Lo Scalatore da tastiera
di Pietro Garanzini
Parlando di social, gli scalatori si dividono in due categorie ben distinte. Ci sono quelli di cui non si sa nulla, che non pubblicano niente e quando lo fanno scatenano un sentimento di tenerezza per la timidezza dei post. Oppure chi pubblica tutto, ma proprio tutto, anche il colore delle mutande che porta durante le salite. I loro post non sono delle semplici composizioni di foto, ma delle enciclopedie di racconti, immagini, video, relazioni e tracce Gps.
Entrambe le categorie sono mosse dalla passione per la montagna, è innegabile. I primi lo fanno solo e unicamente per loro stessi, i secondi per condividere le loro esperienze con il mondo intero.

Poi c’è lui: Lo Scalatore da tastiera ed è di una categoria a parte. Ce n’è uno in ogni area montana, alpinistica o arrampicatoria della Terra. Come lo si riconosce? Non è semplice perché si mimetizza bene, ma con un po’ di esperienza lo troverete sicuramente.
Prima di tutto, si muove nell’ambito di una cerchia molto ristretta, formata da due tipi di persone: o molto più scarse di lui, o di una certa fama, manipolabili, però, con cui può farsi pubblicità occulta. Come il riflesso di uno specchio.
Il pettegolezzo alpinistico/arrampicatorio lo descrive come il migliore falesista-alpinista-scalatore della zona. Di quelli che non si allenano mai e sono fortissimi!
Tu, però, non hai mai avuto il piacere di vederlo arrampicare. Eppure ne giri di falesie, ne passi di giornate a scalare, ma non l’hai mai incrociato. Ti rendi conto che è più sfuggente della Primula Rossa.
Hai solo visto le foto sui social, seguite da centinaia di commenti del tipo: TOP, mani che applaudono, 100%, sei il migliore, sei un grande, pollice alzato (come l’imperatore che decide di lasciar vivere il gladiatore sconfitto), stelle filanti e fuochi artificiali.
Dopo le foto arrivano i racconti. Anche se non vorresti, li leggi, perché la curiosità vince su tutto e, in fin dei conti, ti piace farti del male. Nemmeno Cassin, Bonatti ed Emile Rey avrebbero potuto rendere così bene l’idea di lotta con l’alpe, sofferenza, e come direbbe una mia vecchia zia: mai una gioia.
Le scalate raccontate sono delle conquiste, vittorie raggiunte rischiando la pelle, ma con una certa noncuranza. Affronta i rischi con stile, come se fosse il suo pane quotidiano e risponde ai pericoli con un’alzata di spalle.
La prima domanda che ti poni è: ma lo obbliga qualcuno a fare ciò di cui ha scritto? Perché non dà l’idea di scalare per divertimento o soddisfazione, ma per una sorta di eroismo, e dire che la lotta con l’alpe, di cui accennato poco prima, dovrebbe essere finita da decenni. Per fortuna.
L’alpinismo e l’arrampicata non servono a nulla, se non a noi stessi, quindi nessuno ci obbliga ad andare a scalare, sia che lo facciamo in falesia o sullo Spantik.
Eppure, questi racconti degni di uno che ha partecipato allo sbarco in Normandia, fanno supporre che una forza superiore obblighi l’eroe della novella. Rimarcando il concetto che se non si rischia la pelle, ma sempre con noncuranza sia chiaro, non si possa chiamare alpinismo.
Finito il racconto, passi ai commenti, centinaia di commenti. Capisci di essere un cinico, in mezzo a dei romantici sognatori e ti vergogni di te stesso.
Oltre alle solite mani che applaudono, stelle filanti, TOP, 100% e pollici alzati, troviamo frasi del tipo: scrivi così bene che pareva di essere lì con te, oppure, dovresti scrivere un libro di racconti come questo.
Ogni frase contiene tanti punti esclamativi, a sottolineare l’enfasi del messaggio, che sarebbero bastati a Tolstoj in Guerra e pace.
Il dubbio, però, nel tuo cervello, inizia a insinuarsi. Non è che tutto ciò che stai leggendo sia solo frutto di una fervida immaginazione? Perché un conto è salire una via, magari in solitaria e poi scrivere un resoconto della salita. Un altro, è scrivere una bella favoletta, senza esserci mai stato su quella parete.
Il dubbio è subdolo, perché parte da lontano e ti trapana il cervello come un tarlo. Quindi cominci a chiederti realmente: non è che sono solo racconti?
