La visione e l’irraggiungibile

“Questo gruppo montuoso diventò per me un terreno di gioco privilegiato, dove esprimermi con numerose vie nuove, alcune molto difficili, sempre mantenendo fede alla mia idea di un alpinismo tradizionale e classico…”

La visione e l’irraggiungibile
di Marco Blatto
(pubblicato su Annuario 2024 del CAI Bergamo)

Il Vallone di Sea non è un luogo che piace a tutti. O si ama o si odia. Si può amare incondizionatamente se l’animo di chi vi si avvicini è visionario, sensibile, capace di andare oltre le apparenze, leggendo nei fianchi vertiginosi e dirupati una propria via misteriosa verso l’alto, sbarrata solo illusoriamente da strapiombi, soffitti e placche levigate. Si può odiare e sopportare com’è stato per molti montanari nei secoli. Una specie di “Purgatorio” obbligato per raggiungere i piccoli “gias” di Mombran o Leitosa che sembrano inaccessibili, talvolta invisibili dal basso, aggrappati alle rocce.

Luoghi ameni dove in gioventù ciascuno ha pagato pegno conducendo capre e pecore lungo canaloni ripidissimi d’erba e di pietra. Devono averlo odiato i lavoratori delle fucine di Forno Alpi Graie, ultimo villaggio della Val Grande, che per quasi quattro secoli salirono al Massiet (o Mascèt), disboscando il fondovalle per alimentare le carbonaie (tcharbounèrès), indispensabili per l’alimentazione dei forni per la fusione della siderite, giunta a dorso di mulo dalle miniere di Rambeisa, Creux du Faux e Turrione.

Il Trono di Osiride. Blu=Bolle di Parole (2017); Arancio=Mosaico di Quarzo (2017); Verde=Massaggi thailandesi (2017); Rosso= Docce scozzesi (1978, riattrezzata nel 2017).

Si ama più facilmente, infine, quando arrivati nella parte alta, dopo circa cinque chilometri di passaggio tra gli stretti fianchi, la vista si apre d’improvviso sugli antichi gradini di valle modellati dal Ghiacciaio di Sea. Il poderoso apparato di un tempo è oggi estinto e ne restano frammenti rintanati nei circhi al cospetto del versante nord dell’Uja di Ciamarella 3676 m, così come nel plateau superiore della paurosa parete nord dell’Albaron di Sea 3262 m. Certamente, non amarono il Vallone di Sea i contrabbandieri e gli emigranti, costretti a risalirlo per passare nell’adiacente Maurienne, attraversando crepacci e ripide seraccate a ridosso del versante francese del Colle di Sea.

Devono aver provato sentimenti contrastanti, infine, gli artisti che vi transitarono nel periodo post-illuminista, quando l’orrido coincise con il sublime. Ne resta una traccia importante ottocentesca nelle Lettres sur Les Vallées de Lanzo del Conte Luigi Francesetti, nello scritto Il Piemonte antico e moderno di Clemente Rovere e, infine, in Valli di Lanzo, bozzetti e leggende, di Maria Savi Lopez. Anche gli alpinisti della prima ondata pionieristica non tardano a subire il fascino delle sue alte montagne. Fu grazie a Luigi Vaccarone e al suo celebre articolo La parete terminale di Valgrande che la valle acquistò interesse alpinistico per i subalpini. In poco meno di mezzo secolo, a cavallo di Ottocento e Novecento, si distinsero tutti i grandi nomi dell’alpinismo sabaudo: soprattutto la cordata Corrà-Ricchiardi, che ascese nel 1884 la cresta nord-est della Punta Francesetti 3410 m, per poi vincere tre anni dopo la difficile cresta nord-ovest dell’Uja di Ciamarella.

Renato Rivelli e Marco Blatto in cima al Leitosa Meridionale. Foto: Marco Blatto.

Fu poi la parete nord dell’Albaron di Sea, nei primi decenni del Novecento, ad attirare scalatori del calibro di Vittorio Sigismondi con la guida Bricco Minasset, così come la forte cordata dei “senza guida”: Berra-Ellena-Cicogna. Anche la parete nord dell’Uja di Ciamarella, con la sua seraccata sporgente, fu infine vinta con un lungo e difficile lavoro di gradinamento con la piccozza, da Eugenio Ferreri e Walter Levi, nel giugno del 1922. Si trattò di una delle più belle imprese sul ghiaccio delle Alpi Graie Meridionali di quell’epoca. Le ripide pareti della prima parte del Vallone di Sea che sovrastano il Massiet, così come le repulsive alte creste del Gruppo delle Cime di Leitosa, continuavano tuttavia a essere inviolate. Ci pensò negli anni Trenta l’accademico torinese Firmino Palozzi, scalatore visionario e anticipatore del free climbing, firmando un’impegnativa linea sulla parete nord della Cima Meridionale di Leitosa 2870 m, e una breve ma difficile via sui contrafforti del Bec Cerel.

