Ang Rita Sherpa

Conosciuto come il leopardo delle nevi, questo sherpa ha trovato nell’alpinismo il modo per sostenere la sua famiglia, stabilendo il record di essere il primo a scalare l’Everest 10 volte senza usare l’ossigeno.

Ang Rita Sherpa
di José Herminio Hernández
(pubblicato su culturademontania.org.ar)
Ricerca iconografica a cura del Centro Culturale della Montagna Argentina, Natalia Fernández Juárez

Noto anche come Angrita Sherpa, in seguito gli fu dato il soprannome di Heem Chituwa, che significa leopardo delle nevi. Era nato a Thami, distretto di Solukhumbu, Kathmandu, Nepal, nel 1948 e aveva iniziato a lavorare come portatore di montagna all’età di 13 anni, anche se altre fonti affermano che ne avesse 15.

Ang Rita Sherpa, soprannominato Heem Chituwa, il leopardo delle nevi. Foto: www.outside.fr.

Rimasto orfano da adolescente, trovò nell’alpinismo un modo per sostenere la sua famiglia, che altrimenti dipendeva dal magro reddito di agricoltura e pastorizia. Inizialmente, trasportava merci a dorso di yak attraverso il Tibet. La sua prima esperienza come portatore fu sul Dhaulagiri: dovette prendere in prestito scarponi e indumenti caldi per portare del materiale fino al Campo III,  un compito che portò a termine con successo. 

La sua famiglia allevava yak perciò lui trascorse l’infanzia prendendosi cura di loro e lavorando come portatore durante spedizioni commerciali attraverso l’Himalaya fino al Tibet. Iniziò a scalare proprio come portatore.

La prima scalata di successo di Ang fu quella del Cho Oyu, all’età di 20 anni. In seguito, raggiunse la cima di decine di montagne, tra cui l’Everest, il K2, il Cho Oyu, il Lhotse, il Manaslu, l’Annapurna e il Dhaulagiri, più volte senza ossigeno supplementare.
 

Ang Rita Sherpa. Foto: www.higherpathtreks.com.
Ang Rita Sherpa negli anni ’90

Ang ebbe tre figli maschi e una femmina. Il figlio maggiore, Karsang, era anch’egli un alpinista e aveva raggiunto l’Everest nove volte; morì durante una spedizione nel 2012. Anche il suo secondo figlio, Chhewang, aveva raggiunto l’Everest cinque volte. La moglie di Ang, Rita, morì un anno dopo la sua morte. Ang Rita trascorse gli ultimi anni della sua vita nella residenza della figlia a Jorpati, Kathmandu.

La prima volta che raggiunse l’Everest senza l’uso di ossigeno fu nel 1983. Raggiunse la vetta otto volte attraverso la via del versante sud-est. Fu anche il primo a raggiungere la vetta in inverno senza l’ausilio di bombole di ossigeno, il 22 dicembre 1987, mentre assisteva una spedizione sudcoreana. Tuttavia, molti ritengono che questa salita non debba essere considerata una salita invernale, poiché non avvenne interamente in quella stagione. Iniziò a ottobre. Alle 4.45 del mattino del 22 dicembre, il solstizio d’inverno si verificò con la spedizione di Rita a 8400 metri. Cinque ore dopo, raggiunse la vetta. Inoltre, una delle sue 10 salite, la prima, fu “indagata” per aver utilizzato l’ossigeno per dormire al Campo 4 prima di intraprendere l’attacco finale.

La sua prima spedizione sull’Everest fu come guida per una spedizione americana nel 1983. Ang aveva già raggiunto la vetta del Dhaulagiri nel 1980 con un gruppo svizzero. In seguito, tra il 1986 e il 1987, raggiunse la vetta del Cho Oyu due volte, del Kanchenjunga e del Makalu II con spedizioni americane, spagnole, tedesche e cilene.

