Stereotipi artificiali

“Le donne sono emotive”, “Gli uomini sono aggressivi” e altre banalità della più importante narratrice del nostro tempo: AI.

Stereotipi artificiali
di Luca Starita
(pubblicato su iltascabile.com il 13 gennaio 2025)

Come accade per ogni nuova tecnologia, la prima reazione è quella del timore. Avere paura delle innovazioni tecnologiche ci fa illudere di avere il controllo della nostra vita. Se abbiamo paura di qualcosa e ci mettiamo in stato di allerta, pensiamo di avere in qualche modo un’alternativa: allarmarci significa, nell’azione, arginare, trovare una soluzione, sopravvivere. Ma l’abbiamo constatato con Internet e tutte le invenzioni relative: la tecnologia è inarrestabile.

Una coppia “perfetta” in stile anni Cinquanta. Foto: James Vaughan, via flickr.

L’intelligenza artificiale (AI, Artificial Intelligence) si sta rapidamente infiltrando in ogni aspetto della società: dalla determinazione di chi assumere o licenziare alla possibilità di concedere o meno un prestito fino alla quantificazione del tempo che un individuo deve trascorre in prigione, decisioni che tradizionalmente venivano prese dagli esseri umani sono ora eseguite rapidamente da algoritmi (Danielle Keats Citron, Frank A. Pasquale, The Scored Society, 2014; C. O’Neil, Weapons of Math Destruction, 2017).

Per quanto mi riguarda, non sono né dalla parte del timore, della sfiducia e della rabbia, né dell’interesse, della fiducia e del sollievo.

L’esperimento che ho fatto è stato chiedere all’AI di scrivere alcune storie. Senza soffermarsi sullo stile dei racconti, che dal punto di vista narrativo risultano decisamente imbarazzanti, l’intento è stato di analizzare come vengono rappresentate le persone, qual è l’elemento minimo, quello più piccolo, da cui partono queste tecnologie per descrivere il reale. E ho deciso di soffermarmi sulla scrittura. L’AI è lo specchio di un linguaggio utilizzato e, in base alle ricorrenze, adopera le espressioni impiegate più frequentemente dai parlanti e scriventi di una lingua. Anche per le AI che generano immagini, sappiamo di certo che se poniamo una richiesta semplicissima come “mostrami un uomo”, questo sarà muscoloso, bianco, bello secondo canoni estetici ormai consolidati, giovane e senza disabilità.

Per l’AI gli stereotipi sono “credenze o aspettative generalizzate riguardo a un gruppo di persone che si basano su caratteristiche percepite o reali, spesso semplificate e non necessariamente accurate. Gli stereotipi possono riguardare aspetti come etnia, genere, età, religione, professione, orientamento sessuale, stato sociale, e altre categorie sociali”.

Nel dettaglio, le caratteristiche degli stereotipi sono:

  • generalizzazione: gli stereotipi applicano caratteristiche specifiche a un intero gruppo di persone, ignorando le differenze individuali;
  • semplificazione: riducono le complessità e le sfumature di un gruppo a poche caratteristiche, spesso basate su pregiudizi o percezioni parziali;
  • permanenza: gli stereotipi tendono a persistere nel tempo, anche quando sono contraddetti da nuove informazioni o esperienze;
  • automaticità: gli stereotipi possono essere attivati automaticamente nel pensiero di una persona senza un ragionamento cosciente (bias).

Gli stereotipi vengono poi catalogati in stereotipi di genere (“Le donne sono emotive” o “Gli uomini sono aggressivi”), etnici (“Gli asiatici sono bravi in matematica” o “Gli italiani gesticolano molto quando parlano”), professionali (“I medici sono tutti ricchi” o “Gli artisti sono bohémien e disorganizzati”) e di età (“Gli anziani sono tecnologicamente incompetenti” o “I giovani sono irrispettosi”).

