Lunghe code per salire sul Seceda, in Alto Adige. L’assessore al turismo di Ortisei sulla proposta di limitare gli ingressi: «Pensarci seriamente: il problema principale sono i flussi giornalieri che si concentrano in poche ore».
Da tempo Carlo Zanella ha smesso di godersi le vette altoatesine: «Oggi la montagna è piena di sprovveduti e di tamarri, io vado solo in Veneto e, quando si riempirà, andrò in Friuli».
Seceda, in centinaia in coda per la funivia
di Silvia M.C. Senette
(pubblicato su corrieredellaltoadige.corriere.it il 23 luglio 2025)
È fine luglio, ma sembra Ferragosto. Ancora una volta l’Alto Adige è assediato da turisti e il Seceda ne è l’ultima lampante vittima. «Oggi vediamo gli effetti dell’overtourism, ma i turisti stanno già scappando dall’Alto Adige. Io stesso in montagna vado solo in Veneto e, quando si riempirà, andrò in Friuli. O tornerò in Alto Adige, che nel frattempo si sarà svuotato e questo è un problema». È lucida e amara la constatazione di Carlo Zanella, presidente del Cai Alto Adige.

Il video virale
Le immagini dei video diventati virali martedì pomeriggio (22 luglio) mostrano centinaia di persone in coda sotto il sole cocente per un viaggio in funivia, mosse non dalla passione per la montagna ma dal tam-tam dei social media che ha magnificato l’ormai celebre tornello d’accesso. Una scena che ha scatenato un’ondata di sdegno sul web, riaccendendo un dibattito mai sopito: chi chiede la chiusura delle funivie estive, chi un aumento vertiginoso dei prezzi, chi, con amara rassegnazione, si lamenta dell’impatto sul costo della vita locale. «Quella povera gente non ha altro da fare?», si domanda sconcertato Zanella, la cui voce disillusa si alza sopra il coro. «Mi sono venuti i brividi a vedere quei video. Sinceramente salire e fare 300 metri per una foto delle Odle e della Fermeda mi sembra una follia. Non credo che tanta di questa gente, una volta su, si faccia un giro a piedi. È l’utente sbagliato nel posto sbagliato».
Il progetto per triplicare la portata dell’impianto
L’oggetto del contendere, e del paradosso, è la richiesta della società funiviaria di triplicare la portata dell’impianto. Zanella è categorico: «Il CAI è assolutamente contrario. Non so come possano farlo, dubito rinuncino agli introiti attuali, ma sarebbe uno scandalo se i soldi ce li mettesse la Provincia». E incalza: «Triplicare la portata per un solo mese, da metà luglio ad agosto, sarebbe ridicolo». La Provincia di Bolzano, intanto, ha chiesto una valutazione di impatto ambientale. Secondo Zanella, la radice del problema affonda nei social: «Il traino è stato mediaticamente il tornello, tutti ne hanno parlato. E la gente va dove vanno gli altri. Siamo pecoroni. Io, invece, vado dove non vanno gli altri». Constatazioni che si riflettono sui commenti social ai video diffusi ieri: «Che oscenità», «La montagna trasformata in un luna park», «Sembra la coda a Gardaland», si legge. Quindi le proposte drastiche: «Aumenterei il prezzo da 5 a 100 euro», «Chiudete gli account ai traveler influencer».
Troppi turisti impreparati
La critica di Zanella si allarga al turista moderno, spesso impreparato e «sprovveduto». «Una volta chi veniva su in quota era preparato, vestito da montagna, veniva per fare le camminate. Soprattutto il germanico aveva le cartine, sapeva dove andare. L’italiano invece parte, va, prende una funivia… ho visto gente salire al Seceda con l’ombrellino da sole e le ciabatte e restare bloccato su perché la funivia aveva chiuso e non si era informato sugli orari degli impianti». Un’immagine che stride con l’ideale delle vette immacolate: «Non è questo che deve essere la montagna. Oggi è piena di sprovveduti e di tamarri».
Stop a nuove funivie
La soluzione, per Zanella, non è chiudere le funivie esistenti – «ci sono, purtroppo: teniamole così come sono senza smantellarle ma senza aumentarle» – ma educare il visitatore. «Insegniamo alla gente che ci sono tante altre cose da fare. Il turista deve avere educazione e rispetto. Così rispetterebbero i prati, i boschi e darebbero meno fastidio». E suggerisce di esplorare alternative: «Ci sono cremagliere che portano a bellissimi altopiani e c’è molta meno gente». La vera preoccupazione del presidente del Cai è il «boom», a cui «segue sempre il calo, dal top al flop». «Non vorrei che adesso si facesse tutto per soddisfare il boom e dopo ci si trovasse tutti con il cerino in mano«, avverte. Il turismo, dice, non dovrebbe essere solo una corsa all’hotspot del momento, sia esso il Seceda per il tornello, il Lago di Braies dopo la serie tv o il Lago di Monticolo.
«Non faccio più le vacanze in Alto Adige»
La sua scelta è radicale ma significativa. «Io le mie vacanze estive le faccio sempre nel Bellunese: non faccio più la settimana in montagna qua in Alto Adige. C’è troppo caos, i prezzi sono folli, vai a mangiare in un rifugio o in malga e ti spennano». Zanella svela un fenomeno in atto: «L’anno scorso e due anni fa ero in Veneto, ho fatto quattro settimane dal lunedì al venerdì, da giugno a settembre, e nei garnì dove dormivo ho trovato ovunque ex turisti dell’Alto Adige. Il turista sta già scappando. E non ci rendiamo conto che questo è già un grosso problema».

