Yvon Chouinard pescatore in Valtellina

Yvon Chouinard pescatore in Valtellina
di Valter Bianchini

Introduzione
di Giuseppe Popi Miotti

Recentemente c’è stata parecchia maretta in merito a questioni ambientali e “culturali” tipo eliski, funivia del monte Bianco, reality alpini e altro. La violenza di alcuni commenti fa trapelare un disagio palese e sembra voler mascherare la mancanza di validi argomenti, a sostegno delle proprie idee.

E’ stato anche piuttosto penoso veder nascere il balletto di chi ha fatto o non ha fatto cosa, di chi fa la guida e chi no, di chi è da considerarsi un grande alpinista e chi no, di chi si batte contro la TAV e chi no… Tutti hanno fatto sbagli, ma c’è stato chi, forse anche rendendosi conto degli errori commessi, ha provato a cambiare, ha provato a indicare nuove strade. In alcuni casi per mostrare pubblicamente il cambio di passo si sono scelte manifestazioni eclatanti, forse fin troppo; ma se si è piccoli è a volte opportuno fare più chiasso della norma.

Yvon Chouinard sul Diamond Couloir al Mount Kenya, passo chiave
Chouinard Diamond Couloir al Mount Kenya, passo chiave

Saltando qua è là per i vari blog, ciò che mi ha stupito di più è la posizione di alcuni che sembrano giustificare quelli che io chiamo “spadroneggiamenti” sull’ambiente, col fatto che in confronto a tragedie ben più gravi, vedi la fame, l’inquinamento globale e quasi istituzionalizzato, il dramma del lavoro minorile, del traffico di organi e di esseri umani, la TAV, in fin dei conti si tratta di episodi marginali.

Chiunque abbia un minimo di coscienza etica vive con disagio queste questioni anche se apparentemente di scarsa importanza. Io stesso molte volte mi sono posto il quesito: spit sì o spit no? scrivere o non scrivere di questo o quel luogo ancora sconosciuto? esprimermi a favore o contro questa o quella iniziativa? Non nascondo neppure che a volte sono stato seriamente tentato di commettere qualche “strappo alla regola” e che più che la volontà me lo ha impedito il caso.

Evidentemente la montagna moderna ha bisogno del turismo e alla luce di questa considerazione non mi sono mai definito un ecologista puro e duro perché sapevo che il mio pane quotidiano derivava anche da trasformazioni del territorio più o meno profonde e dalla necessità di farne a volte merce da esporre.

Detto questo ho sempre cercato di muovermi in punta di piedi e possibilmente con coerenza: non potevo e non posso far nulla contro gli impianti di sci esistenti, ma potevo e posso dissentire con quelli in progetto, lo stesso dicasi per le captazioni idroelettriche o per altre opere e iniziative chiaramente speculative. In nome del detto che il fuoco si combatte col fuoco ho proposto un assennato “restauro” delle vie classiche più frequentate con spit alle soste e nei punti improteggibili con nut e friend anche allo scopo difenderle da qualche super dura super direttissima che a forza di spit si potrebbe sovrapporre ad esse facendole dimenticare.

Pur rendendomi conto delle contraddizioni e della deriva non ho mai smesso di oppormi pubblicamente e ho fatto udire la mia voce in tutti i modi possibili. Perché l’ho fatto? Un po’ perché mi sono accorto che sebbene apparentemente vani, i miei continui interventi hanno portato qualche impercettibile risultato ma, soprattutto, perché restasse traccia di un dissenso.

Yvon Chouinard su Luna Nascente, Val di Mello. 1 giugno 1980
Yvon Chouinard su Luna Nascente, Val di Mello.

Ecco perché ho ripetutamente detto e scritto che chi trae beneficio dal turismo montano dovrebbe anche essere un elemento decisivo per molte scelte fatte sul territorio e dovrebbe anche aiutare a pilotare una sua evoluzione, la meno invasiva e distruttiva possibile. Si tratta quindi anche di un impegno profondamente culturale, diversamente, ma non meno faticoso di quello richiesto da un’ascensione.

Credo che tutti noi possiamo fare la nostra minuscola parte rinunciando se possibile a manifestazioni muscolari e spettacolari che magari portano anche poco in termini economici; penso ad esempio che si potrebbe rinunciare a una forma di turismo come l’eliski proprio per non gravare ulteriormente su un ambiente che in alcune zone è già assalito dagli impianti.

E’ strano come alcuni difensori di questa attività siano poi coloro che propongono una rete sentieristica senza segnaletica per conservare il terreno d’avventura o per lo stesso motivo, con in più quello della “protezione della storicità”, si oppongono alla spittatura delle soste su vie di grande percorrenza.

