In Tribunale stangata per Roberta Silva (gerente del rifugio Roda di Vael) e Marino Pederiva dell’omonima baita. La denuncia da Armando Loss.
Acque inquinate in Val di Fassa
(per le gastroenteriti condannati due rifugisti)
di Giorgia Cardini
(pubblicato su ladige.it il 10 settembre 2024)
Ha portato all’emissione di due decreti penali di condanna, la contaminazione dell’acqua potabile a Tamion e Vallongia, che a luglio 2023 aveva provocato una quarantina di casi di gastroenterite oggetto di una circostanziata denuncia e di una successiva accurata inchiesta.
Ma la severa ipotesi di reato formulata inizialmente (quella di cui all’articolo 452 bis del codice penale, “Inquinamento ambientale”) si è trasformata – tra l’apertura e la chiusura del caso – nel più lieve “Getto pericoloso di cose” punito dall’articolo 674 dello stesso Codice, che recita: «Chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti, è punito con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda fino a euro 206».
I due decreti penali di condanna, emessi alcuni mesi fa dal giudice per le indagini preliminari Marco Tamburrino su richiesta della pm Alessandra Liverani, che ha condotto l’inchiesta partita dalla denuncia dell’architetto Armando Loss, hanno riguardato la presidente dei rifugisti Roberta Silva (gestrice del rifugio Roda di Vael) e Marino Pederiva (dell’omonima baita), condannati a versare 1.500 euro di ammenda, calcolata convertendo la pena chiesta di 15 giorni di arresto, pari a metà della pena base di 1 mese.
Dopo l’esposto da parte del titolare del B&B Fior Tamion di Tamion, che da anni denuncia le condizioni inaccettabili in cui versano gli scarichi in dispersione dei due rifugi (più volte il sindaco ha emesso ordinanze di bollitura dell’acqua, lo scorso anno per la durata di due settimane), le indagini hanno consentito di accertare che «i liquidi fognari prodotti all’interno delle due strutture, durante il percorso lungo la tubatura che porta a disperderli in un apposito sito, a causa di una ostruzione della stessa erano fuoriusciti sul terreno circostante, andando a imbrattare una vasta zona boschiva e quindi – a seguito del successivo ruscellamento – a contaminare la falda acquifera che alimenta l’acquedotto a servizio della frazione di Tamion».
«Appare pienamente provata – scriveva la pm nella sua richiesta al gip – la responsabilità degli imputati sulla base della comunicazione di reato datata 2 agosto 2023 della stazione dei Carabinieri di San Giovanni di Fassa e delle successive indagini condotte dal corpo forestale della Provincia autonoma di Trento – Nucleo operativo specialistico forestale – e dai Nas».
L’emissione del decreto è stata accolta con sconcerto dall’architetto Loss, che ha documentato fotograficamente ulteriori recenti spargimenti di liquami (nonostante lavori i effettuati dalla SAT – diffidata – per entrambe le strutture), e ha presentato nel corso dell’estate nuove denunce.

Loss si è detto “basito” tra l’altro dalle dichiarazioni del presidente della Fondazione Dolomiti Unesco Stefano Zannier, che sull’Adige ha annunciato la prosecuzione proprio al rifugio Roda di Vael della campagna “Vivere in rifugio” «per far comprendere agli ospiti come è la vera vita in quota, tra la bellezza e la vulnerabilità dell’ambiente circostante». Ma è molto probabile che al friulano Zannier nessuno abbia mai raccontato quanto accaduto a Tamion e Vallongia.
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Ruspe.
E vale anche per la baracca in cima alla Marmolada, altro che “proposta tecnica tendente ad individuare” e bla e bla.
(Budel, mi stai simpatico, e se davvero aprirai un B&B sarò volentieri tuo ospite. Ma, se questa è stata veramente la tua ultima stagione da rifugista, invece che un sostituto cerca piuttosto qualcuno che ti aiuti a portare giù tutto.
Come dici? Che ne sarà degli alpinisti “spesso in lacrime e semi-assiderati” a cui la baracca “salva la vita“?
