Le foreste e i terreni sono degli ottimi serbatoi di carbonio. Alla luce degli scarsi o nulli risultati ottenuti in ambito climatico attraverso le politiche adottate finora è estremamente necessario allargare lo spettro degli strumenti da mettere in campo. Tra questi spiccano le Nature-Based Solutions, oggetto del saggio di Enzo Di Giulio e Stefania Migliavacca pubblicato su ENERGIA 3.22 con particolare attenzione all’aspetto della forestazione.
Foreste e altre soluzioni naturali alla crisi climatica
a cura della Redazione di rivistaenergia.it
(pubblicato su rivistaenergia.it il 10 ottobre 2022)
“Il grido della scienza è fondato: l’auto sfreccia veloce verso la catastrofe.” Non bastano più i proclami ambientalisti, né le politiche scialbe emerse nei consessi internazionali. Urge un’azione concreta. Tra le tante linee di azioni percorribili, un contributo alla protezione del nostro pianeta potrebbe venire dalle Nature-Based Solutions (NBS), così come ci illustrano Enzo Di Giulio e Stefania Migliavacca nel loro saggio comparso su ENERGIA 3.22 (Stoccare la CO2: foreste e altre soluzioni naturali (pp. 56-68)).
Cosa sono le NBS? “Piantare nuovi alberi, proteggere le foreste esistenti, incrementarne l’estensione e la qualità, gestire in modo efficiente i terreni. (…) L’idea di fondo è che le foreste e i terreni sono degli ottimi serbatoi di carbonio e, pertanto, potrebbero essere utilizzati per compensare le emissioni generate dalla combustione delle fonti fossili” (1. Fatti e retorica).
Tanto semplice e “naturale” una loro spiegazione, quanto estremamente complesso capire la dinamica albero- emissioni catturate-impatto sul clima. Molte, infatti, le variabili da tenere in considerazione (potenziale di abbattimento, costi, addizionalità) e su cui la letteratura ha fornito le più svariate stime, in parte ricostruite dagli autori nel secondo paragrafo (2. La soluzione della crisi climatica è nelle foreste?).
Tra queste, la più difficile ma anche la più importante, è la “stima dell’abbattimento delle foreste – non solo potenziale, anche presente”. Si sprecano i numeri e gli studi a proposito, tra di loro anche contrapposti e divergenti, come dimostra l’ampio paragrafo che gli autori vi dedicano (3. Quanto CO2 assorbono le foreste?).
Tuttavia, pur nella difficoltà di trovare un dato unico e inequivocabile, Di Giulio e Migliavacca sostengono che: “abbiamo compreso che gli alberi non possono rappresentare il silver bullet che risolve il problema del clima. D’altra parte, è sbagliato aderire alla tesi estrema che gli svantaggi siano più dei vantaggi. (…) Pur non disponendo di una rassegna esaustiva degli studi, l’impressione che si ricava è che comunque la tesi di un accumulo di carbonio superiore alle emissioni sia preponderante”.
Ragione quest’ultima sufficiente per giustificare un impegno in direzione delle Nature-Based Solutions. Da un punto di vista normativo (4. Foreste e crediti di carbonio: in principio fu REDD), “sia il ruolo delle foreste come serbatoio di CO2 sia il concetto di crediti di carbonio sono stati sanciti ufficialmente dal Protocollo di Kyoto nel 1997”.
Da allora, il tema è stato oggetto di dibattito nelle COP successive fino alla definizione della “REDD (Reducing Emission from Deforestation and forest Degradation) approvata formalmente dalla COP di Bali del 2007 come REDD+, dove il «+» rappresenta gli incentivi per la gestione sostenibile delle foreste e l’incremento degli stock forestali di carbonio.”
Le attività REDD+ “danno origine a crediti di carbonio da usare per raggiungere i Nationally Determined Contributions (NDC) oppure scambiabili sul mercato (che) collegano soggetti che generano emissioni di carbonio con soggetti che hanno un surplus di riduzione di carbonio”. Anche in questo caso, le dinamiche sono molto complesse e i meccanismi sono stati rivisti nelle COP più recenti da Parigi (costituzione dell’Articolo 6) a Glasgow (Article 6 Rulebook).
Rimandando all’articolo per una lettura più approfondita di queste dinamiche, ci limitiamo solo a distinguere le due “categorie di mercati in cui il carbonio viene scambiato come merce”:
1) i compliance markets: mercati regolati i cui i crediti si acquistano per raggiungere un NDC o ottemperare a un obbligo (tipo l’ETS) e
2) i voluntary carbon markets (VCMs), in cui “i soggetti scambiano crediti di carbonio su base facoltativa”.
Al mercato volontario, alle sue potenzialità ma soprattutto alle sue incongruenze (surplus di offerta, qualità dei crediti mancanza di una data di scadenza, collocazione geografica dei paesi venditori e ridotto numero delle società di certificazione) è dedicato il par. 5 (A che punto sono oggi i VCMS?).
Tra gli stakeholder più attivi nell’acquisto di crediti di carbonio sul mercato generati dalle foreste vi rientrano le compagnie energetiche. “Il modo in cui le aziende si procurano e utilizzano questi crediti di carbonio è fondamentale. Potremmo definire due approcci: «hands-on» e «hands-off». Le opzioni «hands-off» prevedono l’acquisto di crediti da piattaforme di scambio, broker o direttamente da chi ha messo in atto il progetto.” Mentre “L’approccio «hands-on» prevede invece che le compagnie siano coinvolte senza intermediari”. (6. NBS e compagnie energetiche).
“Le foreste non possono risolvere da sole la questione climatica”, si legge nelle conclusioni, “ma è altrettanto chiaro che possono dare una mano considerevole”. Tuttavia, viste le criticità insite nel mercato e l’apporto ancora insufficiente fornito dal privato e dalla società all’espansione del numero di alberi piantati, serve un ruolo più attivo dei governi (7. Foreste, Stato, mercato: conclusioni).
“Una sorta di rivoluzione copernicana che metta al centro dall’azione lo Stato, attraverso piani di forestazione pubblici che abbiano come target la piantumazione di mille miliardi di alberi nei prossimi dieci anni”.
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