Andava particolarmente fiero di ciò che aveva fatto sulla Nord-ovest della Civetta: la riscoperta (con Giuliano De Marchi) della via Haupt-Lömpel alla Piccola Civetta, aperta nel 1910, come primo VI grado sulle Dolomiti; e la restituzione del vero ruolo di Gustav Lettenbauer protagonista con Emil Solleder dell’altra più nota via, aperta 15 anni dopo sulla stessa mitica parete, la Nord-ovest della Civetta.
Alessandro Masucci
di Manrico Dell’Agnola
(pubblicato su Montagna, Annuario GISM 2025)
Era la fine degli anni Settanta quando, timidamente e con riverenza, mi avvicinai al mondo dell’alpinismo. Il mio spirito era libero e aggressivo, il “Nuovo Mattino” era già in atto, tuttavia l’intelligenza e la voglia di scoperta non mi poteva far prescindere dal ricercare, anche per capire chi fossi e dove volessi andare, in quella storia affascinante scritta da chi prima di me aveva provato e vissuto certe esperienze. E così che negli anni successivi più di una volta incappai nei racconti e nelle considerazioni, a volte rivoluzionarie, di Alessandro Masucci. All’epoca avevo poco più di vent’anni e seppur nemmeno loro arrivassero ai quaranta, per noi erano già dei vecchi. Ora, alla luce di quello che è successo e succede in ambito alpinistico, devo dire che per molti aspetti furono dei precursori del nuovo modo di concepire l’arrampicata; parlo di Sandro, ma includo in questo Giuliano De Marchi e Soro Dorotei, solo per citare i più famosi di quel gruppo di fortissimi bellunesi.
Allora per me Masucci era un nome che vedevo alla fine di quelle cronache che tanto mi affascinavano e che finalmente potevo leggere con la presunzione, ormai guadagnata, di un “addetto ai lavori”. La parete nord-ovest della Civetta cominciavo a conoscerla e pensare a quella via, la “Haupt-Lömpel”, ripetuta da Masucci e Giuliano De Marchi, mi metteva i brividi: quei camini friabili e bagnati, la salita del Cristallo e poi quei canali gocciolanti potevano essere scalati solo da veri alpinisti. Per Sandro quella salita, precedente alla più famosa e blasonata “Solleder-Lettenbauer” o “Lettenbauer-Solleder” annoverata nella grande storia dell’alpinismo come il primo sesto grado, era superiore per difficoltà e quindi la “Haupt-Lömpel” avrebbe dovuto avere quel primato. Sandro sostenne questa sua convinzione con vari articoli di grande pregio e precisione e comunque, per carattere, gli piaceva mettere in dubbio anche gli eventi storici e le credenze più consolidate.
Negli anni Ottanta abitavo a Montebelluna e, seppur frequentando assiduamente le Dolomiti, ero lontano dal mondo alpinistico bellunese; a volte incontravo Soro, ma Giuliano e Sandro li conoscevo solo per averli visti sulle pagine delle riviste. Fu solo nel 1994 che, per eventi del tutto estranei all’alpinismo, mi trovai a cena a casa di Giuliano De Marchi. Fu così automatico conoscere anche Sandro, il suo più grande amico seppur molto diverso da lui. Masucci, Maso come lo chiamavano gli amici, già a quel tempo non stava bene, arrampicava pochissimo ma manteneva, a volte anche attraverso i nostri racconti, lo spirito del grande alpinista, una passione infinita che neanche i più gravi problemi di salute sono riusciti a placare. In lui non c’era invidia o rabbia – anche perché forse pago della sua eccellente e grande attività – per quello che la sua condizione non gli avrebbe più consentito di fare, ma il piacere di sentire i nostri racconti, di condividere le nostre impressioni e i nostri successi. Sandro era un veterinario e per lui l’alpinismo è stato sempre un hobby; da quel lato un puro, al punto da non condividere nemmeno l’idea di arrampicare, non dico per soldi, ma nemmeno per ricevere materiali dalle aziende.