Magari impareranno a scegliere meglio le giornate in cui fare le loro scalate, senza forzare per la presenza rassicurante del punto d’appoggio, oppure a cavarsela anche in condizioni di emergenza – esperienza che trovo eccezionalmente formativa. Se si sopravvive, naturalmente 🙂 ).
P.S. Pare che anche per l’ecomostro Santner ci sia qualche problemino:
https://corrieredeltrentino.corriere.it/notizie/cronaca/24_settembre_21/bolzano-indagine-sul-rifugio-santner-area-venduta-a-cifre-irrisorie-rispetto-al-prezzo-effettivo-danno-da-seicentomila-euro-86b8d80c-7657-4e95-b4a9-bdf60abafxlk.shtml
Ipotizziamo di chiudere gli impianti in quota d’estate , al di la’ di 10.000 cause legali perse , penso che sarebbe un buon contributo a far tornare rifugi i rifugi , ma e’ un mero esercizio concettuale come togliere le concessioni ai balneari.
Togliere il velo, far cadere la maschera del marketing furbastro e truffaldino che dipinge quadri meravigliosi di “paesaggi incontaminati” (?).
Mentre invece è quasi tutto pesantemente contaminato. E allora bisogna, bisognerebbe, cominciare a essere meno ipocriti e dire invece, apertamente e francamente, che i rifugi attirano troppa gente, consumano risorse e INQUINANO.
Il limite è stato raggiunto e superato ampiamente da decenni ormai, il cambio climatico ha messo in seria difficoltà molte strutture per mancanza d’acqua. Molti rifugi sono ormai ristoranti-birrerie che non c’entrano più niente con la concezione tradizionale di rifugio: da punti di appoggio per le escursioni sono diventati, come per molti bivacchi, la meta di “sbaraccate”, mangiate e bevute.
Ed è sempre peggio grazie agli impianti di risalita, che sputano migliaia di persone in quota spesso sprovveduti, ma paganti, e quindi benvenuti col tappeto rosso.
Sapremo mai, non dico tornare indietro, ma almeno fermarci? Ne dubito, ormai il business regna sovrano su tutto. Perfino la SAT, ex-glorioso sodalizio, ha costruito un ecomostro (nuovo rif. Boé) a quasi 3000 metri nel Gruppo del Sella, una autentica profanazione con 4.000 metri cubi (!) di cubatura complessiva, peggio dei peggiori palazzinari, il tutto a poco più di un’ora dal solito impianto di risalita che fornisce “carne fresca” alla struttura. E anche nei deserti di alta quota, finalmente valorizzati, vediamo ora le penose processioni di turisti che infestano ogni ambiente montano.
Il problema non è limitato al rifugio Roda di Vael. Del resto condotto al meglio. Il problema è che ovunque la montagna non regge le presenze che le vengono imposte. E’ necessario un intervento politico: basta potenziamenti di impianti funiviari, basta biciclette sui sentieri, basta auto sui passi. E vedrete che tutto si ridimensione. In trentino ovunque vi sono problemi simili se non peggiori: val Duron, val di Fiemme, Baselga di Pinè, Arco. E se poi guardiamo a Bolzano il quadro è ancora più grigio.
Liberiamo le montagne dall’assalto selvaggio. E gli enti pubblici facciano il loro dovere. Hanno dato concessioni impossibili da reggere? Bene, ora rimedino sostenendo i rifugisti. Molto meno la SAT.
Credo che il giornalista, in luogo di scrivere che forse nessuno ha raccontato a Zannier cosa sia accaduto, volesse dire che forse Zannier ha preferito ignorare ciò che sta accadendo, visto che stento a credere che siano fatti ignorati dall’opinione pubblica. In più, non si tratta di una faccenda conclusa, ma ancora in essere e, per questo, più grave.
Poi qualcuno ancora parla di virus intestinali…
Loss di Tamion ha ragione , e non ci sono scappatoie giuridiche che tengano : i due rifugi ( come anche quello a Punta Penia , devono essere costretti dalla magistratura ad adottare le migliori soluzioni tecnologiche per non inquinare con i loro scarichi.