Nello Yosemite di oggi, ci vuole una buona mezza giornata per salire Half Dome ed El Cap, entrambe in solitaria. Ma scalare tre vie di El Cap richiede un’intera giornata.
Finale di stagione
di Alex Honnold
(pubblicato su The American Alpine Journal, 2011)
Ogni anno lo Yosemite sembra portarmi nuove sfide, già cinque anni fa con le mie prime lunghe salite trad e continuando anno dopo anno su vie più lunghe e più difficili. Quest’estate in Valle è stata la mia stagione in artificiale. E siccome non ho ancora imparato a chiodare o tirarmi sugli ancoraggi, l’arrampicata artificiale per me significa arrampicata veloce. L’intera stagione può essere riassunta in due giorni “gloriosi”.
Entrambi i giorni sono nati dalla stessa idea. Sean Leary aveva proposto di fare la Triple (la Tripletta): tre vie su El Cap in un giorno. Avevamo fatto qualcosa di simile l’anno prima, quindi avevamo una buona idea di cosa comportasse e quanto tempo ci sarebbe voluto. Ma mentre stavamo pianificando la Triple, mi sono imbattuto nell’idea di fare un collegamento solitario tra Half Dome ed El Cap. Mi era sempre passato per la testa, anche se non avevo mai creduto di poterlo fare davvero. Ma quella stagione avevo già fatto diversi giri sul Nose e lo conoscevo abbastanza bene. Tutti i pezzi erano a posto per entrambe le salite: un tempismo fortuito in termini di psiche, forma fisica e opportunità.
Questi collegamenti hanno offerto l’opportunità di battere i record di velocità. Quello a cui tenevo di più era il record sull’Half Dome, che si attestava a circa 1h 50′ per una cordata che scalava in simultanea. Speravo di farcela da solo, soprattutto per una questione di stile. Salivo normalmente, senza controllare l’orologio o affrettare il passo. Ma speravo che salire da solo sarebbe stato più veloce dell’arrampicata veloce in coppia.
Anche il record di velocità in solitaria di Hans Florine per il Nose di 11 ore sembrava un obiettivo ragionevole, ma semplicemente arrivare in cima era molto più importante per me. Non avendo mai salito in solitaria El Cap e, del resto, avendo pochissima pratica di scalata solitaria con la corda, mi sembrava un’impresa problematica. Scalare il Nose da solo sarebbe una grande avventura; scalarlo velocemente sarebbe un valore aggiunto.
Il nostro obiettivo per la Triple era semplicemente salire tutte e tre le vie in un giorno. Ce ne fregavamo di record, stile o altre sottigliezze, volevamo solo fare un sacco di arrampicata. L’anno prima avevamo tentato di scalare Salathé, Nose e Half Dome in un giorno, ma ci siamo fermati dopo le due vie di El Cap. A fine scalata era rimasto abbastanza tempo per capire che era possibile arrampicare di più in un sol giorno; si trattava solo di farlo.
Sean e io abbiamo programmato di scalare la Triple di giovedì. Questo sarebbe stato il culmine della mia stagione, quindi ho pensato che avrei dovuto fare prima il collegamento solitario. Speravo di farcela il martedì e poi riposarmi un giorno prima di arrampicare con Sean. Ho camminato fino alla base dell’Half Dome lunedì pomeriggio e ho bivaccato alla base in modo da essere meno stanco per la salita di giovedì su El Cap. Questo era un “imbroglio”, dato che Dean Potter e Hans Florine avevano entrambi fatto questo collegamento da Valley a Valley, ma non ero troppo preoccupato. La parte importante per me era solo essere in grado di fare la scalata.
Il mio piano era semplice: avrei fatto free solo su tutte le cose facili – qualsiasi cosa più o meno fino al 5.10b – e avrei “tirato” l’attrezzatura per il resto. Avevo un doppio set di attrezzatura sottile per i diedri superiori, ma nessun dado o friend delle dimensioni di una mano. Avevo preso uno zaino con scarpe, cibo, acqua e un pezzo di corda di 10 metri, in caso di bisogno sul Robbins Traverse o qualsiasi altro imprevisto.
