I Cento Nuovi Mattini

I Cento Nuovi Mattini
(scalate brevi e libere in Piemonte, Val d’Aosta, Lombardia, Liguria, Emilia, Toscana, Lazio e Sardegna)

Trentaquattro anni fa usciva, per i tipi della Zanichelli, il mio libro Cento nuovi mattini. All’inizio degli anni ‘80 cominciava a essere praticata come fine a se stessa l’arrampicata in falesia, e si cercava di capire se questa fosse un’alternativa povera o un “alter-ego” dell’alpinismo.

Per ragioni diverse 100NM è diventato un cult dell’arrampicata (arrampicata libera ma ancora meglio arrampicata e basta). Consultato avidamente, collezionato, ricercato anche e soprattutto quando esaurito. Un libro che, senza volerlo, ha fatto scuola.

Qui di seguito ne trascrivo l’introduzione: al momento di scriverla mi sembrava un’attenta analisi dei tempi, mentre molto presto si è rivelata un monumento all’utopia. Alla luce dell’esperienza di questi trentaquattro anni, forse queste parole hanno più senso oggi che ieri.

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Introduzione ai 100 Nuovi Mattini
(settembre 1981)
Dedica
Dedico questo libro ai dirupi, risalti, burroni, falesie, canyon, e a tutte le strutture di fondovalle nella speranza che la follia “costruttiva” dell’uomo non perseveri in un’opera di aggressione e distruzione moralmente ed ecologicamente inaccettabile oltre che incurante della futura sicurezza delle stesse abitazioni e degli stessi insediamenti industriali.

Omaggio
L’arrampicata di fondovalle in Italia è giovane. Il primo ad accorgersi delle enormi possibilità delle nostre strutture e quindi il primo a vivere la nuova filosofia dell’alpinismo senza vette fu Gian Piero Motti, nei primi anni ’70. Il suo incontro con Mike Kosterlitz, esponente di quell’alpinismo britannico che da sempre in questo campo era all’avanguardia, fu l’inizio di quella nuova era dell’arrampicata che oggi sembra così naturale e frutto spontaneo della nuova generazione. Nel 1974, Gian Piero Motti pubblicò sulla Rivista della Montagna un articolo dal titolo Il Nuovo Mattino. Analisi dell’Alpinismo Californiano.

Ringraziamento
Ringrazio coloro che appaiono nelle fotografie, ma anche quelli che non figurano solo a causa della selezione fotografica. Sono riconoscente a chi mi ha aiutato in qualunque maniera ed è rimasto nell’ombra. Di questi ho citato i nomi in apertura. Sono pure grato a coloro che non mi hanno aiutato o per pigrizia o perché non credevano in questo lavoro. Grazie a loro sono stato continuamente pungolato a fare del mio meglio perché questo documento si realizzasse a dispetto di ogni difficoltà.

Introduzione
Perché i “nuovi mattini”
Negli anni ’70 l’alpinismo è cresciuto, si è espanso e negli anni ’80 non sarà più un’attività elitaria per pochi pazzi. Già in Europa si è assistito a una rivalutazione morale dell’alpinismo da parte dei profani, che ora dimostrano maggiore sensibilità e apertura. Anche in Italia le cose stanno cambiando, il “boom” alpinistico è avvenuto anche da noi. Lo possono confermare l’aumento incredibile delle vendite di articoli sportivi legati alla montagna e il rifiorire delle attività editoriali con argomento la montagna e l’alpinismo. Ciò è consolante, anche se accanto ai lati positivi ci saranno quelli negativi. I primi segni di cambiamento, dovuto all’accresciuto numero di persone, si hanno nella diversificazione delle attività. Tralasciando l’escursionismo tradizionale (anch’esso in pieno “boom”, vedi i trekking e tutte le iniziative di traversate da rifugio a rifugio) e occupandoci solo di alpinismo, si possono distinguere ormai due nette direzioni. Da una parte sta l’alpinismo classico. Quello dell’alta quota, della neve, del ghiaccio e delle grandi salite su roccia. Dall’altra è nata una nuova forma di movimento, l’arrampicata fine a se stessa, privata dell’ideologia della cima e dell’eroismo, ma non della competizione. Entrambi i rami sono in rapida crescita, sia in qualità che in quantità, però stanno staccandosi sempre più e sempre più si dividono le mentalità che ne sono alla radice.

