Trad climbing e l’illusione di preservare la roccia

Trad climbing e l’illusione di preservare la roccia
di Pietro Garanzini

Negli ultimi anni c’è stato il boom del Trad climbing, come amiamo chiamare questo tipo d’arrampicata. Però il Trad viene inteso, magari non da tutti ma da moltissimi, non solo l’arrampicare senza l’uso degli spit come mezzo di protezione, ma un vero e proprio movimento per preservare la roccia.

Ma cosa sta significa in realtà Trad climbing?

Traditional climbing, o trad climbing, è uno stile di arrampicata su roccia nel quale un arrampicatore o un gruppo di arrampicatori sistema il necessario materiale per proteggersi dalle cadute, per poi rimuoverlo dopo il passaggio. La definizione di trad climbing distingue dallo sport climbing (arrampicata sportiva), nel quale tutte le protezioni e gli ancoraggi sono fissati in antecedenza, di solito con calata dall’alto… Comunque, gli spit usati sono anch’essi considerati “traditional”, se e solo se piantati in arrampicata dal basso e da capocordata, specialmente nel contesto di placca granitica.

Nelle protezioni considerate tradizionali, sono d’annoverare anche chiodi, bong e copperhead, tanto per fare un esempio. Quindi, uno scalatore può salire in arrampicata libera una via usando solo sistemi di protezione veloce, come può salire lo stesso itinerario in artificiale, posizionando chiodi, copperhead e rimuovendoli poi dopo l’uso. In entrambi i casi si può, anzi si deve, parlare di arrampicata Trad, ma non in entrambi gli esempi c’è un occhio di riguardo nei confronti della roccia.

Quando si pensa al Trad, comunemente, lo si associa alla Yosemite Valley, nell’immaginario collettivo si pensa che sia l’unico vero posto al mondo dove si cerca, prima di tutto, di salvaguardare la roccia.

Anche a Cadarese la ventata del Trad climbing si è mossa parallelamente alla guerra allo spit, per il semplice fatto che dove c’è una fessura non si deve bucare e il motivo è semplice da comprendere, non si deve deturpare la roccia.

Eppure l’arrampicata Trad, se effettuata come su moltissime vie di El Capitan, per esempio, non solo deturpa la roccia, ma ne cambia totalmente i connotati. Pensiamo alla Triple Cracks sullo Shield, il mitico tiro dove Charlie Porter in apertura piantò ben 35 rurp, ora le relazioni indicano di usare many offset cam. Cosa vuol dire? Semplice, a furia di smartellare chiodi nelle fessure, si è passati dall’uso dei rurp ai friend, perché la fessura in questione si è allargata enormemente.

Quindi la tanto decantata arrampicata Trad non preserva la roccia? Effettivamente no.

Gli scalatori degli anni ‘70, notando il problema dell’uso dei chiodi nelle fessure, coniarono il nome per un altro tipo di arrampicata, quella pulita o Clean climbing. Le regole quali sono? Semplice, bisogna scalare usando unicamente protezioni veloci, come nut, friend o tricam. Qualsiasi altra protezione che implichi l’uso del martello per piazzarla e toglierla è bandita.

Quindi ora si comincia a ragionare, se voglio preservare la roccia praticherò il Clean climbing e non il Trad.