Il paese si ribella
(«colpa dei servizi Apple, ora limitare gli accessi alla valle»)
di Benedetta Pellegrini
(pubblicato su corrieredellaltoadige.corriere.it il 24 luglio 2025
Le immagini hanno fatto il giro del web: centinaia di persone in fila alla stazione intermedia di Furnes per salire sul Seceda, per ore sotto il sole in attesa della funivia. Una scena che ha colto di sorpresa anche i residenti, da tempo abituati a flussi consistenti, ma mai a questo livello. Dopo la recente protesta dei contadini per il passaggio sui prati privati, il dibattito sulla sostenibilità del turismo in quota torna prepotentemente al centro. Armin Lardschneider, assessore al turismo del Comune di Ortisei, conferma: «Quando ho visto quelle immagini pensavo fossero finte: una cosa così non si era mai vista. Abbiamo già avuto diverse riunioni e ne faremo ancora. Litigare tra le parti non serve a nulla, dobbiamo trovare un accordo collettivo. Il caso di martedì rappresenta il non plus ultra».

«I residenti sono stanchi»
In Municipio si ragiona sull’ipotesi di contingentare gli ingressi, seguendo l’esempio di altre mete sovraffollate: «In molte parti del mondo si stanno adottando misure simili. È arrivato il momento di pensarci seriamente, anche perché il problema principale sono i flussi giornalieri che si concentrano in poche ore e in un solo punto della valle. In montagna si viene per rilassarsi, non per stressarsi in coda» fa notare Lardschneider che poi aggiunge: «I residenti sono stanchi». Il problema ormai non riguarda più «solo» l’ambiente. A farne le spese, ogni giorno, sono proprio i cittadini: a Ortisei non esistono parcheggi riservati per i residenti, il traffico è congestionato per ore e i posteggi selvaggi sono all’ordine del giorno. Se per gli albergatori si traduce talvolta in guadagni extra (quando in tanti parcheggiano davanti a un hotel, questo spesso diventa un invito a pagare), per privati o attività pubbliche ci sono soltanto disagi. Intanto i prezzi salgono e il costo della vita lievita.
Le presentazioni Apple
Anche Dolomites Val Gardena, il consorzio turistico ufficiale, prende posizione attraverso Christina Demetz, responsabile marketing e comunicazione. «Dispiace che l’intera valle venga percepita come intasata, quando il fenomeno riguarda una zona in particolare: il Seceda, che è raggiungibile con la funivia senza fatica», spiega. E chiarisce che la causa dell’attuale sovraffollamento non è frutto delle strategie di promozione del territorio. «È successo tutto da solo. Prima due presentazioni Apple — un iPhone e un tablet — hanno usato immagini delle Odle come sfondo. Poi Instagram ha fatto il resto. Il Seceda è entrato nella bucket list di chi vuole “quella” foto. Ma questo non è il turismo che promuoviamo noi». Demetz parla infatti di due turismi diversi: da un lato, l’ospite che sceglie la Val Gardena per una vacanza autentica, fatta di cultura, natura e rispetto; dall’altro, il visitatore “Instagram”, che arriva da ogni parte del mondo, resta un giorno solo, sale per scattare una foto e riparte. «Abbiamo visto che questo turista non conosce la nostra montagna, non sa nulla di noi. E non sa nemmeno cosa può o non può fare. Così abbiamo introdotto i Dolomites Rangers, presenti nei punti critici come il Seceda per informare e sensibilizzare i visitatori».
Queste nuove figure – non dotate di potere sanzionatorio – rappresentano un primo passo per gestire il fenomeno. «Monitorano i flussi, aiutano a chiarire la segnaletica, impediscono che si calpestino prati o si vadano a disturbare animali. Ma da soli non bastano. Servono soluzioni condivise, anche con gli impiantisti. E serve far capire che la nostra valle ha molto altro da offrire, non solo quella foto virale», prosegue la responsabile dell’associazione turistica. «Chi accusa il marketing della Val Gardena non ha capito il punto. Noi siamo sempre stati fedeli al nostro turismo. Ora siamo nel mirino e questo è un bene, perché potrebbe aiutare finalmente ad aprire un dialogo serio» conclude Demetz.
Numero chiuso
Dopotutto, il problema non riguarda solo la Val Gardena. Da Machu Picchu a Santorini, dal Giappone all’Alta Badia, il mondo intero si trova a fare i conti con un turismo sempre più numeroso e sempre meno distribuito. Probabilmente, è tempo di ripensare i modelli e di adottare soluzioni condivise, anche se possono sembrare scomode. Intanto anche l’assessore provinciale al Turismo Luis Walcher apre al numero chiuso. «Negli ultimi giorni c’è stato un aumento impensabile — ha detto ai microfoni della Rai — e dobbiamo introdurre un sistema di management sul modello di Braies. Bisognerà parlare con il Comnen per definire il periodo, ma in qualche modo bisogna contingentare gli accessi». Non è ancora chiaro se il numero chiuso potrà scattare già dal prossimo anno ma, come ha ammesso Walcher, oggi la situazione è fuori controllo.
Il commento
di Carlo Crovella
A chi si sente disturbato dal temine “cannibali” che uso abitualmente, segnalo che, nell’estensione del rifiuto verso i tanti cafoni che ormai assaltano le montagne, in altre occasioni si usa il termine “tamarri”. Il concetto è lo stesso, ma forse “cannibali” è un filo meno offensivo.
