Il Santuario della Corona

Metadiario – 310 – Il Santuario della Corona (AG 2023-004)
Con Guya arriviamo a Brentino, nella più profonda Val d’Adige, verso le 18. Lei non è mai stata al Bar della Gigia, io invece tante volte con gli amici dopo aver arrampicato. I ricordi di quei “terzi tempi” è sfumato, non ci sono mai state cose in particolare da dover raccontare, se non l’aver passato ore in compagnia di amici, spesso di quelli che si vedono più raramente come Walter Novello. Purtroppo, spesso le birre bevute attutiscono i ricordi e le sfumature. Il sole è calato dietro al Monte Cimo e per oggi non colora più il dehor con i tavolini, dove comunque, data la temperatura gradevole, ancora si attardano gli ultimi scalatori e merenderos. Entrati, sono subito salutato dai ragazzi dietro al bancone del bar, sorridenti e affettuosi. Dopo un momento compare la padrona, Gigia. Espansiva a suo modo, sicura come è che, se tra due persone c’è un terreno comune, il feeling non ha bisogno di tante parole. Ci stava aspettando, è felice di vedermi e di conoscere Guya: ma allo stesso tempo vedo che è un po’ preoccupata per quello che dovrebbe succedere qui tra qualche ora. C’è una locandina fotocopiata che informa di una mia serata lì, Il limite sopra e sotto: Gigia è emozionata, ha voluto fortemente questo piccolo evento, ha preparato le panche, il rinfresco post-conferenza… ma non sa ancora in quanti arriveranno per le 21. Troppo pochi? Pensa che delusione per Alessandro… In troppi? Come faccio a farli stare tutti dentro… E così, un dubbio via l’altro. Ma gentilezza e spontaneità la rendono così umana che, anche se avesse delle colpe, le sarebbero tutte rimesse. Ci vengono offerti due calici di un meraviglioso vino bianco fermo, tenuemente aromatico. Gigia ci presenta il suo compagno, un omone che ci stritola la mano con generosa noncuranza.

Il bar della Gigia a Brentino
Motivo curioso (Brentino)

Riprendiamo l’auto per andare a farci dare la chiave da Delfina, la proprietaria del B&B dove dormiremo stanotte. Il posto, nei pressi dell’Osteria delle Zuane (chiusa), si rivela piacevole e ordinato. Ci troveremo bene. Ci rilassiamo sul letto per circa un’ora, mi leggo con calma quanto ho scritto in passato sull’argomento montagna, limite, sicurezza, responsabilità, libertà. Questa volta il mio monologo non sarà letto, sarà a braccio, come si conviene a un bar.
Allorché torniamo dalla Gigia, siamo subito accolti da Beppe Vidali che, da buon astro locale e con la vasta esperienza delle vie che ha aperto, già risponde alle domande di una simpatica tavolata di giovani climber, tra i quali spiccano la testa bionda e gli occhi azzurri di Martin. Partono le prime birre e riusciamo anche a mangiare una piadina confezionata personalmente da Gigia, rispettosa delle attuali nostre esigenze alimentari. Faccio due chiacchiere anche con l’altro accademico presente, l’amico Cristiano Pastorello. Ci sono anche Laura Secchi e il marito Doriano, encomiabili figure di riferimento del Fenillon, una magnifica costruzione secentesca, durante il primo conflitto mondiale requisita per farne una caserma, ma oggi adibita ad enoteca e B&B dopo tanto lavoro appassionato di ristrutturazione.