La mia domanda ora sorge spontanea, come mai in Europa si parla di Trad e non di Clean? Il quesito non è retorico, me lo sono sempre chiesto, come mi sono sempre domandato come mai si prenda a esempio un luogo come Yosemite, dove la roccia è stata deturpata più che preservata. Mi spiego meglio, perché questa non è una provocazione ma un dato di fatto, moltissime delle vie in artificiale della valle californiana (lì come in numerosi altri posti) non sono salibili senza martello e materiale specifico, quindi per non deturpare la roccia non dovrebbero essere scalate. Negli ultimi tempi, dopo anni e anni di ripetizioni, gli artificialisti più raffinati riescono a passare su alcuni itinerari senza l’uso del martello, utilizzando il materiale rimasto infisso in parete, mettendo nut e friend nei buchi delle schiodature, oltre a saper usare con maestria i cam hook. Inoltre, su moltissime vie di El Cap sono stati aggiunti spit, pensiamo alla Salathè Wall, capolavoro indiscusso del 1961, era stata aperta con soli 13 chiodi a pressione e ora ce ne sono almeno uno o due a quasi tutte le soste. Senza parlare di un opera d’arte come Sea of Dreams, nata con soli 39 buchi, Bridwell disse, senza molta soddisfazione, che già una decina di anni fa ce n’erano più di cento.

I buchi creati dall’uso dei chiodi nelle fessure vengono anche usati come veri e propri appigli per l’arrampicata libera, senza scomodare vie estreme, pensiamo al primo tiro di Serenity Crack, chiunque l’abbia salita comprende ciò di cui si sta parlando.

Quindi il Trad di cui sentiamo continuamente parlare non solo a Cadarese, ma anche in valle dell’Orco, val di Mello come in tutta Europa ha un significato diverso da quello originale o vuole semplicemente tenere il piede in due scarpe? Perché non si può certo parlare di Trad come di una pratica che non deturpa o rovina la roccia. Piuttosto si può associare il Trad a tutte quelle vie che non sono state chiodate dall’alto, in maniera sistematica.

Quindi questa nuova ventata chiamata Arrampicata Trad è di fatto uno stile che in Europa, come in tutto il mondo, si pratica da decine d’anni, o meglio, da quando l’uomo ha cominciato a scalare le montagne e le pareti più difficili.

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Trad climbing e l’illusione di preservare la roccia ultima modifica: 2020-02-08T05:41:40+01:00 da GognaBlog

17 pensieri su “Trad climbing e l’illusione di preservare la roccia”

  1. Il concetto di clean, del non lasciar traccia del passaggio ha dimostrato i suoi limiti proprio laddove nacque. Le fessure slabbrate di Yosemite lo testimoniano. Certo è che il friend non poteva essere usato prima della sua invenzione e quindi incontriamo concetti stilistici ed etici legati, più che altro, a epoche in cui certi aggeggi sono comparsi sulla scena. Il trad si è evoluto ma è sempre esistito, non è affatto un’invenzione di qualche anno fa! Ha saputo coesistere con l’ artificiale a goccia d’acqua, con l’A0 confuso con la libera e con la libera stessa. I praticanti sono sempre stati liberi di scegliere.

  2. Viva PREUSS e, se si preferisce la “sicurezza”, viva DIBONA !
    E quelli che dicono di fare TRAD son farlocchi.
    Si potrebbe anche dire che da alcuni anni qualcuno ha scoperto l’acqua calda per lavarsi.
    Si dovrebbe invece parlare di STILE, ma per far questo si dovrebbe dire COME si è fatta una salita e allora “i re sarebbero nudi”.
    Se si vuole è per questo motivo che la roccia si rompe o si sporca.
    Ma ora solo le chiacchiere danno valore a qualcosa di qualcuno… fra la gente che non può capire nulla perché incapace.
    Viva i FARLOCCHI !  e buon divertimento a tutti… a qualsiasi costo.

  3. Si lo stile Trad è sempre esistito ma oggi lo si associa ad uno stile di arrampicata con l’uso  di materiali ad incastro, con protezioni veloci.
    Penso che sarebbe più corretto parlare  di clean .

  4. Spesso sta a chi ci tiene a promuovere uno stile, di creare delle linee in tal senso, propagandarle in questo modo e tentare di acculturare i ripetitori sull’argomento.