Per lui la passione doveva essere pulita da ogni interesse economico; per questo a volte si discuteva, ma difficilmente si riusciva a convincerlo che proprio per passione si poteva dedicare la vita alla montagna al punto da pensare anche di vivere di quella. Anche in ambito accademico, risultando a volte anacronistico, continuava a sostenere la sua tesi con intelligenti e convincenti argomentazioni. Di lui ricordo le giornate spensierate passate a raccogliere olive a Gavorrano, lui sotto e noi arrampicati sui rami degli ulivi a parlare di tutto e a scherzare con Giuliano, sempre attenti a non farci beccare da Lucia, severa e precisa “capo cantiere”. Poi le mangiate tutti insieme, alternando le cazzate ai più complicati discorsi etici e filosofici: ricordo la sua sottile ironia e la sua espressione di “presa in giro” quando non si capiva se scherzasse o dicesse sul serio.
Come accade spesso solo quando le persone che ci sono state care non ci sono più, ci si rende conto di quante cose si sarebbero potute ancora condividere e domandare e il rammarico per quanto si sarebbe potuto fare in più per loro, ma anche per noi, ci tormenta. Con lui avevo ancora dei progetti che, un po’ per pigrizia, un po’ per questa vita che pur sembrando vuota è un susseguirsi di impegni, non riusciremo più a portare avanti. Con lui se n’è andato un amico, un alpinista, ma anche un pezzo di storia.
L’addio ad Alessandro Masucci
di Dino Bridda
(pubblicato su ilgazzettino.it del 28 novembre 2023)
Si sono svolte il 29 novembre 2023 nel cimitero urbano di Prade a Belluno, le esequie di Alessandro Masucci, figura di spicco dell’alpinismo dolomitico, scomparso a 80 anni all’ospedale di Belluno. Lascia la moglie Lucia, il figlio Francesco con Elisa, la sorella, i cognati e i nipoti. Unanime il cordoglio del mondo degli appassionati della montagna per un personaggio assai noto per la sua attività in croda che gli valse il riconoscimento di Accademico del Club Alpino Italiano e fu anche membro del Gruppo Rocciatori “Gransi” del CAI di Venezia e del Gruppo Italiano Scrittori di Montagna (GISM).
Masucci era nato a Mareson di Zoldo Alto dove la madre, originaria di Coi, si era rifugiata per sfuggire ai bombardamenti di Venezia durante la seconda guerra mondiale. Nella città lagunare egli fece ritorno dopo l’evento bellico, ma non tralasciava di trascorrere parecchio tempo nell’amata Valle di Zoldo dove Civetta e Pelmo diventarono ben presto le sue mete preferite nel corso di innumerevoli salite. Masucci si laureò in veterinaria a Milano, esercitò una lunga attività professionale a Venezia e poi si trasferì con la moglie Lucia a Marsiai di Cesiomaggiore in stretta vicinanza con i monti che lo videro salire quasi mille vie tra Dolomiti e Alpi occidentali: ben 140 furono quelle nuove, una ventina tra Pelmo e Pelmetto, una dozzina sul versante zoldano della Civetta, altre ancora sui monti di Zoldo e d’Ampezzo.
Tra i suoi compagni di cordata si ricordano tra gli altri i bellunesi Giuliano De Marchi e Soro Dorotei. Alpinista di razza, rigoroso nella pratica ascensionistica, nel 1980 egli partecipò alla spedizione di Francesco Santon sull’Everest dove raggiunse il Colle Sud senza ossigeno, perché rifiutò sempre i vari mezzi artificiali utilizzati da una pratica dell’alpinismo che non gli apparteneva. Purtroppo l’impresa fu vanificata da vento e gelo a pochi metri dalla cima. A 55 anni, purtroppo, un ictus interruppe la sua carriera alpinistica.

Nel luglio 2023 aveva ricevuto il meritato premio “Pelmo d’Oro” alla carriera alpinistica.
