“La maggior parte di noi saliva le vie di IV e V, ma Walter era già più forte. Questo l’abbiamo capito subito…”.
Tino Albani racconta Walter Bonatti
a cura di Alessandra Gaffuri
(pubblicato su Annuario del CAI Bergamo 2021)
Tino Albani, classe 1930, meratese e alpinista doc, nel 1956 diventa Istruttore Nazionale di roccia e nel 1966 anche di ghiaccio. Accademico del CAI dal 1967, da più di cinquant’anni è il segretario del gruppo centrale del CAAI; gli vogliamo tutti bene, perché è un uomo simpatico, colto, ha un animo sensibile e profondo e ha una memoria infallibile: non potremmo avere un segretario più preciso di lui! Ha girato e scalato in tutto il mondo, ed è ancora oggi animato dalla voglia di andare in montagna. Il database di Tino è formidabile e purtroppo non è trasferibile su nessun disco o chiavetta: è tutto nella sua testa e un po’ anche nelle sue cartellette, da cui emergono le locandine di tutti i convegni del CAAI o le lettere di Walter, che mostra con un certo orgoglio.
Tino era legato a Walter da un’amicizia profonda, nata nel dopoguerra, quando avevano iniziato entrambi ad arrampicare. Tino, quando racconta del suo trascorso alpinistico, ha la capacità di far rivivere i personaggi delle sue storie e riesce ad incantare l’uditorio. Per questo mi piacerebbe sentirgli raccontare qualcosa di Walter, dei primi anni della loro amicizia, e carpirgli qualche segreto che di sicuro Tino tiene riposto nei suoi ricordi. Così colgo l’occasione del nostro incontro al Convegno Nazionale del CAAI per fargli una sorta di intervista. Basta accennare una prima domanda che Tino inizia il suo racconto, intercalando all’italiano espressioni dialettali, che rendono più vive le scene descritte, e accompagnando le parole con il movimento delle braccia, del corpo e degli occhi.
“Ho iniziato ad arrampicare nel ’48, in Grigna, e ho conosciuto il Walter sul treno che partendo da Milano alle 5.30 portava a Lecco i primi futuri alpinisti; era un carro merci spesso molto affollato. Io in genere mi sedevo con le gambe fuori dal vagone e Andrea (Oggioni), che prendeva sempre la Gazzetta, me ne dava un foglio per sedermi sopra per non sporcarmi. Walter viaggiava dentro, ma talvolta finiva sui respingenti tra un vagone e l’altro. Abbiamo cominciato a viaggiare in carrozza, soldi permettendo, a partire dagli anni ’50 e su quel treno sono nate molte amicizie. Il treno è stato un momento di socialità, non come adesso che ognuno va in giro con la propria macchina: bene o male ci conoscevamo tutti, i primi che salivano a Milano e via via fino a Lecco, da dove con il tram e poi a piedi arrivavamo ai Resinelli. E al ritorno si condividevano le imprese della giornata e, come un passa parola, ben presto sapevamo chi aveva fatto i gradi più alti.
La maggior parte di noi saliva le vie di 4° e 5°, ma Walter era già più forte. Questo l’abbiamo capito subito; una volta, tornando dallo spigolo del Nibbio, l’ho tenuto d’occhio mentre saliva con Oggioni e Aiazzi una via ben più difficile. All’inizio il capocordata era Oggioni, indiscutibilmente il più forte; Walter, che noi chiamavamo Walterino, era un bel precisino e teneva un diario dettagliato con tutte le vie che faceva e da questo diario si evince che all’inizio tirava sempre Oggioni, ed è da lui che Walter ha imparato.
Ad aprile del ’49 avevo fatto la normale del Sigaro, un bel IV e V, ero gasato, no?! Nello scendere incontro il Walter e, chiedendogli dove era stato perché non l’avevo visto in giro, rimango a bocca aperta: aveva fatto la prima ripetizione della via Sant’Elia al Nibbio, un VI grado, in cordata con Oggioni ed Aiazzi. Ed è lì che, noi che arrampicavamo su certi gradi, abbiamo capito che razza di alpinisti fossero. Nel ’49 i tre ripetono la Oppio al Croz dell’Altissimo, e poi la Ratti-Vitali all’Aiguille Noire, la Nord-est del Badile e la Walker alle Grandes Jorasses. La loro bravura era innata e così naturale che non la facevano pesare. Loro hanno cambiato marcia subito, a differenza di noi, e parlo della stragrande maggioranza degli accademici che c’erano già allora, perché mentre noi avevamo in testa delle vie, loro le facevano! Per esempio, circolava la voce del Grand Capucin, e la possibilità di una via di roccia difficile: noi ce la sognavamo, loro la provavano. Anche se le nostre strade hanno preso direzioni diverse, tra Walter e me è rimasto un legame fortissimo, tutto merito di quel treno! Mi ricordo di una volta, in pomeriggio, che stavo tornando dal Medale e mi trovo il Walter lì sotto a prendere il sole. Allora gli chiedo cosa stesse facendo lì da solo invece di essere ad arrampicare; lui mi risponde che lavora alla Falck e che fa i turni di notte e scherzosamente commenta la mia fortuna di aver trovato un buco in banca.
