Viaggio in Niger

Metadiario – 127 – Viaggio in Niger (AG 1984-009)

Nei primi anni Settanta l’amico Piero Ravà, laureato in medicina e specializzato in malattie tropicali, lavorava in Kenya come medico. Da lì, Piero e la moglie Marina, biologa, rientrarono in Italia con un viaggio d’altri tempi, attraversando per sei mesi l’Africa sulla loro Makabesh, la loro prima Land-Rover. Quel viaggio fu la scintilla, il motore per una scelta di vita totale, e la spinta a credere in un sogno giudicato pazzesco… Seguirono altri viaggi, ricordo in particolare quello che la coppia fece in Algeria con l’amico Miller Rava e moglie. E’ così che nacque nel 1977 Spazi d’Avventura, con l’acquisto di due nuove Land-Rover, dopo aver venduto lampadari di casa e la pelliccia della nonna, per organizzare i primi viaggi-spedizione in Africa.

Uadi di Azel
Mercato di Agadez


Fino al 1983 i viaggi organizzati con i primi clienti erano una vera e propria vita nomade che si spostava tra Algeria, Mauritania, Mali, Niger e Cameroun, per accogliere e accompagnare i “famigerati” turisti. Poi ci fu una scelta determinante, ancora oggi una delle loro caratteristiche più distintive perché allora pressoché unica, quella di aprire delle loro “basi” dirette in Niger, e poi dal 1992 anche in Ciad: il grande Sahara, il più selvaggio, il Sahara centrale.
Il Sahara è diventato la loro scuola, un luogo dove hanno messo radici, profonde come quelle delle acacie. Già nel 1971 era nato Rocco, poi vennero anche Tommaso e Cecilia. Furono tutti fin da piccolissimi avviati alla grande formazione e passione sahariana, con la curiosità di andare a scoprire altri deserti, altre terre, esportando il “modo di viaggiare” elaborato in uno degli spazi dove la natura è ancor oggi più sovrana.

Uadi di Azel

Per una organizzazione come Spazi d’Avventura, decisamente a regime familiare, fin da subito il “viaggio riuscito” era quello in cui le emozioni avevano superato le aspettative, e questo era davvero favorito dalla ferma convinzione che lasciare uno spazio alla scoperta individuale, in un mondo dove tutto è preconfezionato, è cosa rara e preziosa. Lasciare dunque un po’ di spazio anche all’imprevisto era una formula vincente: del resto questo l’aveva già insegnato Bruce Chatwin, che portava all’estremo questa filosofia.

Uadi di Azel

Erano un po’ di anni che Piero e Marina insistevano con Nella e con me per fare un viaggio assieme, per conoscere anche un po’ meglio l’Africa oltre la “solita” Asia. Il mio ritorno con Nella, salutato con grande entusiasmo da tutti i nostri amici, generò anche la voglia di fare un viaggio assieme: di puro piacere, però, non di lavoro come eravamo abituati a fare.

Cascades de Timia

Altra novità che un po’ mi aveva sempre frenato era la necessità che il Niger dovesse essere visitato con i fuoristrada… non c’ero abituato, non era mai stato nelle mie corde un tipo di viaggio come quello. Un altro dubbio poteva nascere dai compagni di viaggio: Spazi d’Avventura era un’agenzia che non poteva certo fare la schizzinosa nell’accettare o meno la presenza di certi “viaggiatori”. Ma in questo caso non ce ne preoccupammo proprio, perché la maggioranza dei partecipanti era costituita dal nucleo iniziale del nostro viaggio nel Sikkim del 1977: la famiglia Carones al gran completo.

Pastore nei pressi delle Cascades de Timia

Del gruppo faceva parte anche il commercialista Paolo Vajno con moglie e figli, oltre naturalmente al simpatico “ragazzo tutto fare” Andrea Gusti, dello staff. Sapevo che non sarebbe stato un viaggio arrampicatorio: non ci sarebbe stato il tempo materiale per fare scalate di un certo livello. Quindi, al motto “non si sa mai”, mi accontentai di portare con me le scarpette, una corda, qualche chiodo e friend, oltre all’imbrago.

Di montagna però ne avremmo vista parecchia, principalmente i rilievi dell’Air. Mi tuffai nello studio almeno dell’orografia del Niger.

Campo a Kogo (Montagne Blu)

L’Air
L’Air è un massiccio vulcanico sahariano, lungo 360 km da nord a sud e largo in media 140 km; occupa pertanto un’area di circa 50.000 kmq, compresa totalmente nello stato del Niger. A nord è la regione del Tassili dell’Hoggar; a est è il deserto del Ténéré con le montagne che di colpo si affondano nella sabbia; a ovest la pianura del Talak, sempre desertica ma meno arida del Ténéré e verso la quale l’altopiano degrada lentamente; a sud la steppa che divide il Sahara dalla Nigeria e dalla quale sorgono le rocce sedimentarie del Tiguidit.

