La giostra

Perché ripetiamo la storia? Perché nonostante si spendano a piene mani moniti che essa ci sia maestra, regolarmente si ripete? Perché si crede che il ricordo possa evitare il suo ritorno identico, soltanto formalmente aggiornato secondo il costume del momento? Perché non basta osservarne il carosello per eludere il suo ricorrere?

La giostra
di Lorenzo Merlo
(ekarrrt – 23 giugno 2025)

L’idea che la storia insegni ha un sapore razionalista e meccanicista e, dietro le quinte, una concezione dell’indipendenza dell’intelletto dal Tutto e dell’individuo dai propri sentimenti e dalle proprie emozioni.

Ne consegue una miopia, quando non una cecità, che permette o impone una realtà non solo a propria misura morale, cognitiva, educativa, politica, eccetera, ma anche temporale, che altro non significa se non soggetta al sentimento e alle emozioni presenti in noi nel momento del giudizio.

Prendendo a fondamento l’inconsapevole idea autopoietica che l’intelletto sia l’esclusivo campo della conoscenza, ci si trova facilmente a tessere quest’ultima come una sorta di nastro sempre più lungo detto progresso.

Il punto è qui, in quanto l’uomo, concependo se stesso come entità indipendente e, di conseguenza, dando forma, vita e potere a una cultura a sua immagine e somiglianza, tralascia, quando non abbandona o perfino rinnega, i sentimenti e le emozioni, forze sottili, non misurabili dal suo arrogante metro di Sèvres, che ne costituiscono la natura, le scelte istante per istante, vitanaturaldurante.

Non considerarli, non riconoscerne il potere, che agisce silente anche nelle presunte scelte più razionali, sta alla base dell’arido abbraccio del feticcio razionalista, svista la cui dimensione madornale abortisce le consapevolezze necessarie a riconoscere la permanente parzialità di ogni espressione umana, e quindi dell’origine di ogni conflitto. Nasconde a noi stessi che la realtà è nella relazione e ci convince a crederla fuori da noi.

Non solo. Il marchiano dogma della verità quale destino insito nell’avanzamento della conoscenza a mezzo della ragione e dell’intelletto, a sua stessa insaputa, arriva a far cadere gli uomini nella più crassa delle trappole, ovvero la creduta universalità delle loro idee. Una fede che, come tutte, conduce all’impiego della forza e alla legittimazione della sopraffazione.

È un processo che accade tanto nella minima unità di tempo e di contesto, quanto su scala via via più grande. Vale per le questioni cosiddette risibili, quanto per quelle relative ai cosiddetti massimi sistemi.

Mazzola o Rivera? Genocidio nazista o sionista?

Al bar, nei salotti, in tv, e nelle stanze ovali, può cambiare l’oggetto del contendere, ma mai viene meno la dinamica innescata dall’inconsapevolezza della parzialità che ci costituisce.

Così la storia, svuotata da sentimenti ed emozioni e imbalsamata di ratione, è in bella mostra, esposta nella bacheca dei trofei della sconsolante cultura in cui galleggiamo come relitti senza rotta, in balia della nostra arroganza.

Se così non fosse, sarebbe lapalissiano che la storia insegna esclusivamente negli stretti ambiti tecnici, costretti entro inconsapevoli confini autoreferenziali, detti regole, leggi, norme, consuetudini, abitudini. In tutti gli altri, possibilmente detti umanistici, essa, vincolata ai pochi sentimenti e alle poche emozioni che attraversano identici tutti gli uomini di tutti i tempi, non può che ripetersi costantemente.

Su queste basi, la sola scappatoia sta nel prendere coscienza del loro potere e, quindi, nella individuale edificazione di una scuola adatta a esorcizzare l’incantesimo di un uomo esaurito nella ragione.

Un percorso che non ha bisogno di master né di guru. A esso bastiamo noi stessi. Chiunque, infatti, può – vagolando nella propria biografia – riconoscere quando, quanto e come il proprio fideismo in un’idea l’abbia portato ad attriti e conflitti; quando, quanto e come certe posizioni, scacciate da altri interessi, siano venute meno; quando, quanto e come le cose si muovono, portandoci su posizioni che mai avremmo ipotizzato di occupare.