Non ho intenzione di raccontare come si è svolta la serata: dirò solo che tutto è andato bene, il locale era pieno di gente giovane e attenta (non volava una mosca), non si sentivano neppure tintinnare i bicchieri del bancone del bar. Diego Perotti presentatore impeccabile, Paolino ottimo tecnico del suono e del collegamento video con la tv. Dopo la proiezione dei due filmini da me portati, comincia la ridda delle domande. Faccio cenno a Gigia che può cominciare a far girare i cabaret con le polpette di melanzana. Seguiranno un piatto caldo di ottime lasagne e due fettine di crostata. Non appena Diego dichiara chiusa la serata e quindi ringrazia tutti i presenti, si scatena un applauso che mi commuove per la sua intensità. Ricambio con un accenno di inchino. Data l’ottima accoglienza riservata al mio monologo, dopo la visione dei film e in seguito a questo applauso fuori del comune, l’atmosfera è davvero “calda”. E lo rimarrà, di certo. A mezzanotte, tra i sinceri complimenti ricevuti, capisco che alcuni simpaticoni hanno intenzione di andare in là nella serata… Ma, francamente, non credo di avere più il fisico per certe cose (e poi, dopo quattro birre bevute…), così faccio cenno a Guya che forse è il caso di ritirarci. Riusciamo a farlo con molta difficoltà, vorrebbero che ci fermassimo. Insistono anche con Guya, forse sospettano che sia colpa sua se vogliamo andarcene… La mattina dopo sapremo che Gigia è rientrata in casa alle 4.20 (e abita a cinque minuti a piedi…). Nel frattempo, visto che l’orario di chiusura locale era alle due, la tapparella dell’ingresso era stata calata tra gli schiamazzi. Una manovra forse condotta un po’ brutalmente ha provocato la rottura della stessa, con l’impossibilità di ritirarla su. E per fare in modo che il mattino dopo il passaggio potesse essere assicurato, è stato necessario distruggere il meccanismo e la stessa tapparella.

Segnaletica di partenza. Foto: Andrea Pizzato.

Il mattino dopo, come sempre, mi sveglio presto. E’ ancora buio e scendo in cucina per prepararmi un caffè prima di mettermi al computer. Nello scolapiatti vedo una moka, zucchero e caffè sono già lì pronti, come pure l’accendigas… manca solo il filtro da riempire di caffè. Lo cerco ovunque, senza successo. Mi viene in mente che potrebbe essercene un’altra di moka. In effetti, nella credenza di legno del soggiorno, trovo altre due moka! Sollevato, prendo la prima e l’apro: per accorgermi che anche a questa manca il filtro! Allora apro la seconda e questa volta le mie preghiere sono esaudite. Dopo qualche minuto finalmente posso sorbire il mio sudato caffè. Sul tavolo c’è anche una tortiera con un dolce a pan di spagna, me ne prendo una fettina.

Lasciamo il B&B Delfina e torniamo a Brentino. Vediamo subito, data anche la giornata bellissima, una valanga di gente: perfino due corriere hanno sbarcato gitanti. Brentino è infatti il punto di partenza per un’escursione assai gettonata, la salita al Santuario di N. S. della Corona. Che vogliamo fare anche noi, visto che ancora non mi sento pronto ad arrampicare, dopo la rottura a giugno scorso della vertebra L1.
Il locale di Gigia, aperto dalle 8, è strapieno di gente che fa coda per i cappuccini. Noi li accompagniamo con una brioche alla marmellata (io) e con un krapfen alla crema (Guya).

Nel primo tratto, sotto alla Croce. Foto: Andrea Pizzato.

Dopo di che possiamo avviarci verso il Santuario, muniti di bastoncini. Meta di pellegrinaggio ormai da secoli, siamo stati informati dei 1752 gradini che compongono la mulattiera di accesso, con circa 600 metri di dislivello.

Sono in tanti quelli che salgono, anche se praticamente nessuno lo fa con spirito di pellegrinaggio e di preghiera. Ma se a costoro aggiungiamo coloro che approfittano dell’accesso da Spiazzi, avremo idea di cosa ci aspetta: comitive, selfie e droni, e chi più ne ha ne metta. Non possiamo aspettarci alcuna magica sospensione tra montagna e cielo. Forse durante la settimana oppure nei mesi di bassissima stagione…

Panorama dalla Croce sulla Val d’Adige e sui Monti Lessini. Foto: Andrea Pizzato.
Salendo alla Grotta della Pietà

Traversato in salita il paese, dopo pochi minuti troviamo le indicazioni per il santuario e l’inizio di una scalinata: è questo il Sentiero della Speranza, da poco denominato così perché chi lo percorre, laico o credente, lo faccia con la speranza di trovare nel santuario la forza e la pace di cui ha bisogno. Ma a giudicare da come ci sorpassano subito orde di gitanti, in short e canottiera, non credo si possa dire che la raccomandazione abbia avuto un qualche effetto. Dopo la prima scalinata rettilinea (molto simile a tante altre in Italia che servono di accesso ai cimiteri), inizia la mulattiera vera e propria che s’inerpica in un bosco di carpini e qualche acero. Superiamo una croce sita su un balcone panoramico con bella vista sulla Valle dell’Adige e sui Monti Lessini, un po’ tormentata dal rumore di fondo dell’autostrada del Brennero e in ogni caso seviziata dalla presenza di un numero di persone davvero eccessivo. Non ho nulla contro la massa, della quale ovviamente anche noi facciamo parte, senza il minimo diritto in più di non essere classificati come loro. Però è uno spettacolo impressionante, condito dai dialoghi in dialetto veneto a volte davvero divertenti. La gente si dice un sacco di cose… Accanto alla panca e al tavolo da picnic, per terra è un tappeto di fogli di carta e salviette.

