Tutela e manutenzione dell’alpinismo classico

A San Martino di Castrozza erano in tantissimi, dal Gruppo Scoiattoli di Cortina d’Ampezzo, ai Caprioli di San Vito di Cadore, dai Ragni di Pieve di Cadore, alle Rondi del Comelico, dalle Tupaie da Laste, ai Catores della Val Gardena, dalle Aquile di San Martino di Castrozza, ai Ciamorces della Val di Fassa, dai Croderes della Val Badia agli Sfulmen di Molveno. Ecco le 6 linee guida per il futuro dell’alpinismo classico e per la tutela delle vie. Di fatto, il tentativo di disciplinare il futuro delle vie alpinistiche dolomitiche: come e chi deve tutelarle, come vanno mantenute, come procedere per svilupparne di nuove. 

Tutela e manutenzione dell’alpinismo classico
(le linee guida di San Martino di Castrozza)
di Luca Pianesi
(pubblicato su ildolomiti.it il 1° ottobre 2025)

Il 28 settembre 2025 si è tenuto a San Martino di Castrozza il 18° raduno di Dolomia, il raduno che dal 2006 riunisce annualmente i gruppi alpinistici delle Dolomiti, con l’obiettivo di creare un momento di incontro, condivisione e riflessione sul futuro dell’alpinismo. In quell’occasione, i gruppi alpinistici delle Dolomiti si sono riuniti per condividere e presentare un importante documento: le linee guida per la tutela, la manutenzione e lo sviluppo responsabile delle vie alpinistiche dolomitiche. Un progetto nato con l’intento di preservare il carattere autentico e avventuroso dell’alpinismo dolomitico, proteggendo un patrimonio fatto non solo di roccia e chiodi, ma anche di memoria, etica e cultura.

E il luogo ideale dal quale far partire questa importantissima iniziativa non poteva che essere Dolomia che dal 2006 rappresenta un momento di incontro tra gli alpinisti che vivono e frequentano le Dolomiti con continuità e rispetto, creando uno spazio di confronto e trasmissione dei valori dell’alpinismo, in equilibrio tra tradizione, sicurezza e libertà.

Questo documento – spiega il presidente delle Guide Alpine Aquile di San Martino Mariano Lott, organizzatore dell’edizione di quest’anno – scritto e condiviso da alpinisti dolomitici, anche di fama internazionale, vuole lasciare un’impronta significativa a tutti coloro che frequentano le nostre pareti. Si tratta infatti di un argomento che interessa l’intero ambiente alpinistico e che, per la prima volta, viene affrontato pubblicamente in modo così diretto. Con questo lavoro intendiamo fare un primo passo verso una linea guida condivisa, che possa diventare patrimonio comune e riferimento per il futuro”.

Alla stesura e alla condivisione delle linee guida hanno partecipato i gruppi alpinistici dell’arco dolomitico, con il prezioso coordinamento di Renzo Corona Stefania Nicolich, rispettivamente coordinatore e segretaria di Dolomia, che si sono fatti carico di sintetizzare i diversi contributi e gestire la road map operativa per la presentazione ufficiale del documento nell’ambito dell’evento realizzato a San Martino di Castrozza; sul palco, per rinforzare il messaggio di visione unitaria rispetto a questo importante punto di partenza sono saliti il Gruppo Scoiattoli di Cortina d’Ampezzo, i Caprioli di San Vito di Cadore, i Ragni di Pieve di Cadore, i Rondi del Comelico, le Tupaie da Laste,Catores della Val Gardena, le Aquile di San Martino di Castrozza, i Ciamorces della Val di Fassa, Croderes della Val Badia e gli Sfulmen di Molveno. Tutte queste realtà, pur con storie e sensibilità diverse, condividono una visione comune: l’alpinismo come forma di conoscenza profonda dell’ambiente montano, dove la sicurezza non è mai assoluta, ma si costruisce con la preparazione, la consapevolezza e il rispetto.

Il documento, frutto del confronto tra diverse realtà territoriali, presenta alcuni punti fondamentali:

1. Le vie alpinistiche
Le vie alpinistiche, che eventualmente hanno bisogno di manutenzione, per priorità sono le vie più ripetute e più rinomate, includendo quelle aperte cento anni fa, fino a quelle più recenti e di tutti gradi di difficoltà. Non viene esclusa la volontà di eseguire manutenzione sulle vie, che abitualmente, non vedono molte ripetizioni.
 