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@45:
Era appunto quello che volevo suggerire, ma rimane assai dubitativo. Gli incidenti mortali anche su terreni privi di qualsiasi difficolta oggettiva (due persone nell arco di 5 giorni volate giu dal Viel del Pan) dovrebbero avere un effetto deterrente ben piu forte, ma invece non e cosi.
la frase di Pogo ha anche dei corollari
https://www.reddit.com/r/bikecommuting/comments/1c1py7p/you_are_not_stuck_in_traffic_you_are_traffic/
D”accordo con l’analisi di Bonsignore, però devo dire che quest’anno proprio le Dolomiti mi sono parse un po’ meno affollate, con un po’ meno traffico automobilistico, ma con un’ulteriore concentrazione nei luoghi clou (o forse cult) del turismo instagrammabile e da deficenter youtubico: passo Giau, Misurina, lago Sorapiss
@40:
https://www.fanpage.it/attualita/ignora-i-cartelli-di-divieto-e-resta-bloccata-sulla-ferrata-turista-paga-14mila-euro-di-soccorsi-in-elicottero/
Certo il titolo è fuorviante, perché per adesso c’è solo il conto, non il saldo. Poi sarà da verificare se la soccorsa dispone di una qualche assicurazione ecc. Mi auguro però che a queste notizie venga data larga risonanza, chissà che non abbia effetti deterrenti su una parte dei merenderos.
“Mi scuso per il commento spezzettato, ma il sistema continuava a rifiutarmi i testi perché troppo lunghi.”
È un astuto piano di Gogna per scoraggiare i logorroici. Limite massimo dei caratteri: 1.500, a eccezione del dott. Crovella.
Per lui Gogna ne ha stabiliti 4.000. Oppure 5.000?
E perché mai? Per scongiurare risvegli alle tre di notte causa telefonata di Crovella: “Scusa, Sandro, ma ho un commento di 3.987 caratteri. Che faccio? Vado o non vado?”.
Incidentalmente, la frase di Pogo non era in origine riferita alla guerra del Vietnam, ma invece proprio ai disastri dell’inquinamento e del degrado ambientale. Il che ovviamente ne rafforza il senso nel contesto di questa discussione.
https://i0.wp.com/andrewcomings.com/wp-content/uploads/2022/08/1-nu2shJ5fUDexM_sLgYjENw.jpeg?ssl=1
Mi scuso per il commento spezzettato, ma il sistema continuava a rifiutsrmi i testi perché troppo lunghi.
Propongo di aprire un dibattito, in apposito spazio, sul tema:
“Il cannibalismo, in montagna, alligna?
E, se alligna, quanto alligna?”
Moderatore: Alessandro Gogna.
Animatore (infuocato): Carlo Crovella.
Pompiere negazionista: Alberto (Bonino).
(segue)
Circa il suggerimento di rendere la montagna nuovamente scomoda (e pericolosa), si potrebbe forse cominciare dal pazzesco numero di interventi del Soccorso Alpino per motivi del tutto banali (siamo stanchi, piove, ecc.), spesso e volentieri seguiti dal rifiuto di pagare alcunchè. E’ palese come la consapevolezza di poter in ogni caso contare su in viaggetto in elicottero sia un fattore potentissimo per portare un sacco di gente – per definizione cannibali – in posti, dove non dovrebbe trovarsi. Qualcuno ha qualche suggerimento su come si potrebbe arginare il fenomeno? Un rifiuto di soccorso è ovviamente inconcepibile, ma forse delle disposizioni legali per l’obbligo di immediate copertura finanziaria potrebbero servire?
(segue)
Sinchè è possible ragionare in termini di “noi” e “loro”, con i due insiemi definibili a piacere, è sin troppo facile trovarsi d’accordo cje “loro”, in quanto cannibali, dovrebbero essere sottoposti ad un severo regime di numeri chiusi, prenotazioni obbligatorie, magari patentini e quant’altro. Ma se si deve arrivare alla folgorante percezione di Pogo in merito alla Guerra del Vietnam (chi all’epoca leggeva Linus magari ricorderà), “we have met the enemy, and he is us”, abbiamo incontrato il nemico e il nemico siamo noi, le prospettive cambiano bruscamente. Pur riconoscendo che la situazione attuale è insostenibile, e pur accettando in pieno le esigenze di protezione ambientale, l’idea di dover dipendere dal permesso di un qualche funzionario per poter accedere ad un sentiero mi è profondamente ripugnante. (continua)
@34:
Al di là delle divergenti valutazioni circa la rilevanza percentuale del cannibalismo, siamo quindi d’accordo – e non vedo come si potrebbe non esserlo – che il cuore del problema consista nei numeri assoluti. Cioè, in ultima analisi, da noi stessi.
Almeno per quanto mi riguarda, e anche senza considerare gli aspetti personali cui ho fatto cenno, questo punto centrale è ciò che rende psicologicamente difficile accettare eventuali misure correttive – misure che, comunque si voglia formularle, finirebbero inevitabilmente per interferire pesantemente con la libertà individuale e collettiva di salire in montagna, libertà che invece è proprio il movente principale per farlo.
(continua)
Aggiungo qualche considerazione generale.
Trovo assurdo che nel 2025 ancora la gente( la massa ) vada in ferie nello stesso periodo dell’anno.
Forse sarebbe più facile adibire dei luoghi in cui le grandi masse concentrate in periodi limitati si possano ammassare, cioè creare un overtourism controllato….
La mia soluzione personale è avere tempo e sapere cosa fare.
Io li chiamo cannibali, altri usano la defizione di sprovveduti e tamarri, (come nell’articolo), ma alla fine è la stessa cosa e affermano esplicitamente che oggi la montagna è piena di sprovveduti e tamarri, alias cannibali. Ma il il problema non è circoscritto ai soli cannibali, bensì e’ generalizzato alle cifre totali. I cannibali-sprovveduti-tamarri sono un’aggravante, fastidiosissima, ma un’aggravante. Bisogna ridurre i numeri totali.