Così ricorda quel giorno il presidente della Provincia Roberto Padrin: «Volle partecipare alla cerimonia di consegna, a San Tomaso Agordino, nonostante fosse già provato dalla malattia. Ricordo ancora la commozione con cui ha ritirato il premio, mista a una umiltà che solo i grandi personaggi hanno. Nella cerimonia ho avuto modo di definire gli alpinisti come eroi silenziosi della montagna: Alessandro Masucci era proprio questo».
Alessandro Masucci e Giuliano De Marchi
a cura della Redazione
Nel 1980 Masucci era insieme sull’Everest a Giuliano De Marchi nella spedizione italo-nepalese di Francesco Santon, dove Giuliano raggiungerà l’antecima con Sergio Martini a 8750 metri. Vennero nominati insieme accademici del CAI nel 1985. Nel 1996 si sono sposati lo stesso giorno facendosi da testimone reciprocamente. «Ho iniziato ad arrampicare con lui nel 1967 e ho smesso nel 1998 – racconta Masucci in una intervista del 10 giugno 2009 in occasione della cerimonia funebre per l’ultimo saluto a De Marchi – dopo qualche centinaio di ascensioni insieme. Siamo stati insieme sulla costa di Marsiglia dove per la sua particolare conformazione potevamo abbinare la scalata al mare. Ricordo il primo temporale in parete con Giuliano sullo spigolo dell’Agner nel 1970; io ero al riparo in una sporgenza, ero molto impressionato, eravamo a 2500 metri e la temperatura scendeva velocemente fino a zero gradi, e continuava a cadere una fitta neve ghiacciata che copriva tutti gli appigli. Sopra di noi ci aspettava la parte più difficile della via, guardai timoroso Giuliano e gli chiesi, ‘e adesso come ne veniamo fuori?’ e lui, con molta saggezza ‘non preoccuparti, fra un po’ riprendiamo la scalata’. Bisognava arrampicare su ghiaccio con le mani gelate. Giuliano vedendo che ero ancora preoccupato mi disse ‘vedrai che tra poche ore siamo in vetta’. E così fu».
Il ricordo di Elvio Terrin e di Franco Pianon
a cura della Redazione
“Alessandro Masucci è stato un grande maestro e un mito – lo ricorda Elvio Terrin, presidente dei “Gransi” – Lui accompagnava in montagna noi, ragazzi veneziani senza patente. E nella zona della palestra di roccia di Santa Felicita, vicino a Bassano, ha scoperto la Pala dei Veneziani aprendo le prime due vie su una parete ora al centro di una guida. Era un amico e una grande persona“.
Ne parla con grande amicizia il primo compagno di cordata di Masucci, un altro membro dei “Gransi”, Franco Pianon: “Ci siamo conosciuti alle medie e nel 1959 abbiamo fatto assieme il corso di roccia, poi abbiamo arrampicato assieme moltissimi anni. Lui è emerso subito come vero fuoriclasse. Una volta sul Pelmetto durante un bivacco ho tirato fuori tre chiodi a espansione e quando li ha visti li ha gettati nel vuoto. Questo era Alessandro, figura nobile di alpinista, ha sempre arrampicato rispettando la montagna. E aveva un cuore immenso“.
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Anni fa ho ripetuto la via “Dorotei-Masucci” che ha aperto con Soro Dorotei alla Rocchetta altra di Bosconero subito a destra dello Strobel.
Grande via!! Delle 4 vie che ho salito alla Rocchetta sicuramente la più impegnativa.
Nei primi anni ’90 ho arrampicato col Maso in Marmarole e c’era anche mio fratello; durante l’approccio si discuteva di alpinismo e gli chiedevo notizie delle vie che aveva aperto con Soro sul Pelmo e in altre Dolomiti, ma lui parlava tanto delle montagne che salivamo, delle vie, degli alpinisti; era come avere un manuale di storia al seguito, faticava non poco perchè aveva problemi di salute, ma alla fine sulla cima ci sorrideva felice. Alcune delle sue vie sono andato a ripeterle per capire la sua “arte” e per avere di lui un vero ricordo.