Così bello… così lontano
(Noaschetta- La Cresta dei Prosces)
di Ugo Manera
Il vallone di Noaschetta inizia dal paese di Noasca e sembra non finire mai tanto è lungo. Una comoda ed ampia mulattiera parte subito sopra i tornanti della strada che porta a Ceresole Reale, si innalza con numerose giravolte e raggiunge una balza rocciosa che supera con laborioso tracciato, aggira poi verso destra il Monte Castello e dopo un tratto piuttosto ripido raggiunge il ripiano che ospita l’Alpe La Bruna: la zona più bella del vallone.
Su, molto in alto, sotto ai versanti sud di Tresenta e Ciarforon, a oltre quattro ore di marcia da Noasca, vi è una parete perfetta di gneiss rossastro, forse la più bella roccia per l’arrampicata di tutto il Gran Paradiso: è la Cresta dei Prosces. Ma è così lontana…!
Con l’eccezione del Monte Castello, che con l’alta parete sud domina l’inizio del vallone, Noaschetta nasconde un po’ i suoi tesori alpinistici quali le Torri del Blanc Giuir ed appunto la Cresta dei Prosces. A differenza del vicino Piantonetto ove l’attenzione viene subito attratta dal Becco di Valsoera, dal Becco Meridionale della Tribolazione e dalla costiera della Torre Rossa di Piantonetto che dominano l’ambiente, in Noaschetta a catturare l’attenzione di chi sale più che le Torri del Blanc Giuir e la Cresta dei Prosces, sono i ripiani verdeggianti solcati dalle linee argentee del torrente che dividendosi in vari rivoli dà all’ambiente un aspetto dolce che distrae dall’apprezzare le strutture rocciose che pure esistono ed offrono possibilità di scalate molto interessanti.

Nel vallone non ci sono punti di appoggio comodi per la cresta dei Prosces e per le Torri del Blanc Giuir: esiste il simpatico rifugio non custodito di Noaschetta, che è a quota 1540 metri e può servire come base per le pareti del Monte Castello ma è un po’ troppo in basso per quelle dell’alta valle. Il bivacco Ivrea invece, posto a 2745 m, è troppo in alto per essere utilizzato. In passato abbiamo pernottato più volte all’Alpe la Bruna situata in un luogo molto bello a quota 2473 m. ma l’antica costruzione, ora completamente crollata, non è più utilizzabile come riparo per la notte.

Ad avviare la ricerca di nuove scalate in Noaschetta, come per i massi erratici della bassa valle di Susa e le gelate cascate invernali in ogni dove, fu Gian Carlo Grassi che, con Vareno Boreatti, tracciò una prima via sulla Torre Inferiore del Blanc Giuir. Non una grande via ma che comunque diede avvio alla nuova storia dell’arrampicata in quel vallone proseguita poi verso obiettivi ben più importanti. Il nome con il quale Grassi appellò la sua via è significativo: via della Scoperta e data 29 giugno 1971.
Gian Carlo non era geloso delle sue scoperte e ne parlava volentieri con gli amici così i suoi racconti accesero il mio interesse e partii anch’io a scoprire i “tesori” del vallone di Noaschetta. Con Carlo Carena salii la Torre superiore del Blanc Giuir tracciando in itinerario in verità poco interessante. Di quella salita ricordo solo che mentre ero impegnato su una placca scorsi di fianco a me una grande ombra proiettata contro la roccia. Alzai lo sguardo e vidi alle mie spalle un’aquila che volteggiava vicinissima sopra di noi. Quella modesta salita servì però ad evidenziarmi che in quel vallone vi era molto da fare: era il settembre 1973.
Alla vera perla del vallone di Noaschetta, la Cresta dei Prosces, arrivò ancora per primo Grassi con un nutrito e qualificato gruppo di amici: Marco Bernardi, Carlo Giorda, Claudio Persico e Anne-Lise Rochat. Era il 31 agosto 1980 e tracciarono la via della Torre Nera posta un po’ a sud del centro dell’ampia parete. Gian Carlo descrisse con grande entusiasmo la scoperta della sconosciuta e lontana parete magnificandone la qualità della roccia e la bellezza del luogo.