Piero Ravà, il Capo. Campo di Kogo, 29 dicembre 1984

Le montagne interessanti per l’alpinista sono con­centrate soprattutto in un triangolo con base nord-sud di circa 200 km e vertice di 150 km spinto verso il Ténéré, con quote com­prese fra i 1200 e i 1800 metri. All’estremo nord vi è un’altra zona di 40X50 km circa, con la cima più alta di tutto il massiccio: il Gréboun 2310 m.

I primi europei di cui si sa con certezza abbiano attraversato il massiccio, alla metà del XIX secolo, sono John Richardson, Adolf Overweg e il più famoso Heinrich Barth. Seguì nel 1877 Erwin von Bary, poi nel 1881 passò di lì la sfortunata missione di Paul Flat­ters, massacrata dai tuareg sulla via del ritorno. Nel 1899-1900 visitò l’Air an­che la missione guidata da Fernand Foureau e Amédée-François Lamy, e nel 1910 la missione di Henri Cortier, che stese la prima mappa della regione. Ma solo nel 1922 e nel 1927 tre geografi inglesi, Francis e Peter Rodd e Augustine Courtauld, salirono alcune cime facili nel Gruppo di Todra.

Carovana in partenza

Fino al 1967 l’alpinismo in Air è poco più che una pagina bianca, se si eccettua la pubblicizzata ma facile salita di Roger Frison-Roche al Gréboun nel 1960: che non fu una prima comunque, visto che lo stesso Frison-Roche in vetta trovò un grande ometto di pietre. Egli impiegò poi parecchio tempo a capire chi per primo era stato lassù. L’ascensione del Greboun era stata realizzata il 7, 8 e 9 giugno 1943 dal celebre esploratore e geologo Conrad Kilian.

La fierezza degli Uomini Blu

Due uniche piste percorrono l’Air da sud a nord; il bivio è circa a 60 km da Agadez e il punto di ricongiungimento Iferouane. La prima pista segue l’altopiano sul lato ovest, la seconda, tenendosi più a est, attraversa le montagne senza però inoltrarsi nei gruppi verso il Ténéré. Ambedue le piste, specie la seconda, sono difficili e percorribili solo con fuoristrada a doppia trazione, con le quali è comunque spesso possibile seguire anche le piste cammelliere che si inoltrano nelle altre vallate del massiccio. La pista esterna da Agadez a Iferouane è lunga 320 km, quella interna 420.

Le ultime dune prima del grande piatto del Ténéré

Le montagne sono di roccia vulcanica, a volte articolate in cime, altre a forma di poderosi altopiani con ripide pareti esterne incise da gole, altre ancora a mucchi di massi arrotondati. Le caratteristiche più evidente della loro morfologia sono le gigantesche placche granitiche perfettamente levigate e solcate da lunghe fessure verticali e orizzontali. Lo strato superiore della roccia è a volte compatto, altre formato da una friabile pellicola superficiale forte­mente erosa dai venti e dagli sbalzi di tem­peratura.

Alessandro Carones. Il Niger gli sarà fatale 18 anni dopo: salterà su una mina assieme a Ettore Pagani e Marilena Carones.

I principali gruppi montuosi, partendo da sud, sono: Todra, Baghzan, Bilet, Aroua, Aroyan (o Timia), Tagha, Agalak, Tchimourou (o Aggata), Mazet, Angornakouer, Goundai, On­rone Nejet (o Agellal), Eghergher, Zagado, Takolokouzet, Enfoud (o Temagarit), El Rha­rous, Taghmeurt, Tamgak nella parte centro meridionale, e Tarazit (o Gréboun) nel nord.

Ornella Antonioli

Il viaggio
Mi è un po’ difficile raccontare, a tanti anni di distanza, un viaggio fatto di sensazioni, colori, odori: dove la solitudine dei luoghi era rotta dal nostro passaggio e la si poteva ripristinare solo con passeggiate solitarie. L’azione fisica è stata la grande assente, fatto per me inusuale.

Il Kogo

La bellezza dei luoghi e i rari incontri con la gente del luogo, primi fra tutti i tuareg, avrebbero in teoria dovuto favorire isolamento e concentrazione. Ma in pratica era difficile stare con se stessi, vuoi perché la compagnia era simpatica e piacevole, vuoi per la totale assenza di uno spirito religioso di quelle terre che incoraggiasse la meditazione. Solitudine e silenzio del deserto sono sottolineati da colori uniformi, spesso però assai variegati: una contraddizione a volte esplosiva a volte esasperante, con il coro del grande silenzio.

