Dolomiti di Fassa – 4

Dolomiti di Fassa – 4 (4-6) (AG 1964-019)
(dal mio diario, 1964)

4 agosto 1964: per Antonio e Pietro che si allontanano, ecco avvicinarsi Vittorio Bossa e Franco Mangia. Gianni Erbetta è invece un amico occasionale di Franco e si aggrega a noi visto che si era precedentemente messo d’accordo con Franco. E poi ha la macchina! Chi in auto e chi in corriera, arriviamo tutti a Passo Sella. Con le telecabine a Forcella Sassolungo, poi discesa per il ghiaione e poi risalita per altro ghiaione. Traversando l’intera base della parete est delle Cinque Dita arriviamo alla Forcella delle Cinque Dita 2785 m c.

E qui ci leghiamo: io con Franco e Vittorio, Paolo Cutolo con Gianni. La via è di Max Niedermayer e Josef Boegle (23 luglio 1906). Attacco io su difficoltà di III+ e con tre lunghezze e un po’ di salita di conserva, eccoci sotto la cima del Leone, dove ci fermiamo su un grande pianerottolo ghiaioso. Il tempo è magnifico. Proseguiamo (sempre io in testa) verso la Forcella del Leone (tra Leone e Mignolo) e qui, mentre aspettiamo Paolo e Gianni, io salgo sul Leone 2934 m c. Gianni va assai lento e Paolo è costretto a perderci di vista, poi finalmente arrivano. Così posso ripartire, con una bellissima spaccata in orrenda esposizione, sulle rocce del Mignolo. Da qui, per una fessura con difficoltà di IV-, arrivo alle placche grigie superiori, quasi orizzontali. E siamo alla Forcella del Mignolo, dalla quale attacco subito l’Anulare per un camino piuttosto friabile. Qui sopra ci tocca aspettare un bel po’, infatti Gianni resta ben 20 minuti in spaccata (quella tra il Leone e il Mignolo), non sapendo decidersi a ritirare l’altra gamba. Finalmente posso ripartire alla volta della Forcella dell’Anulare, dalla quale per la famosissima fessura Schuster (IV grado) sbuco sulle rocce terminali del Medio. A uno a uno arrivano anche gli altri, e ci ritroviamo tutti in vetta. Gianni è spossato e anche Vittorio comincia ad averne abbastanza. Comunque mangiamo e solo dopo un po’ cominciamo a scendere. I metri verso la Forcella del Pollice li scendiamo, in arrampicata e in doppia, con una lentezza penosa. Dall’intaglio Franco e io attacchiamo il Pollice, per la via Ampferer-Berger (IV+), senza neppure aspettare Paolo e Gianni che, se va bene, saranno ancora alla Forcella dell’Indice. Sono già le 17 circa e quindi sarebbe meglio scendere subito: ma io e Franco non ne abbiamo ancora abbastanza, così attacchiamo il Pollice. La prima lunghezza è facile. Poi vado su per una fessura in cui pianto un chiodo perché, essendo una via poco frequentata, qui chiodi non ce ne sono. Devio a sinistra con una lunga traversata e poi salendo ancora per parete arrivo sullo spigolo nord del Pollice, la tanto frequentata via di IV. Faccio salire Franco, poi con un altro tiro siamo in cima. Con tre magnifiche doppie ritorniamo alla Forcella del Pollice, dove incontriamo i nostri tre amici. E’ tardi. La discesa alla Forcella Sassolungo, in doppie, si svolge con una lentezza esasperante. Ci arriviamo solo alle 19.30. Ovvio che le telecabine sono chiuse e così ci tocca farcela a piedi. Questo è l’ultimo colpo per Gianni che non ne può più e arriva alla sua auto con la faccia del tutto stravolta, indimenticabile. Lo vedo entrare in macchina, biascicando accidenti a quelli delle telecabine e borbottando dell’altro incomprensibile. Ma lui abita ad Alba, così noi altri quattro siamo fermi a Canazei, e sono le 21. Meno male che, dopo una telefonata, arrivano altri amici che ci portano a Soraga. A casa, ho la gradita sorpresa di incontrare Alberto Poiré.