    Questo che scrive Stefano è vero.
    Ultimamente mi sono divertito, a salire in stile TRAD  monotiri da  falesia ad esempio alla piccola falesia della Pietrina a San Vivaldo dove il Verrucano presenta ottime fessure per dadi e frends. Oppure vie di più tiri  ad esempio in Apuane in particolare sul monte Procinto. Qui ho salito diversi itinerari (Dolfi-Rulli, Tropicana, Gamma, Confessioni di una Strega, Effetti Collaterali, Diedro delle Sorprese, ect.)  rendedomi conto, di quanto  la roccia si prestasse bene  a questo stile, molto più di quanto io potessi pensare. Certo l’ingaggio aumenta, ma anche la soddisfazione di poter salire vie oramai super attrezzate  in un’ottica diversa, che anche se conosciute, ti possono regalare emozioni nuove.
    Già parecchi anni fa al Procinto furono aperte vie in questo stile, ma evidentemente la cosa non era matura e tutto finì li. Oggi, anche grazie alle ampie possibilità che ci danno le nuove attrezzature e ad una maggiore consapevolezza, si possono aprire nuove possibilità.

  5. Sono assolutamente d’accordo con Michelazzi sull’approccio realistico e “moderato” al problema. La maggior parte delle persone che arrampica non sono dei mentecatti, come ogni tanto pensa qualcuno su questo blog. Se fai delle proposte che mantegano anche un uso di protezioni naturali veloci dove possibile e lo comunichi adeguatamente se pubblichi le relazioni le persone”normali” ti seguono. Nessuno vuole ammazzarsi o finire in carrozzella (anche se nell’ambiente qualche aspirante suicida c’è) ma nessuno vuole fare una via che assomiglia ad una ferrata o una palestra indoor, altrimenti non arrampicherebbe su una via multipitch. Diverso il discorso nelle falesie, ma di questo abbiamo già discussso.

  6. Concordo in parte con Roberto Pasini. In effetti su salite poco o non chiodate ogni tanto qualcuno ci lascia il segno ma accade anche in USA ed in altre parti del mondo. Discussioni infinite su questi temi ce ne sono da sempre.Spesso sta a chi ci tiene a promuovere uno stile, di creare delle linee in tal senso, propagandarle in questo modo e tentare di acculturare i ripetitori sull’argomento. Si può fare.Nella zona del Garda bresciano qualche anno fa, trovai una bella parete calcarea dove tracciai cinque itinerari in stile moderno (qualche chiodo, rarissimi spit lungo i tiri (uno o due in tutta la via), solo dove i passaggi potevano essere a rischio elevato per i ripetitori e soste o naturali oppure spittate per dare garanzia di tenuta. Un altro itinerario completamente clean dove ho lasciato solo cordoni alle clessidre. Difficoltà differenti per ogni via, che vanno dal 5° al 7°-. Altezza fino a 290 metri quindi non proprio banali… A parte qualcuno che ha messo qualche chiodo in più ( e pure male) che ho levato, tutti i ripetitori (ed è parete stra- frequentata) hanno rispettato e rispettano lo stile d’apertura che consente loro di allenarsi nell’uso delle protezioni veloci  con un minimo di garanzia (non parliamo di sicurezza che mi viene il vomito…).
    In quest’ottica credo sia il caso di continuare per riportare in linea ciò che l’alpinismo ha perso ovvero il gusto del rischio (ingaggio) che altrimenti ne sfata la stessa esistenza.

  7. La questione è antica e risale agli anni ’70/80. La maggior parte di chi arrampica cerca di ridurre il rischio entro margini accettabili (non totali perchè non esistono) per tornare possibilmente integro alle cose davvero importanti (Lavorare e Amare come diceva Freud) e non si turba più di tanto per qualche fix e per soste sicure. Tra un fix ogni metro e scritte/freccine colorate e salite totalmente clean ci sono numerosi gradi intermedi nei quali mi pare si collochi il grosso delle vie multipitch più frequentate. Mantenere totalmente clean le vie quando diventano popolari è molto difficile, almeno da noi, diverso negli USA. Ho trovato vie totalmente clean alla periferia di Boulder, sulle Flatirons.Da noi c’è sempre qualcuno che chioda. Se poi inizia il ciclo chiodare/schiodare si fanno solo disastri estetici e funzionali e si rovinano le relazioni innescando una guerra intestina tra persone che comunque hanno cose in comune. Credo che chi per ragioni varie desidera salire totalmente clean debba rassegrarsi a cercare nuove vie (e sopratutto non farle conoscere) oppure non usare quello che trova. Non dico che sia bello così ma mi sembra quello che realisticamente accadrà e sta già accadendo.