Spiace (si fa per dire) far notare che, a finché i c.d. “cannibali” (tra l’altro pare che, per guadagnarsi questo appellativo, l’unico requisito richiesto sia quello di praticare attività montane in tempi, modi e luoghi sgraditi a Crovella) non saranno costretti a girare con una fascia identificativa al braccio, è molto difficile quantificare la loro percentuale all’interno della massa dei turisti (e non).
Finché ci si basa sulle proprie personali impressioni, quelle di Crovella valgono tanto quelle di Bonsignore, o tanto quanto quelle di un cretino qualunque come il sottoscritto.
[immagino già le replica: ma io giro in montagna da decenni -mica per niente emerito-, ma io c’ho il polso della situazione, ma io ho parlato con un mio conoscente che dice che, ma io le statistiche (seee, vabbè…), ma io predico da decenni, ma io sono un fine osservatore terzo e imparziale, ecc.
ci venga per favore risparmiata, grazie]
Non sono d’accordo, ovviamente, che i cannibali siano “pochi”, rispetto al totale aumentato rispetto ai decenni scorsi. Sono due problemi uno dentro l’altro. Certamente c’è un problema generale di aumento esponenziale degli approcci alla montagna (aumento che, sa dolo, crea danni all’ambiente, sia chiaro). Ma all’interno di questo trend, c’è sicuramente un aumento esponenziale della percentuale dei cannibali, fenomeno che è un’aggravante del primo.
La soluzione non è dire “statevene a casa” (a cannibali e non cannibali), quello al massimo lo possono dire le autorità competenti, utilizzando gli strumenti previsti, che sono ordinanze ecc o per motivi di sicurezza o per scelte di con tenimento dell’overtourism (numero chiuso/ticket/ prenotazione obbligatoria fino ad esaurimento posti ecc ecc ecc).
Come predico ormai da circa 10 anni, la soluzione strategica è far tornare la montagna s-comoda (“s” privativa), cioè priva di comodità. I consumisti di oggi (e i cannibali in particolare, anche se non sono solo cannibali) non amano la “scomodità”. Un esempio? Anziché triplicare (come chiede il suoi titolare) l’impianto di cui si parla nell’articolo principale, occorrerebbe ERADICARLO del tutto. Quanta gente vedremmo ancora in quel luogo? Solo chi ama “camminare” e salire a piedi dove, oggi, si arriva con l’impianto.
Questa scelta di base ha dei prezzi socia-politici, non giriamoci in giro. Per esempio, quello che alcuni appassionati di montagna (anche se seri, a posto e dai comportamenti moderati) non avrebbero più le stesse possibilità che hanno oggi per accedere alla montagna. Sicuramente la variabile anagrafica e quella dello stato di salute farebbero una bella selezione naturale.
E’ giusto, è sbagliato? Io credo che chi ama veramente la montagna, non ha esitazione a saperci rinunciare (ripeto in determinate situazioni) se questa sua rinuncia contribuisce ad allentare l’attuale pressione antropica che è diventata insostenibile. Altrimenti quello che si prova non è “amore per la montagna”, ma “esigenza egoistica di soddisfare il proprio divertimento”. Sono due concetti molto diversi, anzi addirittura antitetici. Dobbiamo saper superare questa spinta egoistica, sennò il problema dei danni antropici alla montagna non lo risolveremo mai. E sarà sempre peggio, finché ci penseranno le montagne a creare selezione: crolli, inondazioni, frane, morti, dispersi… E alla fine vuoi per divieti espliciti vuoi perché la gente capirà che andar in montagna è troppo pericoloso, molti non ci andranno più. volete scommettere che in tale scenario prospettico, all’interno di una riduzione totale degli accessi antropici alla montagna, si ridurrà drasticamente la percentuale dei cannibali sul totale?
Di ritorno da 3 settimane in Dolomiti (sentieri con poco dislivello, a 80 passati non posso più fare altro), non posso che testimoniare di essere rimasto abbastanza sconvolto dalle dimensioni delle masse umane in movimento attorno alle montagne, bel al di là delle capacità di assorbimento del territorio. E sì che eravamo in Agordino, e quindi piuttosto defilati rispetto al calderone Fassa/Badia/Gardena, e agli inizi della stagione.
Non posso però unirmi al coro contro i tamarri/cannibali, per due motivi principali: primo, io stesso e quelli che erano con me siamo senza dubbio, data la natura delle nostre attività, riconducibili alla suddetta categoria; e secondo, forse mi sbaglio ma ho riscontrato molti meno di casi di vero tamarrismo/cannibalismo rispetto a quanto fosse comune in passato. Insomma, il problema non è che la valanga umana sulle Dolomiti sia composta prevalentemente da gente che si comporta in modo scorretto, ma semplicemente che sono tanti – troppi. Anche se fossero tutti dei John Muir dal punto di vista dell`etica del comportamento e dei Rheinold Messner da quello delle capacità alpinistiche, non cambierebbe molto.
Al di là del riconoscere il problema, non sono in grado di suggerire alcuna soluzione. Alcune delle idee che sono state suggerite in questo blog mi toccano da vicino, perché di fatto mi impedirebbero di vedere le Dolomiti ancora per qualche anno, come invece spero di poter fare, e quindi non esprimo alcun giudizio che sarebbe viziato da interessi personali. Però bisogna anche capire che pur tenendo conto delle influenze di interessi locali e dei fabbricanti di materiale escursionistico/alpinistico, alla base di tutto c’è il fatto che un numero sproporzionato di persone hanno scoperto la montagna e ne ssono, a modo loro, attirate. Si potrebbe certo cercare di imporre loro delle regole, ma dire semplicemente “restatevene a casa” mi sembra scarsamente praticabile.
