Via del Gran Diedro

Metadiario – 165via del Gran Diedro alla Spalla 1529 m del Pizzo d’Uccello (AG 1992-002)

L’estate del 1992 è stata caratterizzata da una lunga vacanza a Levanto inframmezzata a uscite arrampicatorie volte a scoprire quegli angoli di Alpi Apuane che ancora non conoscevo. Per la verità, parlando di Levanto, non era appropriato parlare di vacanza: la presenza di Petra per certi versi significava un’esistenza dedita a lei… Questo era certamente vero soprattutto per Bibi, ma anche per me e il resto della famiglia. Avevamo affittato un’intera casa sulla strada che da Levanto sale a Lavaggiorosso, poco prima del primo tornante. In bella posizione e decisamente ricca di stanze e di spazio, il complesso offriva comodo soggiorno a noi tre, più Simone Bibo, Mariolina e Tommy, più ancora i suoceri e naturalmente anche alla tata marocchina di Petra, certa Luana. C’erano letti anche per due eventuali ospiti.

In ogni caso dovevo dedicare del tempo anche al lavoro, perciò non si contarono gli andirivieni a Milano.

Petra. Chissà perché ci vedo una somiglianza con il presidente americano Bush…

Il primo ospite fu Franco Ribetti. Il 3 luglio partimmo da Levanto per andare al Monte Procinto: c’era anche Bibi, desiderosa di riprendere a scalare. Faceva abbastanza caldo, il sole era già girato e dunque ci rivolgemmo alla parete est e salimmo la via Luisa (la via Dolfi-Rulli): sono quattro lunghezze molto logiche, delle quali le due centrali (6a e 6a+) davvero atletiche e bellissime, salite per la prima volta in 11 ore da Giancarlo Dolfi e Marco Rulli il 3 settembre 1961, alla vecchia maniera cioè con l’uso di 50 chiodi (20 lasciati) e 4 cunei.

In arrampicata sulla via Luisa al Monte Procinto. Foto moderna.

Non contenti, dopo essere scesi per la via ferrata, con Franco salimmo la prima lunghezza de Il Volo dell’Aquilone (6b+). Poi ce ne tornammo a Levanto.

Ma il giorno dopo eravamo già di nuovo in trasferta, questa volta in direzione della parete nord del Pizzo d’Uccello, che raggiungemmo dal rifugio Donegani grazie alla discesa della Ferrata di Foce Siggioli.

L’attacco del Gran Diedro lo trovammo facilmente, perché evidente, sotto all’imponente apertura a diedro che qui la parete forma e proprio sopra alla Casa dei vecchi macchinari. 550 m per 12 lunghezze, aperte da Mario Piotti, Francesco Cantini, Marco de Bertoldi e Roberto Galassini il 22 giugno 1969. Dopo 8 lunghezze, fino a quel punto riuscite, la pioggia ci fermò e fummo costretti a scendere in doppia per poi risalire la ferrata. Un vero peccato.

La parete nord del Pizzo d’Uccello. Al centro, l’evidente via del Costone alberato nasconde i primi due terzi della via del Gran Diedro.

Era bello scalare con Franco, lui come me faceva poca differenza tra un tiro completamente sprotetto e una lunghezza magari più tecnica e difficile ma ben assicurata. Chiodi o spit era lo stesso. Alla condizione naturalmente che fossimo all’altezza del terreno: e questo, per capirlo, ci bastava un occhio dalla sosta. La sua capacità di inserirsi nelle particolarità di un ambiente era pari alla grande dote del suo umorismo. Mescolava intuizioni con battute irresistibili, di stampo britannico-piemontese.

Tenailles de Montbrison, in arrampicata su Péril dans la demeure, terza lunghezza. Foto recente.

Ero riuscito, con mille acrobazie lavorative e diplomatiche, a ritagliarmi la settimana dal 18 al 25 di luglio. In attesa di andare con Ugo Manera in Ardèche, ricambiai la visita a casa di Franco, a Torino. Il 18 luglio andammo alle Tenayes de Montbrison dove, sprezzanti delle difficoltà, attaccammo Péril dans la demeure, una bellissima via di Jean-Michel Cambon e Serge Ravel del 1985. Le difficoltà di 6c e 7a per sette tiri c’impedirono di farla del tutto pulita (4 aid e 2 resting), ma fu ugualmente un bell’ingaggio, su una delle salite più impegnative delle Tenayes. Anche per via degli spit da 8 mm…

Tenailles de Montbrison, in arrampicata su Péril dans la demeure, quinta lunghezza. Foto recente.