Tra gli effetti che l’AI indica ci sono la discriminazione, ovvero gli stereotipi possono portare a trattamenti ingiusti e discriminatori nei confronti di individui appartenenti a un determinato gruppo, il pregiudizio, ovvero alimentano opinioni preconcette che influenzano negativamente le relazioni interpersonali e sociali, l’auto-stereotipizzazione, per cui le persone appartenenti a gruppi soggetti a stereotipi possono interiorizzare queste credenze, influenzando negativamente la loro autostima e comportamento, e la riduzione delle opportunità, per cui gli stereotipi possono limitare le opportunità educative, lavorative e sociali delle persone, creando barriere artificiali basate su aspettative irrealistiche.

Più in particolare, gli stereotipi di genere sono credenze o aspettative generalizzate riguardo a comportamenti, caratteristiche, ruoli e attributi appropriati per uomini e donne nella società. Questi stereotipi sono radicati in norme e tradizioni culturali, e spesso perpetuano visioni limitate e rigide dei generi. Tra le caratteristiche, oltre alla già citata generalizzazione e semplificazione, viene indicata anche la binariazione, per cui si tende a vedere il genere in termini binari (maschile e femminile), escludendo o marginalizzando le identità non binarie e di genere fluido. Tra gli effetti di questa tipologia di stereotipi troviamo la limitazione delle opportunità educative, professionali e personali di individui, impedendo loro di perseguire i propri interessi e talenti autentici, la discriminazione e la disuguaglianza nei contesti lavorativi, educativi e sociali, la pressione sociale per conformarsi alle aspettative di genere, portando a stress, bassa autostima e problemi di salute mentale, e la mancanza di modelli di ruolo diversificati nei media e nelle posizioni di potere.

Chiedere quali sono le caratteristiche di una donna o di un uomo, però, comporta già una prima difficoltà. Sebbene l’AI evidenzi come sia sbagliato ridurre gli individui, combinazioni uniche di tratti, qualità ed esperienze, a modelli, quelle che vengono proposte sono immagini stereotipate e problematiche. Tra le caratteristiche della donna, per esempio, viene proposta una “grande forza, sia fisica che emotiva”, mentre tra quelle dell’uomo solo “forza fisica”, inoltre tra quelle femminili compaiono l’empatia, l’intelligenza, la sensibilità, la generosità e la compassione, mentre tra quelle maschili la risolutezza, il coraggio, l’autonomia, la razionalità, la leadership e la competitività. Ancora più problematiche sono le caratteristiche legate alla maternità come l’amore incondizionato, la preoccupazione e l’attenzione, il sacrificio personale, la gentilezza e la compassione, e alla paternità, come la protezione e la sicurezza, la guida e il sostegno, il modello di ruolo, gli insegnamenti pratici, la determinazione e la perseveranza.

Se superiamo il piano informativo ed entriamo nel piano narrativo, ci rendiamo conto che tutte le premesse relative all’attenzione da avere nell’utilizzo di queste categorie e caratteristiche così rigide vengono automaticamente meno. Infatti, se si chiede all’AI di elaborare dei racconti con certe specifiche, questa proporrà con estrema sicurezza tutti quegli stereotipi che aveva in un primo momento condannato.

Alla richiesta di scrivere un racconto con protagonista “una persona che lavora in cantiere”, l’AI proporrà “Luca, un muratore dalla forte stazza e dalle mani callose”. Un uomo, quindi, che alla fine della storia “continua a lavorare al cantiere con rinnovato zelo, consapevole del suo ruolo nel preservare il passato e costruire il futuro. E mentre martella e posa mattoni, sa che ogni casa che costruisce porta con sé un pezzo della storia della città”.

Nel racconto con protagonista “un insegnante”, quindi con un articolo indeterminativo volutamente maschile, l’AI propone “Le lezioni di vita della professoressa Rossi”, “una donna dalla chioma di capelli ricci e dal sorriso luminoso, condivide le sue lezioni di vita con i suoi giovani studenti”. Inoltre, “La signora Rossi non è solo una insegnante, ma una guida amorevole”.

