Oggi l’alpinismo sta concludendo una sua tappa storica e non sappiamo dove ci condurrà la sua trasformazione.
Ettore Castiglioni: riflessioni intorno a un riferimento
di Silvia Metzeltin
(pubblicato su Le Alpi Venete, autunno-inverno 2023-2024)
Cerco di ricordare – la memoria ricostruisce sempre, non fotocopia. Tuttavia spero di riuscire ad attualizzare correttamente il mio pensiero e di saper rendere a distanza di anni il rapporto – mio e di Gino Buscaini – con la figura di Ettore Castiglioni, che non abbiamo conosciuto di persona e solo per tramite di racconti altrui.
Mi si presenta l’immagine 1962 del nostro arrivo al rifugio Castiglioni sulla Marmolada, bagnati fradici dopo una notte di temporali passata bivaccando nel camino di uscita della via Vinatzer-Castiglioni, sulla parete sud, allora ambita e rinomata per le sue difficoltà. Credo di aver descritto a suo tempo la scena su LAV: in piedi sotto la grande fotografia di Castiglioni, lasciando pozzanghere di fango al nostro passaggio, desiderosi, che so, di una bevanda calda. Ma la cucina è chiusa, la sala di cui stavamo insudiciando il pavimento accetta solo dalle 18. Ricordo perfettamente il senso di complicità comprensiva che mi stava trasmettendo la fotografia.
Negli anni successivi, con molta dedizione nostra al mondo delle Dolomiti, Ettore Castiglioni era poi diventato una figura di riferimento, in particolare dapprima per Gino Buscaini. Nella nostra cordata, nell’alpinismo e in seguito coniugale nella vita, stavamo mettendo in comune anche le nostre diversità individuali che si sono rivelate felicemente complementari. Gino era di grande abilità naturale sulla roccia, ma poco sportivo e detestava l’allenamento. Le molte ascensioni, pensandoci oggi, sono state per lui tappe di un percorso multiforme. Nell’alpinismo ha espresso soprattutto le sue predisposizioni artistiche, nella fotografia ripresa anche in parete e nei disegni. Poiché proveniva da formazione tecnica, specializzata per anni di carriera nell’Aeronautica Militare, aveva inoltre un occhio speciale per cogliere i dettagli, e un rigore responsabile nel valutarli. L’aereo non deve precipitare – l’alpinista che scala, neppure. Le descrizioni degli itinerari sulle montagne devono quindi essere le più precise possibili. E se possibile, verificate sul terreno.
Così, l’incontro di Gino con Ettore Castiglioni non è avvenuto sulle sue vie che abbiamo ripetuto, ma nelle descrizioni che Castiglioni ne faceva. Lo aveva preso a modello, gli piaceva il suo stile stringato senza gli svolazzi letterari che andavano per la maggiore, che allora rendevano spesso un po’ fumose le relazioni pubblicate. Gino le voleva di precisione tecnica, con impostazione rinnovata anche nella valutazione delle difficoltà e, fra le guide di itinerari disponibili in italiano prima della seconda guerra mondiale, le “Castiglioni” eccellevano. E si capiva che molti degli itinerari descritti erano stati percorsi di persona. Castiglioni, sempre ben allenato, era certo a volte un po’ sommario nel precisare le difficoltà tecniche, operando medie del tipo “III grado con passi di V” indicando il tutto di IV-, ma una nuova valutazione d’insieme delle difficoltà di un’ascensione era ancora da venire, e proprio da queste considerazioni Gino ne ha poi elaborato e applicato le prime versioni nelle proprie guide. Quando Gino, per combinazioni fortunate, si è occupato professionalmente della collana Guida dei Monti d’Italia edita dal CAI-TCI, riuscendo a pubblicare 8 volumi suoi e coordinare per trent’anni tutti gli altri volumi usciti, ha però incontrato anche un altro Castiglioni, oltre a quello delle relazioni stampate sui volumi di cui è stato l’autore nell’anteguerra. Quando una passione diventa lavoro, dappertutto emergono ostacoli che non si erano considerati. Riassumiamoli per questo caso in “intralci di burocrazia”: c’erano già ai tempi di Castiglioni.

