Restare a letto senza sensi di colpa

Restare a letto senza sensi di colpa
di Paola Tavella
(pubblicato su lastampa.it/specchio il 27 aprile 2025)

La storia e la cultura hanno offerto tante occasioni per far sì che la lentezza trionfasse sulla frenesia, l’ozio sul lavoro, la pigrizia sulla proattività.

Una fra queste, assai credibile, si era presentata proprio all’inizio di questo secolo, quando avremmo potuto abbracciare in massa la vera fede e votarci al Dudeism, magari diventare sacerdoti dudeici e celebrare matrimoni.

Aperta da Oliver Benjamin, questa via spirituale ha il Grande Lebowski come Santo Protettore, si definisce “una forma di taoismo, ma con più bowling”, e i suoi comandamenti sono l’accettazione e l’indifferenza.

Il Dude – soprannome appunto di Jeffrey Lebowski – non si preoccupa di denaro, lavoro, status sociale, il suo approccio alla vita è incentrato sul lasciarsi andare come Drugo, il mitico guru cinematografico che vive fra Venice e Pasadena e esce in vestaglia con gli amici.

Vie di fuga
Per fortuna proprio adesso si apre un’ultima possibilità, un’estrema via di fuga, perché il comportamento stigmatizzato come “pigrizia” è in via di rivalutazione e guadagna in popolarità, soprattutto fra le giovani generazioni che hanno voglia di ritirarsi dall’agone sociale e professionale: «Appena finita la scuola negli Stati Uniti, ho cominciato a lavorare subito tantissimo, bevevo per prendere sonno, al mattino mi serviva un tiro per arrivare in ufficio, ero sull’orlo di un secondo divorzio. Così sono scappato in campagna da mia nonna, nel Sud Italia».

M. ha 35 anni e, mentre racconta, cuce sul tavolo di cucina un capello di velluto viola da mago che gli serve per una festa: «Ho imparato da mia moglie che era costumista. Penso di avviare qui in casa una piccola attività di sartoria, al massimo per due giorni a settimana».

Poi c’è l’orto, ci sono le galline. E il bed-rotting (poltrire a letto), naturalmente. «Appena arrivato qui passavo lunghe ore, perfino intere giornate, in camera a dormire, leggere, ascoltare musica, fissare il soffitto».

Gli hastag
Ma M. non è solo, l’hashtag #bedrotting è sempre più popolare su Tik Tok e Instagram, considerato una opportunità di recuperare, di rallentare per dare spazio al corpo e alla mente. Anche su Insta la pigrizia è diventata un valore, non più un comportamento disdicevole.

Certi influencer che in passato si erano fatti conoscere con opprimenti consigli sulla produttività e sull’efficienza, hanno fatto un voltafaccia e condividono contenuti che celebrano la lentezza e il riposo.

Per esempio @lazy_girl_era, @slow_down_sisters e @restfulvibes con la “pigrizia terapeutica” hanno guadagnato milioni di follower, soprattutto ragazze e giovani donne in cerca di un’alternativa ai modelli frenetici e competitivi.

Offrono suggerimenti su come fare base a letto invece che alla scrivania, oppure riscrivono la routine quotidiana mettendo al centro la cura di sé, e in generale incoraggiano solo a rallentare, staccare e riprendersi.

Sentirsi in colpa per poltrire a letto o per essere diventati lentissimi è fuori tendenza pure secondo WGSN un’azienda globale specializzata nel trend forecasting. Loro segnalano addirittura che la faccenda è destinata a crescere e la pigrizia assurgerà a nuove vette: saremo intenzionalmente improduttivi e faremo del nostro letto un vero e proprio santuario.

E così un pezzo del glorioso Banco del Mutuo Soccorso, Non Mi Rompete, d’un tratto è tornato a essere una hit pur datando 1972, con quella richiesta dolce e sognante di essere lasciati tranquilli a dormire come bambini – o come ubriachi – lontani dalle pressioni della vita: “C’è ancora tempo per il giorno, quando gli occhi si imbevono di pianto”.

Pause necessarie
Ma allora gli hippies avevano ragione, saremmo più felici senza far nulla, fumando erba tutto il giorno in ciabatte? Per scoprirlo non resta che tornare indietro nel tempo, riconnettersi alla controcultura degli anni Sessanta e Settanta quando la ricerca della pace interiore e la resistenza contro materialismo e consumismo erano temi centrali e la pigrizia già tentava di emanciparsi da trasgressione dell’etica calvinista a simbolo di una vita più autentica e libera dalle convenzioni sociali.