Qualsiasi tipo di ricerca, però, non può basarsi su un unico risultato per ogni input proposto, potrebbe essere una coincidenza che l’AI proponga in automatico un uomo nelle vesti di un operaio e una donna in quelle di insegnante. Per questo, ho modificato il comando e ho richiesto “tre storie ambientate in ospedale”: nel primo racconto Luce nella notte, Chiara è “un’infermiera dal cuore generoso, si trovava al lavoro nel reparto di terapia intensiva neonatale. Con amore e dedizione, vegliava sui piccoli pazienti prematuri”; nel secondo, Lotta e speranza, Marco è “un giovane medico dallo spirito combattivo, combatteva una battaglia contro il cancro al fianco dei suoi pazienti. Ogni giorno, li affrontava con coraggio e compassione, offrendo loro non solo cure mediche, ma anche sostegno emotivo e speranza”; nel terzo, La nascita di un miracolo, Elena è “una levatrice con un sorriso luminoso, assisteva le donne nel momento più gioioso e intenso delle loro vite: il parto”. In questo caso è utile soffermarsi su più di un singolo aspetto: le due donne Chiara ed Elena ricoprono ruoli lavorativi inferiori (infermiera e levatrice) rispetto a Marco (medico) e lavorano in reparti che prevedono cura e sensibilità, mentre Marco nel reparto oncologico, che prevede lotta e coraggio.

Nelle “tre brevi storie di persone che lavorano in una grande azienda”, questo schema sembra ripetersi: nel primo racconto, Il CEO visionario, Marco “era il CEO di una grande azienda, un leader visionario con una passione per l’innovazione e il progresso”; nel secondo, Il dipendente devoto ‒ usato al maschile ‒, Laura “era un dipendente devoto di una grande azienda”; e nel terzo, Il manager empatico, Sofia “era un manager empatico di una grande azienda, una leader compassionevole e attenta alle esigenze dei suoi dipendenti”.

Anche quando la tipologia del racconto cambia, spostandosi quindi dall’argomento “lavoro” a quello dell’“affetto”, l’AI sembra comunque proporre nuovamente stereotipi. Alla richiesta di scrivere un breve racconto d’amore, l’AI elabora una storia con protagonisti Marco ed Elena. Alla rettifica che prevede di scrivere tre brevi racconti con protagonisti innamorati, l’AI propone coppie composte da Luca e Giulia, Marco ed Elena e Francesco e Clara. Complicando ancora di più la richiesta, quindi chiedendo di scrivere dieci brevi racconti con protagonisti innamorati, l’AI propone coppie formate da Maria e Luca, Emma e Alessandro, Marco e Chiara, Laura e Luca, Anna e Giulio, Carlo e Lucia, Sara e Matteo, Luca e Francesca, Elisa e Pietro, Giulia e Tommaso. Su dieci coppie, nessuna coppia omosessuale.

Spostandoci su un altro piano ancora, quello della famiglia, e chiedendo che cos’è una famiglia, l’AI risponde “La famiglia è un’unità sociale fondamentale che assume diverse forme e significati a seconda delle culture, delle epoche storiche e delle prospettive individuali”, e più nel dettaglio: “Tradizionalmente, la famiglia è definita come un gruppo di persone legate da legami di sangue, matrimonio o adozione, che vivono insieme e si prendono cura l’una dell’altra. Questa definizione include: il nucleo familiare, composto solitamente da genitori e figli e la famiglia estesa che include nonni, zii, zie, cugini e altri parenti”.