Personalmente ho vissuto entrambe le correnti e posso dire ancora oggi di non avere preferenze. Però debbo affermare che per vivere entrambe ho dovuto compiere un notevole sforzo di adattamento e duttilità. Gli ambienti umani sono incomparabilmente estranei uno all’altro. Questo è male, occorrerebbe cercare di riunire, di collegare. Un’esperienza unificatrice è quella di cui oggi in Italia c’è maggiormente bisogno. Se da una parte si cerca di camminare il meno possibile per accedere alle pareti, dall’altra si accentuano i dislivelli, si cercano montagne più isolate e grandiose. Se nell’arrampicata si evita il freddo, in alpinismo il freddo e la quota sono elementi essenziali. Anche se oggi si tende a scalare la parete ovest dei Dru con le scarpette, portando nello zaino gli scarponi, questo non basta a collegare caratteri così diversi. Di fondo rimane che in arrampicata il passaggio di settimo grado è la meta, mentre in alpinismo lo stesso passaggio è un ostacolo e va eliminato con l’uso della staffa.

28 luglio 1980: Val di Mello, Ivan Guerini tenta la fessura che diventerà La signora del Tempo
Val di Mello, Ivan Guerini su La signora del Tempo, 28.7.1980

A queste differenze se ne aggiungono altre più esteriori, come l’abbigliamento, il gergo, l’età media, l’allenamento più o meno intenso. Molti alpinisti classici che sfoglieranno questo libro potranno arricciare il naso di fronte a certe immagini “scapigliate”. Questo libro non vuole essere una difesa e neppure un’aggressione. Vuole essere un documento il più possibile esatto e reale di ciò che succede oggi nell’arrampicata pura. Documento che dev’essere inteso come tale, cioè strumento di informazione e di piacere visivo. Non soltanto io autore, ma tutti i ragazzi protagonisti, sappiamo che certi passaggi e certe “prodezze” non sarebbero stati possibili in montagna. Ma sappiamo anche che, da quando le strutture rocciose della bassa valle hanno cessato di essere “palestra”, il livello medio di capacità si è notevolmente alzato e non si può ignorare che la grande maggioranza delle vecchie vie classiche è stata ripetuta in arrampicata totalmente libera. In Dolomiti vie come la Brandler-Hasse alla Roda di Vael, la Carlesso alla Torre Trieste e la Comici alla Grande di Lavaredo hanno visto ripetizioni senza l’uso di un solo chiodo di progressione. E lo stesso è successo sul Monte Bianco e sulle Alpi Centrali. Questi sono risultati inoppugnabili e il merito va ascritto al fatto che non si va più ad allenarsi, ma si va ad arrampicare.

Questo fondamentale cambio di mentalità ha portato a parlare di tempi nuovi. Da che mondo è mondo ci sono stati “tempi nuovi” e sempre ci saranno. Per questo il mio documento di cronaca e di fotografia può essere intitolato “100 nuovi mattini”: perché ci vogliono cento giorni per salire tutto ciò che ho proposto qui, ma soprattutto devono essere cento giorni “nuovi”, altrimenti si rischia di ottenere il risultato ma di falsarne lo spirito, riproponendo il vecchio sistema dell’allenamento e riportando “in palestra” la mentalità della montagna.

Resta fermo che ognuno è libero di salire, di scalare, di arrampicare come meglio crede. Ciò che è inopportuno è il campanilismo, il settarismo invidioso dei compartimenti stagni e soprattutto l’ignoranza.