Distinguere gli ambiti tecnici da quelli relazionali-umanistici permette, dunque, di prendere le distanze dal giogo razionalista-meccanicista-materialista e, così facendo, di trovare nella propria biografia gli esempi più utili per avvedersi dell’azione o della realtà imposta da sentimenti ed emozioni. Sola premessa per un progresso che non si riduca al frigorifero in casa, alla playstation in salotto, all’anestesia in ospedale, ma porti al benessere esistenziale, di qualunque misura lo si voglia intendere.

Allora, dall’affermazione incondizionata di sé diviene possibile passare all’ascolto; dalla reazione in difesa di qualcosa di sé, all’azione consapevole; dall’identificazione con il proprio io o giudizio impostore, e dal riconoscimento che a esso elargiamo tutte le energie, a quella con il proprio sé, quindi dalla cultura alla natura; dalla creduta superiorità della nostra ragione, alle oscure emozioni che la sostengono; da un’idea di mondo oggettivo, a quella che in noi rutilano galassie diverse; quindi dalla prevaricazione sul prossimo all’evidenza che solo la pari dignità realizzata ha il potere di eludere conflitti e sofferenze; dal privilegio alla reciprocità; dall’intolleranza all’assunzione di responsabilità nei confronti delle sue conseguenze; dal crederci proprietari della nostra vita a vedere che siamo gocce di un’unica fonte; dal sapere tecnico e specialistico, costituito da dati, alla conoscenza olistica-quantistica (ovvero di vagolanti e perturbabili insiemi energetici permeabili e creatori) attraverso la contemplazione, la meditazione e l’ascolto; dall’intelligenza intellettuale a quella estetica; dalla salute sintomatica-farmacopeica a quella allopatica-energetica; dal pensiero di una universalità raggiungibile per via razionale a quello dell’inpermanenza e caducità certa di ogni affermazione; dal vittimismo alla potenza creatrice che è in noi; dalla pretesa di libertà alla liberazione; dal positivismo all’accettazione.

La storia, summa dell’“eterno ritorno” dei pochi sentimenti e delle poche emozioni, non solo non insegna niente, ma ci impone di girare sulla sua giostra a raggio variabile, ma sempre sufficientemente lungo da farci credere d’essere in marcia su una retta dove il passato non ritorna e il futuro è davanti a noi.

Signore, biglietto, prego.

La giostra ultima modifica: 2025-11-30T04:22:00+01:00 da GognaBlog

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8 pensieri su “La giostra”