Edmund Hillary con Ang Rita. Foto: Archivio del Dipartimento di Ricreazione e Turismo dell’Università di Lincoln, AR.
Ang Rita Sherpa con sua figlia, che mostra il trofeo Snow Leopard
Il 29 maggio 2011 Ang Rita ha ricevuto la medaglia “Sir Edmund Hillary Mountain Legacy”. Da sinistra a destra: il dr. Beau Beza, Peter Hillary; Ang Rita Sherpa, seduto; Ang Doule, la madre di Ang Rita e il dr. Alton Byers, vincitore della Medaglia Hillary 2006. Foto: Mountain Legacy.

Otto delle sue dieci vette dell’Everest furono raggiunte attraverso la via della cresta sud-est. La sua ultima vetta fu raggiunta 12 giorni dopo il disastro dell’Everest, nel tragico anno 1996. Era sconvolto per la perdita dei suoi amici nella catastrofe. Quell’anno si ammalò. Secondo la sua famiglia, Re Birendra aveva inviato il Principe Ereditario Dipendra a comunicargli la sua richiesta di ritirarsi dall’alpinismo, dato il peggioramento della sua salute. In effetti aveva contratto  una malattia al fegato che lo avrebbe tormentato per il resto della sua vita.  

Nel 1990, durante la sua sesta scalata, stabilì il record mondiale per il maggior numero di scalate riuscite sull’Everest. 

Nel 2017, dopo la sua decima scalata, il Guinness dei primati gli riconobbe il record per il maggior numero di scalate riuscite, poi battuto da altri, e il record per il maggior numero di scalate senza ossigeno, che resistette fino alla sua morte nel 2020.

Ang Rita Sherpa vicino al suo luogo di nascita in Nepal. Foto: www.rumble.com.
Sherpa Ang Rita in una fotografia del 2017, quando i suoi record vennero riconosciuti dal Guinness dei primati. Foto: Guragai/Thehimalayantimes.com.
L’alpinista nepalese Min Bahadur Sherchan, 78 anni, l’uomo più anziano ad aver scalato l’Everest (a sinistra) e Ang Rita Sherpa (a destra) a Kathmandu il 29 novembre 2009. Foto: AFP/Prakash Mathema.

Era anche considerato dai suoi pari la guida sherpa più forte e abile del suo tempo.

Nell’aprile del 1985, guidò con successo il capospedizione norvegese fino in vetta all’Everest, nonostante una bufera di neve.  

Secondo quanto raccontato dallo stesso Ang, una notte lui e un altro scalatore si erano separati dal gruppo e avevano continuato a fare esercizi aerobici per tutta la notte per restare al caldo e in vita. 

Nel 1990, aiutò una spedizione dell’esercito nepalese all’Everest; dei circa 50 membri che la componevano, solo quattro raggiunsero la vetta con gli sherpa, e solo uno di loro era un soldato dell’esercito nepalese. 

Visitando Pamplona nell’inverno del 1979. Nella foto (da sinistra a destra): Pili Ganuza, José Ignacio Ariz, Ang Rita, Gregorio Ariz, Sonan Girmi e Loli Garro. Foto: www.diariodenavarra.es.
Sonam Girmi e Ang Rita. Foto: www.diariodenavarra.es.

Nel 2012 la perdita del figlio a causa di un incidente all’Everest peggiorò la sua salute. Nel 2017 fu colpito da un ictus che gli ha lasciò conseguenze.

Ecco le vette raggiunte da Ang Rita Sherpa, secondo quanto riportato da The Himalayan Database : dieci volte l’Everest, nel 1983, 1984, 1985, 1987, 1988, 1990, 1992, 1993, 1995 e 1996; un Kangchenjunga nel 1986; quattro volte il Cho Oyu nel 1984, 1987, 1994 e 1995; tre volte il Dhaulagiri nel 1979, 1980 e 1982; un’ascensione del Makalu II nel 1979; un’ascensione del Lamjung Himal nel 1982.