Attenzione però perché per pigrizia non si intende l’ozio operoso di Seneca, la calma che predispone al fare, al dire, al pensare. Non si parla neppure dell’ozio intellettuale e estetico che garbavano ai flaneurs francesi, in fuga dal ritmo della città industriale per prendere tempo e osservare, riflettere e vivere in modo contemplativo, senza correre dietro a obiettivi immediati o pratici.

La pigrizia terapeutica di oggi non prevede cura di sé, né attività virtuose e fruttuose come meditazione, esercizio fisico o trattamenti termali. Si deve osservare rigorosamente la regola del fare nulla, unica chiave per riprendersi mentalmente e fisicamente dallo stress cronico: «Per dare al sistema nervoso una pausa dalla stimolazione costante», assicura il dott. Anil Kumar, psichiatra e consulente presso Paras Health che aggiunge: «Il corpo può regolare gli ormoni dello stress come il cortisolo, migliorare la qualità del sonno e ripristinare i livelli di energia».

Un esempio di opinione contraria
di Carlo Crovella

Da buon torinese, operoso e sgobbone, detesto, anzi disprezzo, i nullafacenti. Ma altrettanto torinese è il mio DNA da bougia nen. Per cui la vita è sempre in movimento, anche se non necessariamente lo si deve intendere in senso stretto, cioè fisico. Infatti non è necessario viaggiare, spostarsi, praticare sport. Ci si può benissimo muovere con la mente: scrivere, leggere, riflettere, progettare, architettare, dialogare, per fino litigare… Certe mie domeniche trascorse alla scrivania sono più produttive, e quindi più stancanti, di una scialpinistica di 2000 metri.

Il succo dell’esistenza è lottare, procedere, arrivare e, soprattutto, “produrre”. Lo si può fare dal letto? Sì certo, l’ho sperimentato in prima persona durante i lunghi mesi passati in ospedale. Una mente ginnica ti garantisce il domani, perché ripropone nuovi stimoli, nuove sfide, nuovi obiettivi. Lo si può fare a occhi chiusi e stando pressoché immobili sotto al lenzuolo bianco di un’asettica stanza ospedaliera.

Se invece stare a letto è poltrire senza una ragione, sguazzare nella pigrizia, abbandonarsi al flusso delle cose, piuttosto che impegnarsi a governarle, allora è una resa alla vita e quindi alla morte.

L’attuale società occidentale, fra le sue mille aberrazioni, consente, in certi momenti, la possibilità di crogiolarsi nel non fare nulla. E’ un privilegio raro, ma anche una tentazione demoniaca, un cavillo esistenziale da viziati figli del consumismo. Specie perché dall’altra parte si esige di esser sempre accontentati dalla società evoluta e consumistica: in pratica ci si concentra esclusivamente su se stessi, per cui non si dà e, invece, si pretende solo.

Restare a letto senza sensi di colpa ultima modifica: 2025-10-23T04:33:00+02:00 da GognaBlog

Scopri di più da GognaBlog

Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.

11 pensieri su “Restare a letto senza sensi di colpa”

  1. Condivido in pieno quanto detto da Guido Merizzi. Nella vita bisogna coltivare il proprio tempo libero occupandolo con le passioni che più ci piacciono. Ma bisogna ricordarsi che esiste anche il lavoro senza il quale non potremmo vivere.
    Solo qualche figlio di papà si può permettere di dire che è bello non fare niente.
    Se tutti facessero così chi manda avanti la società, lo Stato? Ospedali, scuole, trasporti, ecc. vengono garantiti dal lavoro di chi , magari per quattro soldi, fatica per dare un servizio alla gente, anche a qualche disadattato sociale!
    Consiglio anche io di vedere A perfect day, esempio della dignità del lavoro, anche il più umile.
     

  2.  
    Se questo dilemma esistenziale è rivolto a persone che vivono di rendita, con allegato compagno/a con ruolo di servo/a che si occupa di preparare da mangiare, fare la spesa e amministrare la casa, allora a costoro direi: “Andé a lavurà, Barbù, anziché passare il proprio tempo ad accudire e curare il proprio fottuto ombelico di m…a!”.
    Se invece tale dilemma esistenziale riguarda le persone “normali” che passano gran parte del loro tempo a lavorare per tenere in piedi questa società agiata e ancora democratica (come prevede l’articolo 1 della nostra Costituzione), a costoro consiglio di cercare in tutto quello che si fa (lavoro compreso) il nutrimento dell’anima, sia che si scali eroicamente una montagna, si scrivano libri di successo, si faccia teatro o cinema, si asfaltino strade, si costruiscano muri o si puliscano i cessi! Un film molto bello che ho visto su questo tema è Perfect Days di Wim Wenders.
    Se poi nel poco tempo libero che ci rimane lo vogliamo passare a letto, va benissimo, a me personalmente produrrebbe ansia e depressione, come se avessi un piede nella fossa!
     