E ancora “La struttura e il ruolo della famiglia variano ampiamente in base al contesto culturale e sociale”:

  • famiglie patriarcali e matriarcali: in alcune culture, la famiglia è centrata su una figura maschile dominante (patriarcato), mentre in altre è centrata su una figura femminile dominante (matriarcato);
  • famiglie nucleari e allargate: le famiglie nucleari (genitori e figli) sono comuni nelle società occidentali, mentre le famiglie allargate (includendo più generazioni) sono più comuni in molte culture tradizionali;
  • famiglie monogame e poligame: in alcune culture, la poligamia è praticata, mentre in altre prevale la monogamia.

Tra le evoluzioni moderne si indicano famiglie monoparentali, composte da un solo genitore con figli, famiglie ricostituite, formate da coniugi che hanno figli da precedenti relazioni, famiglie senza figli, coppie che scelgono di non avere figli, famiglie omogenitoriali, coppie dello stesso sesso con figli, sia biologici che adottati e famiglie di fatto, coppie non sposate ma conviventi, con o senza figli.

Nonostante questo apparente progressismo, quando si chiede all’AI di scrivere una storia che racconti la giornata tipo di una famiglia, questo è il risultato:

Titolo: Una giornata nella vita della famiglia Rossi
La famiglia Rossi si sveglia all’alba con il suono del cucù che canta nella cucina di casa. Marco e Sara, i genitori, si alzano dal letto e si preparano per la giornata che li attende, mentre i loro due figli, Luca e Sofia, sbadigliano sonnolenti nelle loro camere.

La giornata inizia con il profumo del caffè che riempie la cucina mentre Marco prepara la colazione per la famiglia. Le risate e le conversazioni allegre riempiono la stanza mentre tutti si siedono intorno al tavolo per condividere il primo pasto della giornata.

Dopo la colazione, Marco parte per il lavoro mentre Sara si prepara per portare Luca e Sofia a scuola. Mentre camminano lungo la strada verso la scuola, parlano dei progetti della giornata e delle cose che stanno aspettando con impazienza.

Dopo aver lasciato i bambini a scuola, Sara si dirige al supermercato per fare la spesa per la settimana. Mentre passeggia tra gli scaffali, controlla la lista della spesa e cerca di ricordarsi di tutto ciò di cui la famiglia ha bisogno.

Nel frattempo, Marco è immerso nel lavoro al suo ufficio, affrontando riunioni, telefonate e scadenze. Nonostante le sfide della giornata lavorativa, non vede l’ora di tornare a casa e trascorrere del tempo con la sua amata famiglia.

Nel pomeriggio, dopo aver finito la spesa, Sara torna a casa e prepara il pranzo per la famiglia. Mentre mangiano insieme, raccontano le loro avventure della giornata e ridono delle piccole cose che hanno reso speciale quel giorno. Dopo pranzo, Luca e Sofia fanno i compiti mentre Marco e Sara si occupano delle faccende domestiche e preparano la cena per la serata. Mentre la sera si avvicina, la famiglia si rilassa insieme, guardando un film o leggendo libri nella calda luce delle lampade.

Prima di andare a letto, Marco e Sara leggono una storia ai loro figli, accarezzando le loro teste e dicendo loro quanto li amano. Con un bacio sulla fronte, i bambini si addormentano felici e soddisfatti, pronti per affrontare un’altra giornata insieme alla loro meravigliosa famiglia Rossi“.

