La cena è servita
(scritto nel 1995)
Marco Milani, in compagnia di Marco Spataro e di Franca Antonietti, era ospite dell’Ente Nazionale del Turismo Svizzero: più di una settimana in un elegante ed ovattato albergo di Zuoz, al lavoro per un reportage sullo scialpinismo nelle montagne dei Grigioni da pubblicare sulla nota rivista italiana Airone. Avevamo insistito debolmente per avere un’ospitalità meno signorile, avevamo cercato di spiegare che la maggior parte del tempo l’avremmo passata in alta montagna. Ma non ci ascoltarono e ci confermarono le prenotazioni come figurato nel primo fax. I miei impegni mi costrinsero altrove e così fui costretto a rinunciare a ciò che prometteva di essere davvero piacevole e divertente.
Molte sere le trascorsero come previsto nei rifugi, ma quando nevicava o durante i trasferimenti di zona in zona ecco che i tre tornavano alla base e si ritrovavano nelle lussuose salette dell’albergo in attesa che la cena fosse servita. I rispettabili ospiti dell’albergo, reduci da pacifici anelli sulle piste di fondo, ben profumati e ben rasati, attendevano anche loro: erano però avvolti in una discreta eleganza “tedesca”, a tono con il servizio e il decoro. Ma oggi più nessuno aggrotta il sopracciglio di fronte a qualcosa di potenzialmente stonato. Così tutti facevano finta di niente, anzi probabilmente lo spettacolo di quei tre italiani costituiva un piacevole diversivo alle loro pacate conversazioni. Ai nostri amici, affetti come tutti gli italiani da un complesso di superiorità culinaria, era sempre sembrato che la cucina dei Grigioni, proprio perché montanara, potesse essere definita “modesta”. Non s’immaginavano invece di andare a far conoscenza, complice una fame a volte straziante, con una cucina ben ricca di suggestioni. Vestiti dei loro pile colorati e sportivi e dissertando su dotti quesiti, tipo quanto la tradizione grigionese risenta delle influenze esercitate dalle vicine regioni e quanto sia quindi concreta testimonianza di un passato ricco di scambi non solo commerciali, i tre bricconi divoravano allegri e meticolosi le abbondanti portate e si servivano generosamente di boccali e boccali di birra, talvolta sostituiti da calici di vini locali.
Un piatto semplice e di origini contadine è l’ottima schoppa di giotta, una zuppa molto densa a base di orzo, prezzemolo, rape e aglio tritati da gustare da sola o accompagnata con vari tipi di würstel. La schoppa sutta o chasgatscheddara è invece un piatto tradizionale engadinese. A detta del cameriere, solo recentemente è stato riscoperto: è a base di pane raffermo spalmato di formaggio e cotto nel latte fino a ottenere una massa filamentosa che può essere diluita a piacere con l’aggiunta di altro latte per avere infine una sorta di zuppa. In famiglia e nei ristoranti sono pure cucinati i pizzoccheri e la polenta, che spesso un tempo si trovava a sostituire il pane: ma i nostri amici approfittarono di un uso alternativo di questi due piatti, facendosi servire il plain grass e il capruns. Il primo è ottenuto mescolando farina di mais, farina di frumento, burro e frutta secca, poi fatto cuocere al forno per due ore; il secondo è una sorta di pasticcio di pasta di pizzoccheri, speck e carne tagliata fine, il tutto avvolto in foglie di bietola. Quando la fame raggiunse limiti inusitati, Marco e soci ricorsero al ben collaudato e celebre piatto di rösti, di solito richiesto da italiani in Svizzera con tanto appetito e poca valuta pregiata: sono patate pelate e lessate, poi affettate e arrostite in padella con molto burro. Una variante più ricca e gustosa, cui si aggiunge farina e cottura al forno, è il maluns: lo si accompagna con frutta cotta e caffelatte. Sempre a base di patate è l’Erdapfeltatsch, una sorta di crostata tipica dei Grigioni occidentali.
Fra i piatti importanti di cui si sarebbero certamente approfittati in un soggiorno ancora più lungo e sempre più erudito, possiamo ricordare la zuppa di crema di cetrioli con salmone e il petto d’anatra al miele: per questi si vedrà la prossima volta. Anche le colazioni mattutine, nelle quali l’opulenza del self service salvava da probabili figuracce con i camerieri che invece li servivano alla sera con i guanti bianchi, erano occasione di degustazioni prolungate. Sempre dottamente citando gli influssi delle aree limitrofe, accanto ai vari tipi di würstel classici ecco il Beinwürst, ottenuto da pezzi di garretto e carne di maiale affumicata: alla sera costituiva il migliore accompagnamento alla schoppa di giotta. Dai classici würstel arriviamo alla massima specialità dei Grigioni, la carne essiccata, nota come “carne dei Grigioni” o Bündnerfleisch. È una specie di bresaola ottenuta con un procedimento di base unico ma sul quale si innestano numerose varianti, tenute gelosamente segrete. Si strofina un cosciotto di manzo con sale e una miscela di spezie, fra le quali il pepe e l’aglio, e lo si lascia in salamoia per circa due settimane. In seguito avviene l’essiccazione, tre, quattro mesi in cui, grazie all’aria particolarmente asciutta di questi monti, la carne perde dal 50 all’80% del suo peso. Era questo l’unico mezzo che un tempo si aveva per conservare a lungo la carne; oggi con la produzione industrializzata tale processo viene accorciato, a scapito però del sapore. In certi casi, la “carne dei Grigioni” poteva essere anche affumicata. I nostri amici, con la stessa circospezione usata dai produttori, se ne mettevano in tasca fette e fette da mangiare poi a mezza giornata.
La ricca tavolata mattutina proponeva anche il Salzis, una sorta di cacciatorino a forma quadrata anch’esso assai speziato e affumicato. A fine cena, bisognava fare onore ai dolci. La pasticceria presentava ricche specialità: la torta di noci engadinese, uno strato di noci e miele fra due spesse basi di pastafrolla, era una leccornia molto calorica, ma i nostri ghiottoni non potevano rinunciare ad un’altra “torta dell’Engadina”, ottenuta da un impasto di pasta frolla e mandorle candite con un ripieno di crema fresca. C’erano vari tipi di pane alla frutta secca locale. Particolarmente buoni sono il “pane di pere” e il Birnbrot, più o meno ottenuto come il panettone valtellinese. La tradizione vinicola dei Grigioni è assai antica e proprio la tradizione vuole che il vino preferito dall’imperatore Augusto provenisse da queste zone. Nel Cantone vi sono circa 65 produttori che coltivano 290 ettari a vigneto, producendo quindi una bassa quantità di vino che però in genere è di ottima qualità. Le cronache parlano con certezza di una produzione vinicola a partire dal 765 dopo Cristo. Particolarmente raro è il Completerwein, il cui prezzo esorbitante avvalorò il pudore residuo dei nostri, che assaggiarono invece un rosso corposo, noto come Berliwein, prodotto con la maggior parte della lavorazione dell’uva. A qualcuno non piacque invece il Sussdruck, che è un vino rosato e leggermente frizzantino tutt’altro che dolce. Assai raro e ricercato è anche lo Schillerwein per la cui produzione si usano uve bianche e nere: e anche di questo se ne parlerà la prossima volta.
8