10 giugno 1973: Scoglio di Mróz, Alessandro Gogna sulla seconda lunghezza della Via della Torre Staccata, prima ascensione
Scoglio di Mroz, via Gogna, 1a ascensione

Per salire tutti e cento i nuovi mattini, ho dovuto calarmi integralmente nel nuovo mondo, viverne pregi e difetti. Ho sempre preferito alzarmi presto la mattina e invece qui dovevo stare a nuovi canoni, rimettermi alle abitudini degli altri, per esempio. Anche altre trasformazioni ho dovuto compiere, altrimenti il risultato finale non sarebbe stato possibile. Questa è la ragione per la quale il lettore classico troverà poche concessioni all’alpinismo tradizionale, ma è anche, secondo me, la verità del libro senza la pretesa di adattarsi ad uso di molteplici gusti.

Le difficoltà
Tra i più difficili compiti che mi sono assunto, quello di dare una valutazione omogenea delle difficoltà è stato il più duro e più discusso. Per cominciare ho rinunciato a dare una valutazione complessiva di ciascun itinerario. Ho percorso personalmente tutti e 100 gli itinerari e ho sempre fornito i dati salienti, dislivello, sviluppo, difficoltà dei passaggi, numero delle protezioni, ma ho evitato di riassumere, perché lo credo inutile. Per le difficoltà sui passaggi ho seguito i criteri della scala aperta UIAA, tralasciando le scale francese, inglese e americana. In questo libro il terzo e quarto grado sono ancora quelli di una volta e a me sembra più onesto non ricorrere all’espediente della compressione dei gradi. E’ importante notare subito che molti passaggi di VI, VII, ecc. sono tali solo se superati esclusivamente in arrampicata libera, cioè senza usare l’ancoraggio come progressione bensì solo per assicurazione. Questo vuol dire evidentemente che lo stesso passaggio è superabile all’occorrenza anche in A0 o con le staffe. Se ciò non fosse possibile, in quanto il tratto di parete non accetta protezioni di sorta, allora ho sempre specificato o nel disegno o nel testo che non si possono mettere chiodi e neppure nut. Do per scontato che dopo l’uscita di questo libro, molti andranno a ripetere queste vie e riusciranno a salire in libera tratti qui riportati in artificiale. Questo mi farà solo piacere quando avverrà, noi non abbiamo certo avuto la pretesa né di essere i migliori né di determinare a priori ciò che è possibile o ciò che è impossibile in arrampicata libera. Io ho riportato fedelmente sui disegni le nostre prestazioni, le nostre interpretazioni di un itinerario.

Perché ri-creazione?
Ed arrivo qui al punto più importante. Specificate le difficoltà, conosciuto il numero delle protezioni in posto, conosciuto il tipo di materiale da portare con sé, note la discesa e tutte le possibilità di sosta, cosa rimane a chi intende ri-petere un itinerario qualsiasi? Nulla, se uno non ci mette del suo. Fare la via con un chiodo in meno non è questo un gran progresso, a pensarci bene. Mentre la filosofia del nuovo mattino può essere creativa se ci si abbandona alla roccia, al sole, all’arrampicata. Appositamente ho voluto specificare al massimo tutto ciò che si può sapere su un itinerario così da non avere più alcun problema tecnico e non avere più alcuna scusante per trovare in noi stessi ciò che cerchiamo sulla roccia. Ecco perché non ho mai parlato di ri-petizione ma solo di ri-creazione. Perché io credo che a suo modo ciascuno ri-crea una sua esperienza personale nel filo della sua esperienza totale di vita. Questa ri-creazione è certo possibile anche in alta montagna e anche in altri campi che nulla hanno a che vedere con l’alpinismo, però è facilmente comprensibile che ogni tipo di creazione è difficilmente compatibile con l’eroismo e con la competizione: e qui in basso, su rocce arrampicabili tutto l’anno, è più facile dimenticare eroismo e meno facile eliminare competizione… Entrambi sono nemici delle creazione e di quel sentire noi stessi in pieno accordo con chi ci circonda e con la natura.