“<<Oggi la montagna è piena di sprovveduti e di tamarri, io vado solo in Veneto e, quando si riempirà, andrò in Friuli>>.”Noi abbiamo la nostra difesa…un’esercito di zecche pronte ad assalire tutti……indifferentemente.
Non è facile trovare un equilibrio fra le diverse esigenze. Forse l’equilibrio “perfetto” non esiste. Occorre fare delle scelte, magari anteponendo alcuni obiettivi/interessi ad altri obiettivi/interessi. Per cui sul terreno si lasceranno degli “scontenti”. La scelta di questi obiettivi primari è il punto cruciale e potrebbe essere frutto di predominio di una componente sociale sulle altre oppure la conseguenza di un compromesso. Tutto è da discutere. Al momento, nel bailamme generale, l’unica cosa certa è che il turismo cafone è dannoso per le montagne.
La mia posizione è radicale e mi schiero ideologicamente al fianco delle montagne, a costo di risultare antipatico a valligiani/operatori turistici ecc ecc ecc. Ma se non interveniamo nel contrapporci ai danni che deve registrare l’ambiente (e quindi anche la montagna) da un assalto consumistico e “cafone”, alla fine non ci sarà letteralmente più la montagna, quindi non ci saranno i valligiani e quindi non ci saranno più le esigenze reddituali dei valligiani…
Sig. Crovella, la modesta crescita del PIL italiano è dovuta solamente, da circa un ventennio, alla componente ‘servizi’, dunque anche commercio e turismo. Stagnante o declinante la componente ‘produzione industriale’. È noto, ad esempio, che e’ sempre più prevalente il commercio di auto prodotte all’estero piuttosto che investire nella produzione italiana. Commercio e turismo sono le uniche certezze di una regolare, ancorché lenta, crescita dei redditi in Italia? Si punta molto alla valorizzazione di città, musei, natura, panorami e quant’altro che sono risorse ancora poco sfruttate (così ci dicono) nella loro potenzialità. Ovviamente si mette la ‘risorsa’ montagna, peraltro minacciata da inverni sempre più brevi. Nasce la ricerca di nuove attrazioni per allungare e sfruttare meglio la stagione senza neve. Se ne parla qui da anni. Difficile formare una corrente maggioritaria di opinione contrastante il degrado dell’overtourism. Non è così anche a Venezia dove è grande (sic!) la preoccupazione per i mancati ricavi poiché i turisti portano la merenda da casa? I turisti un po’ risparmiamo con la merenda, ma volentieri si fanno tosare da una serie di balzelli che non li fanno rinunciare ad una funivia, una foto, un selfie. Vale la pena fare qualche sacrificio fisico ed economico. Il blog è una minoranza che fronteggia un apparentemente inarrestabile fenomeno, limitatamente a questo tipo di turismo montano. Le proposte, come le sue, di fermare tutto rimangono minoritarie. La persuasione di un cambio di rotta va fatta sulla classe politica locale che mira ai rinnovi dei propri mandati, trascurando i danni a carico delle prossime generazioni. Onestamente le proposte dovrebbero prevedere come sostituire i ricavi dal turismo devastante con altri più rispettosi del territorio. Tenuto anche conto che in pianura e nelle città ora si plaude all’apertura di nuovi centri commerciali che generano ‘tanti posti di lavoro’, dato che l’industria tende a scomparire. Insomma, come inventare nuovi redditi per i valligiani, e anche per i cittadini, visto che flussi di denaro non mancano? Cordialità.
Non sono scandalizzato che un imprenditore ipotizzi di aumentare le dimensioni sulle “sua” azienda, con l’obiettivo di produrre di più e aumentare il suo profitto, ma lo deve fare a suo carico, e anche a suo rischio e pericolo. Infatti gli può anche andar male in termini di business, cioè egli fa degli investimenti e poi i piani non si concretizzano come sperato e rimane appeso al pero. Si chiama “rischio imprenditoriale” proprio per questo. Invece ce l’ho con quegli imprenditori (in Alto Adige come in Piemonte, sia chiaro!) che insinuano o addirittura “pretendono” che gli investimenti siano “pubblici” (cioè in pratica pagati da tutti noi), mentre gli eventuali profitti futuri saranno “solo” degli imprenditori… In più, come se non bastasse, costui oltre a insinuare l’investimento pubblico per l’aumento della portata oraria della “sua” funivia, chiede esplicitamente che vengano aumentate le infrastrutture (tra cui i parcheggi) che sono chiaramente pubblici. Ovvio che se triplichi la portata oraria della funivia, occorre triplicare (o forse addirittura quadruplicare) i parcheggi, ma quello che infastidisce è la “pretesa” che paghi Pantalone… Imprenditori così sono una rovina.
qui cmq il tema è un altro: come “proteggere” quei luoghi dall’assalto riminesco. Io invece che andare a triplicare l’impianto, sbancando altro terreno per triplicare i parcheggi, metterei un bel numero chiuso, in modo tale da evitare l’affollamento antropico come si vede dalle foto.
Marcello, toglimi una curiosità: perché, se ti chiamano Caminetti, tu ti arrabbi e protesti, però poi storpi i cognomi altrui?