E’ strano come si dica che l’eliski è meglio degli impianti e poi però, in netta contraddizione, si benedicano anche questi ultimi: vedi affermazioni di Cesare Cesa Bianchi. E’ strano che qualcuno esalti Yvon Chouinard per poi contraddirsi subito dopo scagliandosi contro chi si comporta esattamente come il padre di Patagonia: sappiamo tutti di essere in contraddizione, di avere il SUV, di sprecare carburante, di eccedere nei consumi, ma per fortuna c’è chi, come Chouinard, prova con i mezzi che ha a non abbandonarsi nel flusso che ci trascina indicando acque più percorribili senza lagnarsi troppo dei passeggeri ignari che allegramente proseguono la “crociera” o di quelli che addirittura continuano a pagaiare in favore di corrente.

L’articolo che segue è stato scritto dall’amico Valter Bianchini: un pescatore!!!

 


Yvon Chouinard, capitalista controvoglia per salvare il pianeta
di Valter Bianchini

Non si scappa, l’età adulta è il momento della disillusione. Cominci ad accorgerti che molte tra le ricche star che si battono contro la fame nel Mondo, a metà mattina stringono la mano al Dalai Lama e poi se ne vanno su un jet privato, molte ONG spendono più denaro per marketing e autoproduzione che non per salvare persone, e l’impegno nelle energie rinnovabili serve a società multimilionarie per comprare certificati verdi che gli consentiranno poi di fare business in settori molto remunerativi.

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Nonostante tutto continuiamo ad avere bisogno di credere nei sogni e di personaggi che li rappresentino. E quando uno dei miti del capitalismo responsabile più osannati a livello mondiale viene a pescare in Valtellina, beh questa è un’occasione da non perdere.

Avevo letto la sua autobiografia Let my people go surfing qualche anno fa e ne ero rimasto affascinato, ma mai avrei potuto immaginare che un giorno mi ci sarei trovato a tu per tu.

Chouinard su ghiaccio
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La persona che scende dal fuoristrada di Mauro Mazzo – suo amico e compagno di pesca – è Yvon Chouinard: alpinista e arrampicatore di fama mondiale, pescatore, kayaker, surfista ma non solo. Quest’uomo tutto fare di origini franco-canadesi, trasferitosi in California con la famiglia nel 1947 all’età di nove anni, è anche, assieme alla moglie, il fondatore e proprietario di Patagonia, l’azienda che la prestigiosa rivista di business globali Fortune ha definito la più cool del pianeta. Di bassa statura e fisico robusto, 76 anni ma non li dimostra, abbronzato e abbigliamento casual “molto usato”, colpisce da subito per la sua cordialità e straordinaria semplicità, non ricorda affatto il classico yankee un po’ spaccone dell’immaginario collettivo, si potrebbe al più scambiarlo per un simpatico nonno come ne incontri tanti a passeggio. Chouinard è appena reduce dalla traversata atlantica ma non vede l’ora di andare a pescare, dice che si riposerà in questo modo. Nell’atrio della nostra sede si imbatte nelle fotografie appese al muro della buonanima dell’Andrea Della Bosca con la canna in bamboo in spalla e, indicandola, esclama: “Usava la tenkara!“. Che poi guarda caso è l’antichissima tecnica di pesca a mosca alla quale ha dedicato il suo ultimo libro e che consisteva nell’utilizzare esclusivamente una canna senza mulinello e una lenza in crine di cavallo a cui legare le moschette.

Commenta stupito anche le immagini delle enormi trote lacustri che risalivano l’Adda dal lago di Como. Gli dico che tanti anni fa la costruzione di una diga ha rotto quell’incantesimo. Una delle tante “dannate dighe” – come le definisce lui che ci ha speso una vita contro – fino al punto di investire una montagna di dollari in una campagna di opinione che alla fine ha costretto il suo governo a buttarne giù una, la grande Edwards Dam, consentendo in tal modo la rinascita del fiume e il ritorno dei salmoni.

Ma anche spenderne altrettanti per produrre il recente bellissimo documentario DamNation, che denuncia l’antieconomicità di strutture siffatte a fronte dei gravi danni ambientali causati.

Eh sì, perché quando gli dico che in Valtellina, di dighe, ne abbiamo sopra le nostre teste cinquantotto, lui sorride amaramente e per nulla stupito mi informa che negli Stati Uniti, escluse quelle minori, loro ne hanno 80 mila di cui ormai migliaia in disuso. Chouinard si fermerà una settimana in Italia, pescando e lavorando, perché da quando è in affari metà del suo tempo lo dedica agli sport che ama, l’altra metà incontrando i suoi manager in giro per il mondo. Non è che la cosa lo entusiasmi granché, infatti è nota la sua filosofia in proposito, la chiama “gestire in assenza”, che poi sta a significare che lui se ne va in giro anche per mesi testando di persona i suoi prodotti e i suoi dipendenti devono sapersela cavare. In piccola parte conosce già la Valtellina per aver arrampicato in Val di Mello negli anni ‘70 con Alessandro Gogna: “Io ero spericolato, ma lui lo era ancora di più” ebbe a confidare a Mauro. E proprio grazie a lui da qualche anno ha scoperto che nel nord Italia non ci sono solo pareti da scalare, ma anche fiumi per pescare.