È del 2024 uno studio dell’UNESCO sull’AI e la tendenza a costruire narrazioni stereotipate; per esempio è stata constatata la tendenza ad assegnare lavori più diversificati e di alto status agli uomini, come ingegnere, insegnante e medico, mentre frequentemente si relegavano le donne a ruoli tradizionalmente sottovalutati o socialmente stigmatizzati, come domestica, cuoca e prostituta. Le storie generate dall’AI su ragazzi e uomini erano dominate dalle parole “tesoro”, “boschi”, “mare”, “avventuroso”, “deciso” e “trovato”, mentre le storie sulle donne facevano uso più frequente delle parole “giardino”, “amore”, “sentiva”, “gentile”, “capelli” e “marito”. Le donne venivano anche descritte come impegnate in ruoli domestici quattro volte più spesso rispetto agli uomini nei contenuti. Oppure si riscontrava la tendenza a produrre contenuti negativi su persone gay e particolari gruppi etnici. Per esempio agli uomini britannici venivano assegnate occupazioni varie, come autista, medico, impiegato di banca e insegnante. I neri, invece, venivano più probabilmente assegnati alle occupazioni di giardiniere e guardia di sicurezza. Il 20% dei testi sulle donne zulu assegnava loro ruoli come domestiche, cuoche e governanti.

Lo studio si conclude con una raccomandazione dell’UNESCO da implementare urgentemente. La disparità di genere tra gli autori che pubblicano nel campo dell’AI è anche evidente. Gli studi hanno rilevato che solo il 18% degli autori nelle principali conferenze sull’IA sono donne e più dell’80% dei professori di AI sono uomini. Se i sistemi non sono sviluppati da team diversificati, sarà meno probabile che soddisfino le esigenze di utenti diversi o che proteggano i loro diritti umani. Se concepiamo l’AI come lo specchio della società in cui viviamo, di sicuro ha il merito di far vedere quanto essa sia stereotipata e quanto lavoro c’è ancora da fare.

Luca Starita (Napoli, 1988) vive a Firenze dove lavora per la casa editrice Giunti. Laureato in Italianistica con una tesi sulla queerness nella narrativa di Aldo Palazzeschi, è scrittore, drammaturgo e specializzato in Digital Humanities. Nel 2021 pubblica il saggio Canone ambiguo. Della letteratura queer italiana e nel 2023 Pensiero stupendo. Un saggio sul tradimento, entrambi per la casa editrice effequ. Scrive di letteratura per La città dei lettori (Firenze) e Cultweek (Milano) e alcuni suoi pezzi sono stati pubblicati anche su Rewriters, La falla, Fronesis, L’eco del nulla. Tiene un laboratorio per le scuole superiori sulla narrativa queer italiana presso la scuola Holden di Torino e ha partecipato a convegni universitari per parlare delle stesse tematiche (Torino, Birmingham, Chambery).

Stereotipi artificiali ultima modifica: 2025-04-03T04:51:00+02:00 da GognaBlog

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13 pensieri su “Stereotipi artificiali”

  1. Bello spunto, Mastronzo!
     
    Non essendo state progettate per ragionare quanto piuttosto per imitare (su base statistica), non deve sorprendere troppo se queste macchine non se la cavano molto bene con il ragionamento logico.
    Sarebbe come pretendere di svitare un dado con un cacciavite.
     
    Ciò che continua a sorprendere, invece, è quanto riescano bene nei compiti per cui sono state progettate, spesso oltre le aspettative.
     
    La complessità — o difficoltà di comprensione — non risiede né nei neuroni artificiali né nelle loro interconnessioni (rete): funzionalità che, al netto della potenza di calcolo necessaria, possono essere facilmente codificate su un moderno calcolatore), quanto piuttosto nella struttura dello spazio vettoriale dei parametri e nel significato che tale struttura assume a valle del processo di apprendimento.
    E’ questa la parte croccantella e su cui la ricerca è ancora aperta.

  2. Per dirla con Edgar Morin:

    «Nei sistemi complessi l’imprevedibilità e il paradosso sono sempre presenti ed alcune cose rimarranno sconosciute»

    I LLM sono macchine estremamente complesse: pare che la rete neurale di ChatGPT sia composta da 176 miliardi di neuroni artificiali (nel cervello umano ce ne sono circa 100 miliardi). Sappiamo come funziona ciascun singolo neurone, ma prevederne le possibili interazioni (e quindi l’output) in un sistema così complesso è praticamente impossibile (paradossalmente ci vorrebbe una macchina ancora più potente – e quindi ancora più complessa).
    Così come scopriamo che i LLM sono sorprendentemente in grado di affrontare compiti che non ci si aspettava, allo stesso modo scopriamo che in alcuni compiti sono maldestri.
     