Il quale Castiglioni, per fortuna degli alpinisti e della collana, scavalcò remore e lungaggini nell’ambito del CAI e del TCI presentando volumi già belli pronti, mentre le commissioni dovevano ancora decidere come e cosa pubblicare. Il rimando al colpo di mano coraggioso di Castiglioni, insomma a un piccolo “golpe” di iniziativa realizzatrice, è spesso stato per Gino un appiglio incoraggiante nei momenti in cui sono calate ombre burocratiche sulla collana. Quando Gino ha ripreso dopo trent’anni il rifacimento della guida Castiglioni delle Dolomiti di Brenta per la collana CAI-TCI, con il rinnovamento ormai indispensabile, ha voluto espressamente che il nome di Castiglioni come autore rimanesse accanto al suo.
Ho pensato spesso che, a parte le differenze di estrazione sociale e di formazione, Castiglioni avrebbe desiderato in realtà seguire il lavoro per la collana Guida dei Monti d’Italia, quel lavoro che, oltre vent’anni dopo, in altra modalità ha intrapreso Gino. Mi viene tuttavia da supporre che la personalità di Castiglioni avesse sfaccettature diverse da quelle di Gino, certo filosofiche più tormentate, e probabilmente più distanti da vocazione artistica creativa, nonostante gli interessi coltivati nel proprio ambito culturale.
Il mio approccio alla figura di Castiglioni è stato invece, diciamo così, più in versione romantica, benché tutto sommato si trovi oggi meno sbiadito storicamente. Confesso di essere ormai satura di descrizioni di itinerari, che non consulto più nessuna relazione, che mi domando semplicemente se su un monte che mi piace riesco a individuare un itinerario che mi attira e per me accessibile. Come facevo da ragazzina. Mi rimangono invece “le Castiglioni” che ho salito, magari ricordando anche la sorpresa di qualche passo di V che non mi aspettavo, e tornano presenti i compagni di allora. Siccome però il mio alpinismo spazia in filoni diversi, Ettore Castiglioni mi riappare anche nelle parole che portano la sua firma. L’alpinismo mi ha portato a studiare geologia, e penso di saper cogliere negli itinerari da lui descritti il riflesso dell’aver accompagnato il fratello geologo Bruno Castiglioni in molte esplorazioni. Riconosco dove i diversi modi di considerare le pietre e la costituzione delle montagne si sono intersecati felicemente. Per esempio nelle Pale di San Martino.
Oltre le Alpi, Castiglioni era interessato all’alpinismo extraeuropeo e ha pure curato per Alpinismo Italiano nel Mondo le prime raccolte di resoconti delle spedizioni italiane. La sua esperienza personale si è, credo, limitata alla spedizione di Aldo Bonacossa nelle Ande Patagoniche, nel gruppo Fitz Roy-Cerro Torre. Ritengo che nel 1937 lui fosse comunque troppo giovane, e di passione alpinistica esclusiva prorompente, per confrontarsi con le implicazioni politiche e sociali di quegli anni, sia in Europa, sia in Argentina. Il Fitz Roy non era stato ancora scalato, Ettore scalpitava, ma i compagni non possedevano la sua esperienza tecnica di alto livello su roccia, necessaria per seguirlo nel tentare l’ascensione. Mi è stato confidato che rimpiangeva di non essersi trovato lì con il grande Bruno Detassis, perché con lui avrebbe potuto portare a casa la prima ascensione di quello splendido monte. Non dimentichiamo però che in quella spedizione venne individuato e raggiunto l’intaglio di cresta da cui è poi partita la conquista sommitale del Fitz Roy quasi vent’anni dopo, intaglio che da allora si chiama Brecha de los italianos.