So che ciò che dico è un po’ quello che vorrei che fosse e che non ho nessun diritto di giudicare se si ri-crea, se si ri-pete, ecc. Ma almeno formalmente ho voluto slegarmi il più possibile dai vincoli della tradizione e ancora di più sciogliermi dai nuovi legami e codici dell’arrampicata moderna. Sono sempre gli altri che daranno un senso a ciò che faranno. Questo libro vuole essere un dito puntato, ma non un’esortazione e tanto meno una bibbia.

I Cento Nuovi Mattini ultima modifica: 2015-11-04T06:01:26+01:00 da GognaBlog

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23 pensieri su “I Cento Nuovi Mattini”

  1. 100 nuovi mattini : l’ispirazione per i nostri anni 80; come ha scritto maurizio prima si cercava di fare/avvicinarsi alle vie che erano riportate lì poi magari le altre; ancor oggi ultracinquantenne e non più arrampicatore ogni tanto lo sfoglio con emozione

  2. io non credo che siano i 30 anni più o 30 di meno. E’ la fantasia e la voglia che fa la differenza.
    Poi se uno è un rottame sciancato allora…pace all’anima sua.

  3. Vabbè, insomma gira gira l’unico vero problema non è che i giovani se ne infischiano dei Cento Nuovi Mattini; è che quando noi andavamo a rifare i Cento Nuovi Mattini avevamo tutti trent’anni di meno…
    Giuseppe, io però il diedro Scarabelli lo ho aggiunto alla lista un paio d’anni fa… con quella bestia di Giudirel. Insisti che alla fine ce la fai…

  4. Giando dopo che mi hai chiamato giovane Michelazzi sei promosso a primo violino!!!
    Per Alberto niente da fare invece… sennò ci mancano i fiati e diventa un’orchestra di archi… 😀
    Tra i tanti articoli con argomenti pesanti ogni tanto farsi una risata credo non guasti… 😉

  5. Peccato che il Capo non sia passato in val del Sarca in quel periodo, avrebbe potuto vedere e scrivere cose con effetti speciali e colori mai visti.

  6. Stefano, sarò anche un trombone brontolone ma io non rimpiango proprio nulla (ecco in verità i miei 20 anni si..) . Ne affermo che andava meglio quando anda peggio . I nostri errori li abbiamo fatti anche noi e alla grande.
    Oggi ci sono ci sono cose che condivido e altre invece no. Esercitare il diritto di critica non mi sembra da tromboni anche perchè nonostante l’età a scalare con i 20 enni ci vado e alla grande. Quindi con loro mi confronto, sul terreno e sulle opinioni e quando ci sono cose che fanno o che dicono che non condivido glielo dico.

    E’ da vecchi tromboni brontoloni?? può darsi. Ma la critica se non è fine a se stessa ed è supportata da argomenti non mi sembra affatto …statica.