Convinti dal racconto di Grassi il 20 giugno 1981 partimmo in quattro per scoprire a nostra volta questo misterioso Prosces: con me Isidoro Meneghin, Claudio Sant’Unione ed Alessandro Zuccon. Pernottammo all’Alpe la Bruna ed il mattino seguente raggiungemmo la base della parete; Gian Carlo aveva ragione, la cresta dei Prosces presenta una gran bella parete est che sembra offrire il meglio per l’arrampicata. Isidoro ed io, presi dall’entusiasmo, decidemmo di attaccare al centro della parete lungo una linea di diedri evidente e, all’apparenza, piuttosto impegnativa. Zuccon, non convinto della nostra scelta, andò con Sant’Unione a cercare sulla destra una zona più rotta, tracciarono un itinerario che risulta il meno difficile della parete.
La nostra scelta fu ampiamente premiata, la scalata si dimostrò superlativa su uno gneiss perfetto lungo diedri e fessure atletiche e muri rossastri. Uscimmo in cima soddisfatti e convinti che alla Cresta dei Prosces bisognava ritornare, anche se così lontana. In omaggio al calendario appellammo la nuova via: via del Solstizio.
Ai Prosces ci sono ritornato altre tre volte, il 4 settembre 1982 con Laura Ferrero e Franco Ribetti a tracciare una via sull’elevazione più meridionale della cresta, scalata di soddisfazione ma non comparabile alla via del Solstizio. Nel 1984 stavamo per partire per una spedizione nel gruppo del Tirich Mir in Pakistan e l’ultima salita nelle Alpi prima della partenza fu una nuova via sulla parete dei Prosces, con me, Ribetti e Sant’Unione. Nella circostanza il lungo avvicinamento venne preso come opportunità di allenamento per la spedizione. Tracciammo un itinerario a sinistra del Solstizio, bella via ma un po’ più facile di quelle che erano le nostre aspettative, il nome scelto fu una spece di buon auspicio per la nostra spedizione: Aspettando il Bindu Gol.
Nel 1999 Maurizio Oviglia era impegnato nella stesura del volume Rock Paradise dedicato alle scalate di roccia del Gran Paradiso, mi unii a lui qualche volta per esplorare pareti per descriverle con maggior precisione di quanto già noto. Una di queste fu proprio la Est della Cresta dei Prosces. Maurizio conosceva i Prosces perché il 26 luglio 1984 vi aveva tracciato una via in solitaria posta a sinistra della via della Torre Nera di Grassi e compagni. Il 21 luglio 1999, dopo un bivacco in ciò che rimaneva dell’Alpe la Bruna, ci dirigemmo verso i Prosces per vedere se era possibile tracciare un nuovo percorso nella parte più compatta e ripida della parete ove già esisteva una difficile via aperta il primo agosto 1982 da Andrea Giorda e Zuccon. Lo spazio c’era e ne venne fuori un tracciato impegnativo e di soddisfazione (il più difficile della parete), realizzato completamente in arrampicata libera e con protezione tradizionali.
Il mattatore dei Prosces resta comunque Grassi, apritore di ben sei vie delle tredici esistenti al momento della pubblicazione di Rock Paradise. Il numero delle vie testimonia il fascino che questa lontana parete esercita su chi impara a conoscerla. Nel 2018 alla pubblicazione del volumetto A Sud del Paradiso di Gianni Predan e Rinaldo Sartore, dedicato al versante canavesano del Gran Paradiso, il numero delle vie sulla Est dei Prosces rimaneva a 13.
Se alle Torri del Blanc Giuir e ai Prosces Gian Carlo Grassi precedette tutti, alla possente struttura del Monte Castello fummo i primi a metterci le mani salendo l’alta parete sud il 14 e 15 marzo 1981 ancora in inverno e con un bivacco in parete, con me, Meneghin e Sant’Unione. Negli anni a seguire sulle complesse strutture del Monte Castello vennero realizzate molte vie di grande impegno, le ultime con impiego degli spit.
Per concludere questa breve puntata nel vallone di Noaschetta voglio ancora citare una via che ricordo come molto bella, quella realizzata con Laura Ferrero e Franco Ribetti sulla Torre Superiore del Blanc Giuir il 12 giugno 1982, via che oggi sarà sicuramente percorribile in “libera” dove noi usammo le staffe.
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Un bel tracciato storico e un ottimo stimolo alla curiosità per andarci a mettere il naso. Leggendolo si respira la grande passione dei protagonisti, nonostante la lontananza dei luoghi, che richiedono tanta fatica per essere vissuti, ma in cambio regalano tanta soddisfazione a chi è curioso e innamorato dell’esplorazione.
Grazie Manera, leggerti è sempre un piacere.