Pilastro di Mezzo, via Messner

Metadiario -116 – Pilastro di Mezzo, via Messner (AG 1983-004)

Anche un editore come me, focalizzato sulla montagna, deve ogni tanto andare in vacanza, scegliere degli amici e condividere delle mete (anche se gli amici tendono malignamente a dire che io “impongo” le mete…).

Così finalmente il 14 luglio 1983 partiamo con Luca Santini e Luca Crepaldi alla volta delle Dolomiti. La novità è che viaggiamo con il mio nuovo Volkswagen arancio diesel, preparato per campeggio grazie all’essenziale aiuto di Massimo Demichela e Franco Salino. Non è molto diverso, come concetto (nel senso di concept), dall’altro verde che avevo venduto ad Andrea Gallo, con sommo dispiacere ma senso di necessità. Separarsene dopo nove anni era stato proprio un dolore, il fatto che però lo avessi venduto a un amico mitigava la sofferenza.

Anne-Lise Rochat in arrampicata sulla via dei Fachiri a Cima Scotoni. 22 luglio 1983.
Il Diedro Armani sulla parete nord-ovest del Croz dell’Altissimo
Alessandro Gogna sul Diedro Armani-Fedrizzi al Croz dell’Altissimo. 15 luglio 1983.

Certo, era un piacere girare con il mezzo nuovo. Andiamo a dormire in località Tovre, sopra Molveno. Con comodo, prima di cena, i due ragazzi si preparano la tenda.

La mattina dopo, di buon’ora, ci avviciniamo alla parete del Croz dell’Altissimo, con l’intenzione di salire la via Armani-Fedrizzi, un itinerario molto storico che m’interessa per via delle sue numerose fessure da provare in completa arrampicata libera.

Nessuno discute la mia posizione di capocordata durante tutta la salita, che si svolge con regolarità e velocità, a dispetto che siamo in tre. Ricordo una fessura strapiombante, quasi a tetto, munita di due o tre chiodi, che sapevamo essere il passo chiave. E’ una soddisfazione passare senza fare alcuna trazione su quei chiodi, ci sembra di essere nei panni eguagliati di Matteo Armani (o di Cornelio Fedrizzi, chissà): ma nel contempo siamo gonfi di rispetto nei loro confronti. La salita è sempre assai continua su roccia stupenda per tutti i suoi 650 metri, molla un poco solo nelle ultime lunghezze. Arriviamo all’uscita in forcella nel primissimo pomeriggio, decisamente soddisfatti e come al solito assetati.

Per il giorno dopo abbiamo appuntamento alla stazione di Trento con Anne-Lise Rochat verso le 18: chiaro che non possiamo impegnarci in qualcosa di lungo o in quota, dunque scegliamo di affrontare un altro dei miei sogni, il famoso Diedro Detassis al Piccolo Dain. Avvicinamento e discesa al furgone molto veloci. Piccolo problema: fa caldo, molto caldo, perché siamo a quota bassa.

Luca Santini all’uscita del Diedro Armani al Croz dell’Altissimo, 15 luglio 1983.
Luca Crepaldi (a sinistra) e Luca Santini (al centro) in discesa dal Diedro Armani al Croz dell’Altissimo, 15 luglio 1983.
L’evidente Diedro Detassis al Piccolo Dain
Luca Crepaldi assicura Alessandro Gogna in un tiro della via Detassis al Piccolo Dain, 16 luglio 1983.

Partiamo seminudi su per il bosco e per lo zoccolo: è mattino presto, ma la temperatura è già in zona sgradevole. Questa volta siamo muniti di due borracce, che per tacito accordo portano loro, appese in vita, lasciando me libero. La salita è decisamente impegnativa: difficile, continua, con pochissimi chiodi. Nut e friend servono a poco, nei punti davvero difficili non si possono usare. In più qualche volta ci sono tratti abbastanza friabili, del tutto sprotetti. Insomma, da salire molto in campana. Molti anni dopo Marco Furlani mi avrebbe raccontato un episodio: pare che Bruno Detassis, che fece questa meravigliosa “prima” con Rizieri Costazza, a un certo punto abbia chiesto al compagno se non se la sentiva di dargli un po’ il cambio; e pare che questi gli abbia risposto che se voleva poteva suonare per lui un po’ l’armonica, ma quanto ad andare avanti, neppure per sogno!