  7. Alberto, il giovane Michelazzi ci ha praticamente dato dei tromboni 😉 Tu come te la cavi con le note? Io male 🙂

  8. Scusate ma… un po’ parafrasando l’intervento di Marcello… che du palle!!! Ogni stagione ha i suoi frutti e ad ogni stagione i tromboni rimpiangono quella precedente…
    Dalle mie parti il Nuovo Mattino ci ha fatto ‘na pippa… neanche sapevamo esistesse a parte il riconoscere le capacità di alcuni suoi testimonials dei quali si andavano a ripetere le vie per il piacere di farlo… il bouldering è nato a fine anni ’20 (vedi foto di Comici ed altri dell’epoca in Napo) lo facevano tutti ed a parte piccole “sfide” locali mai c’abbiamo marciato… passaggi gradati oggi di 7b e oltre venivano scalati a fine ’70… e alcuni con gli scarponi (vedi quell’atleta di Jose Baron…) ma mica eravamo superiori o migliori… eravamo e basta… come tutti gli altri…
    L’alpinismo sarebbe un peccato che morisse come concezione di pensiero sopra la riga della normalità ma non esistono salvatori (gli zuavi antagonisti del nuovo mattino si trincerarono allo stesso modo…)… Non c’è meglio o peggio, soltanto prima, dopo e quel che verrà…
    Viviamolo bene questo periodo di strane (per i vecchi) innovazioni e idee un po’ traballanti e vediamo dove porteranno… magari a qualcosa di ancora migliore che mischierà magari (come esempio) alpinismo e rispetto dell’ambiente che malgrado episodi eclatanti di stile contrario, mi suona come un probabile prossimo passo…)…
    Chi ha fatto sia felice di ciò che ha dato, pronto magari a rispondere, ma giudicare e criticare sempre e comunque non porta a nulla di buono… è statistico!
    Le nuove generazioni (di cui faccio parte perché col cavolazzo che mi sento già passato… ) hanno tutti i idiritti di esprimersi e lo faranno anche se i tromboni smetteranno di far rumore, perciò… evitiamo il brusio… 😀

  9. Marcello più che di coglionazzi direi menefreghisti.

    Quanti oggi darebbero lo stesso valore che hai dato te e tanti altri della tua generazione (me compreso visto che ho 55 anni) alle “pagine magiche” (come le definisci te) di un libro come CNM ?

    Mi sa non molti.

  10. Ma si dai Marcello si fa per parlare 🙂 Per cercare di mantenere questo blog su un buon livello (bello il termine coglionazzi..).

  11. Giando e Alberto, ma è possibile che vediate sempre e solo problemi? Eddai su, io non lo intendevo come problema quello delle nuove generazioni. Come allora ci sono quelli sensibili e intelligenti e quelli coglionazzi, non preoccupatevi.
    L’importante è divertirsi e avere rispetto. Cento nuovi mattini e stato una festa, quindi festeggiamo ognuno a modo suo.
    Mola 600 trazioni al giorno, Marnetto la Kosterlitz a faccia avanti.
    Ciao a tutti.

  12. Ma certo. Buon non compleanno CNM. Fra le tante mi manca ancora il diedro Scarabelli al buco del piombo. Giudirel è sempre li che dice: “ti porto” poi alla prima sporta piena di castagne si dilegua.
    C’ero anch’io e mi accontentavo di salire quelle vicine e sognare quelle lontane.
    Folletto rosso come tanti l’ho salita. Non ricordo se al tempo la sminuii, di certo rammento qualche onorevole resting con il fiffi. 😉

  13. Infatti, concordo pienamente su quello che dici. C’è una carenza di fantasia in senso innovativo e questo risulta evidente nelle nuove realizzazioni, le quali, per quanto in alcuni casi interessanti, seguono un filone predefinito e consistente, in definitiva, nel continuo innalzamento del livello.
    Ora non è che io disprezzi tutto questo, ci mancherebbe, tanto di cappello a coloro i quali sono in grado di fare certe cose ma faccio fatica a trovare delle motivazioni almeno pari a quelle che hanno animato gli esponenti del Nuovo Mattino. Basta leggere certi scritti dell’epoca per registrare la sproporzione, la differenza di contenuti non passa inosservata. Ma ribadisco, non è una critica bensì una semplice constatazione del cambiamento del tempi e, pertanto, è inevitabile ripensare a quei giorni con nostalgia.

  14. Giando un chiodo va , un chiodo viene. Diverso è modificare sostanzialmente un itinerario. Modificarlo nella sua natura vuol dire cancellarlo.
    Chiaramente l’esperienza dei primi salitori è tutta loro. Anche perchè una rpetizione non sarà mani come l’apertura. Nell’apertura c’è l’ignoto, nella ripetizione almeno che qualcuno c’è già passato si sa. Anche se c’è stato un momento nella storia dell’alpinismo , che per fare le prime ripetizioni di certi itinerari ci sono voluti anni e anni. Avere nel proprio carniere la prima ripetizione di una certa via, magari aperta da grandi nomi dell’alpinismo, è stato motivo di vanto , di grande considerazione e spessore alpinistico.
    Ha avuto più peso la prima di Cassin sulla Walker o la prima ripetizione di Rebuffat?