Guya subito prima della Grotta della Pietà
Dalla Grotta della Pietà. Foto: Andrea Pizzato.

Dopo un po’ il sentiero costeggia un tratto di roccia dove è presente un cordino metallico, niente di pericoloso, ma premuroso per le persone meno abituate alle camminate in montagna o che abbiano paura dei tratti un po’ esposti.

Guya, a dispetto dei quasi due mesi di totale inattività, sale bene. Si lamenta solo a un certo punto:

– Non dovevo mangiare quel “bombolone” alla crema… Lo sento che fa fatica ad andare giù…!
Ma poi il malessere le passa.

Come appare il Santuario la prima volta, percorrendo il Sentiero della Speranza.
L’ultima scalinata…

Si incomincia a intravvedere la grandiosità del profondo solco roccioso del Vajo dell’Orso, che s’inoltra nel pieno del massiccio del Monte Baldo. Dopo un lungo traverso ascendente si arriva sotto una falesia di roccia che sembra preludere ogni continuazione. Qui i costruttori del sentiero, secoli fa, hanno dato il massimo, scavando nella viva roccia una gradinata, protetta da un muretto, che sale a zig-zag. Passiamo da una piccola cavità che prende il nome di Grotta della Pietà e diamo un occhio al libro del pellegrino con tutte le firme delle persone che sono passate prima di noi. Non lo firmiamo e, un po’ oltre alla fine di questa scalinata davvero pazzesca, riusciamo finalmente a vedere, incastonato in una grande falesia verticale, il Santuario della Madonna della Corona. 

… merita un riposo.
Interno della chiesa. Foto: Andrea Pizzato.

Arriviamo, al fondo di un incassato canalone, al ponte in pietra (detto del Tiglio) che conduce all’ingresso del Santuario. Questo è difeso dall’ultima serie di scalini, costeggiata di capitelli, ma ormai ci siamo: una signora esclama la sua felicità inneggiando liberatoriamente al Signore dei Gradini…
E’ vero per tutti che la fatica della salita svanisce una volta ai piedi di questa chiesa. L’atmosfera è quella consueta dei santuari assai popolari, con il solito bar, i bagni pubblici, il negozio di souvenir e la gente stravaccata. Devo dire però che un tal numero di persone potenzialmente potrebbe essere assai più rumoroso e fastidioso. In generale c’è un certo contegno, anche perché gli altoparlanti stanno diffondendo la Sacra Messa, preghiere mescolate a qualche canto. Leggiamo che questa chiesa fu costruita nel cuore della montagna del Monte Baldo nel ‘500, in sito pressoché inaccessibile a 776 m. La leggenda racconta di un gruppo di locali che vide brillare una luce e sentì un coro angelico provenire dalla parete rocciosa. Poiché il luogo era difficile da raggiungere si calarono con delle corde e lì giunti videro una statua raffigurante la Pietà, proprio sull’orlo dell’anfratto roccioso. Sempre la leggenda vuole che questa sarebbe stata originariamente custodita nell’isola di Rodi. E che, appunto per sfuggire all’invasione dei turchi di Solimano II e ai saccheggiamenti dei tesori dell’isola, grazie ad un intervento angelico sia stata trasferita sul Monte Baldo.

Cartellone esplicativo
Il Santuario di Nostra Signora della Corona

Si decise quindi di erigere una cappella nel punto esatto del ritrovamento, dove custodire per i secoli la scultura in questione. Presto la credenza divenne molto popolare, tanto che sempre più pellegrini presero a visitare il luogo. La cappella però, a causa della sua posizione sull’orlo dello strapiombo, era molto difficile da raggiungere. Perciò si decise la costruzione di un sentiero, con il famoso “Ponte del Tiglio” e lo scavo dei gradini nella roccia. Sembra, da congetture più “storiche”, che la statua sia stata donata al luogo di culto da Lodovico Castelbarco, un nobile roveretano, nel 1432. La piccola scultura in pietra dipinta è, in effetti, del primo Quattrocento, il materiale è della zona e la forma deriva dallo stile Vesperbild d’oltralpe. Rodi c’entra forse perché quel romito luogo di preghiera era stato, ma già in precedenza, affidato alla custodia dei Cavalieri Gerosolimitani, detti di “Rodi”.