Negli anni Sessanta, finalmente, sugli Speroni di Sea debuttarono alcuni dei nomi destinati a lasciare un segno nel vallone nei due decenni successivi, cambiandone per sempre le fortune e la fama: Gian Carlo Grassi e Gian Piero Motti. Mancava ancora, però, qualcuno che tracciasse una via sulle bastionate del Massiet, che sembravano promettere difficili linee di scalata mista.

Nel 1978, un giovane di Saluggia, Isidoro Meneghin, aprì con Sergio Sibille la Via delle Docce Scozzesi, dando il via all’esplorazione delle strutture di medio e fondovalle. Isidoro, detto Isi, si legò in seguito con il forte Ugo Manera e, agli inizi degli anni Ottanta, nacquero le prime difficili linee in fessura e in placca, dove la scalata libera condivideva lo spazio con quella artificiale. Questa prima parte del Vallone di Sea, tuttavia, non possedeva ancora un tratto caratteriale che lo allontanasse definitivamente da quelle sfortunate percezioni estetiche che i visitatori gli avevano sempre attribuito.

La parte alta del Vallone di Sea. Foto: Marco Blatto.

In Val Grande, per fortuna, c’era Gian Piero Motti che dal 1981 al 1983, grazie a una sensibilità fuori dal comune e influenzato da letture colte, passerà intere giornate in Sea steso nei prati del Massiet, osservando le pareti, attribuendo loro dei nomi e dei significati mitico-simbolici, trasformandole in “luoghi” e generando paesaggio. Nacquero così lo “Specchio di Iside”, il “Trono di Osiride”, la “Torre di Gandalf”, la “Reggia dei Lapiti”.

È il cosiddetto periodo delle “Antiche Sere”, in qualche modo esattamente speculare e contrario all’ormai terminato “Nuovo Mattino”. Le “Antiche Sere” segnano il testamento spirituale di Motti, un ritorno alla purezza dei sogni giovanili su quelle montagne, dove il torinese ritrova le sue radici più genuine dopo un lungo periodo di crisi. Il 21 giugno del 1983, poi, il “Principe” ci lasciò al termine della sua lunga ricerca, forse conscio di non poter raggiungere l’irraggiungibile. Lo fece con un gesto estremo ma che in qualche modo fu di estrema coerenza. Il testimone di quel reame un po’ magico, era già saldamente nelle mani del suo grande amico: Gian Carlo Grassi. Nessuno più di lui, del resto, poteva sviluppare una così profonda sintonia con quell’ambiente naturale, tanto da considerarsene parte. La quantità d’itinerari che Gian Carlo aprirà per un buon decennio sulle pareti del vallone è davvero impressionante.

Lo farà senza riferirsi a un’etica particolare, utilizzando indifferentemente i chiodi tradizionali, le protezioni veloci o gli spit-roc, attrezzando dal basso e dall’alto, in arrampicata libera e in artificiale spesso estremo. D’inverno, il Vallone di Sea, grazie soprattutto alla presenza di Grassi, diventò il teatro per impegnative scalate sulle cascate di ghiaccio, in un periodo in cui questa disciplina era ancora in fase pionieristica.

In quei primi anni Ottanta, la mia presenza nel vallone di Sea era ancora legata alla scoperta giovanile della montagna e dell’alpinismo, avendo come obiettivo le alte cime che ne cingono fianchi e testata. Tuttavia, la conoscenza di Gian Piero Motti prima e di Gian Carlo Grassi poi, sarà di sprone e di esempio. Fu così che nell’agosto del 1988, durante una licenza militare, debuttai con la prima solitaria della via Palozzi sulla parete nord della Cima di Leitosa Meridionale.

Questo gruppo montuoso, nel ventennio successivo, diventò per me un terreno di gioco privilegiato, dove esprimermi con numerose vie nuove, alcune molto difficili, sempre mantenendo fede alla mia idea di un alpinismo tradizionale e classico. Nell’autunno del 1990 avevo sottoposto a Gian Carlo Grassi un mio progetto alpinistico: la risoluzione dell’ultimo pilastro inviolato della grande parete nord dell’Albaron di Sea 3262 m, che prometteva difficoltà sostenute. La guida condovese, entusiasta, mi aveva promesso che nell’estate successiva ci saremmo andati insieme. Purtroppo, nell’aprile del 1991, Gian Carlo morì in seguito a una caduta lungo il rientro da una cascata di ghiaccio, nel gruppo marchigiano dei Monti Sibillini. Tre giorni prima, in Sea, avevo fatto la prima discesa in sci del ripido Colle Malatret con Alessandro Vangi, e la mia felicità fu improvvisamente interrotta dalla notizia della morte del “maestro”. Per tutti gli anni Novanta, è vero, mi sono dedicato all’apertura di nuove vie nel vallone, un po’ in ogni stile, ma la mia attenzione è sempre stata rivolta alla risoluzione degli ultimi problemi delle grandes montagnes.

