La popolazione del mondo inizierà a calare?

Si fanno meno figli in tutto il mondo, dall’Italia alla Cina, dall’Iran all’America Latina. Che cosa significa davvero questa svolta demografica e cosa può significare per le giovani generazioni.

La popolazione del mondo inizierà a calare?
di Federico Fubini
(pubblicato su corriere.it/economia il 23 dicembre 2024

Nel 1346 la peste bubbonica raggiunse la città portuale di Tana alla foce del Don, sul Mar Nero. Aveva viaggiato dalla Cina con le pulci annidate nei topi, insieme ai mercanti della Via della Seta. L’anno dopo era a Costantinopoli. Nella primavera del 1348 si stava già diffondendo in Nord Africa, in Italia e Francia (sotto, la miniatura dell’epoca raffigura due malati). In varie parti d’Europa falcidiò metà della popolazione, al punto che la scarsità di manodopera seguita alla pandemia dette per la prima volta più potere ai pochi contadini sopravvissuti e avviò il declino dell’ordine feudale.

Fu l’ultima volta in cui il numero degli esseri umani sul pianeta Terra diminuì. La prossima, potrebbe essere nel corso della vita di alcuni dei lettori di questa newsletter. Ma questa non è la previsione di una catastrofe: semplicemente le donne e gli uomini del ventunesimo secolo si stanno comportando in modo diverso; non solo fanno molti meno figli dei loro genitori, ma anche meno di quanto ci si aspettasse qualche anno fa. Quali cambiamenti sociali, geopolitici o produttivi riserva un mondo nel quale cresce la popolazione anziana, si riduce la forza lavoro e – forse già tra meno di trent’anni – inizia a ridursi il numero degli abitanti? E’ uno scenario completamente negativo o può riservare – anche per noi, in Italia – aspetti sorprendenti?

Svolta demografica
Si avvicinano le Feste ed è ora di staccarsi dalla cronaca, per chiedersi cosa ci aspetta un po’ più in là. Una delle novità del 2024 è che noi italiani non siamo soli. Il declino demografico è stato a lungo un convitato di pietra, incombente ma poco notato. Di recente si è preso il centro della scena, ma in Italia lo stiamo vivendo come un’anomalia nazionale che genera ansia e vergogna. Non è il caso. Il rapidissimo declino delle nascite, il controllo crescente delle scelte riproduttive sono i fenomeni più importanti del secolo e riguardano Paesi di ogni tipo: laici, religiosi e teocratici, moderni, in transizione e tradizionalisti, ricchi e in via di sviluppo, grandi e minuscoli.

L’aggiornamento dei dati della UN Population Division mostra che l’umanità sta smettendo di espandersi. Nell’ultimo secolo e mezzo lo aveva fatto in modo esponenziale. Eravamo un miliardo e mezzo nel 1900, due e mezzo nel 1950, sei miliardi nel duemila e siamo circa otto miliardi oggi. Ma la curva sta per flettere: si invertirà. Le domande sul consumo eccessivo e la disponibilità scarsa di risorse, che ci inseguono dalla fine del diciannovesimo secolo con Malthus, lasceranno il posto a domande su chi produrrà risorse per un genere umano che invecchia.

Che cosa sta già accadendo
Perché accadrà. Sta già iniziando ad accadere. Dalla fine dello scorso decennio, due terzi della popolazione mondiale vive in Paesi nei quali il numero di nascite per abitante è sotto ai livelli necessari a mantenere la popolazione stabile. Secondo l’economista e demografo spagnolo Jesús Fernández-Villaverde, della Penn University, dopo il Covid-19 il genere umano nel suo complesso potrebbe già avere una fertilità sotto al “tasso di sostituzione”: quei 2,1 figli per donna che occorrono perché l’età media non aumenti sempre di più e alla lunga la popolazione non cali. Fernández-­Villaverde pensa che il numero degli abitanti della Terra inizierà a calare fra 29 anni, visto che le nascite stanno declinando regolarmente più in fretta di quanto avessero previsto i demografi dell’Onu (i quali invece fissano il punto di svolta fra un sessantennio).

Oggi sono scesi o sono sul punto di scendere sotto la soglia di 2,1 figli per donna dei Paesi insospettabili: anche molto lontani dal benessere e dagli stili di vita laici ed emancipati che credevamo essere il contesto del controllo delle nascite e del rinvio delle scelte di procreazione.