  1. Enrico, te lo sei letto???
    Adesso chiediti come mai negli anni ’50-’60 si andava tanto a votare

  2. Art. 115.
    (T. U. 5 febbraio 1948, n. 26, art. 90, e L. 16 maggio 1956, n. 493,
    art. 45).

    L’elettore, che non abbia esercitato il diritto di voto, deve darne
    giustificazione al Sindaco del Comune nelle cui liste elettorali e’
    iscritto, entro quindici giorni dalla scadenza del termine previsto
    dal terz’ultimo comma dell’art. 75 per il deposito dall’estratto
    delle liste elettorali delle sezioni.
    Il Sindaco, valutati i motivi che abbiano impedito l’esercizio del
    voto, procede alla compilazione dell’elenco degli astenuti, agli
    effetti del primo comma dell’art. 4, escludendone in ogni caso:
    1) i ministri di qualsiasi culto;
    2) i candidati in una circoscrizione diversa da quella nella
    quale sono iscritti come elettori;
    3) coloro che dimostrino di essersi trovati, per tutta la durata
    delle operazioni di votazione, in una localita’ distante piu’ di
    trenta chilometri dal luogo di votazione, in conseguenza:
    a) del trasferimento della residenza dopo la compilazione o la
    revisione delle liste elettorali del Comune in cui sono iscritti;
    b) di obblighi di servizio civile o militare;
    c) di necessita’ inerenti alla propria professione, arte o
    mestiere;
    d) di altri gravi motivi;
    4) coloro che siano stati impediti dall’esercitare il diritto di
    voto da malattia o da altra causa di forza maggiore.
    L’elenco di coloro che si astengono dal voto nelle elezioni per la
    Camera dei deputati, senza giustificato motivo, e’ esposto per la
    durata di un mese nell’albo comunale.
    Il Sindaco notifica per iscritto agli elettori che si sono astenuti
    dal voto l’avvenuta inclusione nell’elenco di cui al comma precedente
    entro dieci giorni dalla affissione di esso nell’albo comunale.
    Contro l’inclusione nell’elenco degli astenuti gli interessati
    possono ricorrere, entro quindici giorni dalla scadenza del termine
    di pubblicazione, al Prefetto che decide con proprio decreto. Il
    provvedimento del Predetto ha carattere definitivo.
    Per il periodo di cinque anni la menzione “non ha votato” e’
    iscritta nei certificati di buona condotta che vengano rilasciati a
    chi si e’ astenuto dal voto senza giustificato motivo.

  3. Sig.a Grazia, rispetto opinioni diverse partendo da una comune osservazione. Negli anni ’50 e ’60 la partecipazione al voto in Italia aveva ben diverse percentuali di quelle odierne. Oltre all’estensione al voto femminile le cifre confermavano la consapevolezza (negata per quasi 30 anni) di scegliere una classe politica dirigente che perseverasse la costosissima ricostruita nuova democrazia. Oggi questa memoria si sta perdendo anche per il fattore demografico. Il nuovo ‘futuro’ della popolazione odierna pare sempre più indifferente alla possibilità di scelte responsabili con la conseguenza che la minoranza elegge minoranze di furbi e incapaci. Con il forte rischio di involuzioni che i nostri predecessori hanno faticosamente sconfitto. Cordialità.
    P.S.  Mi fermo per non eccedere nel ‘fuori tema’ al corposo articolo che stiamo commentando.

  4. Sisì, é proprio vero la storia si ripete.
    Nel ’19 una sede incendiata e completamente distrutta e almeno tre operai uccisi in strada nella manifestazione che ha preceduto l’assalto.
    Secondo la relazione dell’Ispettore Generale della PS “le forze di polizia non fecero uso della forza muscolare con la quale avrebbero avuto ragione di una folla costituita di elementi borghesi”, in altre parole collaborò.
    Gli industriali milanesi fecero una colletta di 10000 lire per ricompensa ai partecipanti (quando un operaio prendeva 9 lire al giorno e un impiegato 400 lire al mese)
     
    Uguale, uguale…

  5. Caro Enrico, io mi felicito della crescente disaffezione al voto: significa che è sempre più evidente che non è mai stato specchio della volontà del popolo, ma solo teatrino per chi vuole mantenere gli occhi bendati.

  6. Squadristi di dx o sx  ed inerzia della polizia portano ad un’unica direzione: il richiamo a poteri forti e concentrati in poche mani (solo due bastano?) ed alla demolizione del delicato equilibrio di poteri che costituisce il fondamento della democrazia. Così la storia rischia di ripetersi ed i segnali sono preoccupanti. In primis la continua crescente disaffezione al voto e la ‘melina’ inconcludente della c.d. opposizione, che ci ricorda il ritiro sull’Aventino, giusto cent’anni fa.

  7. Dove è finito “il progresso”? Forse il progresso è solo un’invenzione dell’Occidente per autonominarsi “superiore” alle altre culture umane.

  8. La storia si ripete? Forse sì e forse no. A volte si ripete al contrario: nel 1919 furono gli squadristi di destra a devastare a Milano la sede dell’Avanti ma nel 2025 sono stati gli squadristi di sinistra ad invadere la sede della Stampa a Torino. In entrambi i casi tuttavia si ripete l’inerzia della polizia nel garantire la legalità!

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