A me, oggi, viene da riflettere su una possibile illazione: Bruno Detassis era socialista – in una cordata alpinistica, questo non c’entrava di certo, ma chissà, forse nel 1937 per partecipare a una spedizione, sì. Castiglioni e Detassis: una cordata nel senso umano del termine. Sulla guida delle Alpi Carniche, ho incontrato la data di una via aperta da loro che corrisponde alla mia data di nascita. Bella casualità. Non mi sono invece mai addentrata in senso storico-politico nelle vicende per le quali Castiglioni è poi emerso nelle cronache dell’antifascismo. Della sua rischiosa attività clandestina di coraggioso accompagnatore attraverso la frontiera tra la Valle d’Aosta e il Canton Vallese, mi sono fatta idee solo personali, che ovviamente valgono per quel che valgono. Collego le sue azioni contro le disposizioni di legge, che potevano costargli la pelle come del resto è successo, non solo a motivazioni umanitarie che da sole non sarebbero state sufficienti, e forse neppure a convinzioni politiche precise, bensì al coraggio di prendere iniziative su responsabilità personale, anteponendo una giustizia morale alle ingiunzioni di regolamenti e decreti, per di più in tempo di guerra. Una rischiosa disobbedienza civile esemplare, per la quale penso che collocarne la memoria tra le azioni de “I giusti dell’umanità” non sia doveroso solo per la Storia e specifico per le vittime della persecuzione degli ebrei: ritengo che riproporla oggi sia doppiamente doveroso in senso molto più esteso, quando considero gli atteggiamenti di “servitù volontaria” dei tempi nostri.
Le guide compilate da Castiglioni per il CAI-TCI, esempi indiscussi di metodo e ricerca: Pale di San Martino (1935) e Odle-Sella-Marmolada (1937), quindi Dolomiti di Brenta (1949) e Alpi Carniche (1954), uscite postume.
Castiglioni è anche l’autore di Guida sciistica delle Dolomiti ( 1942), altro lavoro basilare per lo scoperta e la divulgazione della montagna (p.g.c. Fondazione Giovanni Angelini).
Nelle mie peregrinazioni letterarie, ho immaginato Castiglioni in fuga dal carcere di Sion dove gli svizzeri lo avevano rinchiuso, a scalarne le stesse mura di cinta come Farinet, il protagonista libertario del bel romanzo di Ferdinand Ramuz. Nel recupero della propria libertà e del proprio senso di giustizia contrario alla legge, Farinet fugge dal carcere ma va incontro alla morte sui suoi monti.
Cosa poi pensasse o meditasse davvero Castiglioni, nelle sue scelte esistenziali, nel suo modo di considerare e sperimentare le tappe della passione alpinistica, non lo so. Non mi va di giocare a interpretazioni psicologiche intorno agli scomparsi: appartengono al mio mondo culturale anche se non li ho conosciuti da vivi. Il mio tentativo di avvicinarli e di capirli sta nella rispettosa ricerca di possibili convergenze e sintonie, al di là del contesto storico che li ha condizionati.
Alcune sintonie, in certo qual modo, con un Ettore Castiglioni le posso intuire. L’insofferenza per imposizioni ritenute ingiuste, il bisogno di autonomia e libertà anche fisica, il gusto di un impegno scelto in diversi campi. La selezione nei rapporti di amicizia. Non escludere il confronto con domande aperte, né con domande che pur già sappiamo senza risposta.
Non escludere introspezioni, né verifiche scomode, né tensioni verso una trascendenza spirituale che possono albergare nel panteismo. Decidere con responsabilità personale le priorità da attribuire nella vita, accettando di poter commettere errori e di doverli pagare. Mi piace pensare che siano esistite persone che hanno cercato questi aspetti e valori nell’alpinismo e che tramite l’alpinismo li abbiano praticati. Mi piace pensare a consonanze fuori del tempo. Che sia esistito un personaggio come Ettore Castiglioni in quel mondo di “bellezza inutile” che ho scelto anch’io.