6 agosto 1964. Verso le 14 partiamo da Soraga, in cinque su una 600 Fiat guidata da Francesco Bossa, verso il Passo Sella. Vittorio Bossa ed io faremo la via Gluck sui pilastri sud della Prima Torre (IV e IV+); Piero Badaloni e Cesare Badaloni saliranno la via comune; Paolo Pazza e Franco Mangia, giunti qui in moto, saliranno per la via dei Camini. Vittorio ed io attacchiamo subito la via, che si presenta fin dall’inizio molto difficile. La via si svolge in quella di destra delle due fessure che scendono dalla sommità del pilastro sud. A 35 metri dalla base si deve traversare a destra su uno spigoletto grigio, salirlo per tre metri, poi ritornare a sinistra e, riguadagnata la fessura, proseguire fino in cima. Ma giunto al punto in cui devo traversare, io tiro diritto e così vado a incrodarmi sul VI grado: con difficoltà estremo riesco a raggiungere un cuneo di legno. Sono in una situazione molto pericolosa: Vittorio è sei metri sotto di me, in spaccata, con la fifa che lo divora. Mi fa sicurezza su un chiodo e tra me e lui c’è un altro chiodo, due metri sotto ai miei piedi. Non posso continuare e sono invaso dal tremito. In quel momento arrivano Franco Mangia e Paolo Piazza che si accorgono subito del pericolo e accorrono prontamente alla base. Nel frattempo mi faccio coraggio e con grande sforzo, vista la fessura strapiombante che ho salito in Dülfer poco sicura, anzi infida, riesco a scendere al chiodo e da lì fino a Vittorio. Era quello il chiodo dal quale avrei dovuto cominciare a traversare. Ma in quel momento pensavo solo a scendere, come pure Vittorio. Con una doppia siamo dai nostri amici. Consultando la guida di Ettore Castiglioni comprendo il mio errore. Franco e io ci rivolgiamo alla via Trenker, che divoriamo in 55 minuti, una magnifica arrampicata. Quando usciamo in cima comincia a piovere, perciò la discesa a Passo Sella è velocissima.

7 agosto 1964. Dopo aver fatto la sera prima una capatina a Cavalese per vedere Sesto grado in Patagonia, io, Franco e Vittorio andiamo alla volta del rifugio Re Alberto I. La via Fehrmann alla Stabeler è di IV grado, tracciata il 19 agosto 1908 da Rudolf Fehrmann e Oliver Perry-Smith. Presenta però due varianti di V grado, tracciate nel 1935 da Giovan Battista Vinatzer e Vincenz Peristi: una all’inizio, più lunga, e una un po’ dopo metà, più breve. Noi abbiamo intenzione di fare la seconda variante. Andiamo all’attacco e con una lunghezza sono alla cengia che traversa tutto il settore sinistro della parete sud. Da lì con un altro tiro sono alla base dei camini della via vera e propria. Faccio venire Franco e, lasciando Vittorio ancora all’inizio della cengia, parto. Le difficoltà sono di IV e io vado su molto bene, in spaccata fino a un terrazzino sotto un tetto rosso. Comando a Franco di far venire Vittorio dove è lui. Poi li faccio venire su entrambi. Riuniti, ora c’è da superare un diedro un po’ strapiombante e inclinato sulla sinistra. Continuando, c’è una specie di colatoio, piuttosto stretto, che mi conduce alla nicchia da cui parte la seconda variante Vinatzer. Qui mi fermo e faccio venire Franco. Poi attacco il tratto di V. Ci sono due chiodi già infissi e per la fessura strettissima e fortemente strapiombante esco al di sopra su un terrazzino. Tocca a Vittorio raggiungere Franco. Era già un po’ affaticato prima, ma ora è esausto. Nel tratto che lo separa da Franco ci sono tre moschettoni. Solo per sganciare il primo impiega tre minuti: non ha più forza. Vola. Franco lo tiene. Io che sono sopra ne sono ignaro, ma quando sento mugolii di paura dal basso e Franco che mi chiama, capisco tutto. Intanto Vittorio prega Franco di calarlo giù e Franco lo accontenta, depositandolo pian piano sul terrazzino. Io intanto sono sceso, non per la variante ma per la Fehrmann originale, e ho raggiunto Franco. Discutiamo sul da farsi: Vittorio non ha più l’impulso nervoso di far lavorare i muscoli. Così io scendo in doppia su una corda e tolgo i rimanenti due moschettoni. Poi torno su da Franco. Ora possiamo tirare su di peso Vittorio, che all’inizio urla di lasciarlo giù poi, vedendo la corda doppia che ho lasciato al suo posto, si rianima e si aiuta con quella, facendoci fare molta meno fatica. Siamo costretti ora a lasciare Vittorio sulla via comune mentre noi continuiamo e con una lunghezza siamo alla forcella tra cima e anticima. Da qui in vetta. Ora incomincia a piovere, scendiamo a riprendere Vittorio, che intanto per fortuna si è ripreso, e andiamo a scendere in doppia sotto un’acqua torrenziale ma senza incidenti.