I disegni della luce
Ornella Antonioli

I tuareg al nostro servizio, cuoco e autisti, con i quali conversavamo facilmente in francese, erano assai simpatici e gentili. Anche con loro ci fu il solito scambio di indirizzi e di promesse che sapevamo non avremmo mai mantenute… mi riferisco alle fotografie da spedire loro piuttosto che un saluto annuale. Una delle tante buone abitudini che avremmo potuto prendere.

Alessandro Gogna
Succede abbastanza spesso che un’auto s’insabbi.

Iniziammo a muoverci da Agadez il 26 dicembre, dopo un Natale festeggiato tra di noi in terra islamica. Il mio diario, davvero scarno in quei giorni, mi ricorda che tutti assieme, a metà giornata, abbiamo salito un rilievo a est dell’Uadi di Azel. Dopo la colazione (una specie di rito), si partiva e si viaggiava più o meno per tre ore. Quindi sosta per il pranzo, con tanto di accensione del fuoco per cucinare; quindi ancora altre tre orette di guida per arrivare al campo serale. I luoghi tappa erano abbastanza prefissati, ma una volta giunti in luogo c’era da scegliere sempre tra diverse sistemazioni. E io non ho mai capito quale fosse la ratio che faceva preferire un posto ad un altro a poche decine di metri. Mi hanno spiegato: il vento, la protezione da sguardi altrui. Ma a me non sembrava che ci fossero grandi differenze. Eppure ogni volta, gli autisti attendevano con timore e rispetto le decisioni del capo, Monsieur Pierò.

Senza
Con

La cena richiedeva sempre di coprirsi con giacca imbottita e, assieme alla colazione, era forse il momento di maggiore convivialità. Ci condividevamo le impressioni della giornata, si rideva e si scherzava. Chiedevamo anche lumi sul giorno dopo. Il terreno non era ancora sabbioso: viaggiavamo sulla dura e polverosa pista occidentale dell’Air, in un paesaggio arido quanto roccioso.
il 27 oltrepassammo lo sparuto villaggio di Elmaki e, in corrispondenza della sosta lunch, con Nella riuscii a salire un’altra montagnetta, questa volta di nero basalto.

Traversata del Ténéré: verso la fine s’intravvede tremolante la sagoma del rilievo di Grein.
La partita a pallone prima della notte di Capodanno

Il 28 raggiungemmo Timia, un villaggio provvisto delle rovine di un forte. Il 29 ci trovammo in una zona dove la sabbia stava prendendo il sopravvento: bellissima la salita del Kogo, un rilievo caratterizzato da mucchi di sassi bianchi accatastati. Andammo in cima tutti assieme.

In cima alla torre, lunch-time alla Falaise de Dissilak

Il 30 dicembre entrammo nel piatto deserto del Ténéré, dove esistono solo terreno completamente piatto, orizzonte e cielo. Nessuna linea curva, nessuna variazione di colore dovuta alle forme: solo la trasformazione cromatica dovuta allo scorrere delle lancette dell’orologio. Di notte il cielo era così stellato che ci sembrava irreale. Viaggiavamo verso est verificando la direzione con la bussola, nella totale mancanza di punti di riferimento. Stesse modalità il 31, con la variante che alla sera disputammo tutti assieme una partita di calcio. I festeggiamenti per l’anno nuovo che incominciava furono sottolineati da un riproduttore di musicassette alimentato dalle batterie di una Land Rover, al suono trionfale di We are the champions dei Queen.

Era la prima volta che ero costretto ad ascoltarli ripetutamente, infatti li conoscevo ma non mi erano mai piaciuti. Anche dopo, pur riconoscendo la bravura e l’originalità di certi suoi pezzi, Freddie Mercury continuò a non andarmi troppo a genio.

La sera di San Silvestro comunque feci buon viso a cattivo gioco e anch’io cantai a squarciagola quella specie di improbabile karaoke all’aperto, nell’allegria più sfrenata che aveva contagiato tutti.

Lunch-time alla Falaise de Dissilak, 1 gennaio 1985
Orida

Il primo di gennaio oltrepassammo, dopo averlo anche salito a piedi, il rilievo di Grein che, non pare, ma raggiunge la quota di 505 m. A mezzogiorno eravamo alla Falaise de Dissilak, finalmente di nuovo qualche roccia da guardare. Anche qui approfittai della sosta lunch per salire da solo su un bel torrione, anche per fare qualche foto. Pochi metri di IV grado.