Incuranti del caldo, il giorno dopo andammo alla Tête d’Aval dove, avendo affrontato Eléphants dans le magasin de porcelaine, e avendone saliti due tiri, ci trovammo di fronte a una piccola frana che ci sconsigliò di proseguire. Tornati alla base, confabulammo a lungo per una via di ripiego, anche considerando che Franco ne aveva già fatte un bel po’. Alla fine iniziammo a salire su Ballade d’Enfer, e subito dopo per il Pilier Rouge Hebdo. Ma non ricordo più per quale motivo tornammo indietro, alla fine accontentandoci di salire per quattro lunghezze la classica rampa del Pilier Kelle (Vincent Bourges, Jacques Kelle e Mireille Ramond, 1965) fino alla seconda cengia. Qui, inebetiti dal caldo, facemmo ancora un tentativo di continuare lungo il Pilier Rouge Hebdo, ma dopo il tiro di 6b e di 6a decretammo di averne abbastanza. Sulla via del ritorno a Les Vigneaux prosciugammo l’intera sorgente della Fontaine Marcellin

In Ardèche: da sinistra, Ugo Manera, Franco Ribetti e Alessandro Gogna

Il giorno dopo (20 luglio) le previsioni davano bello solo al mattino, così decidemmo di andare sui risalti granitici di Ailefroide, più esattamente nel settore della Poire. Lì salimmo subito Les montagnards son las, una via di 200 m: sette tiri, con la seconda lunghezza nettamente più difficile delle altre (6b/c). La via era stata aperta nel 1990 dalla famiglia Cambon (Sylvain, Catherine e Jean-Michel), un piccolo capolavoro di bellezza destinato a tante ripetizioni. Dopo essere riscesi, ci rivolgemmo a Une grande amitié il cui primo tiro mi sembrò una placca impossibile: penai per un po’ su quell’aderenza insensata, poi desistetti. Nell’edizione 2004 di Oisans nouveau Oisans sauvage, Livre Est, Cambon avverte che il passo più ingaggioso è proprio nella prima lunghezza “qui a déjà vu plus d’un vol”: ma si ostina a non alzare il grado dato in origine (6c) dai primi salitori (Pierrette Bolot e Jean-Luc Leblanc, 1990). Data la pavidità che mi caratterizzava su quel genere di difficoltà, posso dire almeno che non produssi alcun volo significativo…

Dopo quell’insuccesso eravamo già al primo pomeriggio, nuvole pesanti si stavano concentrando sulla conca di Ailefroide e sugli Écrins, ma noi ugualmente c’intestardimmo su un’altra via di Bolot e Leblanc, Gloire à Satan, dove avemmo però la fortuna di essere presi dal temporale prima che la via diventasse difficile. Meno fortunato fu il ritorno alla macchina, funestato da un’acqua torrenziale che ci bagnò fino al midollo.

Fradici come eravamo, non rinunciammo di certo alla birra dalla Blonde dell’Hotel du Rocher Baron di Saint-Martin-de-Queyrières, di cui ho già raccontato qui. Anzi, proprio le nostre pietose condizioni hanno suscitato in quella signora qualche vago senso di protezione: oltre all’abituale cortese simpatia che ci riservava, avendo saputo che eravamo in partenza per l’Ardèche, ci offrì di sua iniziativa ospitalità nella casa che lei e suo marito avevano in ristrutturazione. In quel momento i lavori erano fermi ma la villetta era abitabile, anche se non arredata. Alla terza birra eravamo già custodi della preziosa chiave di una casa che ci avrebbe permesso un notevole risparmio, quindi parecchie birre in più.

Ugo Manera arrivò sul tardi e la mattina dopo partimmo per l’Ardèche. Lì arrivammo solo in serata perché durante il giorno arrampicammo a Le Pouit. Preso possesso notturno dell’abitazione (non fu facilissimo trovarla) ci fu modo in seguito di scatenarsi per bene tra le falesie, la birra, i fornelletti da campo in soffitta e i ghiri che, malamente disturbati, scorrazzarono per l’intera durata delle tre notti che ci fermammo.