Mettiamo che il nostro Scalatore da tastiera dica di aver fatto una bella solitaria, ci rende partecipi con il suo racconto, che siamo liberi o meno di leggere, ma come mai gli crediamo sulla parola?
Viviamo in un’era in cui non è difficile registrare una traccia gps durante la salita, fare un tot di foto dove si capisce senza alcun dubbio dove siamo stati o cosa abbiamo fatto. L’amico connivente, ovviamente, non conta come testimone. Contano solo i fatti, altrimenti una storia rimane solo una storia.
Poi il nostro Scalatore da tastiera si evolve e diventa pure attore. Sui social compare un video selfie sulla sua ultima impresa. Un monologo degno del grande Vittorio Gassman, dove racconta l’ultima scalata compiuta.
E anche in questo caso, si scatenano i commenti entusiasti: TOP, 100%, mani che applaudono, pollici sollevati e frasi del tipo: dovresti fare l’attore. Questo commento in particolare attira la tua attenzione, perché è sincero. Infatti si tratta solo di recitazione.
Quindi ti domandi come mai, big o amatori dell’alpinismo, si fanno un mazzo tanto per aprire una via, ripeterla, scalare in solitaria o in inverno? Basterebbe stare dietro a una scrivania, immaginarsi una bella salita e poi buttare giù un racconto epico-cavalleresco. Oppure farsi un video selfie e raccontare l’ultima impresa conclusasi con estremo successo.
Ah, sì! La risposta arriva fulminea. Moltissimi, credo la maggior parte, scalano per una viscerale passione e non per vomitare alla massa racconti di salite, avvenute o meno, non lo sapremo mai, solo per ricevere pacche sulle spalle e commenti da teenager sui social o al bar.
Comunque, bisogna spezzare una lancia verso il nostro Scalatore da tastiera, saltuariamente video selfie attore, senza di lui avremmo sorriso molto, ma molto meno.
In conclusione, mi viene in mente una frase scritta anni fa da un noto giudice:
Credo che ognuno di noi debba essere giudicato per ciò che ha fatto. Contano le azioni, non le parole.
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Dopo 27 anni di frequentazione internet e di montagna su internet credo di non avere mai incontrato questa mitologica figura descritta.
Ciao drugo:)
12) Non dipende dal mentro in più, ma da come l’hai salito quel metro in più. È la qualità che fa la differenza.
Senza narrazione non ci sarebbe alpinismo. Poi,come sempre, chi ha salito 1 metro in più si sente più alpinista di un altro e detta regole in merito al giusto e al vero.
“Contano solo i fatti, altrimenti una storia rimane solo una storia.”
Non me ne importa niente! Quella storia è la mia storia.
Tutt’al piú posso raccontarla a chi è in grado di comprendere, non ad altri.
È il sepente che si morde la coda. L’uno alimenta l’altro.
Bello, l’articolo!
Alberto, penso proprio che sia il senso di solitudine che spinge a condividere sui social la propria vita: nel mio piccolo, avendo qualcuno intorno a cui raccontare, non sento questa necessità.
Mah, non metto in dubbio che l’autore, per motivi personali, abbia voluto descrivere un fatto che sarà capitato a lui, ma personalmente, pur frequentando uno dei tanti social, quello forse piu amato dai climber, casi simili non li ho mai notati, verrebbero sgamato immediatamente, altro che cuoricini e applausi. Poi non capisco il senso di inventarsi imprese senza uno straccio di prova.
Troppo fantasioso. 5+ per l’impegno (non è un grado, è un voto).
Il bisogno di riconoscimento e la corrispondente paura di sparire sono molto diffusi tra noi umani. Vivere nascostamente, come non desiderare la donna o l’uomo di altri, e’ un precetto per pochi. Sono precetti che contrastano con bisogni primari. Anche il sociopatico ogni tanto esce dal suo buco per esprimere pubblicamente il
suo odio ed essere riconosciuto come “diverso”. Questo è una possibile spiegazione del perché alcune persone ad esempio rimangono sul palcoscenico del lavoro il più a lungo possibile temendo l’anonimato della pensione. Poi ovviamente c’è chi si modera e chi ogni giorno ha bisogno bulimicamente della sua dose di dopamina sociale. Pochi comunque sono immuni da questo bisogno profondamente umano e non è detto che siano santi. Anzi. Non c’è dubbio che le piattaforme contemporanee per la loro facilità d’uso favoriscono e spingono alla bulimia, anche per ragioni di business, essendo il loro business basato sulla frequenza d’uso: sono spacciatori di dopamina sociale e promuovono la dipendenza.