Un paio di settimane dopo noto sul treno una persona nuova, uno che mi pareva un po’ un “sciur” e chiedo al Walter chi sia. Me lo presenta come ragionier tal dei tali e mi dice che andrà con lui ai Magnaghi. Mi stupisco che stia a perdere tempo a portar in giro i principianti, ma poi Walter mi spiega: è il capo del personale della Falck e allora ho capito subito il perché, dopo due mesi Walter aveva smesso di fare i turni! Walter era determinato, quando aveva in mente una cosa la risolveva a tutti i costi. Questo anche e soprattutto in parete e in questo modo Walter si è guadagnata quella stima che ha sempre fatto passare in secondo piano qualche suo difetto caratteriale (perché non era sempre facile, il Walter!) Ad esempio, anche per il Grand Capucin… prima chiede al mio compagno di cordata se va con lui, ma c’è da portare uno zaino pesantissimo e il mio socio, che arrampica benissimo da primo, è gracilino e i pesi non li porta e allora declina l’invito, perdendo un’occasione per diventare famoso! L’anno dopo con Walter sul treno c’è una faccia nuova, un uomo forte che si chiama Luciano Ghigo; è di Courmayeur (in realtà è di Torino, NdR) e Walter mi dice che lo porterà ad arrampicare in Grigna per prepararlo al Capucin. Dagli anni ’40 in molti pensavano a quella parete, ma nessuno capiva come affrontarla, e Walter lo capì e la fece: prese Ghigo, che nessuno di noi conosceva, lo allenò e con lui fece la salita al Capucin“.

Tino è un fiume di parole, non si fermerebbe se non lo portassi a bruciapelo al K2 e gli chiedo che cosa ricorda di quando Walter è tornato dalla spedizione. Tino per un attimo si ferma, non parla, non si muove ma mi guarda diritto negli occhi e mi dice “Io a Walter ho sempre creduto“. Poi ritorna a rincorrere i ricordi e ripensa alla cartolina di Walter mandata dal campo base del K2, dove scriveva che le montagne erano sì belle, ma non c’era la compagnia delle Grigne.
Da alpinista mi dice che comunque è stato difficile giudicare e capire veramente quello che è successo lassù “perché magari la tenda la puoi mettere in un posto diverso da quello stabilito perché lo ritieni più sicuro, ma le voci, la luce?“.
Le vite di Tino e di Walter proseguono con avventure ed esperienze differenti, ma tra di loro ci sarà sempre un legame molto forte. “Non so dirti perché, ma io e il Walter eravamo legati, e poi anche con Rossana, ci volevamo bene“.
E proprio Rossana lascia che Tino metta sulla bara di Walter, ricoperta da numerose onorificenze, anche la spilla dell’Accademico, gruppo a cui Tino è molto legato, forse perché fu proprio Walter a spronarlo ad entrarvi.
Qualche giorno prima di iniziare a trascrivere la registrazione dell’intervista, ricevo una busta da Tino: aveva affidato alle Poste Italiane un pezzo della sua storia e dei suoi ricordi, e cioè alcune foto inedite di lui e Walter e la cartolina che Walter gli aveva inviato dal K2. Con una certa emozione scorro quelle immagini, grata a Tino per questo gesto.
Scopri di più da GognaBlog
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.


Grazie anche da parte mia, la STORIA….
Grazie per questo piacevole e interessante racconto.
Grazie per questo bel post.
Ho avuto il privilegio di viaggiare e camminare con Tino, nel 2004 al K2 e nel 2005 all’Everest.
Siamo distanti, ma siamo sempre in contatto e siccome sono certo che ci leggerà, anche da qui gli mando il mio affettuosissimo abbraccio dalla Toscana. Ciao Maestro!
Beaucoup de plaisir à lire cet article. Merci.
Grazie per aver raccontato di Tino, per me persona che incarna la storia di più di mezzo secolo di alpinismo, praticato ed insegnato. È stato mio istruttore ed è amico da 30 anni.
Tra qualche giorno compirà 95 anni e questo è un bel regalo per lui!
Grazie Alessandra, bel racconto, un meritato omaggio a Tino ALbani