Illuminante scritto di Alex Langer, vecchio di 31 anni eppure così attuale.
Per un’Euregio più alpina che tirolese
di Alex Langer
(pubblicato su alexanderlanger.org/it, in origine su Arcobaleno 02-95 il 1° aprile 1994)
Appassionante prospettiva geopolitica e realizzazione storicamente più alta del federalismo per alcuni, pericolosa manovra revanscista e seme di contrapposizione etnica per altri, magniloquente ma infruttuoso giro di parole per altri ancora: ecco come si presenta attualmente il fantasma dell’Euregio tirolese.
I due partiti popolari dominanti nel Tirolo di lingua tedesca (ÖVP a nord del Brennero, SVP a sud) hanno ormai scelto, il futuro della nostra area geografica si chiama proprio così: Regione Europea del Tirolo, inserita in un’Europa unita, con un progetto di “integrazione nell’integrazione”, che dovrebbe ricucire al tempo stesso lo strappo del 1918 e lo sviluppo economico, ambientale e territoriale a nord e sud della catena alpina. Utilizzando margini di azione sub-statuale (dove, cioè, gli Stati sovrani non agiscono come tali, ma non impediscono ad entità minori di agire), si vorrebbe rafforzare un tessuto di iniziative, relazioni ed anche istituzioni comuni tra regioni e province appartenenti a Stati diversi, ed in particolare ad Austria e Italia.
Il riferimento all’antico grande Tirolo pluri-lingue pre-1918 (comprendente il Trentino, il Sudtirolo, il Tirolo ed il Vorarlberg austriaci) dovrebbe evocare non solo un ricordo nostalgico, ma anche l’idea che dei legami sufficientemente radicati nel passato possano dare forza e linfa al progetto, che cercherebbe di evitare il conflitto aperto con gli Stati (quindi niente ridefinizioni di frontiere o anticipazioni monetarie, nessuna diminuzione di sovranità ufficiale..), guadagnandosi nel frattempo il sostegno dei cittadini. Poi… chi vivrà, vedrà.
Sarebbe sbagliato ritenere solo i nostalgici del passato impegnati a riflettere su questa prospettiva: per rendersene conto basterebbe ricordare le iniziative “per l’altro Tirolo” che si sono svolte – con la partecipazione di esponenti verdi ed alternativi tirolesi, altoatesini e trentini nei primi anni ’80. L’idea che in una regione, intesa anche al di là dello spartiacque alpino, dei confini statali o delle differenze linguistiche, si possano coltivare progetti ed iniziative comuni e rafforzare legame antichi e costruirne di nuovi, non è patrimonio né di austriacanti né di sognatori. Il disegno di un’Europa unita avrà bisogno di zone di sutura, in cui i vecchi confini statali si diluiscano più generosamente che altrove ed in cui l’artificiosità delle frontiere nette tra lingue e popoli possa invece dissolversi gradualmente in territori comuni, in aree di più intenso scambio e di frequentazione transconfinaria. Aree-ponte, territori che anticipino e garantiscano legami che oggi ancora le sovranità statali circondano sempre di qualche diffidenza e qualche complicazione amministrativa in più.
E’ pensabile, è auspicabile che qualcosa del genere avvenga nella regione centrale delle Alpi, magari a partire dal territorio dell’antico Tirolo?
Penso di sì, a patto che si rispettino alcune condizioni, che provo ad individuare schematicamente:
a) bisogna evitare ogni idea di restaurazione nostalgica, o – peggio ancora – ogni obiettivo di emarginazione etnica; qualsiasi ambiguità a questo proposito si trasformerebbe in pericoloso boomerang; sarebbe esiziale un disegno che puntasse, ad esempio, ad un “grande Tirolo tedesco”, in cui italiani e ladini fossero ridotti ad infima e marginale componente;
b) bisogna partire da reali obiettivi e contenuti comuni (ambiente, cultura, servizi…) piuttosto che dall’enfasi retorica o simbolica; pensare ad un comune impegno a tutela e promozione delle Alpi, ad un sistema integrato di ricerca e formazione (con Università ed Istituti superiori complementari, con uno scambio intenso di insegnanti e studenti, con istituzioni integrate come biblioteche e centri di ricerca…), ad una politica comune di trasporti, di salvaguardia della salute, di valorizzazione dell’agricoltura montana, ecc., aiuterà assai meglio che parate integrate di Schützen o di pompieri;
c) bisogna aprire questo processo ad una reale partecipazione democratica ed a tutte le regioni confinanti che intendano parteciparvi (forse bisognerà puntare su una Euregio più alpina che tirolese, e sicuramente pluri-lingue e pluri-culturale); il fatto, che ad esempio tra Nord- e Sudtirolo sia stato costituito un “tavolo” assai poco trasparente e democratico, per elaborare al riparo da ogni ingerenza una sorta di disegno costituzionale neo-tirolese, o che il Vorarlberg – vista la tendenza che attualmente caratterizza la politica per l’Euregio Tirolo – si sia sganciato, e che a sua volta il Trentino venga piuttosto tenuto a margine, non sono di buon auspicio; senza il reale dibattito e consenso delle popolazioni di tutte le aree interessate, non potrà essere disegnata una visione partecipata e condivisa per un futuro comune;
d) bisogna che una Regione europea sia veramente inserita in un contesto di integrazione europea, e con legami verso altri processi paralleli (per esempio Istria, Paesi Baschi, ecc.), in un quadro di coinvolgimento degli Stati co-interessati e di promozione del regionalismo/federalismo; non avrebbe grande respiro un tentativo di Euregio isolato dallo sviluppo del regionalismo europeo, e visto magari come surrettizia via al raggiungimento di obiettivi di qualche irredentismo.