Ero sveglio prima del sole, aspettando con impazienza sotto la via che ci fosse abbastanza luce per iniziare a salire. Un enorme cono di neve copriva ancora la base, quindi non ho fatto partire il cronometro, né mi sono messo le scarpe da arrampicata, fino a metà del primo tiro, dove mi sono accovacciato su una piccola cengia e mi sono preparato per il resto dell’avventura. Da lì sono salito quasi senza fermarmi fino alla vetta. Non avevo staffe, ma ho usato le daisy chain per agganciarle agli spit nelle sezioni dure. (In seguito venni a sapere da un amico della Black Diamond che questa è una pratica assai pericolosa, dal momento che le daisy chain non sono progettate per resistere a una caduta. Per fortuna, non ci sono mai caduto sopra…)
Avendo già salito la via in free solo qualche anno prima, la solitaria semplice mi è sembrata una vacanza. Uso “solo con la corda” (rope soloing) come termine generico per il mio stile sia sulla Regular dell’Half Dome che sul Nose, anche se non ho quasi mai usato la corda. Per me il rope soloing include tutti gli stili di solitaria che coinvolgono l’attrezzatura. Essere senza corde sull’Half Dome mi ha ricordato il divertimento e la libertà di movimento che derivano dal free solo, mentre l’attrezzatura lo rendeva molto meno impegnativo. Potevo rilassarmi e godermi l’arrampicata, sapendo che in qualsiasi momento avrei potuto scegliere di mettere l’attrezzatura o mettermi in sosta. Per tanti versi, era una combinazione del meglio di entrambe le discipline: potevo essere da solo su una grande parete, ma allo stesso tempo sentirmi al sicuro.
La discesa dall’Half Dome è stata piacevolmente breve e fresca. La salita era durata circa due ore, quindi ho camminato di primo mattino mentre pensavo al percorso successivo della giornata. The Nose ha richiesto tattiche un po’ più complicate, dato che l’arrampicata è un po’ più difficile e mi stavo stancando. Ho pianificato seguendo la stessa strategia generale – free solo sui tiri facili e improvvisando sul resto – ma poiché sul Nose c’è un terreno molto meno facile, ho deciso di prendere una corda a tutta lunghezza e un doppio rack standard (attrezzatura standard doppia, NdR). Ho preso in prestito una mezza corda sottile da un amico perché più leggera e, se tutto andava bene, comunque sufficiente in caso di caduta. Sfortunatamente, il rack si è rivelato un peso. Non mi ero reso conto che in rope soloing e, in particolare in daisy soloing, non si lascia mai l’attrezzatura dietro. Così ho finito per portare sempre il notevole peso dell’intera dotazione, della corda e dello zaino.
Per lo più sono salito in free solo fino al Great Roof, anche se mi sono legato alla corda in modo da poterla usare sui pendoli dei tiri più bassi della via. Ho anche salito in rope soloing la breve sezione di arrampicata artificiale fino al Boot Flake, anche se appena arrivato alla fessura di mano sul Boot sono tornato all’arrampicata libera. La linea di via non era diretta e gli anelli della corda si sarebbero impigliati spesso, quindi era più semplice fare a meno della corda il più possibile. Ma quando ho raggiunto il Great Roof, non ho nemmeno pensato al free solo o alle daisy. Ho scelto subito di salire il tiro in solitaria tradizionale. Ho sempre trovato il Great Roof, che richiede un’attrezzatura davvero micro, molto intimidatorio. Così l’ho fatto in artif, poi l’ho ridisceso in doppia, quindi l’ho risalito a jumar per pulirlo. Finita questa manovra, la fatica cominciava a farsi sentire.
Man mano i che salivo più in alto e che la stanchezza mi prendeva, mi agganciavo alle protezioni sempre più spesso. Salivo una fessura da mano spingendo un Camalot n. 1 davanti a me. Oppure mi tenevo sulla camma con una mano e incastravo l’altra. Era uno stile molto fluido, che cambiava continuamente mentre andavo. Fondamentalmente, ho fatto tutto il possibile per rendere l’arrampicata facile sentendomi anche sicuro.
Quando sono arrivato in cima sono stato sorpreso di scoprire che erano passate solo sei ore dall’inizio della via. Mi sono sentito vagamente sciocco per aver portato cibo, acqua, vestiti e una lampada frontale in più, per poi finire di arrampicare a metà pomeriggio. Le mie preoccupazioni di passare la notte lungo il percorso erano ora sostituite da un pensiero più piacevole: dove andare a cena quella sera. Il mio tempo complessivo sul collegamento è stato di circa 11 ore, quindi una mezza giornata di arrampicata molto soddisfacente.
Dopo il collegamento in solitaria, ho avuto difficoltà a sentirmi motivato a salire un altro collegamento due giorni dopo con Sean. Mi facevano male i piedi e le gambe erano stanche. Ma soprattutto il mio appetito per l’arrampicata era sazio. Avevo avuto una grande porzione di big wall e non ero sicuro di poterne gestire altre così presto. Così ho lasciato la Valle per qualche giorno per vedere la mia ragazza e ricaricare le batterie.