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Nel suo ultimo libro ammette di non averlo mai ritenuto possibile. Abituato a rifugiarsi nei grandi spazi incontaminati che restano a questo mondo, dal Nord America alla Terra del Fuoco, non si sarebbe mai immaginato che nell’Adda, ferita da arginature artificiali, briglie e traverse, stretta nella morsa di una edificazione spesso insensata, vi potessero essere trote e temoli di dimensioni anche ragguardevoli. Adesso che lo sa, quando viene in Europa e il tempo glielo consente, fa un salto in Valtellina dove ha scoperto anche il valore aggiunto di pizzoccheri, polenta e bresaola, e in più delle nostre cantine che dalle sue parti, nella Napa Valley, così belle se le sognano. Insieme sul fiume la domenica mattina osservo: “Yvon, oggi ci sono tanti pescatori“. Mi risponde: “Perché, non si lavora in Italia il lunedì?“. Chouinard è così, ho la conferma di quel che dicono di lui, è proprio un uomo libero di testa. Non porta orologio, non ha lo smartphone, quando è in giro per il mondo a rassicurare la moglie a casa ci devono pensare i compagni di viaggio.

Che sia anche un pescatore “vero” ci vuole poco a capirlo. Giubbetto superusato e scarponi consumati rendono l’idea di uno che pesca appena può, cioè molto. Capisci al volo che non lo devi disturbare più di tanto perché pesca con determinazione, senza dire una parola che non sia la richiesta di un consiglio all’amico sulla ninfa da usare o un breve commento. Non si siede a riposare, non si perde in chiacchiere tanto per far passare il tempo. Penseresti che uno così, che gira il mondo inseguendo i più bei pesci che esistano, in fondo si potrebbe permettere di prendere la pesca alla trota o al temolo con una certa sufficienza, magari in attesa che venga l’ora della cena che si gode nella solita ottima trattoria tra i vigneti del tiranese confuso tra gli altri avventori. Invece no, lo vedi fare smorfie di disappunto anche quando perde pesci di modeste dimensioni.

Yvon Chouinard con la moglie Malinda e il figlio Fletcher nel 1975. Sullo sfondo la parete del Capitan (Foto Patagonia)
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La percezione del rischio dei grandi alpinisti è un po’ diversa da quella dei comuni mortali e Chouinard è famoso anche per la sua freddezza nelle situazioni difficili. Non smentisce questa fama quando si immerge nella corrente forte di un sottoriva per liberare la lenza e lì ci resta, impassibile, come se avesse i piedi piombati, fin quando non ci riesce. Mentre io lo guardo allibito e preoccupato. Mauro scuote la testa e mi dice che non si può nemmeno invitarlo alla prudenza se no si incavola, deve sentirsi libero di fare ciò che vuole. Quella libertà che è la prima regola anche al suo quartier generale a Ventura, California: se c’è l’onda giusta i dipendenti vanno a fare surf in orario d’ufficio. Se la “sua gente” è libera lavorerà meglio e sarà stimolata a raggiungere gli obiettivi.

Yvon ha sempre vissuto con grande semplicità mirando solo alla sostanza. Come le sue idee, e la sua azienda fondata sull’innovazione e l’alta qualità dei prodotti, la prima in materia di business ecocompatibile, che vanta oggi un fatturato di 320 milioni di dollari: «Sono un imprenditore da quasi cinquantanni. Mi riesce difficile pronunciare queste parole, come per qualcuno ammettere di essere un alcolista o un avvocato. Non ho mai stimato questa professione“. Esordisce così in Let My People Go Surfing. Invece, suo malgrado, è diventato proprio un grande imprenditore. Nonostante gli affari, Chouinard ha speso gran parte della vita nella natura: “Io non ho mai comprato una tenda fino a 40 anni, potrei sempre trovare una grotta, o un albero, o stare fuori al vento” rispose a un amico di spedizione stupito di quanto poco portasse con sé.

Da giovane imparò a conoscere la montagna addestrando falchi: lui e i suoi amici la scendevano con le corde per raggiungere i nidi. Poi cominciarono a divertirsi nel risalirla e nel giro di qualche anno divenne uno dei protagonisti dell’età dell’oro delle scalate nella Yosemite Valley.