Ang è stato insignito dell’Ordine di Gorkha Dakshina Bahu e dell’Ordine di Tri Shakti Patta per le sue attività e i suoi successi in montagna.

È morto all’età di settantadue anni, alle 10 del mattino del 21 settembre 2020, a Kathmandu, in casa della figlia. La causa del decesso non è stata resa nota.

La notizia è stata confermata dalla Nepal Mountaineering Association. Il funerale si tenne il 23 settembre secondo il rito buddista. La salma fu sepolta in uno Sherpa Gompa, o luogo sacro, a Kathmandu, dopo essere stata cremata secondo la tradizione Sherpa.

Ang Rita Sherpa e Pawan Lama Sherpa negli Stati Uniti, 1997. Foto: Ang Rita Sherpa.
Il veterano Ang Rita Sherpa nella sua casa a Kathmandu, Nepal, il 27 maggio 2017.
Ang Rita Sherpa è stato registrato nel Guinness dei primati come l’unica persona al mondo che ha raggiunto la vetta dell’Everest 10 volte senza l’uso
di ossigeno. Foto: www.kathmandupost.com.

Kami Rita Sherpa, 24 volte salitore dell’Everest, ha ricordato Ang Rita come un uomo di estrema forza, dicendoci: “Il suo coraggio e la sua dedizione non possono essere descritti a parole. Ci vogliono dedizione, passione e coraggio per scalare l’Everest senza l’ausilio di ossigeno. Ang Rita lo ha fatto dieci volte. È difficile battere il suo record”. Ha aggiunto che “nonostante i suoi successi, Ang Rita aveva sofferto per difficoltà finanziarie, passando anche momenti davvero brutti. Ha reso orgoglioso il Paese, ma il governo del Nepal non sapeva nulla di lui, si è lamentato l’alpinista, prima di denunciare che: “Ci sono molti sherpa che muoiono per il Paese, ma il loro contributo è a malapena riconosciuto”. Il Primo Ministro K. P. Sharma Oli ha espresso le sue condoglianze su Twitter: “I suoi successi saranno ricordati per sempre”.

Funerale di Ang Rita Sherpa. Foto: Niranjan Shrestha, AP.
A Kathmandu, amici e familiari si riuniscono per il funerale di Ang Rita, 23 settembre 2020. Foto: Niranjan Shrestha, AP.
Ang Rita Sherpa, conosciuto anche con il soprannome di “leopardo delle nevi”, era una guida alpina dedita e dalla voce pacata. Foto: www.eldia.com.do.
Ang Rita Sherpa ultima modifica: 2025-07-21T05:12:00+02:00 da GognaBlog

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9 pensieri su “Ang Rita Sherpa”

  1. Appunto, “alpinismo” è spirito di avventura, non semplicemente mettere i piedi sulle vette. Quel particolare spirito di avventura, che poi è stato chiamato alpinismo, è arrivato sulle Alpi con i britannici dell’Ottocento. Lo stesso in Asia un po’ dopo. Senza la potenza organizzativa, finanziaria e perfino “colonialista” delle grandi spedizioni nazionali, a naso non mi immagino i vari Sherpa partire di loro iniziativa dai loro villaggi per salire sugli 8000. Gli Sherpa hanno prestato la loro opera per lavoro, non per spirito di avventura, cioe’ per spirito “alpinistico”. E’ una differenza abissale. Questo per tutta la fase delle conquiste, quindi fino ai 60 compresi, anche un po’ di 70. Poi le cose sono iniziate a cambiare, pian piano si sono lette interviste di locali con spirito alpinisti, finché è probabile che oggi siano i locali i più forti “alpinisti” sulle grandi montagne. Ma nei 50, i vari Hillary erano la testa e i vari Tsensing il braccio. Hillary inteso come esponente della grande capacità organizzativa della spedizione britannica.