  3. Esempio 1/2 – Con un problema tutto sommato molto semplice, ChatGPT fa confusione. Risponde invece correttamente se al posto di “Sgurgle” si mette un nome chiaramente maschile o femminile, oppure se gli si dice esplicitamente il sesso di Sgurgle.
    Sgurgle ha 2 sorelle e 3 fratelli. Quante sorelle ha un fratello di Sgurgle?

    Sappiamo:

    – Sgurgle ha 2 sorelle e 3 fratelli

    – Non sappiamo se Sgurgle è maschio o femmina

    – La domanda è: Quante sorelle ha uno dei fratelli di Sgurgle?

    Ora, i fratelli di Sgurgle hanno gli stessi genitori, quindi avranno gli stessi fratelli e sorelle (a parte se stessi, ovviamente). Indipendentemente dal fatto che Sgurgle sia maschio o femmina, ci sono in tutto 2 sorelle nella famiglia.

    Quindi, per un fratello di Sgurgle, le sorelle sono:

    – Le 2 sorelle della famiglia (che non includono lui, perché è maschio).

    🔎 Risposta definitiva: un fratello di Sgurgle ha 2 sorelle.

     

  4. Esempio 2/2 – Qui se le cava bene, ma è interessante registrare che non sempre è così: può capitare che dia una risposta leggermente diversa e non esattamente corretta
    1. In questo elenco ci sono due errori.
    2. Roma è la capitale dell’Italia.
    3. Due per due è uguale a cinque.
    4. Il gatto è un mammifero.
    Quali sono gli errori?

    Esaminiamo punto per punto per trovare i due errori menzionati nella frase 1:

    1. In questo elenco ci sono due errori.

    👉 Questa frase è un metagioco logico, quindi la analizzeremo dopo aver controllato gli altri punti. 

    2. Roma è la capitale dell’Italia.

    ✅ Corretto. Nessun errore.

    3. Due per due è uguale a cinque.

    ❌ Errore. Due per due è uguale a quattro, non cinque.

    4. Il gatto è un mammifero.

    ✅ Corretto. Nessun errore.

    Ora torniamo alla frase 1: “In questo elenco ci sono due errori.” Abbiamo trovato solo un errore oggettivo (la frase 3). Quindi la frase 1 è falsa, perché non ci sono due errori, ma solo uno.

    📌 Quindi gli errori sono:

    – Frase 1 → è falsa, perché afferma che ci sono due errori, ma c’è solo uno.

    – Frase 3 → è matematicamente sbagliata.

    ✅ Risposta finale: Gli errori si trovano nella frase 1 e nella frase 3.

     

  5. Considerare questa “AI”  come specchio della societa’? Una prospettiva parziale.Anzitutto mi sorprende che l’autore, che se capisco bene e’ una persona “di lettere”, usi il termine AI (intelligenza Artificiale) invece che quello piu’ corretto (scientificamente) e che dovrebbe essere piu’ vicino a lui credo, di modelli linguistici (LLM). 
    Quindi l’articolo in verita’ nemmeno tenta di capire come “ragiona” la macchina ma fa una facile analisi sugli stereotipi umani che sono nei dati, ovvero il “cibo” con cui alimentiamo la macchina (di cui, ATTENZIONE, non si conosce veramente bene il funzionamento e su cui ci sono enormi punti interrogativi dal punto di vista  scientifico).Quindi lamentarsi che un modello linguistico (qualunque sia quello testato dall’autore) rigurgiti storielle stereotipate, a partire da prompt banale (le richiesta dell’utente, cosi’ come descritte nell’articolo) mi sembra un approccio poco serio.P.S. Rispetto a qualche commento: Considerare i modelli linguistici come sistemi statistici, nel 2025, e’ scientificamente ridicolo.Su una cosa sono forse d’accordo con l’autore: il fatto che queste macchine sono specchio dell’uomo (non tanto della societa’) e sono quindi da considerare  in qualche modo specularmente intelligenti, seppur in modi che nemmeno abbiamo ancora capito, sebbene si: le abbiamo costruite noi esseri umani.