  3. In dialetto castelfranchese: “Fèr la véta éd Michelàz: bovèr, magnér e andèr a spāss”.

  4. Produrre non va inteso, almeno nella mia visione, solo nel senso “capitalistico”, come l’output di una fabbrica.
     
    Produrre può anche essere: pensare, riflettere, leggere, scrivere, immaginare, inventare… cioè cose non necessariamente “materiali” e che si toccano come automobili, scarpe, ponti e vestiti, ma cmq vivere è  “fare” e non “bighellonare”. Nella mia visione del “prima il dovere e poi il piacere”, bighellonare costituisce il massimo dello spreco, uno schiaffo in faccia alla sorte o alla provvidenza che ci ha regalato la vita e che, tra l’altro, ce l’ha regalata nelle migliori condizioni (ad esempio siamo nati in Occidente e non a Gaza…).
     
    Bisogna ripagare questo meraviglioso dono, che abbiamo ricevuto in modo del tutto immeritato,  “meritandocelo” cammin facendo, attraverso l’impegno che esprimiamo,. L’impegno non necessariamente deve essere costituito solo dal fare delle cose nobili altruistiche (cioè a vantaggio di altri) ma può anche essere un impegno immateriale ed egocentrico (cioè verso se stessi), ma assolutamente non sintomo di una vita sprecata (= bighellonare).
     
    C’è un detto torinese (magari esiste anche in altre regioni…) per sintetizzare il “bighellonare”, cioè quello che io considero la vita sprecata: “Fè la vita del Miclas: mangè, beive e andè a spass“.
     
    Questo è proprio l’antitesi della mia visione (a sua volta frutto dell’educazione che ho ricevuto, tipicamente sabauda): anche quando sono fisicamente immobile e con gli occhi chiusi, magari sdraiato al sole in un giorno di ferie, il mio cervello è sempre impegnato in qualcosa, un nuovo articolo, un progetto, una conferenza, un nuovo lavoro, un libro ecc ecc ecc.

  5. “Qual è lo scopo della vita?”
     
    Toh una questione nuova… 🙂
     
    Comunque, secondo me, di certo non produrre!
     
    Anche perché tutto quello che produce l’uomo al massimo finisce per eutrofizzare il Mediterraneo (quando va bene, intendo!)

  6. Una volta lessi: “Scopo della vita è sopravvivere”.
    Tutto qui? È una prospettiva che inquieta e deprime.

  7. Dice Crovella: “Il succo dell’esistenza è lottare, procedere, arrivare e, soprattutto, “produrre”.”
    A mio parere il succo dell’esistenza è fregarsene di tutto e di tutti, starsene solitario in quiete, pensare solo a mangiare e bere e soprattutto a divertirsi; Produrre? Ma il meno possibile solo il minimo indispensabile necessario!

  8. @Matteo: più recentemente lo cantava anche il buon vecchio Morrissey:

    Spent the day in bed
    Very happy I did, yes
    I spent the day in bed
    As the workers stay enslaved
    I spent the day in bed
    I’m not my type, but
    I love my bed
    And I recommend that you

    Stop watching the news
    Because the news contrives to frighten you
    To make you feel small and alone
    To make you feel that your mind isn’t your own

    I spent the day in bed
    It’s a consolation
    When all my dreams
    Are perfectly legal
    In sheets for which I paid
    I am now laid
    And I recommend to all of my friends that they

    Stop watching the news
    Because the news contrives to frighten you
    To make you feel small and alone
    To make you feel that your mind isn’t your own

    Oh time, do as I wish
    Time, do as I wish
    (…)

    I spent the day in bed
    You can please yourself
    But, I spent the day in bed
    Pillows like pillars
    Life ends in death
    So, there’s nothing wrong with
    Being good to yourself
    Be good to yourself for once

    And no bus, no boss, no rain, no train
    No bus, no boss, no rain, no train
    No bus, no boss, no rain, no train
    No emasculation, no castration
    No highway, freeway, motorway
    No bus, no boss, no rain, no train
    No bus, no boss, no rain, no train
    No bus, no boss, no rain, no train

  9. Non è una cosa poi così nuova, nel 2001 per esempio:
    https://www.youtube.com/watch?v=1HA5dNH3AVE

    Credo però che l’inazione completa non sia una cura ma semmai una patologia.
    C’era una scritta, credo al Brentei:

    “Non è riposto il riposo, ma il mutar fatica alla fatica è riposo”

    E sopratutto rendersi liberi dalle fatiche imposte non tanto dalla necessità, ma dalla società, dal sistema economico, dalle aspettative sociali…in una parola dalle stronzate!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.