Non preoccuparti Bertoncè, se la Val Gardena seguirà il tuo desiderio di annessione all’Austria, siccome fa parte del Sudtirolo, il problema sarà dei crucchi e non più nostro. Alè.
Tirando le conclusioni, se Rimini è diventata Rimini, dobbiamo forse lasciare che anche le Dolomiti diventino come Rimini?
A parte il fatto che la Valle di Fassa e la Val Gardena sono già diventate come Rimini, qui si vorrebbe soltanto evitare che, proseguendo nell’andazzo, diventassero come Las Vegas.
Ciò che accade in Dolomiti succede ogni domenica nel lecchese: piani di Bobbio, Resinelli, Erna, ecc. sono presi d’assalto da migliaia di merenderos dotati di ogni attrezzatura da spiaggia libera. A sera rientrano a valle ben arrossati dal sole, intasando strade e tangenziali. Contenti tutti, in primis chi ha incassato da questa scorpacciata, iniziata con il ticket del parcheggio. Che ci siamo Grigne, Resegone o Dolomiti poco importa a questa moltitudine. Che a volte si accontenta, con molta memo strada, dei prati intorno all’Idroscalo, contendendosi un metro per posare il telo spiaggia e la griglia per il tradizionale barbecue. Fenomeni che hanno trovato le loro esagerazioni nell’estate del 2020, dopo il “liberi tutti” del fine allarme pandemia. Valtellina e Valsassina letteralmente assalite con blocchi della circolazione stradale e Forze dell’ordine che impedivano gli accessi da fondo valle per evitare peggioramenti del caos. Proviamo con un referendum tra le poche unità di questo forum (ce ne sono anche altri su vari siti) e le migliaia di ‘assalitori seriali’ tanto per conoscere le convergenze di pensiero degli uni e degli altri.
No, non ti sbagli Cominetti, ognuno nel suo opportunismo, per qualcuno delirante, vede il peggio negli altri e pretende di insegnare come bisogna vivere. Prima di aprire la bocca bisognerebbe fare un esame di coscenza. Il monarchico sabaudo Crovella vuole imporre il suo stile: opportunismo sfrenato, perchè lui è lui e noi siamo un cazzo.
Concordo pienamente con Marcello. Penso sia esattamente questo il punto.
Crovella 20), certo che per uno che vorrebbe “spostare” i palestinesi da casa loro, che si dichiara spietato, che lavorando nell’economia valuta freddamente che i numeri quadrino, ecc. ecc., meravigliarsi che un imprenditore ragioni come il proprietario della funivia do Ortisei, è davvero sorprendente.
Ma in Piemonte come credi che facciano gli impiantisti di Sestriere? Che si mettano le mani in tasca e ognuno tira fuori i soldi per costruire un nuovo impianto?
Ovunque gli impianti vengono sovvenzionati dalla pubblica amministrazione esattamente come la posta da bob di Cortina e a suo tempo quella di Cesana.
L’impianto di risalita sta alla base della piramide delle infrastrutture turistiche che generano indotto e reddito (e conseguentemente imposte allo stato) prodotto dai privati. Il fatto che questo succeda in montagna offenderà il tuo animo caiota, ma di cosa credi che viva chi abita in montagna?
Intendiamoci, questo modo di pensare e agire che riduce luoghi naturali a pattumiere ricolme di feccia umana, annientando ogni identità locale, a me fa letteralmente vomitare.
Ma allora perché non prendersela anche con i gestori degli stabilimenti balneari che a fronte di affitti ridicoli generano enormi profitti lungo le zone costiere?
Vivete ammassati uno sull’altro in città squallide, inquadrati come polli in batteria e la domenica vi riversate ovunque, purché non sia la città in cui avete scelto di passare la vostra esistenza, ma sui monti pretendete di incontrare il buon selvaggio che vi ospita gratis e vi regala la polenta in un rifugio spartano mostrandovi i suoi figli trogloditi col moccio al naso.
Anche la pianura Padana era natura e non l’hanno di certo riempita di merda (concime) i gardenesi.
Semplifico ma mi sbaglio?
Ma voi lo sapete cos’è un pranzista della domenica ?
Si sveglia verso le otto, carica in macchina tutta la famiglia ( di solito moglie e 2 figli sovrappeso, qualche volta anche la suocera) si fa circa 200- 300 km per arrivare in un luogo più o meno noto dove però si parcheggia l’auto il più vicino possibile, max 100metri, dal cosiddetto rifugio, mangiano in maniera dozzinale e massiccia…..per ore ….esce fa quattro passi barcollanti intorno alla struttura, foto di rito, e poi giù verso la città, in coda per ore insieme a tutti i pranzisti come lui….che si maledicono a vicenda e maledicono la moglie che aveva scelto quella località perché una sua amica c’era stata e si era fatta delle belle foto su intagrammmmm
Sul Corriere di oggi, il “titolare” (così viene definito) della funivia, intervistato, asserisce che i problemi di affollamento dipendono dal fatto che l’impianto è troppo piccolo e la sua portata oraria andrebbe almeno triplicata. Domanda: se costui è lui il titolare, nel senso di proprietario, perché non l’ha già fatto? Ma poi il signore continua e sottolinea che l’affollamento in generale è colpa anche delle infrastrutture che sono inadeguate: a Ortisei, dice, i parcheggi sono insufficienti. Siccome i parcheggi sono presumibilmente pubblici e il loro ampliamento è un’opera che sarà pagata dall’amministrazione comunale (o provinciale), la domanda è: l’eventuale ampliamento della funivia chi lo pagherà? Non è che il “titolare” sta mettendo le mani avanti per farsi finanziare o cofinanziare tale eventuale lavoro, pur conservando la proprietà dell’impianto? in tal modo, costi pubblici e futuri incassi privati…
E poi: non è che se triplichi la portata della funivia, poi arriva ancora più gente? attirata proprio dalla fluidità di trasporto dell’impianto triplicato… Povere montagne!