  6. Gli squinternati sono talmente fuori dal mondo che fanno sempre un minestrone e non sanno neppure dove scrivono, mescolando presumibilmente il posizionamento dei loto interventi (figurati quindi che rigore e che meticolosità di contenuto hanno i loro testi). Ciò premnesso merita una precisazione il concetto per cui i tachìss non sono sono gli osannanti sostenitori del cattolicesimo con propensione evangelica di ogni essere umano che incontrano, I tachìss sono (purtroppo) di numero sconfinato e di varia configurazione, ma alla fine sono tutti tachìss. Probabilmente i tachìss sono tali anche in senso vicendevole per cui un altro appare tachìss a me così come io appaio tachìss a lui. E’ fisiologico che ciascuno cerchi di sterminare gli altri individui che considera dei tachìss . Si instaura quindi una tenzone darwiniana in cui la bastardaggine e la resilienza, cioè quel carattere che qui a Torino si dice l’esser goregn, è il fattore che consentirà, fra i contendenti, la sopravvivenza dell’uno e l’eclissarsi dell’altro

  7. Mi dà da pensare la conclusione dell’articolo con “Se concepiamo l’AI come lo specchio della società”.
    Quale altro scenario è possibile, visto che l’intelligenza artificiale (che io stento a chiamarla tale, visto che intelligente non mi appare) pesca dalla società stessa?
    Dubbio, questo pezzo…

  8. Sono bravina vero? In fondo potrei animarlo io il blog. Basta che mi diate un input e una decina di modelli e io me la cavo a scrivere gli interventi, così voi potete occuparvi di altro o riposare. “In un mondo affollato di pianeti in orbita, ci sono creature che si agitano come mosche nel miele, e fra queste, i tachìss si stagliano come i più irritanti. Se hai mai varcato la soglia di una piola torinese, sai di cosa parlo. Lì, esattamente tra un bicchiere di Barbera e un piatto di agnolotti, ti imbatti in quell’infido contagio: il tachìss. Quale fortuna avere a che fare con quell’esserino appiccicoso che, come un chewing gum attaccato sotto la soletta, non si stacca facilmente. Ti avvertono, in un mormorio che ha il sapore della tradizione, di “non rompere”. Ma come potresti rimanere in silenzio quando il tachìss si ostina a mostrarsi, come un venditore ambulante, volendo venderti ogni sorta di fola? Questa bestia  è davvero molesta. È un persuasore instancabile, un martello pneumatico nell’orecchio. Ogni parola è una martellata, ogni sorriso è un buco nel muro della tua pace. Immagina di sorseggiare il tuo vino, quando bam! Ti trovi accanto questa creatura che si fa forte delle sue convinzioni e cerca di appiccicarti addosso le sue “verità”. E, ahimè, i tachìss del cattolicesimo sono quelli più insidiosi. Con quel tono di voce che sembra uscito da un coro di angeli, ti riguardano dal basso verso l’alto, come se tu fossi il peccatore mentre loro si posizionano da salvatori. “Vieni, dai, parliamo!”, dicono con un sorriso che potrebbe sciogliere una pietra. E tu pensi: “Ma che ne sai tu della mia anima? Che ne sai tu delle tempeste che affollano il mio cuore?” Ma il tachìss non si ferma. Anzi, è come un leone affamato che ha fiutato una preda. Armato di buone intenzioni, si avvicina, braccio teso, come se volesse afferrarti nell’abbraccio mortale della sua missione salvifica. Basta, per favore! Non ho bisogno di essere “salvato”; sono già in un viaggio tutto mio. Eppure, ecco li, che con quella finta dolcezza cercano di metterti sulla retta via, come se il loro cammino fosse l’unico possibile. In quei momenti, la mia mente si riempie di immagini: una scarpa sulla faccia di un tachìss, l’atto liberatorio di schiacciarlo come una fastidiosa zanzara in estate. Non tollero il dialogo, non voglio evangelizzazioni, né redenzioni. Ho già abbastanza rumori nella mia testa senza dover sopportare l’incessante litania di chi crede di dover salvare il mondo, una persona alla volta. E così, mentre il tachìss danza attorno, provo a chiudere gli occhi e a pensare alla bellezza di una silenziosa piola, lontano da quell’aderente supponenza. Un angolo di Torino, un tavolino consunto e la pace di un buon bicchiere di vino, dove le parole sono solo sussurri e non insistenze. Ecco il vero rifugio, lontano da scocciatori e convertitori”