  2. Nella storia dell’alpinismo, bisogna aprire la mente, uscire dagli schemi ed aprire i paraocchi. 
    Come non è sempre vero quello che viene raccontato sui giornali ed alla televisione, non lo è neanche quello scritto sui libri. Perchè spesso chi scrive e racconta, dice la sua di verità e non quella vera.
    Tante cime erano già state salite dai valligiani, anche se poi la storia dell’alpinismo le ha attribuite ad altri. Ora bisognerebbe capire con quale spirito l’avevano già salite. Se l’avevano fatto per un motivo di curiosità, sportivo, di conquista. Oppure per necessità, ad esempio per caccia inseguendo un animale, oppure per esplorare nuovi territori di pascolo, per spostarsi.
    Quindi cosa conta di più ai fini alpinistici? Un motivo di necessità, oppure lo spirito sportivo?

  3. Vero anche quello che dice Mereu e che non ho voluto toccare per restare soltanto in ambito himalayano. 
    Purtroppo la storia la scrive chi può permetterselo e non sempre corrisponde al vero. Anche gli storici dovrebbero essere in grado di provare tutto quello che raccontano. In ambito himalayano cito Elisabeth Hawley che con la sua intelligenza e spietatezza riusciva a capire se uno era stato in cima oppure no, anche senza essere alpinista. Ma esempi così ce ne sono stati davvero pochissimi.

  4. Crovella, quello che dici è noto e sacrosanto, ma l’alpinismo stesso non si sarebbe mai sviluppato senza i montanari locali. Diciamo che montanari e turisti curiosi hanno dimostrato un bell’esempio di complementarietà.
    L’himalaysmo è però nato dopo l’alpinismo, quando l’impero britannico dominava le montagne asiatiche e voleva esplorarle. L’apporto degli Sherpas è stato enormemente determinante ma perlopiù omesso dalla storia.
    Gli Sherpas hanno resistenza fisica incomparabile con quella dei migliori occidentali, solo che questi ultimi sono quelli che raccontano la storia. Ogni volta che uno Sherpa ha voluto infrangere un record occidentale, lo ha fatto con estrema semplicità.
    La più parte degli alpinisti occidentali sponsorizzati e visti come superalpinisti (certamente non da me e da chi ne capisce un minimo) dal pubblico che li acclama, sono clienti di guide Sherpa che risalgono corde fisse piazzate dalle guide locali, che fanno la traccia, montano le tende, cucinano e portano sulle loro spalle la maggior parte dei pesi. Non spetta certamente a me fare la lista di questi personaggi grotteschi, ma bisogna sapere che tra loro ci sono nomi notissimi e questo non è mai stato giusto.
    Infine, personaggi che hanno acquisito enorme fama a casa nostra dichiarando salite senza corde fisse ne portatori e ossigeno, hanno raccontato balle clamorose (non tutti, ovviamente) facilmente smascherabili guardando soltanto foto e video realizzati da loro stessi. Costoro devono dire solo grazie agli Sherpas e al culo che si fanno, pagati giustamente, perché vivono di quello, esattamente come una guida del Cervino o di Cortina.

  5. …”le popolazioni valligiane non si sono mai poste il problema di andare sulle vette, pur vivendoci sotto da secoli e secoli.”…
    Ehh no! Leggetevi Controstoria dell Alpinismo di Andrea Zannini, che  su questo punto è chiaro; tutte o quasi le principali vette erano già abbondantemente salite dai valligiani  ,certo le bandierine della cosiddetta prima le hanno poste gli” altri”quelli(Britannici e Austriaci)celebri e passati poi alla storia quella ufficiale ma spesso usando guide e non solo che erano usi a salire…

  6. Senza voler sminuire le capacità alpinistiche di Tensing, senza gli occidentali (con la loro visione, la loro organizzazione e, perché no?, anche i loro soldi), l’alpinismo non sarebbe emerso spontaneamente in Himalaya. Lo stesso è accaduto nelle Alpi a metà Ottocento grazie ai britannici: salvo rarissime eccezioni,  le popolazioni valligiane non si sono mai poste il problema di andare sulle vette, pur vivendoci sotto da secoli e secoli. Esploso il fenomeno, alcuni valligiani, più in sintonia con l’ambiente e dotati di un certo talento, sono diventate guide (anche importanti) a tal punto che conducevano la cordata rispetto ai loro clienti, ma in genere sono sempre stati i clienti a “decidere” la meta. Senza la scintilla dei “forestieri” britannici, l’alpinismo non sarebbe mai nato da solo, almeno così come lo conosciamo.

