita».
Nei processi di iniziazione ad attività sportive in ambiente naturale (kitesurf, vela, windsurf, sci, mtbike, ecc) e non (patente auto/moto) dovrebbe esserci spazio idoneo affinché il modo della relazione divenga consapevolezza degli iniziandi.
Il modo della relazione implica la modulazione del proprio comportamento in funzione della sicurezza propria e altrui. Affinché sia attuato è necessaria un ulteriore consapevolezza ovvero che qualunque cosa accada la responsabilità è nostra. Incosapevolmente lo mettiamo in atto innumerevoli volte, ma castriamo quell’intelligenza quando crediamo di essere in un territorio regolamentato, con attribuzione di diritti e doveri.
In Olanda, in Inghilterra e altrove in certi quartieri e paesi hanno tolto la segnaletica stradale verticale e orizzontale. Lo scopo era far assumere la responsabilità di quanto sarebbe o non sarebbe accaduto agli automobilisti, ai pedoni, ai ciclisti e motociclisti.
Senza l’assunzione di responsabilità, affidando alla regola la collocazione del vero e del giusto, ci si allontana dal modo della relazione, si delega ad altro e altri, ci si deresponsabilizza, si alzano i costi sociali e privati, si alimenta la société sicuritaire.
Si concepisce l’uomo alla stregua di una macchina.