Così, nel 1993, in compagnia di Roberto Bensio ho tracciato la Direttissima del Pilastro sud-est della Punta Francesetti 3410 m, una scalata granitica bellissima che detiene ancora un record: il più alto passaggio di VII+ aperto in stile tradizionale nelle Alpi Graie Meridionali. Anche gli inverni particolarmente freddi, come quello del 2001, mi hanno permesso di realizzare delle belle linee di ghiaccio e misto, come Asso di picche sulla parete nord della Punta Rossa di Sea, con Paolo Giatti. Certo, nel nuovo millennio, restava ancora da risolvere un vecchio e ambizioso progetto, che dopo la morte di Gian Carlo Grassi era diventato una promessa: la scalata del terzo e più difficile pilastro della parete nord dell’Albaron di Sea, una salita che ho portato a termine nel 2004 con l’amico Roberto Bensio. Un anno molto prolifico per me alpinisticamente parlando, che sarà suggellato anche dalla prima salita del difficile Spigolo nord-ovest della Cima di Leitosa centrale 2833 m, in due giorni di scalata e un bivacco, con una dura sezione di VIII+ nel tratto finale.

Le basse pareti del Massiet nel corso del nuovo millennio hanno visto l’avvicendarsi di molti arrampicatori e, forse, l’impresa più bella in arrampicata moderna, resta la prima libera della via Così parlò Zarathustra (Una via per tutti e per nessuno)” al “Trono di Osiride”, opera di Jacopo Larcher e Paolo Marazzi nel 2017, con difficoltà fino al 7c. Mentre scrivo quest’articolo, la valle è minacciata dalla possibile costruzione di una strada pastorale, un progetto mai abbandonato dall’amministrazione comunale di Groscavallo e a lungo osteggiato dalla comunità degli scalatori.

E’ la stessa amministrazione che ha deliberato la proposta d’inserimento della testata della Val Grande di Lanzo – compresi due terzi del Vallone di Sea – nel Parco Nazionale del Gran Paradiso, che vedrebbe così i suoi confini ampliati a sud. Un controsenso apparente per un’area sottoposta in futuro a tutele restrittive, poiché lo scavo della pista sfregerebbe un paesaggio storicizzato che tutti abbiamo imparato ad amare e rispettare. Per quanto mi riguarda, posso dire che nel Vallone di Sea risiede il mio genius loci, e nel corso di quattro decenni la mia intensa attività esplorativa, oggi incentrata soprattutto sulle scalate in solitaria, si è accompagnata sempre di più a un sentimento etico ed estetico che va oltre l’occhio del geografo, e che forse s’inserisce pienamente nel solco di quelle “Antiche Sere” che di Sea costituiscono l’ethicos, l’unicità. Sono le medesime visioni dei miei grandi maestri, per i quali il gesto puramente “sportivo” aveva finito con il perdere del tutto significato.

La visione e l’irraggiungibile ultima modifica: 2025-09-24T05:34:00+02:00 da GognaBlog

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6 pensieri su “La visione e l’irraggiungibile”

  1. Il lavoro fatto dai fratelli Enrico, spesso con Luca Brunati e altri amici per l’arrampicata sulle pareti del fondo del vallone è enorme. A loro va anche il merito del meeting “Val Grande in Verticale” che con successo ogni anno sempre maggiore riprende gli embrionali raduni organizzati da me dal 2009. Secondo me va anche ricordata, per l’arrampicata in Sea, l’opera di Elio Bonfanti che con alcune vie ormai diventate classiche, come “Titanic” ha lanciato nel vallone le aperture moderne protette fix. In questo articolo io mi sono occupato di montagne del vallone e di alpinismo, ossia tutto quanto sta sopra queste pareti. soprattutto di quella che è la mia esperienza, che spesso si è tradotta anche in studio del paesaggio e de territorio. Un paesaggio purtroppo in rapida evoluzione. In ogni caso, stiamo già raccogliendo il materiale per la riedizione della guida “Val Grande in Verticale”…

  2. Via del ripiego è la via aperta da Meneghin e compagni nel 1981 ,rivista dai fratelli Enrico che stanno svolgendo un ,a parer mio ,ottimo lavoro di recupero delle vie di Sea . Credo di non esagerare a dire che questo posto ha un suo carattere e bisogna saper adattare il nostro ,vero ,Sea o la odi o la ami ,vale anche per le escursioni, Sea non regala ,la devi conquistare. O sia chiaro, pensiero personale, di fatto ho ripetuto la via del ripiego…

  3. Non poteva che attrarre personaggi di grande sensibilità e visione del calibro di Meneghin, Motti e Grassi.

    Meneghin e Grassi hanno vissuto Sea nell’azione disegnando linee di pensiero sulle rocce. Motti l’ha vissuta nella contemplazione sedendosi su un masso viaggiando con la mente nel mito.

  4.  
    Finalmente con il romanticismo la paura della natura si traforma nel fascino della bellezza.

  5. Vallone di Sea, un luogo aspro, ruvido, che sprigiona un grande fascino, quasi misterioso. Non poteva che attrarre personaggi di grande sensibilità e visione del calibro di Meneghin, Motti e Grassi.

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