2. Competenza dei gruppi alpinistici
Ogni gruppo alpinistico e le guide alpine locali sono il punto di riferimento per la manutenzione e le eventuali modifiche delle vie nel proprio territorio, comprese quelle aperte da altri gruppi, senza alterare l’essenza dell’itinerario originale. Ogni gruppo si riserva la volontà di contattare la persona o il gruppo di appartenenza di chi ha aperto la via.
 
3. Rispetto della tradizione e dell’etica della via
È fondamentale rispettare l’idea originale dell’apertura e la modalità di chiodatura usata per tutte le vie che vengono individuate necessarie di interventi.
 
4. Modalità di intervento
È fondamentale preservare il carattere delle vie classiche continuando a usare chiodi e protezioni tradizionali laddove possibile. La tradizione del chiodo è importante per preservare la storia e lo spirito alpinistico. È consigliabile sostituire vecchi chiodi arrugginiti con nuovi, cambiare i cordini marci, evitando la creazione di clessidre o prese artificiali. Per le soste che eventualmente hanno necessità di essere integrate, si tiene conto delle caratteristiche naturali della via. Dove esistono protezioni naturali, si cerca di integrarle evitando l’uso di fix o spit, a meno che la confermazione della roccia lo renda necessario.
 
5. Adattamento all’etica del luogo nelle nuove vie
È auspicabile che le nuove vie seguano una logica coerente sulla parete, rispettando tutte le vie aperte sulla stessa. È responsabilità degli alpinisti attenersi all’etica locale e nel rispettare le tradizioni di arrampicata del luogo. Prima di aprire una nuova via, si raccomanda di informarsi accuratamente sulla parete, poiché molte vie nelle Dolomiti non sono inserite nelle guide, sono poco conosciute, e spesso, poco attrezzate. L’obiettivo è evitare sovrapposizioni indesiderate.
 
6. Coinvolgimento dei gruppi alpinistici
Qualsiasi modifica o intervento su una via, è auspicabile che venga preventivamente discusso con le guide e/o i gruppi alpinistici locali, per concordare la soluzione più adeguata e condivisa. Dopo numerose discussioni e confronti gli alpinisti hanno ritenuto fondamentale elaborare delle linee guida che indichino come intervenire nel rispetto della montagna e della sua storia.

Tutela e manutenzione dell’alpinismo classico ultima modifica: 2025-11-10T05:31:00+01:00 da GognaBlog

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39 pensieri su “Tutela e manutenzione dell’alpinismo classico”

  1. Concordo che l’eccessivo uso di uva in fermentazione ha messo sulla stessa sosta in terrazzino esile e stretto due argomenti diversi , simili si ma neanche troppo, mi spiego o almeno provo;i primi 4 punti sostengono un improbabile e anche vana (inutile?)manutenzione più per fruizione che per religione del alpinismo,i due restanti 5 e 6 sono più interessanti in quanto nascono a difesa di itinerari che magari nascono da e con un solo chiodo giusto per segnavia e vengono poi ripercorsi ignorando o non vedendo il chiodo con 26 spit a tiro!ma anche qui più che difendere la montagna vi è ombria di ego e possesso…come se chi sale per primo ne divenisse proprietario!e forse  è  questa illusione che tiene accesa la voglia di ascendere…chissà, ognuno avrà le sue di ragioni,fisiche, etiche,
    sportive,economiche, filosofiche ,poi tutte arrivano lì ,al timbrino finale col proprio nome.
    In definitiva  la bella sensazione che più che la sicurezza data da infissi moderni (giusto o sbagliato ?ognuno la pensi come vuole) e che si possa arrivare ad essere interessati a continuare a costruire un alpinista/smo capace con pochi mezzi e tanta esperienza di tornare sempre a casa…sia ancor li da  divenire.
     
    Spirito della montagna che soffi fin dal mattino, spazza le regole rigide del pensier umano, che raggruppato in gregge vagheggia il solitario lupo, aumenta la brezza e fai tornar il gioco tale.
     