    Secondo me sarebbe importante per le nuove generazioni rileggere le pagine di 100 Nuovi Mattini. Come giustamente dici te potrebbero essere un suggerimento, uno stimolo ad uscire da canoni preconfezionati e tornare a dire qualcosa di personale, di innovativo se non addirittura di rivoluzionario.
    Questo per dare uno scossone ad una situazione attuale che è immobile, che secondo me manca di fantasia. Dove l’importante, quando si va a ripetere una via, non è ri.creare perchè costerebbe troppo impegno celebrale e la voglia di perdersi . Quindi relazioni super dettagliate perchè alla fine quello che conta è solo il gesto e il grado.

  15. Coccolato, letto e riletto come uba Bibbia fino a consumarlo.
    Lo conservo con amore, come i ricordi di quel bellissimo periodo.

    Auguri 100nm!

  16. Buon noncompleanno! 🙂 L’intervento di Marcello mi ha fatto venire in mente quella famosa didascalia di Folletto Rosso. Forse Marcello ricordi che venivo a Finale con Mola e con Marnetto e appositamente eravamo andati a fare Folletto Rosso proprio per dimostrare che la spaccata non era affatto necessaria. C’era allora una sorta di irriverenza da parte della new generation verso la generazione appena precedente, ma quel libro è stato indubbiamente ispiratore per noi tutti, per cui prima bisognava fare le vie contenute in 100 nuovi mattini, poi caso mai le altre

  17. Sono d’accordo Alberto, oggi, magari non sempre volutamente, di fatto si cancella. La cosiddetta rivalutazione delle vie sovente comporta una cancellazione. So che molti non saranno d’accordo ma quest’ultima osservazione non vuole essere una critica, anche perché sparare nel mucchio ha poco senso e bisognerebbe entrare nel merito delle singole vie, bensì una semplice constatazione.
    Personalmente credo che le sensazioni con cui vengano fatte le cose per la prima volta ben difficilmente possano essere riassaporate dai ripetitori. Certo, nel momento in cui il percorso rimane inalterato è più facile immedesimarsi col realizzatore ma non sarà comunque mai la stessa cosa.
    C’è però un problema di non poco conto, e anche in questo caso mi limito a fare una riflessione relativamente alla quale non ho una risposta precisa. A distanza di anni diversi itinerari possono prestare il fianco all’inevitabile usura del tempo, col risultato che il ripercorrerli senza nessun tipo di intervento potrebbe comportare dei rischi addirittura superiori a quelli affrontati da chi li ha creati. In questo caso cosa si fa? Si lascia tutto così com’è ad eterno ricordo del/i primo/i salitore/i oppure in qualche modo si interviene, pur nella cosapevolezza che ogni modifica snaturerà, poco o tanto che sia, l’originale? Non lo so, sinceramente non saprei cosa rispondere (ovviamente non mi riferisco a modifiche così evidenti come quelli, per es., di spittare una fessura).
    Quanto può servire alle nuove generazioni sfogliare quelle vecchie pagine? Secondo me molto a patto però di non voler reinterpretare un qualcosa di non reinterpretabile. Sfogliare quelle pagine potrebbe invece aiutare a trovare in sè stessi delle motivazioni simili a quelle degli esponenti del Nuovo mattino, motivazioni le quali, per forza di cose, risentiranno del diverso contesto in cui viviamo ma che non possono prescindere da una visione dell’arrampicata, e diciamo pure anche dell’alpinismo, svincolata dalla difficoltà e dal grado vissuti come unico o comunque principale parametro di riferimento.
    Il vero problema, almeno per come la vedo io, è che un giovane o relativamente tale rischia di avvicinarsi all’arrampicata passando dalla palestra indoor e tutto ciò può costituire un elemento determinante nella formazione di un certo tipo di approccio, diciamo pure sportivo, col risultato che la stessa fantasia viene in buona parte canalizzata in un’unica direzione. Questo potrà sicuramente portare a fare cose egregie dal punto di vista tecnico e anche emozionale ma comunque sempre legate ad una visione di stampo prestazionale mirante ad un risultato ben preciso. Si potranno anche concepire imprese mirabolanti le quali avranno però quasi sempre un contenuto di tipo sportivo più o meno rilevante.
    Insomma, anch’io, come Alberto, la vedo dura.