Quando Sean e io ci siamo incontrati a El Cap Meadow la settimana successiva, sembrava che la stagione fosse cambiata. Era ufficialmente estate. Faceva un caldo torrido e non c’erano quasi scalatori su nessuna delle pareti. Avevamo programmato di partire al buio e salire prima il Nose, dato che entrambi lo conoscevamo bene. Poi la Salathé, visto che al mattino è in ombra. E alla fine avremmo patito Lurking Fear sotto il sole cocente del pomeriggio. Sapevamo che sarebbe stato brutale fare la nostra ultima via con il peggior caldo della giornata, ma abbiamo giustamente pensato che a quel punto della Tripla avremmo sofferto comunque, quindi un po’ di più non avrebbe avuto importanza.
Abbiamo iniziato ad arrampicare intorno alle 20.30, non appena il sole ha lasciato la parete. Sean ha aperto la prima metà della via con me che arrampicavo in simultanea dietro di lui. Dopo il King Swing ho preso il comando e ho sistemato il resto del percorso fino in cima. Abbiamo svegliato una cordata che bivaccava al Campo 6, ma per il resto avevamo il percorso tutto per noi. È stato piacevole come tutto sia andato liscio, impiegandoci solo quattro ore anche se era buio. Anche la nostra discesa è stata abbastanza veloce, impiegando solo poco più di un’ora per tornare ai boxe degli orsi dove avevamo lasciato cibo e acqua.
I dettagli della Salathé non sono molto importanti. Abbiamo scalato la via. Ci sentivamo più stanchi. Siamo scesi. Ci siamo sentiti ancora più stanchi. All’ora di pranzo eravamo di nuovo al nostro boxe degli orsi a El Cap Meadow, cercando di trangugiare quanto più cibo possibile. C’era un po’ di gente in giro: scalatori e dirtbags che vivevano in valle. È stato bello avere alcune persone con cui parlare, solo per mantenerci motivati. Questo è sempre un problema nei concatenamenti: il tempo morto tra i percorsi, quando ci si sente così bene nel relax che è davvero difficile ricominciare. Ad un certo punto ho visto Sean a bagno nel fiume e ho temuto che non volesse proseguire.
Uno dei momenti salienti della nostra pausa pranzo è stato parlare con Steve Schneider, che con Hans Florine ha scalato El Cap tre volte in una giornata (1994). Hanno scalato vie leggermente diverse e hanno usato corde fisse per scendere, il che deve aver fatto risparmiare un po’ di energia. Ma in entrambi i casi, scalare El Cap tre volte in un giorno è una bella mazzata. Steve ci ha fornito alcune dritte dell’ultimo minuto per Lurking Fear prima che iniziassimo, cosa che abbiamo davvero apprezzato. A quel punto, con il caldo soffocante del pomeriggio che calava sulla valle, ci sentivamo entrambi un po’ pigri. Abbiamo camminato molto più lentamente, a testa bassa, concentrati sul macinare un’altra via.
The Nose era stato molto divertente, la Salathé un po’ più faticosa, ma Lurking Fear era semplicemente lavoro duro. Come tutti i detti popolari secondo cui l’alpinismo è più sofferenza che arrampicata, ho sentito che scalare per la terza volta un grado VI in un giorno era decisamente più lavoro che divertimento. In breve ho fatto short fixing per la maggior parte della via e poi Sean ci ha portato in simul-climbing fino alla vetta. La cosa più memorabile della via è stato il dolore ai piedi, che a un certo punto è stato così forte che ho fatto uscire i talloni e ho finito il tiro solo con le dita dei piedi dentro alle scarpette.
La discesa finale è stata del tutto surreale. Mentre superavamo la cima del Nose sulla strada per le East Ledges, la fatica fisica e mentale era immensa. Mi sentivo come se avessimo scalato il Nose una settimana prima, non quella mattina. Sedici ore di arrampicata simultanea e di short fixing + sette ore di escursionismo avevano ridotto il nostro mondo a una sfocatura.
Il collegamento in solitaria è stato forse una sfida mentale maggiore, dal momento che non ero sicuro di poterlo fare e c’era un po’ più di rischio. Ma la Triple è stata una sfida fisica molto più grande, spingendo sia me che Sean ben oltre i nostri precedenti livelli di stanchezza. E sebbene nessuno di quei giorni sia stato davvero rivoluzionario, entrambi hanno amplificato il mio rapporto con l’arrampicata e le mie possibilità future. Fare da solo El Cap due o più volte in un giorno? Possibile. Fare da solo pareti ancora più grandi in un giorno, usando lo stesso tipo di stile improvvisato? Probabilmente. Arrampicare con Sean per così tanti tiri ha dimostrato che potevamo andare più a lungo di quanto avremmo potuto pensare, e che anche quando tutto il mio corpo gridava di fermarmi e riposare, potevo ancora arrampicare per ore.