  2. Concordo con Samuele e molti dei commenti successivi. Su tantissimi itinerari classici percorsi ormai (purtroppo) da pochissime cordate i concetti espressi mi trovano d’accordo. Esistono però vie che per molti motivi (accesso, discesa, etc etc) sono iper frequentate. Su queste ho qualche dubbio e anzichè lasciare al caso sarebbe forse preferibile intervenire assennatamente.

  3. Non credo che tutti questi  “alpinisti dolomitici, anche di fama internazionale” abbiano in realtà riflettuto molto su quella che è la proposta descritta nel documento. E’ da quando scalo che i vecchi chiodi arrugginiti a volte escono dalla fessura semplicemente tirando un pò il rinvio attaccato, ma se non escono, non capisco perchè toglierli e sostituirli. Percorrere una via di Comici e vedere in posto anche i chiodi originali o i vecchi cunei con cordino marcio non significa, per chi usa un minimo di cervello, che devo usarli, ma può ricordare alle nuove generazioni con che materiale di protezione salivano 100 anni fa. Una Comici alla Grande con tutti i chiodi luccicanti non sarebbe la stessa via che abbiamo percorso credo tutti.
    Per il resto sono molto d’accordo con Mazzollini al 32, ultime righe e Matteo al 33.

  4. È quello che ho sempre pensato, perchè si dovrebbero manutenere le vie? Quando ci vai  ripeterle ti porti l’attrezzatura e mentre sali ti proteggi come meglio puoi e come tu vuoi. Ogni via a suo stile un carattere, questo va protetto e non cancellato nel piattume dell’uniformità perchè tutto deve essere fruibile. Vuoi fare l’alpinista? Fallo!!!  Perchè ci dovrebbe essere qualcuno che dovrebbe fare questo, imponendo tecniche, sistemi, regole, uniformità ?!?!? Perche si dovrebbero cancellare gli ultimi terreni d’avventura,  che ci sono rimasti, rendendoli preconfezionati? Tutti simili? Il problema non è di facile soluzione, ma non si va in montagna a cercare le facili soluzioni, là comodità, la sicurezza assoluta, la certezza. L’alpinismo non è questo. L’Italia è piena di vie plasir, sportive, completamente attrezzate andate su quelle. 

  5. A me resta una grande domanda: ma perché parlare di “manutenzione” delle vie? Perché le vie dovrebbero essere “mantenute”? Chi avrebbe interesse a “mantenere” le vie?
     
    Mica erano “mantenute” prima che qualcuno le salisse, perché dovrebbero esserlo dopo?
    Le fessure e le possibilità di proteggersi sono sempre li…anzi le possibilità con gli attrezzi moderni sono decisamente aumentate per le vie storiche.
    Se ci vai devi essere in grado di proteggerti, se non ne sei capace, non te la senti o ti sembra troppo semplicemente non ci vai. Non ci devi andare.
    Come non dovevano andare in Civetta quei tre che avevano paura di non riuscire a uscire prima del buio o quegli altri che a difficoltà finite, dopo la schiena di mulo sulla Costantini Apollonio non sapevano più uscire.
     

  6. Ciao Dm.
    Il problema di cui si parla non è sicuramente di facile soluzione e può dividere chi scala in diverse fazioni. E questo non è bello, perché siamo tutti amanti dei monti alla fine.
    Premesso che la scurezza in montagna nasce dalla personale preparazione e non da una sosta a fix o da qualche protezione in più aggiunta, nel dover “sistemare” (per così dire) una via, cio’ che a mio avviso deve prevalere e’ il rispetto di cio’ che hanno fatto i primi salitori (concetto che viene ben espresso nei punti sintetizzati).
    Starei però molto attento a regolamentare una attività come la nostra, perché si rischia di perdere due cose fondamentali che l’hanno sempre fatta evolvere: la fantasia e la libertà.
    Ben vengano gruppi alpinistici, guide o istruttori che si occupano anche della manutenzione, ma io penso che prima di tutto la differenza la faccia la cultura che ognuno di noi riesce a trasmettere agli altri.
    Tutti noi, nelle nostre scalate, abbiamo sistemato una sosta, sostituito vecchi chiodi, cambiato cordini non più sicuri. Continuamo a farlo e continuiamo a far capire che queste piccole fatte da tutti gli scalatori possono fare la differenza, per mantenere gli itinerari e per far capire che nessuna sosta a fix o itinerario presumibilmente messo a norma possono garantire la sicurezza totale.
     