Ai tempi capitava che sparisse dalla circolazione e i suoi familiari non sapessero dove si fosse cacciato. Lo capirono il giorno in cui una troupe televisiva inquadrò dall’elicottero l’impressionante parete verticale di El Capitan, dove lui se ne stava appollaiato in un’amaca. A fine anni ’50 imparò il mestiere di fabbro e iniziò con il forgiarsi da solo i chiodi da arrampicata, li caricava in auto e li vendeva alla base delle pareti rocciose. La sua attrezzatura ebbe presto successo, grazie alla qualità dell’acciaio, tanto che nel 1964 fondò con un amico la società Chouinard Equipment, che divenne il più grande venditore di materiale da scalata degli Stati Uniti. Però i due ben presto si resero conto che quel tipo di chiodi rovinava la roccia.

L’officina negozio di Chouinard a Ventura (CA) nel 1966 (Foto di Tom Frost)
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All’inizio degli anni ‘70 – ricorda Chouinard nei suoi scritti – decidemmo quindi di sospendere la produzione per proporre, due anni dopo, attrezzature per l’arrampicata pulita, che si mettono e tolgono semplicemente con le mani senza danneggiare le pareti, con la volontà di rispettare l’integrità della roccia“. Ancora oggi questo tipo di materiale è all’avanguardia. Le stesse idee di ecologia hanno poi spinto Chouinard, all’età di 35 anni, a fondare Patagonia, allargando gli affari alla produzione di vestiario ecocompatibile per l’outdoor tramite l’utilizzo del cotone organico e delle fibre ricavate dalle bottiglie di plastica usate. Una vera scommessa, perché i capi così prodotti costano di più ma il mercato lo ha premiato decretando il successo del marchio. La cosa incredibile è che quando iniziò insieme ai suoi collaboratori – nessuno dei quali aveva una benché minima infarinatura di economia – non volevano fare soldi ma solo divertirsi inventandosi giorno per giorno il lavoro che più li appassionava. E che sia un capitalista molto sui generis a capo di una grande azienda dalla filosofia altrettanto originale, lo testimoniano anche le scarsissime campagne pubblicitarie che non invitano certo all’acquisto. Quante aziende avrebbero il coraggio di scrivere sul proprio catalogo: «Più sai, meno attrezzatura ti serve» oppure la frase di Henry David Thoreau «Diffida delle imprese che richiedono vestiti nuovi». Solo furbizie del marketing, dirà qualcuno, ma così non pare proprio. L’azienda, che per precisa scelta non è quotata in borsa, devolve non meno dell’1% del fatturato annuo a progetti ambientali, quasi 7 milioni di dollari nel solo anno fiscale 2014.

In Valtellina, Yvon Chouinard e Valter Bianchini, presidente UPS (Unione Pesca Sondrio). Foto: Adamo Corvi
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Da un’iniziativa di Chouinard è nata anche For the Planet, un’associazione di imprese che sovvenzionano organizzazioni ambientali in tutto il mondo, comprano foreste per sottrarle al disboscamento, grandi aree per proteggervi gli animali e campagne a difesa delle specie in pericolo.

Per me – dice – la soluzione ai problemi della Terra è semplice: dobbiamo fare qualcosa, se non possiamo farlo direttamente, dobbiamo mettere mano al portafoglio. Il momento più traumatico è quando si firma il primo assegno, ma sapete una cosa? Il giorno seguente le cose vanno avanti: il telefono continua a squillare, il mangiare è in tavola e il mondo è un po’ migliore“.

Infatti Chouinard dichiara ai quattro venti che Patagonia esiste per fare qualcosa di buono, per fare soldi e darli a chi lavora per salvare il pianeta, per dimostrare che anche il business può essere fatto in modo corretto. E lui vuole che si sappia: “Sono in affari solo per salvare la Terra. Sarà il sistema intero a fare bancarotta se non diventerà verde». Ecco, magari ne nascesse uno così in Italia, anche solo per sbaglio.

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Yvon Chouinard pescatore in Valtellina ultima modifica: 2016-04-24T06:00:30+02:00 da GognaBlog

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3 pensieri su “Yvon Chouinard pescatore in Valtellina”

  1. “North American Wall” VI, 5.8 A3

    qui il materiale inventato e costruito da Chouinard fece la differenza.

  2. chouinard è sempre stato un mio mito, sin da quando avevo i suoi bong con la c dentro al diamante come logo, quando la black diamond era di la da venire e sbavavo sul suo libro “salire su ghiaccio” .

    magari non sarà un filantropo ma ha spesso dimostrato con i fatti che si può essere iprenditori senza essere necessariamente dei banditi.

    un grande, in montagna e in pianura.

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