Onestamente, però, la Triple non è stata un’avventura, dato che il risultato era quasi certo fin dall’inizio. Sapevamo quanto tempo avrebbero richiesto i percorsi e sapevamo di avere abbastanza tempo durante la giornata. In realtà l’esecuzione è stata solo una questione di duro lavoro. Il collegamento in solitaria è stato molto più di un’avventura, dal momento che non sapevo se ce l’avrei fatta. È quel tipo di avventura che mi attira verso le solitarie. Mi piacciono le sfide che mi spingono oltre i miei limiti precedenti, ma spero non così lontano da essere pericolose. E’ il camminare su quella linea sottile di “sfida quanto basta ma non troppo” che rende la solitaria un gioco mentale così eccitante. Non tutti sentono il bisogno di spingere per tutto il tempo, e penso che sia in parte il motivo per cui così tante persone disapprovano la solitaria. Ho cercato di essere sicuro e di godermi l’arrampicata senza fretta; tutta la mia fretta era riservata alla Triple, dove ci siamo trafelati più velocemente che potevamo per tutto il giorno. Non abbiamo battuto nessun record con quel collegamento, ma abbiamo dato un nuovo esempio di quanta arrampicata si può fare in un giorno usando le normali tattiche di velocità di Yosemite.
Molti altri alpinisti hanno già effettuato collegamenti simili: Dean Potter, Timmy O’Neill, Hans Florine e Steve Schneider sono solo alcuni nella recente storia di Yosemite. Ma anche se nulla dei nostri collegamenti è stato davvero rivoluzionario, sono stati due dei miei migliori giorni di arrampicata. In entrambi i casi c’è stato un leggero miglioramento nello stile rispetto alle precedenti salite e un netto aumento del ritmo, ma la cosa più importante per me è che abbia fatto del mio meglio, che abbiamo fatto del nostro meglio. Qualcuno migliorerà presto le nostre salite, ma per noi è stato un piacere.
Sommario
Zona: Parco nazionale di Yosemite, California.
Ascensioni: Half Dome’s Regular Route ed El Capitan’s The Nose. Il 22 giugno 2010, Alex Honnold ha combinato un collegamento in solitaria di Half Dome’s Regular Northwest Face (2.200 piedi, 2h 09′) e The Nose su El Capitan (2.900 piedi, 5h 59′), che ha dimezzato i record di velocità in solitaria per entrambe le vie. El Capitan Triple: in 23 ore tra il 30 giugno e il 1 luglio 2010, Alex Honnold e Sean Leary hanno scalato The Nose (2.900 piedi), Salathé Wall (2.900 piedi) e Lurking Fear (2.000 piedi), comprese le discese tra le salite.
Note sull’autore (scritte nel 2011…)
Alex Honnold (25) è nato e cresciuto a Sacramento, in California. Non vede l’ora di arrampicare altrove nel mondo, ma finora è stato felice in Yosemite e nelle escursioni a Zion, dove ha salito in free solo il Moonlight Buttress (1.200 piedi, 5.12+). Sale a-vista vie sportive di 5.13+, oltre ad altre sue numerose salite in libera. Alex dice che “Quando sono nella Valley, mi piace arrivare in tempo per la pizza appena sfornata. È allora che sai di averla fatta davvero in un giorno. Molto distinto». Ma dice anche: “Quando invecchierò diventerò un alpinista. Sembra che l’unico modo per continuare a scalare vie sempre più grandi sia andare sulle vere montagne. Ma per ora Yosemite è abbastanza grande”.
J’admire beaucoup Alex Honnold, et j’espère qu’il ne lui arrivera rien de grave dans sa belle vie de grimpeur.
Ma questi scalano vie a ripetizione in giornata che una volta richiedevano bivacchi su portaledge e diavolerie del genere. Va bene che le vie siano tutte attrezzate ma siccome il clean-climbing lo hanno inventato loro, non mi immagino “scale per galline” di chiodi a pressione e non. Sono già arrivati i marziani e nessuno mi ha detto niente ?E poi via alla grande in “simul-climbing” … da Google apprendo che dovrebbe essere la nostra “conserva protetta” che loro applicano spensierati su quelle vione e su quelle difficoltà.
Sti americani sono veramente pazzeschi !
Roba da extraterrestri ma molto bella. Tutto va avanti grazie a persone così.