  7. già tenere a posto le falesie costa un occhio ai poveri chiodatori con nessuno che vuole metterci un euro per sostituire un moschettone stra consumato e con il rischio che qualcuno rubi le piastrine basse. Posso solo immaginare cosa accadrebbe con chiodi nuovi da 15 euro l’uno

  8. Siamo pratici Samu Cosa proponi? Togliere le soste marce e non mettere niente? Sostituire i chiodi marci di via? tutti? qualcuno? nessuno? Non fare nulla?

  9. Completamente d’accordo con  Samuele Mazzolini. Bravo, grande visione e rispetto. Quello che oggj manca.

  10. Questi meeting hanno lo scopo di vedersi e bere dei gran bicchieri. Perché non ammetterlo?
    Infatti, le conclusioni sono il risultato della quantità di alcool che scorreva. Basta leggerle.

  11. Il problema dell’invecchiamento delle protezioni è reale…e va analizzato. Anche perché andiamo in montagna per sentirci vivi, non per morire.
    Credo comunque che con gli attuali mezzi di assicurazione e con una attenta valutazione delle protezioni in loco (che un alpinista deve essere in grado di fare), si possa salire in sicurezza molto meglio degli anni passati.
    In ogni caso, dovendo richiodare, non snaturei itinerari (storici o meno) con fix, bensì cercherei di mantenere il loro carattere, e su itinerari clasici sostituirei le protezioni tradizionali con altre tradizionali e, solo se non fattibile, con fix.
    Poi, pagare qualcuno per farlo? Mah, sono scettico…scaliamo quasi sempre sul lavoro della passione di chi nulla ha chiesto…e il discorso potrebbe allargarsi a dismisura.
    Siamo alpinisti, avventurieri. Lasciamoci aperta qualche incertezza, per tornare indietro e avere stimoli di miglioramento.
    Preserviamo le opere del passato, siano esse trad, a fix o miste. Perché solo così possiamo capire da dove veniamo e dove stiamo andando.
    Altrimenti, come diceva Preuss, l’alpinismo potrebbe diventare un gioco che potremmo mettere da parte velocemente.
    Samuele Mazzolini
    CAAI

  12. Ci sono due cose infinite :l’universo e la stupidità umana ma riguardo l’universo ho ancora dei dubbi. Albert Einstein. 

  13. Saranno tutte opinioni legittime ma se io domani mattina vado su, che ne so, il primo pilastro della rozes e tolgo gli spit con il flessibile (che va di moda ultimamente) , che ora al lidl vendono anche quello leggero, passo per criminale assassino. Volete provare? No, a nessuno piace ricevere denunce. Per il contrario invece non si è mai sentito che arrivi la minaccia di denuncia. Quindi come al solito le opinioni sono solo parzialmente tutte legittime.

  14. Ottimo le cose ve le fate tornare come meglio vi torna.
    Rendiamo tutto plasir. 

  15. Ho fatto l’esempio della Carlesso perchè, se non sbaglio è di questo che si sta parlando. Ovviamente nessuno pensa a file di spit o cose simili.  Le regole del gioco sono già da anni largamente cambiate da materiali e protezioni utilizzabili in ogni fessura. etc etc  Per il resto  le opinioni ovviamente legittime e rispettabili  di ciascuno sono state chiarite nei numerosi articoli e interventi sul blog.

  16. 17) DM
    Te fai l’esempio della Carlesso una via degli anni 30.
    Ripeto la domanda:

    perchè farlo solo sulle vie storiche o classiche? Facciamolo anche sulle vie così dette moderne, aperte con chiodatura severa. Così incentiviamo a ripetere anche quelle.

    Perchè invece di una Carlesso non mi fai l’esempio di una via moderna chiodata kilometrica che se voli nonostante gli spit ti accoppi?
    Incentiviamo anche questa.