Orida
La fortezza di Djado

A fine pomeriggio eravamo nel cuore dei mitici Faraglioni di Orida. Situato sul Plateau du Djado, Orida è un luogo sorprendente e indimenticabile, con quei torrioni di roccia che sorgono dal nulla che sembrano vegliare sui pericoli che possono venire dal Ténéré. Con Nella feci a tempo a salire per la via più facile (I e II) su quello che era il Primo Torrione. Nessuno seppe dirmi se c’era un nome o se qualcuno aveva già aperto qualche itinerario.

Ornella Antonioli
Sara

Il 2, quasi saltando la colazione, costrinsi Nella a seguirmi sul Secondo Torrione, anche qui scegliendo l’itinerario più facile, ma questa volta dovendo affrontare anche del IV grado. Più che altro avevamo fretta, non volevamo far aspettare nessuno, perché la giornata era piena di cose belle da vedere.

Il Plateau du Djado è caratterizzato da due città morte: Djado (e la sua cittadella turca del XVIII secolo) e Djaba (e il suo villaggio-fortino berbero, il ksar), separate da una decina di km.

Seguedine
Bilma
Bilma

Dopo l’estenuante posto di blocco di Chirfa (controllo passaporti) potemmo finalmente ripartire per Sara, poi Aney (altro forte in rovina) e infine Seguedine, un villaggio che ci sembrò al limite della sopravvivenza.

La mattina del 3 gennaio, tra i colori splendidi dell’alba, un’antilope del deserto attraversò nei pressi del nostro campo. Partimmo alla volta di Dirkou, dove c’è un mercato, povero ma ancora vivo. Continuammo per raggiungere l’oasi di Bilma, famosa per le sue saline. Ricordo che alla sera il cuoco distribuì ai bambini il resto della nostra cena.

La scuola di Bilma
Le saline di Bilma
Marina Ravà e il figlio Tommaso

Il 4 gennaio non facemmo una tappa della solita lunghezza. Ci arrestò un guasto a un’auto che i tuareg dovettero riparare alla meglio. Ci fermammo a una sessantina di km prima di Fachi. Ormai eravamo nel cuore della via dell’Azalaï, leggendaria per le carovane del sale che la percorrono (oggi tristemente affollata dai gruppi di migranti destinati all’inferno libico con la promessa del paradiso, non prima di aver attraversato la Grande Acqua). Il 5 riuscimmo a ripartire, anche se ad andatura ridotta. Ci fermammo all’Albero del Ténéré, che non è più un albero ma una scultura davvero brutta di metallo. Il vero Albero del Ténéré è al museo di Niamey: un camion lo aveva abbattuto in un incidente nel 1973!

Una carovana sulla via dell’Azalaï
L’Albero del Ténéré

Sostanzialmente eravamo in ritardo e questo aumentò ancora durante l’ultima tratta fino ad Agadez, dove arrivammo alla sera del 6 gennaio. Avevamo perso l’aereo per Niamey, dunque il 7 percorremmo in auto i 911 km che separano la capitale da Agadez.

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Viaggio in Niger ultima modifica: 2023-03-25T05:19:00+01:00 da GognaBlog

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6 pensieri su “Viaggio in Niger”

  1. Lorenzo (Merlo), dove sei? Sei non commenti un viaggio in Niger, che commenti?
     
    N.B. A parte gli scherzi, tutto bene? 

  2. Che belle foto! Nessuno può confrontarsi con i divini Pink Floyd. Ma “I want to climb forever” è proprio bella, soprattutto per un quasi ottantenne.

  3. Un viaggio dentro le più antiche rocce del pianeta oggi trasformate e quasi totalmente  sgretolate in sabbia ,memoria geomorfologica importante del pianeta per far riflettere sul quanto siamo piccoli e brevi.
    Foto da concorso.
    Concordo pure io sui Queen ,una band che unendo rock e pop ha agevolato e moltiplicato i soldi di chi investiva su i loro dischi e il nuovo genere…forse per molti loro fan i loro pezzi sono  capolavori in quanto colonne sonore molto orecchiabili ed utilizzate ma molto effimeri nella sostanza. 

  4. … ecco come rompersi il fondoschiena macinando migliaia di km seduti per ore e giorni dentro una scatola metallica fracassona e traballante …un genere di turismo “organizzato” stile i viaggi di avventure nel mondo …dove l’unica avventura è cercare di trombarsi  le/i compagne/i di viaggio…

  5. Grandi i Ravà. Credo non esista un’agenzia viaggi a conduzione familiare come la loro. Ho avuto il privilegio di lavorarci, scalare con Piero e Rocco e quello di frequentarci ogni tanto. Belle persone!
     
    Concordo sui Queen. Bravi, bella musica ma non mi hanno mai fatto impazzire.

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