Voci incontrollate riferiscono che oggi Matteo è andato ad arrampicare sulle Odle. C’è arrivato passando dal Seceda, dopo aver pagato il biglietto degli impianti e superato il famigerato tornello.
Una fotografia lo ritrae in attesa, al quattrocentosettantasettesimo posto della coda. Per quanto riguarda il tornello, la stessa voce mormora che lo abbia scavalcato al grido di “il Seceda è mio e lo gestisco io!”.
P.S. Pare che un contadino l’abbia poi inseguito col forcone. Per fortuna Matteo è un buon corridore…
Sarà vero?
Mi sembrano solo beghe locali
una decina di anni fa andai in vacanza a Selva di Val Gardena tutto stupendo sembrava un territorio da favola poi salimmo sul sasso lungo per fare il giro e tornando ci siamo fermati al
“Rifugio” Comici , sembrava di essere a Rimini , costumi , lettini , di tutto di più ora mi chiedo di cosa si lamentano una vita a pubblicizzare la valle per sfruttarla anche d’estate e questo è il risultato
E molto probabile che chi racconta o commenta queste situazioni non ha alcun interesse economico al riguardo. Non così chi, p.e. sogna il cospicuo aumento della portata oraria della funivia. O chi vuole nuovi punti di ristoro o almeno aumentare la capienza di quelli esistenti. Proviamo ad immaginare che da domani tutto ciò finisca improvvisamente. Deserto, o quasi. Ve li immaginate i pianti in TV e su tutti i mezzi di informazione, con richieste di sussidi, cassa integrazione, minacce di licenziamenti e fallimenti?
“Sul fatto che il turismo non generi redditività, casco dalle nuvole.”
In realtà reddito ((o PIL) lo produce di sicuro, il punto, credo, è che non produce di per se’ nulla: è un’attività “estrattiva”, non “produttiva”.
Se non viene controllata ed indirizzata crea solo scompensi, ingiustizie, sfruttamento e alla fine lascia macerie. ((oddio, vale anche per le attività “produttive”, ad onor del vero)
Secondo me ormai bisogna tristemente dare per persi alcuni luoghi e preservare con le unghie, o anche con le barricate, quei rari che ancora rimangono poco sfruttati. . Quindi, per assurdo, meglio che vadano tutti lì che almeno non distruggono altre valli
Un problema temporaneo, la prossima idiozia che verrà propagandata su qualche social ed il branco di pecore verrà indirizzato verso altre mete. Non c’è nulla da fare, prendiamone atto, c’è una moltitudine di persone che ha bisogno di fare parte di un gregge e per dimostrare la fedeltà a questo deve produrre la prova, la foto postata su Istagram o su qualsiasi altro strumento di fede di massa. Guardiamo l’aspetto positivo, tutto questo branco si concentra in pochi posti e per chi ama la montagna c’è tutto un mondo dove non nevica firmato, dove non ci sono funivie ne panorami da esibire e come sempre basta fare qualsiasi itinerario che abbia più di 400 m di dislivello per trovarsi soli o poco e bene compagnati.
Guidi, sei probabilmente disinformato perché la chiesetta di S.Giovanni ai piedi delle Ondle in val di Funes è presa d’assalto tanto quanto il Seceda per fare la classica foto da instagram/puzzle.
… peccato. Da recenti esperienze, però, ho visto che la differenza con la Val Gardena è sempre notevole.
Che il Cai sia contrario a qualsiasi iniziativa è cosa che fa sbellicare dalle risate sia la pubblica amministrazione che gli imprenditori privati. Oltre alla solita intervista concessa volentieri all’amico giornalista di turno non riesce ad andare.
L’UNESCO è il vero cancro al fegato delle Dolomiti. Lo sostenevo ancor prima della nomina a patrimonio bla, bla, bla, perché ero stato ad alcune riunioni dove avevo inteso immediatamente che si trattava di una torta pubblicitaria, una manovra di marketing e nulla più, in cui i convenuti erano perlopiù operatori turistici ignoranti e senza scrupoli (che girano in Ferrari) dalle mire sinistre e inquietanti. Voglio ricordare che nell’era pre-UNESCO ogni valle voleva essere citata con il suo nome e quello di Dolomiti non piaceva a nessuno perché troppo generico e non sia mai che potesse fare propaganda alla valle a fianco.
Sul fatto che il turismo non generi redditività, casco dalle nuvole. In regioni/provincie dove il reddito pro capite è tra i più alti del paese, non esiste la disoccupazione, i servizi sono di ottima qualità e nessuno cambierebbe la propria situazione, non vedo come questo possa essere vissto come negativo.Certo, ogni cosa ha il suo prezzo, e quello da pagare (carissimo) è spesso la distruzione ambientale e l’impoverimento identitario, che secondo me è ancora più grave del primo.L’ho detto e ridetto: quando una piccola località cerca di offrire quello che il turista le chiede, perde la sua identità. Ogni luogo dovrebbe essere scelto per le proprie vacanze in base alle sue caratteristiche originarie e non a un surrogato opportunistico fatto per attrarre più gente.
Il tutto con l’avallo dell’Unesco, che ovviamente tace, sia con riferimento all’overturism estivo che a quello, ancora più preoccupante, della stagione invernale. Il tutto in nome della professata falsa sostenibilità.