La casa di Levanto dell’estate 1992

Dopo il mio compleanno festeggiato alla grande, in agosto la smisi con gli andirivieni Milano-Levanto. Ci fu un secondo ospite, con il quale il 1° agosto andai ancora una volta in Apuane. Luca Pennone, che lavorava con noi di K3, era arrivato in treno e si era dato disponibile per fare un salto in quelle montagne dove non era mai stato. Decisi per il Solco d’Equi e per un’impegnativa via di sette lunghezze, Aquile noi e vipere loro. Non so perché ma quella gola mi ha sempre fatto un po’ d’impressione. Sarà che mi ricordava la prima volta, quando carico di emozione come un mulo e da solo mi avviavo a bivaccare sotto la parete nord del Pizzo d’Uccello? Sì, il luogo è un po’ tetro, circondato da cave aggressive. E anche la via non scherzava (5b, 6b+,6b+,6a,7a,7b+,6a). Inutile dire che non ero all’altezza della terzultima e specialmente della penultima lunghezza, salita con “qualche” artificio.

La Torre Francesca

Ritenendo che fosse in buone mani, Bibi se la sentì di lasciare Petra per qualche giorno: il 3 agosto, dopo qualche tiro di corda alla Palestra degli Uncini (vicino a Massa), ci recammo a Levigliani (il paese sotto al Monte Corchia dove gli speleologi e i cavatori locali si erano più volte scontrati duramente) e da lì salimmo con calma al rifugio Del Freo. Ormai quasi in vista di questo, ci fermammo circa un’oretta a fare una storica scorpacciata di lamponi, arrivando al rifugio con la bocca e le mani così rosse da sembrare che ci fossimo nutriti di sangue. L’enorme brughiera di lamponi era sopravvissuta al weekend precedente solo perché per il rifugio Del Freo non era stagione (troppo caldo)…

Garfagnana: il versante nord del Pizzo delle Saette da Capanne di Caréggine. La cresta nord-nord-ovest si indovina nella sezione più alta del versante, là dove la parete nord piega a nord-ovest.

Dopo una bella cena con i simpatici custodi e dopo una bella dormita, la mattina del nebbioso 4 agosto ci rivolgemmo alla vicina parete ovest della Torre Francesca. Con qualche difficoltà per la scarsa visibilità reperii la via Baci da Ittiri, che salimmo in tranquillità (120 m, fino al 6b, ma con una variante al secondo tiro di 6b+). Mi dispiacque però non salire la classica via Maestri (che Cesare aprì nel 1956 con Giancarlo Dolfi e Paolo Melucci): troppa nebbia. Potete consolarvi guardando questo bel video di Eraldo Meraldi:

Il 5 agosto, con tempo appena migliore, portai Bibi su una via di stampo classico, sufficientemente lunga per assomigliare a una via di montagna ma anche abbastanza facile per non avere alcun genere di patema. Ci rivolgemmo dunque alla cresta nord-nord-ovest del Pizzo delle Saette 1720 m, la montagna che corona a nord il gruppo delle Panie (infatti il suo nome antico è Pania Ricca). La cresta in realtà è il più marcato dei contrafforti di questa montagna, con difficoltà discontinue di III e IV per circa 600 m di dislivello: fu salito la prima volta da Augusto Daglio, Erminio Piantanida e Attilio Sabbadini il 7 giugno 1925. In realtà questa era una “prima” solo parziale, perché l’itinerario era già stato percorso in discesa da Bartolomeo Figari, Antonio Frisoni e Ugo di Vallepiana il 25 maggio 1913 e in salita (sia pur incompleto) dallo stesso Frisoni con Giovanni Nanno Gambaro e M. Gambaro il 23 maggio 1920.

Da Capanne di Careggine vista su (da sinistra) Pania Secca e Pizzo delle Saette (che lascia intravvedere la retrostante Pania della Croce)
In arrampicata sulla cresta nord-nord-ovest del Pizzo delle Saette, anni Trenta. Foto: Fosco Maraini.

A dispetto di una variantella iniziale di certo più difficile, Bibi ed io galoppammo letteralmente fino alla vetta, anche perché il tempo non sembrava dei migliori. Passando per la Quota 1750 m raggiungemmo per cresta il Callare, la sella che divide la Pania della Croce dal Pizzo delle Saette. Da lì per sentiero al rifugio Del Freo, poi a Levanto dalla nostra Petrina.