Come ha risposto l indimenticato O.del Buono a chi gli ha chiesto quale fosse il suo scritto migliore?
Quello che ho fatto rilegare in sedicesimi e lasciato in bianco!
Ora si avverte quasi il contrario,un proprio segno ovunque,due gocce li due qua marcando territori che dovrebbero restare puri come lo sono fantasia e immaginazione e perché no per i più (semplici) anche spiritualità.
Per poter essere esaustivi su questo tema sarebbe necessario mettere in evidenza tanti dettagli, particolari..che un libro intero non riuscirebbe a convincere nessuno .
La montagna è lì a disposizione di tutti quelli che l’amano, e la vita, la storia di ciascuno è così diversa che persino le critiche o gli apprezzamenti di chi vorrebbe entrare nella testa altrui , ( bacchettoni) non troverebbero giustificazione.
Ognuno affronta i pericoli relativi a questa disciplina, a proprio modo, con i mezzi che ha, compreso il tempo.
Non dimentichiamo ( senza ripetermi troppo) l’unicità dell’ individuo, delle sue possibilità, del contesto in cui vive e come vive.
Non è possibile fare di tutta l’ erba un fascio.
Ciò che veramente biasimo è il voler essere alpinista sognando( fatto, per giunta, incomprensibile) come chi non potendo muoversi, sogna di essere stato in Polinesia postanto foto e video non reali.
Siamo onesti e sinceri: piccoli e grandi( alpinisti) anche i pionieri della storia alpinistica non esisterebbero o non sapremmo nulla di loro senza documentazioni oggettive.
A questo punto è doveroso aggiungere che proprio le foto ,i video ,le sponsorizzazioni con le relative immagini reali su tutti gli ottomila, confermano quello che dico.
L ‘uomo , pur spinto , motivato da una passione senza freni, ha sempre sentito il bisogno di dimostrare al mondo qualcosa e chi è ( insegnamento storico) togliendo qualche rara eccezione
Non è necessario farsi grandi con i confronti e la competitività ( È bella la massima: vivi e lascia vivere)
Saluti a tutti
Ho la sensazione che, nonostante la tecnologia, i social, siamo tutti, molto più soli.
Bene: Q8, alzo il pollice ecc… ^_^
Forse da aggiungere c’è solo un piccolo aspetto.
Un tempo il “condividere” era chiacchierare, raccontare e/o ascoltare al bar tra 4 o più amici.
Poi c’era e c’è chi ha interesse/piacere a portare i racconti davanti a una platea, ma questo è un altro discorso.Essenzialmente c’erano il bar, la sede caiana o casa di Toni o Caio.
Ho l’impressione che oggi per molti manchino luoghi, occasioni, situazioni conviviali dove raccontarsela.Oppure è solo l’effetto megafono dei social che prende la mano.Boh.
Bella analisi, fondata e ironica. temo che un certo tasso da “scalatore da tastiera” si annidi in ciascun essere umano. Alcuni lo estremizzano, raggiungendo le enfatizzazioni descritte, altri lo reprimono, con un marcato senso di colpa. Ma chi è peggio fra i due?
Bello, divertente, condivisibile e assai, purtroppo, realistico. Però solo un piccolo appunto: anche tra chi pubblica uscite ‘vere’, autentiche, c’è chi lo fa non tanto per condividere con gli altri quanto per puro spirito esibizionistico. Credo che questa enorme, estrema necessità di condividere tutto (ma con chi? E perché?) sia principalmente necessità di appagare il proprio ego, di rendere agli altri l’immagine che di noi ci piace di più. E le persone ‘umili’ nel senso migliore del termine, coloro che fanno le cose ma non necessariamente sentono l’urgenza di sbandierarle ai quattro venti (vogliamo chiamarli i ‘normali’ che fanno cose ‘normali’ e per un alpinista possiamo dire qualcuno che non è un Bonatti ma sale su Punta Tchan o sul Monch, tanto per fare un esempio) rischiano di passare per ‘egoisti’, persone che fanno qualcosa solo per loro stessi (quando invece è l’esibizionista a far le cose unicamente per se stesso ovvero per soddisfare la propria vanità). Non ci vedo nulla di male a fare ogni tanto qualcosa ‘per me’ anzi è fondamentale per il mio esistere. Che bello arrampicare per il piacere e il gusto di fare ciò che ci piace, senza doverci sentire in obbligo di raccontarlo sempre.