Detto questo, e tenendo conto delle differenti aspettative e visioni che un simile processo evoca, si può tranquillamente accettare di partecipare ad una prima fase di consultazione pubblica – non di negoziato dietro le quinte – per tentare di immaginare in carne ed ossa una possibile Euregio. Essa potrebbe in fondo realizzare in termini più vasti qualcosa che era contenuto anche nell’originaria concezione della stessa Regione Trentino – Alto Adige, la quale non era stata “inventata” soltanto per sottrarre ai sudtirolesi il tranquillo ed esclusivo godimento della “loro” autonomia, bensì anche nella convinzione che la civiltà dell’arco alpino – pur nella grande diversità di lingue, dialetti, modi di coltivare e di costruire – rappresentasse un qualcosa di unitario, suscettibile di legare tra loro popolazioni ed economie, culture e patrimoni naturali. Le esperienze dell’Arge Alp e dell’Alpe Adria hanno rappresentato ulteriori positivi passi nella medesima direzione, e se il cammino dell’Euregio prenderà questa strada – e non inforcherà bandiere di divisione e di provocazione – potrà portare buoni frutti.
Scopri di più da GognaBlog
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.


“Un passo avanti sarebbe l’abolizione del bilinguismo”
Passo avanti?
Io credo che il bilinguismo anzi dovrebbe essere decisamente incrementato a partire dall’istruzione scolastica, con scuole uniche per tutti senza distinzione, dove le varie materie siano insegnate in una lingua (tedesco o italiano) sul modello della Scuola Europea e che comunque la lingua dell’altro dovrebbe essere obbligatoria -tedesco per gli italiofoni e italiano per i germanofoni.
Secondo Alex Langer una regione transnazionale sarebbe un passo avanti, ma la realtà è andata indietro. Ormai il Trentino-Alto Adige/Südtirol è solo una finzione giuridica: di fatto ci sono due province speciali, l’una con una minoranza italiana e l’altra con una minoranza tedesca. Un passo avanti sarebbe l’abolizione del bilinguismo: non c’è più motivo che un cittadino germanofono debba conoscere l’italiano e un cittadino italofono il tedesco. Come succede nel resto dell’Italia dove ognuno può studiare la lingua che preferisce: il francese l’inglese lo spagnolo eccetera.
Io ripropongo, sintetizzandola, la mia opinione sul tema generale delle minoranze interne a quella che sarà (o, meglio, che dovrebbe essere) l’Unione Europea. Sono per l’assoluta tutela delle minoranze culturali, delle loro lingue e tradizioni (su questo punto m9i batto con convinzione), ma non credo che ci possano essere “isole” di autonomia politica-fiscale-legislativa all’interno del territorio della UE. L’UE sarà compiuta solo quando saremo tutti, indistintamente, cittadini europei, con gli stessi diritti e gli stessi doveri, da Capo Nord a Ragusa e dal Portogallo ai Paesi Baltici. Prevedere “isole” autonome all’interno di tale territorio mina il concetto stesso di “unione” (che NON è una “confederazione”). Anche perché se si riconosce l’autonomia di un’area (in questo caso il Tirolo) a quel punto si deve riconoscere analoga autonomia a mille altre aree autonome interne, dai Paesi Baschi alla Catalogna, dalle Fiandre alla Prussia… Che senso avrebbe? Ci “mettiamo insieme” nella UE per poi ridividerci “sotto” alla UE centralizzata. Tanto varrebbe tornare all’Europa dei feudi e dei comuni, cioè un’Europa medievale, ipotesi assolutamente antistorica. Lo scritto, interessante, di 30 anni fa non può tenerne conto dei cambiamenti profondissimi che sono avvenuti nel mondo del Terzo Millennio, con paesi autocrati e fortemente antioccidentali. Vediamo già oggi che l’Europa arranca suoi grandi temi internazionali perché è ancora divisa in Stati nazionali (Italia, Francia, Germania…): la soluzione sarà fondere gli Stati nazionali nella UE con un solo governo centrale e un solo parlamento centrale dove si licenziano leggi che valgono sull’intero territorio della UE. In tale contesto, l’ipotesi di autonomie politiche locali sarà spazzata via dall’evoluzione della UE.
Mi pare che l’attualità dell’articolo, a 30 anni di distanza, purtroppo stia soprattutto nel tentativo Di espandere l’influenza austriaca sui territori trentini.
L’idea di una regionalizzazione dell’adesione alla EU invece mi pare molto moderna e piena di prospettive positive, ma non può limitarsi ad una sola regione, altrimenti il rischio è che venga male interpretata proprio dagli attori locali. La domanda è se le nazioni saranno disponibili ad una indispensabile cessione di autorità che oggi pare ancora lontana.