Oggi l’alpinismo sta concludendo una sua tappa storica e non sappiamo dove ci condurrà la sua trasformazione. Le personalità significative del passato possono parlarci ancora, ed è bene richiamarne l’importanza quand’anche fossero solo di nicchia; eppure temo che nella stessa nicchia sovente ci sia la tentazione di interpretarle, oltre le ricostruzioni storiche già di per sé lacunose, come allineate secondo tendenze del momento. Non mi garbano le biografie romanzate di una realtà ipotetica poiché, nel voler salvare il passato pur con le migliori intenzioni, applichiamo i nostri criteri attuali: non sapremo mai immedesimarci davvero nel contesto anche ideologico dei periodi che non abbiamo vissuto. Non mi garbano perché mi sembra che si commettano ingiustizie alla memoria, un peccato che si aggiunge a quello di una probabile incomprensione patita in vita. Possiamo solo salvare il rispetto.
Non vedo il senso, per esempio, nel nostro mondo alpinistico, di voler confrontare un Castiglioni con un Preuss, o considerare le sue scalate secondo le regole sportive dell’arrampicata attuale. Anzi, proprio pensando a Ettore Castiglioni, a quello che sappiamo del suo alpinismo di ricerca personale e delle sue scelte, mi sembra che sarebbe più consono ricordarlo non applicando più il termine “etica” a regole sportive sulle chiodature in parete, bensì limitando il termine “etica” al comportamento morale praticato nei riguardi del prossimo, e non all’osservanza di regolamenti. Che anche nell’espressione gergale si chiarisca la differenza di significato e di valore tra i rischi di caduta in parete, accettati o meno, e i rischi impliciti nelle scelte che meritano di essere definite etiche. Non solo in montagna. Utile per chiarire anche l’astrazione del concetto di “rispetto per la montagna” tanto in voga mediatica, quando di rispetto ne abbiamo ben poco per il prossimo vivente e forse neppure in futuro per la sua memoria.
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Senza alcun riferimento con quanto riportato sopra, la redazione di GognaBlog offre ai lettori questa “chicca”: una lettera di Ettore Castiglioni (del 14 dicembre 1942) a Giovanni Bertoglio.
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109 MG – Heinrich Harrer?
Un furbetto, altro che! A 21 anni faceva già parte delle SA, Hekcmair in una intervista sul defunto ALP raccontò che Harrer voleva lasciare sull’Eiger appena salito una piccozza con la bandiera nazista e lui gli disse semplicemente che se l’avesse fatto avrebbero ritrovato lui, la piccozza a valle insieme alla bandierina. Anche Messner una volta gli chiese se avesse il gruppo sanguineo tatuato sotto l’ascella sinistra (come tutte le SS) ma Harrer non rispose.. Ed era talmente ingenuo che Himmler lo incluse nella spedizione in Nepal dove fu poi arrestato…
106 -Le Castiglioni-Detassis..
Certo,Bruno era un GENIO!
fermo restando (e riconcordo con cominetti) che difficilmente chi vive perennemente dentro ai recinti che si costruisce difficilmente sarà un grande alpinista, che è attività che richiede vedute inusuali, sogno, azzardo, avventura, schemi sempre nuovi, capacità di vedere quello che altri non vedono (salvo che non si intenda per tale attività far la cresta dei bimbi legati come salami e con rigoroso piletto monturato pataccato).
peraltro io ho fatto il corso istruttori nella delegazione LPV (seppur molti anni fa) e le uscite erano tutte in Piemonte e val d’asta con istruttorie sabaudi: fra questi tetragoni difensori dell’ordine costituito caiano ho incontrato molte persone in gamba ma lontano dagli schemi crovellici e qualche dirigente che era assai più omo de panza e patacca che valente alpinista e dava il meglio di sé a parole e tavola in rifugio… sarai mica di quella genia là?
https://www.youtube.com/watch?v=oPW6VFDyJqQ
🙂
“il vizio di fondo è che partite dall’assioma che l’alpinista sia esclusivamente un ribelle del sistema, in quanto ricercatore della libertà esasperata fino alla ribellione”
L’unico che ha scritto una simile scemenza sei tu. al commento 10.