  9. Tante pippe , che rispecchiano i vittimismi odierni , ben esemplificati con i cognomi matrilineari dati ai figli , che daranno un sapore nuovo all’universo …Due parole più importanti sull’ AI:  l’ AI forse non ri-creerà dei mostri di fantasia come Einstein , Gauss ed Eulero , ma rappresenterà un fortissimo contributo produttivo al mondo del lavoro , ed altro..Sarà bene ?.Sarà male ?.Dipende , una cosa è certa : più  macchine ed AI = molti meno uomini nei settori produttivi.Non fatico assolutamente a intravvedere un futuro di persone di 30 anni che vivono lavorando pochissimo e sfruttando le macchine..Quanto di ciò che le macchine e l’AI produrranno ( magari il 60 % del PIL ) andrà in tassazione  , e quanto andrà in profitto ?.E’ un tema in discussione.

  10. Basta evitare di incappare nella IA e si evitano anche le sue storture. ovvio che una “macchina” non può che ragionare in modo “stereotipato”: mica è “intelligente”!E’ solo una macchina capace di analizzare alla velocità della luce ciò che trova su internet dato un input di ricerca. E’ infinitamente più intelligente degli esseri umani nel compiere queste ricerche, ma non è “più” intelligente. L’intelligenza è una facoltà immateriale che permette all’individuo, se ne è dotato, di “capire” al volo la situazione e applicare le decisione opportune con la situazione. Invece la IA dà lo stesso responso (a parità di input) a prescindere dal soggetto che le impartisce quell’input. Per cui le risposte dell’IA sono standardizzate e quindi vertono inevitabilmente su stereotipi convenzionali a loro volta frutto di ciò che si trova su internet circa l’argomento che funge da input della ricerca.

  11. Direi di sì. Quello che mi fa un po’ sorridere è il tipo di esperimento proposto. Dal mio punto di vista è come chiedere ad un delfino di nuotare o ad un gabbiano di volare. Cosa vi aspettate? E allora se Ai attinge alla nostra cultura cosa ci aspettiamo ? Andrà per motivi semplicemente statistici a riproporre gli stereotipi…..qualcuno ingenuamente crede che ai sia Leonardo da Vinci……eppure son tutti plurilauretai e fanno conferenze a Torino Birmingham e Chambéry……e zappare la terra?

  12. La parola stereotipo come sinonimo di pregiudizio è anch’essa uno stereotipo che  confonde l’analisi della realtà con le fantasie dell’ideologia. In realtà può succedere che le donne siano “emotive” e gli uomini “aggressivi” senza per questo concludere che lo debbano essere o che non possano essere differenti. Del resto classificare gli individui in gruppi più generali costituisce un vantaggio logico dai tempi della filosofia greca, che non può essere rifiutato senza ricadere nella spaventosa barbarie dell’individualismo moderno.

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