Bibi in arrampicata sulla cresta nord-nord-ovest del Pizzo delle Saette, 5 agosto 1992
In vetta al Pizzo delle Saette
In traversata verso la Pania della Croce, Bibi guarda indietro verso la vetta del Pizzo delle Saette, 5 agosto 1992
Alessandro in traversata verso la Pania della Croce, 5 agosto 1992

Ormai con le Apuane era un continuo timbrare il cartellino. L’8 agosto 1992 tornai al Solco d’Equi, questa volta con il terzo ospite, Mauro Curzio. Lì non so più perché ma non andammo oltre le prime tre lunghezze (6b+, 6b, 7a+) della via Aquila solitaria. Ma ci rifacemmo il giorno dopo quando chiusi il conto con il Gran Diedro della parete nord del Pizzo d’Uccello. Il tentativo con Franco del mese prima mi era rimasto sul gozzo e così ci tornai con Mauro, altro compagno meraviglioso. Con Franco avevo salito ben otto dei dodici tiri di corda, in realtà i più impegnativi. La sesta, la settima e l’ottava lunghezza sono le più significative con un’arrampicata del tutto libera nel diedro o sulla placca a destra: l’ambiente è grandiosamente apuanico. A Mauro piacque tantissimo quella salita e non la smetteva di elogiare l’intuito e la bravura del primo salitore, Mario Piotti, con il quale io avevo arrampicato anni prima sulla via Oppio del Sasso Cavallo (Grigna Settentrionale). Mario, genovese di nascita, si era trasferito a Pisa ed era diventato un vero e proprio faro per l’alpinismo locale. La sua vita fu stroncata da una banale caduta nella palestra di roccia di Vecchiano (Baia dei Porci) il 28 giugno 1981.
In sei ore e tre quarti, e con le ultime quattro lunghezze, arrivammo in vetta alla cosiddetta Spalla 1529 m (ben lontani dalla vetta del Pizzo d’Uccello). Da lì scendemmo un poco sulla Cresta di Nattapiana fino a prendere la via ferrata che ci riportò alla base della parete nord del Pizzo d’Uccello, con seguente discesa al Solco d’Equi.

A questo link è possibile visionare un breve filmino di Petra con la nonna.

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Via del Gran Diedro ultima modifica: 2024-01-25T05:49:00+01:00 da GognaBlog

7 pensieri su “Via del Gran Diedro”

  1. Bello il racconto e le atmosfere che evoca. In questo ricorre in un paio di occasioni il nome di Giancarlo Dolfi. Gran personaggio che volli conoscere e intervistare dopo aver ripetuto alcune sue vie. Fu davvero emozionante conoscerlo.

    Bonfanti, noi ci siamo conosciuti qualche anno fa al Procinto, mentre ripetevi con la tua compagna, la via Luisa sulla parete est, meglio conosciuta come la Dolfi-Rulli.

  2. Gian Carlo Dolfi di Firenze, è stato un grande protagonista dell’alpinismo apuano degli anni 50 e 60. Tra le tante belle prime di cui fu autore, rimaste delle grandi  classiche Apuane,  fece anche la prima solitaria alla via Oppio sulla parete nord del Pizzo d’ Uccello.

  3. Bello il racconto e le atmosfere che evoca. In questo ricorre in un paio di occasioni il nome di Giancarlo Dolfi. Gran personaggio che volli conoscere e intervistare dopo aver ripetuto alcune sue vie. Fu davvero emozionante conoscerlo.

  4. @alessandro (gogna) Ho un ricordo di una nottata in auto sotto la Nord dell’Uccello, pensando di andare al Muro delle Ombre (Vigiani-Schlatter). Poi si mise a piovere nella notte e la parete si lavò. Io, te, Popi e Daniele Fiorelli, penso saranno stati questi anni, no?

  5. Gran Diedro nord al Pizzo D’Uccello, una gran bella via di Mario Piotti, che ho saluto 4 volte.
    Complementi per “Baci da Ittiri” alla Torre Francesca, che sale la compatta placca subito a destra della via Maestri. La via fu aperta dal mio caro amico Giorgio Giannaccini di Querceta, che purtroppo non c’è più. Giorgio era un vero innamorato della Torre Francesca e delle sue placche di ottima rocca solcata, dove ha aperto diverse vie.
    La cresta nord-ovest del Pizzo delle Saette è una non difficile via classica, anche se non da sottovalutare per la lunghzza e la roccia cha richiede attenzione. Ben più impegnativo lo Sperone O.N.O.  parallelo a destra.

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