Nessun altro ha fatto simili parallelismi. Che invece tu ritieni impliciti.
Ma l’implicito è una bestia pericolosa, perché io potrei affermare che è implicito che chi scrive simili sciocchezze sia un coglione, ma rimarrebbe un mio assioma.
Forza: riporta con copia incolla un commento nel quale qualcuno di quelli che tu identifichi in “voi” ha accomunato la bellezza delle vie alla fede politica.
Attendiamo con fiducia (quello di cominetti non vale perché semplicemente lodava Castiglioni e provocatoriamente chiedeva cosa ne pensava un tal catenacci sabaudo, ma senza alcuna comparazione fra gesta umane e politiche e caratura alpinistica).
“Polemizzo con tutti i lettori di quella linea, ci sei anche tu”
“[la] frangia di commentatori che “vedono” grandi le vie di uno solo se lo considerano un “grande” uomo “
Ah polemizzavi con me?
Io sarei uno che vede grandi vie solo se di “grandi” uomini?
Guarda, io conosco vie, grandi vie e grandi uomini, qualche volta anche per conoscenza diretta degli uni e delle altre.
Ma TI SFIDO a trovare una sola, singola volta dove abbia confuso le tre categorie, considerando grande una via perché aperta da un “comunista” o viceversa abbia deprezzato una via perché aperta da un “fascista.
O me la trovi o vedi di tacere, omuncolo, che hai superato tutti i limiti della decenza!
@112 Polemizzo con tutti i lettori di quella linea, ci sei anche tu. Sul resto (GG), guardandosi intorno, non mi pare che ci si possa aspettare altra reazione a quella ipotizzata.
Crovella, di alpinismo parlino gli alpinisti.
L’alpinismo è pericoloso, richiede fantasia, prendersi rischi, azzardare, sognare…tutte cose che il protocollo caiota non contempla. Ergo: il Cai NON fa corsi di alpinismo con istruttori che alpinisti non sono.
Polenta e salsiccia per tutti, mi raccomando.
“ho polemizzato…con la frangia di commentatori”
Chi esattamente? Non se ne vede proprio traccia in nessun intervento
“quindi se tanto mi da tanto…non mi stupirei se”
…come al solito ti sei fatto un film, hai deciso che c’era un nemico contro te e la tua “visione” schierato e hai dato stura alla tua incontinenza logorroica.
Non ho mai polemizzato con Silvia Metzeltin, ma con la frangia di commentatori che “vedono” grandi le vie di uno solo se lo considerano un “grande” uomo (e, implicitamente, danno per scontato il contrario). Ho già detto più volte che si può essere grandi uomini e scarsi alpinisti e viceversa. Sulla reazione di un certo ambiente alpinistico (“politically correct”) all’eventuale prova provata di GG delatore, ho molti dubbi che vi limitereste a dire “grande alpinista e piccolo uomo”. Vediamo l’aria che tira nell’attuale società: si è “vandalizzata” (in termini di vernice in testa) la statua di Montanelli, quando si è diffuso il risvolto (peraltro già storicamente noto) che egli aveva avuto una moglie giovanissima quando era in Africa orientale negli anni ’30 (ma la ragazza era in “età da marito” secondo i canoni della sua cultura tribale), come se M avesse compiuto un atto di pedofilia. Chi ha vandalizzato la sua statua, sostiene che Montanelli dovrebbe essere delegittimato anche come giornalista, mentre è stato un indiscusso gigante del giornalismo. Quindi, se tanto mi dà tanto, a fronte di un’eventuale “macchia” di GG (=eventuale prova provata di sue delazioni), non mi stupirei che si pretendesse di delegittimarlo anche come grande alpinista
che poi un alpinista possa essere anche un grande uomo, non deriva dalle sue abilità tecniche, ma dalle qualità e dalle sue scelte nella vita.