Il declino dell’Iran
Prendete l’Iran. Contava 6,63 figli per donna nel 1980, ai primissimi anni della rivoluzione khomeinista, mentre oggi sono scesi a 1,68 (un quarto sotto ai livelli necessari a stabilizzare la popolazione) e soprattutto è quasi un quarto di secolo che l’Iran viaggia sotto i due figli per donna. Il suo declino della fertilità è persino più rapido di quello dell’Occidente, ma l’Iran non è un caso isolato. Neanche in Medio Oriente o fra i Paesi a grande maggioranza musulmana. Gli Emirati Arabi Uniti contavano 6,5 figli per donna nel 1965, due volte e mezzo le medie europee, ma nel 2022 erano già scesi a 1,15: sotto ai livelli dell’Italia, che pure resta fra i Paesi meno fertili del mondo avanzato. Alla lunga gli Emirati dovrebbero praticamente raddoppiare le nascite per mantenere stabile la popolazione senza integrare immigrati.

La Tunisia poi viene vista da questa parte del mare come una società che ribolle di giovani ansiosi di aprirsi una strada verso l’Europa; invece anch’essa ha davanti a sé un avvenire di calo demografico: è scesa da oltre sette figli per donna nel 1965, a due all’inizio del secolo, fino a ben sotto il tasso di sostituzione in anni recenti. Anche la Turchia ormai ha nascite di un quarto sotto ai livelli che servono a rimpiazzare tutti i genitori con i figli. Arabia Saudita, Marocco, Egitto e Libia sono più indietro, ma sembrano avviati nella stessa direzione.

Il caso India
Quanto all’America Latina, la fertilità del Messico nell’ultimo paio di anni è scesa per la prima volta da oltre un secolo sotto quella degli Stati Uniti (era quasi il triplo a metà degli anni ’60). Quasi tutti i Paesi latino-americani conoscono un declino delle nascite che va oltre qualunque previsione: in Cile meno di un figlio per donna, ma anche Argentina, Uruguay, Perù, Brasile o Colombia registrano rapidissimi cali e sono ben sotto i due figli per donna.

Il declino demografico è il presente o il destino anche dell’intera Asia, il continente più popoloso. In India, il Paese più vasto al mondo per abitanti, per la prima volta nella storia negli ultimi tre anni le nascite sono scese sotto il tasso di sostituzione. Il Vietnam sfiora ormai i cento milioni, oltre il doppio rispetto al giorno della sua vittoria sugli Stati Uniti nel 1975. Ma prima ancora di diventare ricco ha avviato il calo delle nascite a ritmi insostenibili, con 1,89 figli per donna (un livello che l’Europa vantava ancora in piena età del benessere, a metà anni ’80).

Collasso coreano
Il caso più stupefacente è la Corea del Sud, ovvio. L’anno scorso era a 0,55 nati per donna, di tre quarti sotto i livelli che servirebbero a rimpiazzare le vecchie generazioni con le nuove. Un ritardo abissale. Osserva Nicholas Eberstadt dell’American Enterprise Institute, fra i primi studiosi a osservare queste dinamiche, che fra un quarto di secolo la Corea del Sud potrebbe presentare un quadro mai visto prima nella storia umana in tempo di pace: tre decessi per ogni nascita, con l’età media attorno ai 60 anni, il 40% della popolazione anziana (appena meno numerosa di quella in età di lavoro) e un quinto delle nascite rispetto al 1961. “Quel che sta accadendo lì offre un anticipo di ciò che aspetta il resto del mondo”, scrive Eberstadt.
Non ho idea se davvero sarà così.

La sola regione al mondo che mantiene per ora una forte dinamica di nascite è l’Africa, peraltro ad eccezione delle popolazioni nella parte Nord e Sud del continente. Ma di sicuro la Corea del Sud già oggi è un caso solo poco più estremo di Taiwan e offre un quadro di come potrebbe diventare quello che fino a pochissimi anni fa era il Paese più popoloso del mondo. Il quadro della catastrofe demografica cinese è qui sotto. Non solo il Paese non è mai riuscito a riprendersi dalla politica del figlio unico, ma le scelte riproduttive persino sono crollate ancora di più dopo che Xi Jinping le ha liberalizzate nel 2016 (da 1,77 a appena un solo figlio per donna). La fertilità cinese per donna è già circa un terzo sotto a quella del mondo avanzato.