  17. mi sembra di sentire la vecchia storia degli spit in fessura “che se proprio ci tieni puoi non passarli”

    Certo, questa affermazione è proprio il massino delle cazzate.
    Senza considerare che proprio il fatto che lo spit ci sia cambia le regole del gioco.

  18. DM, per quale motivo dovremmo incentivare a percorrere le vie? Io cerco di scoraggiare i giovani a fare alpinismo vero.  Io sono un rude egoista e meno gente c’è in montagna e meglio è.  Seriamente non capisco cosa ci sta dietro al piacere di vedere le vie frequentate da più persone. 

  19. odio aver ragione 🙁
    mi sembra di sentire la vecchia storia degli spit in fessura “che se proprio ci tieni puoi non passarli”
    ci vediamo al centro commerciale!
     

  20. Per fare un esempio concreto, Carlesso per la Trieste è partito da Pordenone in bicicletta un sabato pomeriggio dopo il lavoro. Aveva moschettoni da 300 gr l’uno e la corda ( non so se di canapa) lunga 20/30 mt. Ogni chiodo pesava 2/300 gr. ; Non aveva un meteo preciso e i punti di appoggio ( strade, rifugi) erano completamente diversi. Le scarpette di feltro e i pantaloni di velluto con giubbino di tela pesante. Nessuno potrà mai eguagliare ne avvicinare eticamente la sua apertura. Tanto vale onorarlo ripetendo la sua via più pulitamente possibile poichè io penso che ogni volta che qualcuno la ripete sia come ridare vita a chi l’ha realizzata.

  21. Ritengo anzi che ciò costituirebbe un incentivo a ripetere vie bellissime

    E perchè si dovrebbe incentivare?
    Cosè questo incentivare? Come stimolare i ragazzi al risparmio?
    La chiodatura di una via è un corollario, non è il motivo della ripetizione. I motivi sono ben altri.
    E poi se si vuole incentivare con la chiodatura, perchè farlo solo sulle vie storiche o classiche? Facciamolo anche sulle vie così dette moderne, aperte con chiodatura severa. Così incentiviamo a ripetere anche quelle.

  22. Le tecniche e gli attrezzi utilizzati anche solo 20/25 anni fa (ovvero dove la sostituzione dei materiali è necessaria)  sono molto diversi da quelli utilizzati attualmente. Quindi ripetere le vie come gli apritori è impossibile ( corde, protezioni veloci intermedie etc etc). Perciò sostituire i chiodi originali ( di questo si parla, non certo di scavare) con spit non mi sembra sbagliato, anche solo perchè sostituire i vecchi chiodi con nuovi costa tantissimo . Ritengo anzi che ciò costituirebbe un incentivo a ripetere vie bellissime con lo stesso grado di protezione degli apritori  e con difficoltà più simile a quelle originali.

  23. Io continuo a non capire come ci si rifiuti di accettare la montagna nella sua intrinseca pericolosità.

    O nella sua scomodità. 
    Ma se cerchi la comodità e l’assoluta sicurezza, che ci vai a fare in montagna? Stattene sul divano o a limite a se vuoi fare movimento, in un circuito salute al parco pubblico cittadino.

  24. Quel giorno che la fixeranno ci andrò ancora meno, perché non sarà più la solleder.

    Però ci sarà qualcuno che dirà: ho fatto la Solleder. Come quelli che dicono di aver fatti Moderne Zeiten. Poi però si sono fermati alla cengia, cioè a metà.

  25. Io continuo a non capire come ci si rifiuti di accettare la montagna nella sua intrinseca pericolosità. Pare che si stia riducendo il tutto a uno sport regolamentato. La montagna è pericolosa, fine. Adattarla alle proprie esigenze è quanto di meno onesto ci possa essere. Siamo noi a doverci adattare, percorrendo solo le vie che riteniamo sicurezza per le nostre capacità.  Io non vado a fare la solleder in civetta,  perché letteralmente ho paura. Quel giorno che la fixeranno ci andrò ancora meno, perché non sarà più la solleder.