Il Fenilon di Preabocco (frazione di Brentino Belluno, VR)
Guya e Doriano in attesa delle degustazioni al Fenilon

Avvicinandoci alla chiesa si è costantemente oppressi dalla parete rocciosa: spiccano le numerose tavolette ex voto che i graziati offrivano come ringraziamento.

Anche noi facciamo le foto di rito, godendoci questo bellissimo sole ottobrino. Poi ci avviamo in discesa, pronti ad assorbire con i nostri bastoncini la pressoché infinita serie di piccoli colpi al busto e alle ginocchia che i gradini impongono. Da Brentino, salutata Gigia con il consueto affetto, ci rimettiamo in auto per raggiungere dopo ben poco tragitto la frazione di Preabocco, dove sorge il meraviglioso Fenilon. Qui veniamo coccolati e rifocillati dai gestori Laura e Doriano (ah, lo strudel di Laura…), prima di fare un po’ di rifornimento di Brivido rosso e Destini incrociati, i loro vini. I nomi sono stati presi di peso da due vie omonime di arrampicata che salgono le pareti di Brentino. Abbondanti sono gli assaggi dei vari vini disponibili, mentre conosciamo anche i genitori di Laura e una sorella, nonché il parente che faceva l’acrobata in un circo e che ora li aiuta in piccoli lavori manuali. Ci vengono dati in dono altro strudel, cachi in via di maturazione e un sacchetto di ottime giuggiole. Fino ai grandi abbracci e la promessa di tornare presto. Data l’ora, ci aspetta un ritorno a Milano molto trafficato.

Il Santuario della Corona ultima modifica: 2023-10-23T05:26:00+02:00 da GognaBlog

Scopri di più da GognaBlog

Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.

17 pensieri su “Il Santuario della Corona”

  1. Da Spiazzi si arriva in breve per comoda strada in discesa o sentiero scalinato e c’è anche un servizio navetta.

  2. Graziella, come si fa a rispondere? Direi che dipende dal tipo di problemi…
    Il dislivello è contenuto, sui 600 m,  e il sentiero abbastanza comodo e a pendenza costante, tutto nel bosco. Non c’è acqua sul percorso
    Credo che d’estate possa essere decisamente caldo e in pieno inverno freddino, quindi preferire le mezze stagioni.
    Come accennava Marcello, da Spiazzi comunque è possibile arrivare attraverso una galleria con un breve percorso

  3. Bella gita. Diciamo anche che, raggiunta una certa età, ci si rivolge al creato o ( come in questo caso) al creatore 🤭

  4. Al santuario della Corona andammo 5 anni fa in bicicletta, mia moglie ed io  con partenza da Bardolino.
    Sarà stato l’approccio da monte e la mia non credenza, ma la folla gigantesca incontrata non era stata affatto piacevole. E non era bello sentirsene parte. Il luogo è molto bello, quello si.
    La cosa peggiore però è stata il tragitto in bici perché un FIUME di motociclisti indemoniati aveva la nostra stessa meta.
    Credo di essere stato letteralmente sfiorato almeno 4 volte da moto che viaggiavano a non meno di 200 km/h. Andavo in moto anch’io, non esagero.
    Ovviamente nessuna pattuglia a fare multe fino a che, al ritorno, un vigile urbano voleva multarmi perché a una rotonda, secondo lui, non aveva dato la precedenza in entrata. 
    Ovviamente ho detto che forse avrebbero dovuto preoccuparsi di più del motodromo mortale lassù. C’è voluta mia moglie per evitarmi una denuncia per offesa a pubblico ufficiale.
    Mondo storto.

  5. bella serata che grazie al linguaggio di Alessandro, alla portata di tutti, ha saputo coinvolgere scalatori e semplici habituè del bar Malù. le tematiche toccate meriterebbero maggior spazio ed approfondimento, magari in qualche convegno CAAI

  6.  Alberto, mi sa che la gita sia proprio di un paio di settimane fa e vi siete mancati di un soffio…o forse di una scoreggia, giusto per uscire dall’agiografia con un po’ di sano trivio! 🙂

    Si peccato, mi sarebbe piaciuto bere un bicchierotto di sano rosso con il capo🍷

  7. Matteo, devi sapere che io tengo religiosamente Un alpinismo di ricerca sul comodino, al posto della Bibbia (sto scherzando, ma non troppo…).
     