Geopolitica del rancore
Di qui la domanda più seria, che non riguarda le cause. Quando a queste, la maggiore accessibilità delle tecniche contraccettive, l’emancipazione, diversi modelli di vita o l’emulazione delle scelte di altri possono aiutare a capire. Ma che mondo sarà, nel declino demografico?

La Russia (grafico sotto) è un esempio di come potrebbe essere un mondo molto più difficile. Quel Paese si sta restringendo. Ha perso popolazione in venti degli ultimi trentun anni. E continua a farlo. Ha perso cinque milioni di abitanti da quando si è formato dalle ceneri dell’Unione Sovietica. Praticamente da mezzo secolo non fa abbastanza figli per riuscire a stabilizzare la popolazione, senza neanche parlare del milione circa fra esuli e morti in guerra dal 2022. Un Paese in un simile declino demografico può diventare pericoloso. Può prendere la strada del rancore, del risentimento e dell’ossessione del capo che il tempo della rivincita dev’essere ora – il prima possibile – perché dopo la patria avrà sempre meno braccia per combattere e per produrre armi.

Modello Portogallo (e Datapizza)
Questa è la risposta di Vladimir Putin al disastro demografico della Russia e nessuno oggi può garantire che non sia anche quella di Xi Jinping, un giorno, al declino della Cina. E naturalmente esistono molti altri modi nei quali il rallentamento estremo della fertilità in quasi tutto il mondo può generare nuovi problemi: lo stato di dipendenza di troppi anziani da troppo poche persone in età di lavoro può generare conflitti sociali sulla distribuzione della ricchezza; i Paesi in futuro possono entrare in conflitto fra loro non per respingere, come oggi, ma per attrarre l’immigrazione più qualificata.

Vorrei però pensare di più a due aspetti potenzialmente positivi, specie (non solo) in Paesi maturi come l’Italia. Il Giappone offre una lezione di come il declino demografico obblighi un sistema produttivo a migliorare il rendimento del lavoro, per testa e per ora lavorata, semplicemente perché ci saranno sempre meno lavoratori. Sarà una lezione da studiare per molti.

Quando si diventa un «bene scarso»
C’è poi l’aspetto che ricorda di più le conseguenze della peste bubbonica. Allora i braccianti sopravvissuti erano merce così rara che poterono iniziare a far valere le proprie condizioni, iniziando a incrinare il sistema feudale. Oggi e sempre di più in futuro, la merce rara saranno i giovani. Sul piano politico potrebbero essere messi in minoranza da un gran numero di elettori più anziani, ma sul piano produttivo e tecnologico la società e le singole imprese dipenderanno in modo crescente dalle loro competenze. Poiché queste saranno rare e molto ricercate, il potere negoziale dei giovani nella società dovrà crescere.

Per certi aspetti, lo vediamo già. In Portogallo la fertilità è da 40 anni insufficiente a sostituire le generazioni vecchie con le nuove e da 13 il Paese conta stabilmente più decessi che nascite. Quest’anno, per la prima volta, la legge di bilancio devolve quasi tutte le risorse non più a incentivi ai pensionati ma a incoraggiare i giovani a stare nel Paese, invece di emigrare. Ed è un segnale: il potere delle nuove generazioni cresce con il loro essere un bene scarso.

E in Italia? Mi colpisce la crescita esponenziale di una nuova impresa di Milano che coalizza giovani per metterli al servizio delle imprese che cercano competenze digitali. Si chiama “Datapizza”, nasce come community sui social media di migliaia di ragazzi interessati all’intelligenza artificiale (AI). Da quella forma è passata a fornire servizi di AI o a far incontrare imprese con persone capaci di lavorare con quella. E’ interessante che riesca a portare le imprese a concedere condizioni migliori o comunque a una totale, inusuale trasparenza sulle condizioni dei contratti. Quei ragazzi negoziano come ex servi della gleba, sopravvissuti alla peste del 1348.