  26. @placido, ripeto, il principio base è condivisibile, ovvero che oggi su alcune vie lo stato dei chiodi e altre amenità è ben peggiore di quando sono stati aperti questi itinerari. E il fatto di cambiare cordini nelle clessidre o alle soste dovrebbe essere ovvio da parte di chi ripete le vie, se valuta che siano marci o comunque ormai insicuri. Il problema principale è quello del processo, ovvero di sedersi a un tavolo, dire che certe cose vanno fatte, ok,  ma in questo riassunto che ho letto ci sono cose troppo opinabili, oltre che anacronistiche e potenzialmente troppo discrezionali.
    Da questo decalogo si potrebbe, tirandolo per i capelli, desumere che chiunque sia titolato a fare quello che gli pare, incluso scavare delle prese! E di gente che tira le dichiarazioni per i capelli e ti vende la ecopista da bob ce n’è in giro!
    Fermo restando che, come negli esempi che ho citato prima la questione è assolutamente complicata in quanto spesso sono vie aperte 100 anni fa a scarponi, in artif e l’apritore è probabilmente defunto. E aggiungendo il fatto che la via poi è stata ripetuta in libera o peggio ancora slegati. 
    Insomma, non sto proponendo nulla ma sto solo criticando, lo so, ma mi sarei aspettato una relazione meglio redatta di questo simposio. 
    Poi, quello che dovevo e potevo fare l’ho fatto, spetta anche ai giovani riflettere meglio su cosa vogliano dal futuro e intervenire con opinioni (sulle quali dissentirò sistematicamente!!! 😉 

  27. Quando io guardo un’ opera d’arte, la guardo cercando di immedesimarmi in colui che l’ha realizzata, di capirne il messaggio. Quindi mi adeguo. Poi posso anche non essere d’accordo con l’artista, ma non per questo la modifico. Caso mai ne realizzo un’altra che rappresenti in modo diverso la stessa cosa.

  28. Nessuno mai rivivrà ciò che ha vissuto l’apritore…

    Su questo non si discute, dal momento che di li qualcuno c’è già passato. Ma ripercorrere l’itinerario adeguandosi a quello che hanno fatto gli apritori per assaporrane lo stile, certamente si!

  29. …. non manca più nessuno; solo non si vedono i due liocorni.
    L’elenco dei gruppi mi ha ricordato questa simpatica filastrocca sull’arca di noè e, di li, mi è venuta inmente da un lato l’idea  di voler far sopravvivere qualcosa ad un evento distruttivo, dall’altro l’idea della montagna come museo; idee che si intrecciano nel loro sviluppo.
    Direttori di musei, curatori di mostre, restauratori: tutti bazzicano l’arte, ma non ne fanno parte.
    L’idea che una linea possa essere salita nelle condizioni trovate e lasciate degli apritori riduce la prima salita a poco più di una azione di carpenteria ginnica, svuotandola dell’umano, dello specifico dell’uomo che l’ha salita: insomma è una idea che nega quel valore di unicità che ha una opera d’arte. Nessuno mai rivivrà ciò che ha vissuto l’apritore, apritore che descrivendo la via ha privato dell’ignoto tutti gli altri.
     
     
     
     
     
     
     

  30. riky al #5: sono d’accordo con i tuoi commenti, ai quali aggiungo che la sostituzione dei cordini marci non snatura certo il carattere di una via, ma anzi rientra nei comportamenti assolutamente normali, se uno ci tiene alla pellaccia.

  31. Ma è quello che vogliamo? 

    Io no!  Se vuoi arrampicare sulla resina te ne puoi ben stare in basso dentro comodi stanzoni su muri artificiali, con tanto di materrassi a respirare il polverone e il puzzo di sudore.
    La roccia friabile fa parte dell’ambiente naturale, quindi che la cucchiamo, altrimenti si può sempre cambiare via. Si va in montagna a scalare a cercare la comodità? Io no, altrimenti me ne sto a casa in salotto.