    Però si tratta della seconda edizione, dove in copertina compare una cordata in braghette corte e maglietta sulla via Cannabis al Sergent. Niente casco, niente piccozza, niente ramponi, niente sacco da bivacco. Nessuna “muraglia infernalmente viva”.
    Nella prima edizione figurava invece un alpinista dei tempi eroici, diretto come un cavaliere senza macchia e senza paura verso gli strapiombi del Naso di Zmutt.
     
    Ah, Alessandro, che errore fu quello! In copertina barattasti la tua via sulla nord del Cervino per assecondare la moda!
    Quasi quasi mi compro la prima edizione su eBay…
     
    P.S. Scusate l’enfasi, ma quando mi capita non so resistere. Sono cresciuto sulle pagine di Diemberger, Rébuffat, Gervasutti, Buhl, Kugy e tanti altri cosí.
    E per quanto riguarda i nomi delle vie, una parete N, uno spigolo NO, un pilastro S, un Canalone Gervasutti, una Via della Sentinella Rossa o uno Sperone della Brenva mi fanno ancora sognare. Tra i nomi moderni mi succede con il poetico La signora del tempo, ma disprezzai chi si inventò il volgarissimo La signora del Tampax.
     

  8. @6
    Anch’io, quando eravamo fidanzati, ho portato mia moglie a fare qualche ferrata, e anche ad arrampicare a Marciaga… poi chissà perchè quando sposati ha smesso 😉

  9. “Sei sicuro di non esserti imbattuto in un anziano distinto signore, dalla criniera candida ma dal fisico ancora atletico?”
    Distinto…atletico…e come mai non parli del sorriso dolcissimo e delle sue capacità taumaturgiche?
     
    Mi sa che qui si sfiora pericolosamente l’agiografia e il culto della personalità!
     
    P.s.: Alberto, mi sa che la gita sia proprio di un paio di settimane fa e vi siete mancati di un soffio…o forse di una scoreggia, giusto per uscire dall’agiografia con un po’ di sano trivio! 🙂

  10. Fabio se c’è la porti da Spiazzi ci metti un quarto d’ora. Però non ti verranno perdonati i peccati🤣

  11. Questo simpatico articolo mi ha fatto venire voglia di visitare il santuario. Pure io con la moglie.
     
    P.S. La mia adorabile Lucia mi seguiva spesso in montagna quando eravamo fidanzati e le era possibile. 😍😍😍
    Poi, una volta sposati, ha smesso. Chissà perché? 😂😂😂
     
    P.P.S. È però vero che, preso dall’entusiasmo e senza rendermene conto, le facevo superare dislivelli himalayani. Se qualcuno lo proponesse a me adesso, lo prenderei a fucilate.
     

  12. Fabio, anche io ero con mia moglie. C’era una marea di persone.
    E sinceramente era una mega giornata che invitava all’arrampicata, ma mi ero ripromesso prima a poi di andare a visitare quel nido d’aquila che avevo visto mille volte dalla  val d’Adige.

  13. Alberto, forse anche Alessandro c’è stato poco tempo fa, certamente quest’anno. Magari vi siete incrociati sulla scalinata senza accorgervene.
     
    Sei sicuro di non esserti imbattuto in un anziano distinto signore, dalla criniera candida ma dal fisico ancora atletico? Forse stava brontolando con la moglie:
    “Guya, ma guarda te che cosa mi tocca fare oggi! Invece di scalare sul 7a+, sono qui a fare il pellegrino…”. 😉😉😉
     

  14. Bellissimo e dolcissimo ricordo del Santuario della Madonna della Corona. Ci sono stata diverse volte con mio marito che ora non c’è più. Grazie! Mi avete fatto provare un dolcissimo tuffo al cuore! 

  15. Ma guarda il caso.
    Sono stato  a visitare il Santario 2 settimane fa e adesso esce questo articolo.

  16. Brentino è a poco più di 1 ora di auto da Modena, eppure non sono mai stato al santuario. Credo valga la pena fare questo percorso e spero di colmare la lacuna presto!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.