Il commento
di Carlo Crovella

In totale siamo già 8 miliardi e, in assenza di interventi contenitivi, le proiezioni demografiche puntano a 10 miliardi di individui entro 2-3 decenni. Troppi. Il fenomeno si correla negativamente con la (legittima di per sé) aspirazione di tutti non alla semplice “sopravvivenza”, ma ad un regime di vita consumistico e tecnocratico. Gli occidentali lo danno per scontato e i “non occidentali” lo esigono come compensazione per non esser nati in Occidente.

Il pianeta Terra non ce la fa più. Questo tema è il vero cancro dei problemi ambientali. I danni rischiano di essere irreversibili. Se sbanchiamo una collina per estrarre il silicio, che finisce nei miliardi di device elettronici, quella collina non ricresce più. Se riempiamo a manetta i campi di pesticidi per massimizzare i raccolti (e sfamare i miliardi di individui), il terreno si avvelena per sempre. Se produciamo massicciamente output industriali scarichiamo nell’aria valanghe di emissioni nocive. E così via.

Occorre quindi plafonare la crescita demografica, a prescindere dalla sua capacità o meno di declinare (come sostenuto in questo articolo): la virata dei trend demografici è nell’interesse di tutti. In Occidente, salvo rare eccezioni, le curve sono già in calo: ogni anno la somma algebrica nati-morti è negativa. Non sarebbe da giudicare un fattore critico se non fosse per la piramide demografica (tanti anziani e pochi giovani) che mette in crisi il sistema pensionistico e il welfare in generale (tanti che ne usufruiscono, pochi che lo finanziano). Si troveranno specifici tecnicismi per correggere questi problemi, agendo sia sugli anziani (che percepiranno pensioni inferiori ai calcoli) sia sui giovani (favorendo il più possibile l’inserimento nel mondo del lavoro) e, infine, attingendo oculatamente all’immigrazione regolare.

Il vero grave problema demografico è in alcune vaste aree “non occidentali”: l’attuale popolazione dell’intera Africa, oggi circa di 1 miliardi di individui, è stimata al raddoppio (in assenza di interventi correttivi) entro il 2050. Quello stesso continente che, oggi, non riesce a sfamare adeguatamente un miliardo di individui, non sarà certo in grado di sfamare 2 miliardi di persone fra 25-30 anni. Quindi avremo flussi migratori annui di milioni di migranti irregolari verso l’Europa, che a sua volta non sarà in grado di sfamare e accogliere dignitosamente numeri umani così ingenti.

È necessario muoversi per tempo. L’Occidente, in particolare l’Europa (e l’Italia in prima linea, vista la sua posizione geografica) devono impostare, in tempi relativamente rapidi, una strategia che si imperni su due direttrici prioritarie: 1) Evolvere il contesto africano (economico, ma non solo: democratico, culturale, ideologico, comportamentale, ecc.) in modo che, per gli africani, sia prospetticamente “piacevole” vivere nei loro paesi natali e non abbiano necessità di andarsene; 2) Impostare fin da subito, d’accordo con le autorità africane, politica educazionale e, se del caso, anche interventi applicativi (es: limite massimo di figli per coppia) di contenimento demografico, in modo tale da ridurre le nascite e quindi “piegare” la dinamica demografica anche in Africa.

Per noi europei il vero problema arriva dall’Africa, ma a livello mondiale vi sono anche altre aree dove la dinamica demografica potrebbe rivelarsi causa di prospettivi disequilibri molto profondi. Nonostante quanto assicuri l’articolo, l’India e la fascia che si stende dal Medio Oriente all’Asia Centrale sono ancora in prima fila. Probabile che anche i Caraibi e certe zone dell’America latina saranno coinvolte in tematiche similari, anche se le conseguenze graveranno sugli USA più che sull’Europa.

C’è un punto che deve essere chiaro a tutti: in assenza di interventi strutturali e pianificati, staremo tutti peggio. Staremo peggio noi occidentali, ma staranno peggio anche i non occidentali. Il buon senso dice, quindi, che dovremmo tutti cooperare per evitare di stare peggio.

La popolazione del mondo inizierà a calare? ultima modifica: 2025-06-03T04:47:00+02:00 da GognaBlog

Scopri di più da GognaBlog

Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.

9 pensieri su “La popolazione del mondo inizierà a calare?”