Tutti noi abbiamo scalato con dei coglioni fortissimi e con persone straordinarie e scarse.
Sembra una follia doverlo precisare (Matteo ha perfettamente colto il senso su gervasutti), ma tant’è.
non mi pare che la metzelin divida fra buoni e cattivi, fra destra e sinistra, ma tratteggia con molta poesia una propria assonanza emotiva con una figura indubbiamente affascinante, precidendo peraltro anche dalla accurata indagine storica ma andando su base istintiva.
L’unico che continua con un manicheismo esecrabile a rompere i coglioni (citazione cominetti) a tutti con ogni possibile contrapposiozione fra noi e voi, destra sinistra, libertà e rigore, ebrei e palestinesi, rigore caiano e creatività cannibalesca sei tu: la vita è, per fortuna un pò più morbida e sfumata e solo gli stolti o gli ottusi creano sempre recinti… ti auguro ti viverne una prossima un po meno sabauda
è peraltro probabile che molti abbiano accondisceso ad un regime pur di continuare frae quello che amavano, aldilà di una vera adesione ideologica.
Heinrich Harper docet : “Ero giovane. Lo ammetto, ero estremamente ambizioso e mi era stato chiesto se avessi voluto diventare l’istruttore di sci delle SS. Devo dire che approfittai subito dell’occasione. Devo anche dire che, se mi avesse invitato il Partito Comunista, mi sarei unito a loro. E se mi avesse invitato il diavolo in persona, sarei andato con il diavolo”
Le vie hanno fatto di Castiglioni un grande alpinista, l’episodio finale (quello che tu disapprovi dall’alto della tua caianità) ha fatto il grande uomo.
Le vie hanno fatto di Gervasutti un grande alpinista ma se mai venissero provati i rapporti con OVRA (e ne dubito fortemente) si capirà che è stato un piccolo uomo.
@105 o hai letto male o il numero di battute mi impedisce di esprimere efficacemente i concetti. Castiglioni è stato un grande alpinista, importantissimo. Ma, appunt,o per le vie che ha scalato e per l’attività editoriale, NON per l’episodio finale, che non c’entra nulla con la storia dell’alpinismo. Su Comici non sappiamo come avrebbe reagito all’8 settembre, ma che c’entra? Purtroppo per lui è scomparso prima. Sta di fatto che gli ultimi tempi non li ha passati in carcere come massimo mila, ma era stato nominato dal regime e l’ha ben accettato. Eppure questo non inficia minimamente la sua importanza nella storia dell’alpinismo. E’ questa la tesi di fondo: le due realtà sono slegate. Ho già detto che io non condivido la posizione del mio amico su Gervasutti agente dell’OVRA ma perché io ritengo che le argomentazioni al riguardo siano deduttive e non prove oggettive. Se domani saltasse fuori una prova oggettiva su GG agente OVRA, come reagirebbe il mondo dei benpensanti idealisti? Si dovrebbero cancellare tutte le vie di GG? La Est delle Jorasses diventerebbe improvvisamente un letamaio storico? E il Pic Gugliermina? E la Nord dell’Ailefroide? Tutto ciò dopo che per 75 anni sono state celebrate come imprese grandiose dell’alpinismo?
“Ho ripetuto diverse vie di Castiglioni “
…e ne avessi trovata una brutta!
In particolare le Castiglioni-Detassis
Qui ti sbagli proprio, a parte le sue scelte politiche, Castiglione è stato un grande alpinista, oltre che un forte arrampicatore è stato un innamorato della montagna a 360 gradi. Basta vedere la sua immensa attività alpinistica di ricerca e di apertura di vie nuove di ogni livello , oltre alla sua grande cultura della montagna. Ho ripetuto diverse vie di Castiglioni dalla Marmolada al Sella, alle Pale di San Martino, ect. e quelle sono fatti non parole!!