  18. ” ma perché mi dico cosa procurerà ai climber di oggi? Qualcuno si prenderà la briga di sfogliare quelle pagine per conoscere la storia di chi ha aperto strade che oggi appaiono scontate? ”

    Non è per mncanza di fiducia verso le nuove generazioni ma la vedo dura.
    Quello che succede è sotto gli occhi di tutti. Il passato si tenta di cancellarlo, non di ri.visitarlo e ri.interpretarlo

  19. Cazzo, io c’ero! Non c’erano gli spit su tutte quelle vie. Folletto Rosso (la via in copertina) a Rocca di Corno a Finale Ligure sono riuscito a farla con ancora i chiodi. Non nel senso che l’avevo fatta in libera, neppure mi ricordo, ma in quello che senza gli spit apparsi qualche anno dopo rappresentava qualcosa di irripetibile. Mi spiego: salire un tiro come quello, credo oggi 6b/c, con i vecchi chiodi era una sensazione che oggi non si può più vivere. Intendiamoci, non ho nulla contro gli spit, ma quelle emozioni so che non torneranno più e un po’ mi dispiace. Certo, sono anche gli anni che sono passati a decine.
    Il ri-creare di Alessandro è rimasto relegato a qualche prodezza che ancora si può fare se si trova un vecchio itinerario non ancora liberato e chiodato alla vecchia maniera.
    La scalata trad ornata di mille attrezzi moderni non è la stessa cosa. E’ solo la rappresentazione odierna di una sfaccettatura della scalata, ma la quasi certezza di potersi assicurare con una delle mille diavolerie (bellissime) che pendono dall’imbrago, apre sipari che nei primi anni ottanta erano preclusi a livello emotivo. Quell’inconsapevolezza era una spinta fortissima.
    Comunque questo post lo aspettavo al varco. Era troppo fondamentale che arrivasse. E non tanto perché ri-vedo una copertina notissima alla mia libreria e ai miei occhi (pagine interne comprese) ma perché mi dico cosa procurerà ai climber di oggi? Qualcuno si prenderà la briga di sfogliare quelle pagine per conoscere la storia di chi ha aperto strade che oggi appaiono scontate?
    Qualche figlio (fortunato) lo troverà nella libreria del padre, ma ora sto diventando pedantemente nostalgico, stop!
    Quelle foto dall’alto sporgendosi, quelle didascalie che esaurivano l’immagine tanto erano essenzialmente profonde, quelle meraviglia e gioia che ci invadevano al pensiero di avere tanto terreno davanti da re-inventare, quei messaggi scaltri e fatti col cuore che apparivano lapidari affiorando dalle descrizioni delle vie… Tutte cose che si possono ri-vivere sfogliando quelle pagine magiche. Grazie!

    ps dopo La Pietra dei Sogni (Versante Sud) splendida ri-visitazione di Mezzogiorno di Pietra, cosa dobbiamo aspettarci da Stupid Rock?

  20. L’eterna attualità di quel cambio di passo e l’eterna gioventù di quei ragazzi. I Nuovi Mattini stanno alla storia dell’alpinismo italiano come il Futurismo alla storia della letteratura russa. Apparentemente una crasi, in realtà la base per una rilettura ed una riproposizione neoromantica di quella tradizione dalla quale sembra volersi distaccare, andando in realtà a rinnovarla e rinvigorirla.

    Buon anniversario, Centonuovimattinisti.

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