  7. Fabio mi spiace ma la tua è una visione idilliaca da alpinisti romantici che a oltre 8000m non è mai esistita.
    Tengsing Norgkay era una guida pagata dai britannici perché era a quel momento la persona più competente sulla via di salita all’Everest. È semplice. Non so se hai letto Lo Sherpa di Jamling Norgkay, figlio di Tengsing, ma lì si capiscono queste dinamiche.
    Sulle capacità tecniche può essere che fossero entrambi sullo stesso livello, ma Tengsing lavorava, Hillary esplorava. Come del resto è successo sulle Alpi. 
    Sul fatto che una guida possa decidere di mandare avanti un cliente, devo contraddirti perché invece può succedere benissimo. Io faccio spesso vie, anche impegnative, a tiri alterni. Ovviamente con chi conosco bene.
    Il successo di Tengsing e Hillary è sicuramente da attribuirsi al buon assortimento della cordata in tutti i sensi. In questo concordo che possa esserci stata una chimica/fisica ideale. Esattamente come succede ogni volta in cui questo si verifica.
    È forse l’aspetto più importante e più sottovalutato, ma una cordata funziona bene quando combinano certi elementi perfettamente. Altrimenti si fatica (e rischia) più del dovuto.
    Una brava guida, se affronta professionalmente una salita impegnativa, deve valutare prima di tutto questo aspetto.
    Altrimenti è come quegli arrampicatori che cercano sempre, e squallidamente, qualcuno che gli faccia solo sicura.
    Tengsing sull’Everest per me resta l’esempio assoluto di brava guida di montagna.
    E Hillary di cliente ideale.
    Cose che si verificano raramente. 

  8. “Hillary era il cliente di Tengsing, non ci sono dubbi.”
     
    No, Marcello. Mi dispiace, ma non fu cosí. Tenzing non era la guida di Hillary e Hillary non era il cliente di Tenzing.
    Fu Hillary a superare da capocordata il passaggio che poi prese il suo nome, sulla cresta SE: si rivelò essere il tratto piú difficile dell’intera salita (ora è crollato). Le capacità tecniche di Hillary erano probabilmente un po’ superiori. In ogni caso, Tenzing lasciò che in quel tratto il suo compagno fosse a capo della cordata: una guida non lo avrebbe mai fatto.
    Poi bisogna considerare l’esperienza alpinistica, la resistenza fisica, la determinazione: penso che fossero all’incirca equivalenti.
    Comunque dai racconti di entrambi si evince in modo chiarissimo un rapporto di parità nella cordata (oltre che un rapporto di rispetto e di amicizia). Per fortuna nella storia rimangono le testimonianze.
    La loro fu una collaborazione amichevole, come dovrebbe essere in una cordata. Alla fin fine, è ciò che piú conta.

  9. A confronto con i nostri eroi occidentali questi ultimi si vedono ridicolizzati totalmente. A parte rari casi, l’alpinismo in Himalaya l’hanno fatto, e continuano a farlo, le guide!
    Hillary era il cliente di Tengsing, non ci sono dubbi.
     
    Eppure l’occidente continua (oggi forse meno) ad attribuire i successi himalayani ai suoi figli, addirittura omettendo spesso la presenza degli Sherpas o i loro nomi.
    D’altronde c’è gente che crede a tutto ciò che legge, senza preoccuparsi di chi scrive…
    Gli esempi non mancano, anzi.

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