Blank on the map – Spazio bianco sulla mappa
Quando si dice “il mondo è proprio piccolo” non si tiene nella debita considerazione la parte di pianeta che ancora sfugge alle nostre conoscenze approfondite. Le catene montuose, i grandi dislivelli unitamente alle altezze e alle latitudini estreme ostacolano la nostra esplorazione come altre difficoltà naturali: così, se negli anni ’30 il grande alpinista inglese Eric Shipton poteva intitolare il suo bellissimo libro Blank on the map (Spazio bianco sulla mappa), con ciò facendo vibrare le corde più intime di chi ama le terre selvagge, oggi, in seguito alle foto aeree, ai reportages dai satelliti e a Google Map, gli spazi si sono sensibilmente ridotti per ciò che concerne la conoscenza teorica e i rilievi delle zone, ma assai meno per ciò che riguarda la conoscenza reale e pratica.
Anche se ormai possiamo disporre di una carta geografica affidabile del continente antartico, è pur vero che nessuno ha messo mai piede in vastissime aree di esso, che il rilievo geografico è approssimativo, le fotografie ravvicinate inesistenti.
Montagne dell’Antartide
Anno per anno, con scopi scientifici o meno, centinaia di spedizioni partono da tutto il mondo per diminuire ulteriormente la fetta di sconosciuto delle montagne della Terra. Vari possono essere i motivi per i quali una regione è poco conosciuta o non lo è affatto. Tra i principali vi sono quelli politici: intere e vastissime regioni sono ancora terre di sogno per noi occidentali, motivi unilaterali e strategici ne impediscono l’accesso. La Cina è il maggior serbatoio di montagne e catene sconosciute. Pensiamo alle planetarie distese di montagne del Sinkiang e del Tibet, ai fascinosi gruppi attorno al Minya Konga: e vedremo, quasi con senso di liberazione, che attorno a loro si dispiegano migliaia e migliaia di altre montagne. Pensiamo al Pamir e perfino agli Urali, che qualcuno crede essere grandi colline solo perchè non ci sono le grandi altezze.
Nonostante le migliaia di spedizioni, pubblicazioni in biblioteca, film e fotografie, la conoscenza di Himalaya, Karakorum, Hindu-Kush è solo approssimativa per vastissime aree. I motivi sono politici, ma anche geografici e tecnici. Qualche volta subentra la leggerezza umana degli alpinisti: il Gasherbrum IV, salito la prima volta dai nostri Bonatti e Mauri nel 1958, è stato raramente ritentato solo perchè la vetta sfiora gli ottomila per pochi metri: e invece è una delle più evidenti, eleganti e magnifiche montagne del mondo! Al di là di queste tristi considerazioni, per le quali un ottomila facile “vale” più di un 7950 difficile, continuiamo il viaggio su catene poco conosciute, quelle dell’Assam, del Bhutan, del Sikkim, dell’Iran e dell’Oman.
Cambiando continente, pensiamo all’Africa. Ci sono pochi segreti per le grandi montagne, tipo Kilimanjaro, Kenya o Ruwenzori. Molti più segreti per le enormi falesie e arcipelagi di torrioni che si ergono nei deserti remoti, tra la Libia e il Niger, oppure per le quasi inaccessibili “ambe” etiopiche. E che dire del meridione africano, delle montagne della Namibia, dello Zimbabwe, dove il concetto di apartheid pareva essersi radicato anche sui rilievi montuosi? In Oceania, la Nuova Guinea culmina con il Carstenz che, immerso in giungle quasi impenetrabili, supera i cinquemila metri, ma anche il Borneo (a parte il suo Kinabalu) è ben poco conosciuto.
La confluenza del Lauteraargletscher (sopra) e del Finsteraargletscher nell’Unteraargletscher (Svizzera)
La Patagonia e la Terra del Fuoco, con i loro climi così proibitivi, offrono ancora belle speranze e grandi sogni. Non per nulla molte spedizioni hanno scelto lo Hielo Continental per le loro grandi avventure orizzontali. La Patagonia infatti è una grande possibilità di espressione per chi non ha grandi mezzi. Non occorrono permessi, non ci vogliono quattrini per i portatori: l’avventura è lì, senza burocrazia e senza grossi contorni tecnici. La stessa cosa, ma aggravata dalle enormi distanze di approccio da superarsi con l’aereo, succede in Alaska e soprattutto nell’Isola di Baffin e nella sconfinata Groenlandia. Prova ne sia che le montagne di queste regioni sono poco note pur essendo nel continente America del Nord, il più progredito, il più disponibile alla ricerca e il più interessato per varie ragioni alla conoscenza più approfondita. Il massimo di “Blank on the map” si ha però nell’Antartide, dove la riduzione dei tempi di agibilità (3-4 mesi all’anno), le temperature estreme, la lontananza, la solitudine fanno di questa stupenda terra il luogo di mistero più remoto nel tempo e nello spazio.
Ma la montagna, come grande espressione della natura, ci riserba qualcosa di più che topografie, geologie e idrografie più o meno approfondite. La conoscenza umana di una zona terrestre non è mai completa, almeno finché ci saranno uomini che sapranno leggere nel linguaggio della natura. Anche consultando una magnifica carta del CNS che ci disegna per esempio il Lauteraargletscher con precisione assoluta.
All’estensione delle montagne ancora da conoscere è necessario aggiungere tutta quella porzione di sconosciuto che la dilatazione della parola “esplorazione” può garantire. Mentre il primo passo è quello di misurare con strumenti, poi registrare dati e immagini tramite foto e film, il secondo piano dell’esplorazione è quello intimo. Ed è il più importante perché inesauribile. L’uomo, per sua stessa essenza, non può sopportare di non avere più niente da conoscere: l’inedia lo afferrerebbe senza scampo.
Sono i paesi più avanzati che devono imbrigliare la propria corsa allo sfruttamento del territorio. Non c’è alcuna speranza che i portabandiera della nuova civiltà siano paesi che ancora sono in pieno sviluppo travolgente. È di qualche anno fa il progetto di ingrandire considerevolmente l’invaso artificiale di Grimsel: il risultato sarebbe stato un megabacino che avrebbe stravolto i connotati, già compromessi, della valle dell’Unteraargletscher. Ci sono state delle manifestazioni ambientaliste che hanno voluto segnalare all’opinione pubblica quanto potesse essere sconsiderato il progetto, nella speranza di dar voce ulteriore a quel movimento di pensiero politico che vede la Svizzera al primo posto nella limitazione del traffico automobilistico, pesante e non. L’associazione Mountain Wilderness, assieme ad alcuni gruppi locali, aveva simbolicamente portato un segnale sulla spiaggia che segna il confine tra il mondo naturale dell’Unteraargletscher e l’invaso azzurro verdastro della colonizzazione umana. Questa è l’ultima spiaggia, se non si avrà il coraggio di interrompere la corsa allo sfruttamento idrico delle ultime decadi favorendo una razionalizzazione, e quindi una soglia d’arresto, ai consumi. Un altro genere di blank on the map invaderà le carte geografiche: con la differenza sostanziale che lo sconosciuto avrà ceduto il passo al soppresso, inabissato e dimenticato. L’EIdorado sarà sempre più mitico e definitivamente irraggiungibile.
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