  8. “La mia domanda ora sorge spontanea, come mai in Europa si parla di Trad e non di Clean?”
    Azzardo una risposta: superficialità ignorante?
    Per il resto d’accordo con le considerazioni di Michelazzi e Pasini

  9. Molto chiaro e direi didascalico l’intervento di Stefano Michelazzi!
     

  10. Se parliamo di rispetto ecologico, sarebbe meglio starcene a casa, perchè come si entra in un ambiente, lo modifichiamo. Magari poco ma lo modifichiamo. Do certo dovremo cercare di essere più leggeri possibile, quindi non sporcare lasciando cartacce, cicche, non scrivere sulla roccia, non impiastrare con resina, avere rispetto della vegetazione sulla parete, ridpetto degli animali chd vivono sulla roccia magari evitando di salire in determinati periodi.
    Quanto al TRAD  più che di rispetto ecologico  credo si debba parlare di STILE per non svilire gli itinerari con spittature sistematiche e lasciando spazio alla fantasia,  all’avventura, alla creatività, all’interpretazione.

  11. Trad, clean o classico…semplicemente lo definirei un approccio con coscienza volto a porsi dei limiti. Non è questione di preservare la morfologia della roccia, che comunque si modifica e sgretola da se fregandosene delle nostre considerazioni, ma di rendere il nostro assurdo gioco un po’ più ” pepato” cercando di salire sfruttando le crepe naturali sia per progredire che per proteggersi. Ogni linea ha la sua identità, a volte un banale settimo grado può essere più impegnativo di un 7c. Potrebbe essere una nuova coscienza ecologia che ci obbliga ad accontentarci di ciò che è possibile alle nostre capacità.

  12. Do ragione a Michelazzi: siamo dei pasticcioni, ma amiamo fare i pavoni.
    Domanderei: e imparare a scalare? 
    Forse pochi ormai sono capaci di scalare, forse per mancanza di umiltà e forse per troppo bisogno di mettersi in mostra.
    O forse i brocchi comandano e insegnano dappertutto, compresi i tribunali e cominciando dalle scuole.
    Ma la nostra società va così, però c’è tanto da ridere!

  13. Per evitare di diffondere falsi miti, siamo sicuri sui dati dei soccorsi? L’aumento è stato fortissimo ma non per l’alpinismo, mi sembra. Facendo una rapida ricerchina non ho trovato una serie storica completa ma due dati: nel 2018 gli interventi di soccorso ad alpinisti sono stati 583; nel 2007 erano stati 541. Nella rivista del Corpo Nazionale del Soccorso Alpino dell’aprile 2008 da cui ho ricavato il dato c’è questa considerazione:
    “Un divario molto consistente(tra escursionisti e alpinisti) se si considera che nel 1966, anno in cui disponiamo dei primi dati statistici ufficiali, erano stati compiuti 267interventi di cui 153 ad alpinisti, pari a ben il 57,3%. Da allora il calo per questa categoria è sempre stato costante toccando, se così si può dire, ogni anno un minimo storico”