  1. Riva ,In effetti si …..l’importante è essere al potere nel momento giusto
    Signor Daidola..,ma lei ha mai lavorato con degli anziani? 
    Io cerco di lavorare il meno possibile per lasciare spazio ai giovani e agli anziani…..ai paesi in via di sviluppo…..e a tutti quelli che lavorano per pagare abbonamenti TV, lavare l’auto il sabato, fare apericena , videopoker, auto di lusso….e chi più ne ha più ne metta……
     
     

  2. C’è troppa brutta gente in giro! A questi dovremmo impedire di vivere!

  3. Quando nell’ottocento gli operai fecero i primi sabotaggi ( con i famosi zoccoli ecc ecc) contro le macchine per paura di perdere il lavoro…..
    Oggi con i robot e AI mi viene da ridere pensare che potremmo liberarci da questa schiavitù del lavoro eppure ci ricadiamo sempre…nel 2025 potrbbeo veramente non lavorare più nessuno…..
    Ad ogni modo forse più che troppi, consumiamo troppo….
    Signor Daidola ma lei quanti hanno ha?
     

  4. Non capisco. Non pensate che le cose andrebbero meglio se fossimo di meno? E’ chiaro che il transitorio sarebbe faticoso e doloroso, ma una volta a regime ci sarebbero piu’ risorse disponibili per tutti… Insomma, credo che dovremmo cominciare a pensare ad una decrescita, a consumare tutti di meno…

  5. Se parli di tuo figlio/a non metto lingua, altrimenti generalizzazioni di questo genere  non servono a nulla. Parlando invece di posti di lavoro terrri anche in considerazione quanti saranno superflui ckn l’IA prima di far lavorare i vecchi

  6. Matteo: in Italia i giovani non sono disoccupati…I GIOVANI NON VOGLIONO LAVORARE!!!

  7. “l’unico tentativo possibile a questo punto è far lavorare i vecchi”
    Daidola, francamente questa tua opinione mi pare solo in leggerissimo contrasto con la disoccupazione giovanile in Italia viaggia verso il 20%…

  8. La verità che si tace o si ignora è che stiamo pagando gli errori fatti negli ultimi 100 anni, con un aumento spaventoso e del tutto incontrollato della popolazione del globo. Giovanni Sartori nel suo “La terra scoppia” aveva già detto tutto e individuato i responsabili di questa catastrofe. Ora è impossibile porvi rimedio in tempi brevi e i ragionamenti degli economisti che finalmente si rendono conto che non si può sempre crescere fanno sorridere, per non dire che fanno piangere. Nessuno sembra aver capito che l’unico tentativo possibile a questo punto è far lavorare i vecchi, invece chiuderli nei loculi ante tempo delle case di riposo. Oggi ci sono molte professioni adatte ai tanti vecchi che stanno molto meglio, come salute mentale e fisica, di quelli di un tempo. Perché quindi non farli o lasciarli lavorare anziché mandarli in pensione per vederli passare il tempo trastullandosi in modi del tutto improduttivi? Ovviamente non si può generalizzare e per far fronte a catastrofi di queste dimensioni occorre scegliere i mali minori. Finché non si arriverà ad una popolazione mondiale di effettiva sostenibilità, fra due o tre generazioni. Se si arriverà.
     
     

  9. Quando si piscia fuori dal vasino delle proprie competenze, si dicono banalità; e questo intervento di Fubini, bravo giornalista economista ma non demografo, non fa eccezione.
    Trovo comunque interessante quello che producono i fantasmi dell’inconscio di Fubini.
    Uno, la sua ossessione nei confronti del  nemico asiatico (Russia e Cina), che a suo dire arriverebbe a sviluppare una “geopolitica del rancore” di fronte al calo demografico.
    Due, la straordinaria omissione del caso di Israele, che mantiene tassi di natalità molto alti all’interno della popolazione di religione ebraica (2.9 figli per donna), con punte di 6.6 figli nella componente ultraortodossa (la comunità Haredi), che rappresenta notoriamente gli elettori dei partiti di destra nazionalista oggi (e ancor più domani) al potere in quel Paese. In questo caso evidentemente,  il connubio religione-società-politica per Fubini non esiste o deve essere taciuto.
     

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.