  32. È consigliabile (consigliabile, in legalese cosa vuol dire? Che se no lo fai… non hai seguito il consiglio ma va bene lo stesso. Non è una critica al principio, ma al modo in cui viene formulata la proposta, v riga sotto) sostituire vecchi chiodi arrugginiti con nuovi, cambiare i cordini marci, evitando la creazione di clessidre o prese artificiali.
    è consigliabile non creare prese artificiali?!? 
    Aiuto… questo principio mi sembrava non necessario specificarlo. Capisco che repetita iuvant, ma se nel 2025 leggo “è consigliabile non scavare prese e clessidre su vie storiche” dobbiamo farci delle domande su punti che davamo per assodati da ormai 20’anni nell’arrampicata sportiva… figurati nelle vie lunghe 
    Per le soste che eventualmente hanno necessità di essere integrate, si tiene conto delle caratteristiche naturali della via. Dove esistono protezioni naturali, si cerca di integrarle evitando l’uso di fix o spit, a meno che la confermazione della roccia lo renda necessario.
    Chi lo decide? Come mi comporto su una via di Knez? O sulla Camillotto Pellissier? 
    Finiremo che anche la Paolo VI avrà protezioni più ravvicinate, soste a spit per la calata, slunghi o un presa migliorata per favorire quelli bassi nel passo del tetto? E magari una bella passata di sika nei tratti di roccia friabile? 
    che per carità: aiuterebbe l’aumento del numero di ripetizioni. Ma è quello che vogliamo? 
    La tentazione di farlo è nella pancia di molti, e questo “regolamento” sembra fatto ad hoc per permetterlo senza troppe ripercussioni, o sbaglio?
     

  33. Spezzo in due l’intervento perché il limite di battute non lo consente in un blocco unico
    questo breviario mi pare un tentativo piuttosto goffo di dire “bisogna fare qualcosa” (e qui sono d’accordo), quindi ci riuniamo per dire che lo faremo (e ha un senso), ma (MA) mettiamo delle regole ad minchiam così da fare quello che riteniamo più opportuno e in modo che un domani nessuno sia titolato a rompere i cocones, perché era scritto nelle “regole” che qualcosa andava fatto, ma il come era lasciato all’arbitrio del singolo.
    Al quale è suggerito di fare delle cose ben fatte (i principi secondo i quali è stato redatto questo documento sono abbastanza condivisibili), ma è consentito fare qualunque cosa nel recinto di questi condizionali….
    cito l’art 4 e lo guardiamo pezzo per pezzo per capire che mi pare una cosa un po’ troppo vaga e imprecisa, per essere generosi
    La tradizione del chiodo è importante per preservare la storia e lo spirito alpinistico.
    -benissimo, e questo potremmo definirlo “principio”
     
     

  34. Fino a che ci sarà anche solo la possibilità di mettere in sicurezza “ove necessario” con spit e fix, sarà sempre aperta la finestra di overton che porterà alla snaturalizzazione spinta in qualche anno. Si certi argomenti bisogna essere talebani e percorrere la strada dell integralismo, altrimenti prevarrà sempre la voglia intrinseca dell uomo di facilitarsi le cose.

  35. Perm un amante delle “regole” quale sono, il prontuario è manna dal cielo. All’atto pratico bisogna però fare i conti con la realtà, perché dubito che tutti rispetteranno le regole, anzi ci sarà di sicuro che le infrangerà apposta, per spirito ribelle…

  36. quindi i chiodi del tiro duro della Cassin in Lavaredo come li sistemiamo?
    Apriti cielo!
    I principi sono troppo generici e lasciano troppo spazio al buon senso (o alla sua assenza) dell’eventuale restauratore.
    Nel caso di quei tiri cosa facciamo?
    Spittiamo la sosta che se non ricordo era un po’ dubbia? Ok, ma non ok!
    Mettiamo tre spit al posto dei tre o quattro chiodi ormai veramente “dubbi” tenuti insieme dagli stecchini di legno?
    O al loro posto mettiamo dei chiodi resinati che salvano il look ma alla fine cambiano definitivamente il carattere della via?
    O non facciamo nulla fin quando qualcuno che forza la libera cade e sbottona il tiro, eventualmente portandosi la sosta con sé?
    Purtroppo qualunque intervento che non sia la sostituzione precisa degli ancoraggi con altrettanti identici cambierà inevitabilmente il carattere della via, aprendo le porte a fiumi di polemiche, incazzature, partigianerie e possibili schiodature e perché no? Qualche gomma tagliata o magari uno spit infisso nella carrozzeria della macchina (!). 
    Sono d’accordo che qualcosa vada fatta, ma sono consapevole che non vorrei essere io a farla!
     
     

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