11 agosto 1964. La via Fusco-Antonioli si svolge sulla parete sud-ovest della Cima Sud dei Mugoni, cioè a sinistra della monumentale parete sud-est sulla quale si svolgono grandiosi itinerari di VI grado. La nostra via èp ben più modesta (III), ma non meno bella. Attacchiamo per un camino nerastro, incontrando due chiodi, e arriviamo sul cengione che taglia in due parti la parete sud-ovest della montagna, con le mani gelate per il freddo. Poi però al sole, Alberto Poiré ed io ci scaldiamo e così ripartiamo alla volta del canalone che sta sopra di noi. Con una bella traversata passiamo ora su uno spigolo e arriviamo sotto un grande tetto rossastro. Questo è senz’altro lo spigolo, di 40 metri e piuttosto allargato, di cui fa cenno la guida. Il superamento di quel salto m’impegna considerevolmente, ma poi ci riesco e faccio venire Alberto. Ora è tutto facile e con bella camminata raggiungiamo la cima del Gran Mugon 2739 m. E’ stata proprio una bella via, lunghetta, esposta e di soddisfazione. Facciamo la discesa per la via comune (I grado), quella trovata dai primi salitori (Da Chiesa, G. Tambosi, don Baroldi e C. Candelpergher, 3 settembre 1883). Qui è ancora la vera montagna, isolata, silenziosa. Si odono solo i lontani tintinnii dei pascoli, che sottolineano ancor più la pace di questa Gran Busa di Vael. Ci siamo anche un po’ persi su rocce un po’ più difficili, ma poi ne usciamo. Dal Vajolon a Vigo di Fassa a piedi.

(E’ singolare che né ora ne altrove nel diario io abbia accennato alla grande disgrazia che aveva colpito i Poiré qualche anno prima, la morte in montagna del fratello maggiore di Alberto: lutto che aveva segnato profondamente il padre, con la madre distrutta, terrorizzata dal pensiero di perdere anche il secondo figlio e con Alberto dilaniato tra la sua passione per la montagna e i suoi complessi di colpa nei confronti della mamma. Alberto diventerà stimatissimo medico chirurgo, passando due anni a farsi le ossa in Tanzania.
E’ anche curioso che non riporti un episodio di questa salita che invece ho sempre ricordato benissimo: per tutta quella giornata sono stato affetto da un’infezione intestinale che, se durante il giorno si era tradotta in una continua serie di rutti all’uovo marcio, la sera si era risolta in una grande diarrea.
NdA).

12 agosto 1964. Bloccati al rifugio Vajolet dalla neve che cade, Franco Mangia, Paolo Cutolo, Paolo Piazza ed io rinunciamo alla fessura Piaz alla Punta Emma. Tornando mestamente al Gardeccia, Franco e io ci fermiamo un po’ ai massi e facciamo un po’ di artificiale. Dovremo pure imparare, no? E contrariamente alle altre volte ci riesce bene. Ma poi dobbiamo desistere per la pioggia che ormai ci bagna anche sotto lo strapiombo.

Dolomiti di Fassa – 4 ultima modifica: 2017-10-23T05:18:17+02:00 da GognaBlog

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