102. continui a dire stupidaggini. comici è morto nel 40 ed è stato nominato commissario prefettizio nel 38. non sappiamo quale posizione avrebbe potuto prendere negli anni successivi quando molti hanno fatto scelte radicali dopo l’8.9.1943 (Castiglioni compreso).
Castiglioni è personalità di spicco per i suoi risvolti culturali durante tutta la sua vita, per la sua capacità alpinistica e il senso del bello in generale, per scelte coraggiose nel disertare e iniziare ad aiutare persone ad espatriare da un paese ostile e pericoloso per loro e anche per le sue scelte finali, drammatiche e che solo un cialtrone può oggi giudicare con tanta leggerezza e sicumera definedolo uno poco accorto che affronta il ghiacciaio scalzo.
quindi se dopo sessanta e rotti commenti sulla fava e la rava ritorni a Castiglioni in questo modo potevi restare dov’eri.
Un simile mix di arroganza ignoranza tracotanza invadenza e fastidiosità credo sia da primato. Nessuno censura le tue idee ma la modalità logorroica e da stalker con cui le proponi.
Una scienza rimane una scemenza, ognuno è libero di dirla, forse lo è un pò meno quando lo fa dalle 40 alle 100 volte al giorno in un luogo deputato allo scambio.
Se a un convegno su Castiglioni o sulla responsabilità penale omissiva o suoi lepidotteri ci fosse uno che ogni cinque minuti alza la mano e parla delle scuole caiane piemontesi per venti minuti probabilmente verrebbe banalmente accompagnato alla porta .
A prescindere dal contenuto condivisibile o meno di quel che dice.
non parliamo, poi, delle vie!
E infatti continui a buttarla bovinamente in politica, quando ti abbiamo già spiegato che negli anni dell’alpinismo eroico, prima della guerra c’era una dittatura e quindi o ti adattavi ad aderire almeno formalmente o non andavi in montagna, non lavoravi, in definitiva non vivevi
In ogni caso tu fai bene a non parlare delle sue vie: mi pare più che corretto.
Sarei stupito tu ne avessi fatta anche una sola di Castiglioni o una di Comici…
A proposito, la Gervasutti alla Sbarua almeno l’hai fatta?
Tornando a Castiglioni, una cosa che mi colpisce è che, per “certi” lettori, a farlo grande sia SOLO la sua “ribellione” finale rispetto al precedente valore alpinistico e culturale. Sembra che Castiglioni sia visto come un personaggio importante SOLO per l’atto finale e ciò a prescindere dal pregresso (dove avrebbe potuto anche essere un anonimo terzogradista senza pubblicazioni all’attivo, non parliamo, poi, delle vie!). Ma il punto è che l’atto finale non c’entra nulla con la sua importanza nella storia dell’alpinismo! Ho già spiegato che andar in montagna non è appannaggio esclusivo di una o dell’altra parte politica. Per esempio Comici, al termine della vita fu nominato dal regime Commissario Prefettizio: in pratica il regime gli diede un posto, con relativo stipendio, come premio per i suoi meriti alpinistici che avevano dato lustro alla nazione. Applicando la stessa logica, ma in senso inverso, dovreste disprezzare Comici per il finale della sua vita, mentre è invece indiscutibile la sua oggettiva importanza nella storia dell’alpinismo. Ragionando come fate voi, si rischia solo di dare delle patenti etiche, che nulla hanno a che fare con la storia dell’alpinismo. PS: è incredibile come gente, che non ha mai messo piede nella ns scuola, pretenda qui di sentenziare quale sia il mood lì dominate meglio di me, che ci sono dentro da 50 anni (contando anche quelli da allievo).
Caminetti, ne conosco tanti anche io.