“«Quella povera gente non ha altro da fare?», si domanda sconcertato Zanella”
Concordo con questa domanda di Zanella (ma non ho risposta), un po meno sul resto.
In particolare sul riflesso condizionato e retorico del caiano circa i turisti in montagna senza l’attrezzatura adatta…a forcella Seceda con la funivia in una giornata di sole? Crok e short sono più che sufficiente, direi! Sarebbe il turista tedesco con cartine e pantaloni alla zuava fuori posto.
Peraltro scommetto che in quella fila il 70% sono turisti stranieri; solo quest’anno ho parlato con 2 spagnole, 3 inglesi e 2 americani arrivati in volo a Venezia-Tessera, ritirato il camper che avevano il medesimo programma: Sciliar, forcella Seceda, passo Giau, lago del Sorapiss, Misurina, Lavaredo, Braies…
Un finto “problema”per un finto turismo…
Pecorone, 280 abitanti[2], posta ad un’altezza di 778 m s.l.m., è una frazione del comune di Lauria in provincia di Potenza: dista dal capoluogo comunale, a cui si arriva tramite la Strada provinciale ex Strada Statale 19 delle Calabrie, circa 3,68 km[1] ; è situata in prossimità dello svincolo di Lauria Nord dell’autostrada A3 Napoli–Reggio Calabria.
Guidi, sei probabilmente disinformato perché la chiesetta di S.Giovanni ai piedi delle Ondle in val di Funes è presa d’assalto tanto quanto il Seceda per fare la classica foto da instagram/puzzle.
Addirittura sino state erette delle alte paratie in legno lungo il sentiero come quelle usate per indirizzare le bestie alla pesa o alla marcatura.
E tutti felici vi si incolonnano.
So che il tutto era a pagamento ma forse qualcuno di influente ha protestato e non si paga più. Su questo aspetto non ho manco voglia di informarmi più di tanto.
Tamarri invece di cannibali, meno offensivo del primo: questa volta concordo con Crovella. Di base è vero ma non credo che si possa selezionare in base al gusto e all’eleganza.
Forse certe misure andrebbero adottate a tempo: funivie meno care a ottobre e maggio, carissime a luglio e agosto, ad esempio con ulteriori variazioni dal lunedì alla domenica.
Comunque il punto è che questo fenomeno riguarda moltissimi luoghi (Cinque Terre, scorci di centri cittadini, laghi, etc.) ma ben delimitati (il resto intorno neanche viene visto). La fatica e la mancanza di strutture continuano a selezionare: il giro delle Odle a piedi in quanti lo fanno? La Val di Funes non è la Val Gardena.
Questo descritto è un fatto oggettivo innegabile, come lo è quello che, da anni, l’Alto Adige ha messo in atto una campagna pubblicitaria di grandi dimensioni, decantando bellezze, servizi, attrazioni turistiche e di wellness di ogni genere. Con l’attribuzione, poi, del Patrimonio Mondiale dell’Unesco, il battage è stato assordante. Il ritorno di tutto questo è rappresentato, ora, da una frequentazione di massa che sfugge al controllo e che porterà, inevitabilmente, danni all’ambiente inteso in senso generale e non solo naturalistico e all’immagine di questo innegabile paradiso. Inoltre, a mio avviso, il rialzo sproporzionato dei prezzi ha ridotto il turismo stanziale e ha incrementato quello giornaliero del “mordi e fuggi”. Parlano in modo ridondante del “turismo sostenibile”, ma qui di sostenibile non c’è nulla. In più, è cambiata la mentalità generale e la maggior parte delle persone segue mode e flussi, che imprenditori e amministratori cavalcano per realizzare guadagni e risultati, negligendo educazione, responsabilità e coscienza. Qualche anno fa è stato fissato come target un turismo di élite e anche questo ha avuto le sue responsabilità, poiché, sempre a causa della politica dei prezzi, il discrimine era il censo e non la qualità dei frequentatori, ahi noi, spesso persone che della montagna non sanno nulla, della natura neanche e di un sentimento sano verso le terre alte men che meno. Andar per Monti e per Natura non deve essere un privilegio elitario, ci mancherebbe altro, ma un’opportunità per tutti quelli che amano, frequentano e rispettano, ma per questo ci vuole molto più impegno che, purtroppo, non sempre è remunerativo. Ricordo che durante il Covid, i virus furono paragonati all’essere umano che cerca un luogo da abitare, colonizzare ed infine distruggere, comincio seriamente a credere che sia vero. E non c’è vaccino che funzioni, perché l’uomo, come il virus, riesce ad adattarsi, a mutare e ad autodistruggersi comunque. Ma voglio sperare che non sia sempre così e che batteri buoni prolifichino per garantire la vita, come fanno i veri Montanari che cercano luoghi alternativi altrettanto belli nei quali trovare un vero e intimo contatti con la meraviglia e la natura.
Cinzia Nardi Lorenzi
A chi può dare fastidio una coda ordinata di turisti in fila per la funivia? Alla fine qualcuno si stancherà oppure no, con buona pace di tutti. Del resto Zanella ha una scelta molto più ampia: può salire sul Rosegarten da Welschnofen oppure salire sul Catinaccio da Vigo di Fassa per esempio. E tanto altro, ma equamente condiviso e sostenibile.
Certo che se al sovraffollamento si contrappongono le teorie caiote di Zanella siamo proprio tutti a posto.
Pecorone: (fig.) 1) persona vile, che si lascia sottomettere; 2) persona ignorante, sciocca, che segue servilmente quello che dicono o fanno gli altri. “Siete una massa di pecoroni!” (dal vocabolario Sabatini-Coletti).