  14. Al di la delle giuste considerazioni sui soccorsi, concordo a pieno su tutto ciò che Michelazzi esprime nel suo intervento. 
    C’è anche una ulteriore considerazione. Su moltissime vie classiche in dolomiti, la chiodatura è eccessiva e spesso insicura poichè risale ormai a molti anni fa e messa in modo e fessure non sempre buone. Quindi un lavoro di ripulitura e sostituzione con protezione fix sarebbe a mio avviso auspicabile, almeno in quelle più frequentate soprattutto nelle soste.
    Dino Marini
     

  15. Non so che età abbia Michelazzi, immagino più giovane di me, ma concordo pienamente con quello che scrive. L’elicottero del soccorso in questi ultimi anni è spesso in volo, questo la dice lunga sulla possibilità che tutti possono fare tutto e di conseguenza massacrare le pareti con quintali di acciaio. Gian Maria Mandelli 

  16. Facciamo un po’ di chiarezza?
    Innanzitutto in Europa di “clean” si parla eccome, su granito in diverse parti delle Alpi negli ultimi decenni, vista la ricchezza di fessure, moltissime realizzazioni possono definirsi total clean.
    Su dolomia e/o calcare la faccenda è un po’ più complicata ma anche da quelle parti il “clean” è una pratica utilizzata da moltissimi alpinisti.
    Nel 2013 venni premiato in un contest promosso da CAAI e MW definito proprio “Clean Climbing-Arrampicare senza tracce” insieme ai fratelli Franchini e ad Ale Beber.Quindi anche da noi si può e si fa.
    Trad… termine coniato per monotiri da falesia che è dilagato poi sulle via alpinistiche. Da sempre in Dolomiti si aprono vie in questo stile che meno modernamente chiamiamo stile classico, se “scappa” qualche spit per evitare voli mortali allora si parla di stile moderno o sportivo se l’uso del tassello è sistematico. Esistono anche via di tipo misto classico/sportivo con tiri disomogenei nella chiodatura.Già negli anni ’80 nacque un “movimento” di tipo etico nelle zone del nord-est dove lo spit era bandito e l’uso del chiodo limitato al massimo, friends e stopper si trovavano poco, costavano troppo e quindi si limitò l’utilizzo del chiodo in uno stile che si può definire antesignano del clean. Di vie in questo stile ne sono state aperte molte, estremamente rari i chiodi infissi e di conseguenza poche le ripetizioni ed il perché è intuibile.
    Oggi con le protezioni amovibili diventa più tranquilla la faccenda.
    Che i chiodi deturpino comunque la roccia non è una novità, la Marmolada (e non solo quella) ne sa qualcosa, ed in certi casi, potrebbe sembrare assurdo ma un fix-inox che dura cent’anni come minimo, deturpa meno di chiodature e richiodature che distruggono le fessure. 
    Certamente ne modifica lo stile e la pericolosità dei passaggi; i chiodi non sempre garantiscono la tenuta in caso di volo mentre nel 99% dei casi, il fix sì.
    Quindi, a mio parere, più che una questione ecologica è una questione di stile e perciò di maggiore o minore difficoltà d’ingaggio dei tracciati. Senza tralasciare comunque come già scritto, che alcune tipologie di roccia poco permettono nell’uso di protezioni veloci.  Mi preoccupa invece molto di più il fiorire di nuovi itinerari, aperti con uso esagerato di fix al fine di creare vie plaisir ovunque (spesso per incapacità evidente di primi salitori che davanti a clessidre “reggi-nave” piantno tasselli a go-go…) promettendo quindi false garanzie (in montagna si può morire comunque) e trascinando sulle pareti folle di pseudo-alpinisti che, quelli sì, deturpano la roccia untandola e rendendola inscalabile dopo pochi anni. Inoltre cambiando drasticamente la visione del rispetto per l’ambiente che da sempre è stato uno di nodi cardine dell’alpinismo. Cambiando, con la pretesa di addomesticare tutto nella visione che “tutti dobbiamo potere”…  assurdo ed arrogante atteggiamento che di disordini ne sta provocando parecchi, vedi soccorsi a go-go anche per puttanate e via dicendo. 

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