Io non ci penso neppure a chiedere il cambio. Mi sento bene e vedo i miei compagni abbastanza impacciati su questo terreno infido ed estremo. Non ci penso a tal punto che dimentico anche di bere, dopo l’ultima sorsata data all’attacco.

Finalmente, verso le due del pomeriggio, approdo nel boschetto sommitale. Qui il cerchio magico si spezza e improvvisamente sento di avere la gola e le labbra riarse. Recupero i compagni con una certa fretta perché vorrei bere.

Quando arrivano leggo nei loro occhi la felicità della fine di un piccolo incubo: siamo tutti disfatti dal caldo.
– Mi date un po’ d’acqua, per favore? – riesco ad articolare.

I due si guardano uno con l’altro, ma è uno sguardo di terrore che si scambiano. Il loro interrogativo si spegne in un secondo, poi si rivolgono a me con gli occhi bassi.

– Ma… noi… veramente… abbiamo bevuto tutto…
– Beh, siete proprio due coglioni, egoisti e bastardi!

Sono incazzato nero, non aspetto neppure che si tolgano le scarpette o che facciano su le corde e mi avvio per il sentiero di discesa.

Una discesa non voglio dire drammatica ma certamente ricca di sofferenza. A Sarche siamo così deidratati che ci buttiamo in mutande in una fontana.

La scena mi è rimasta molto impressa. Anche recentemente, ogni tanto cerco quella fontana, ma non l’ho più vista. Per fortuna nessun vigile, con il caldo che faceva, è in giro.

Tolto il grosso della sete, e fatta una veloce merenda, ci dirigiamo a Trento dove Anne-Lise sta arrivando in perfetto orario. Ricordiamoci che allora non c’era ancora il telefonino, dunque avere notizie sulle probabilità che un appuntamento fosse rispettato era impossibile.

Quando scende dal treno ha sulla schiena uno zaino forse più grande di lei…

I due bastardi, allorché risaliamo la Val di Fiemme, non perdono tempo a raccontare ad Anne-Lise le loro prodezze, cercando di buttare in ridere il fatto di aver fatto incazzare il Capo. E, naturalmente, ci riescono: dopo un po’ mi passa…

Luca Santini sulla via Detassis al Piccolo Dain, 16 luglio 1983.
Luca Crepaldi assicura Alessandro Gogna in un tiro della via Detassis al Piccolo Dain, 16 luglio 1983.
Anne-Lise Rochat sulla via Buhl alla parete sud del Piz Ciavazes. 18 luglio 1983.
Anne-Lise Rochat sulla via Buhl alla parete sud del Piz Ciavazes. Una cordata ci segue, 18 luglio 1983.
Punta delle Cinque Dita, Anne-Lise Rochat impegnata da prima sulla via dei Camini Schmitt, 19 luglio 1983.

Dopo un giorno di sosta, il 18 è ancora bel tempo: le cordate si dividono. Anne-Lise ed io ci avviamo verso la parete sud del Piz Ciavazes. Attacchiamo la via Micheluzzi, ma, prima del traverso, ci buttiamo con entusiasmo sulla variante Buhl. “Variante” si fa proprio per dire, in realtà è un diedro fessura che procede dritto ed elegantissimo fino alla Cengia dei Camosci. Una delle più belle arrampicate delle Dolomiti, senza dubbio, oggi non ancora disturbata dalle colonne di motociclisti rombanti che in futuro purtroppo affolleranno i tornanti del Passo Sella. E’ un grande piacere arrampicare in libera su questo grande itinerario del mitico Hermann. Quando usciamo in cengia ne abbiamo ancora voglia, così offro ad Anne-Lise un’altra chicca, il Diedro Vinatzer, da me già percorso nel 1965 con Salvatore Bragantini.

Il tempo è ancora un po’ incerto e non permette grandi vioni. Il 19, sempre con lei, andiamo alla Punta delle Cinque Dita per la classica via dei Camini Schmitt, quella che tanti anni fa ho salito da solo. Siccome lei protesta di non essere troppo abituata ad andare da capocordata sulla dolomia, insisto perché lo faccia. Perciò saliamo alternati su quest’itinerario davvero classico.

Non ricordo affatto cosa nel frattempo i due Luca abbiano fatto, ma di certo non sono rimasti fermi.

Per Luca Santini inizia il tormentone del Capo che lo sveglia alla mattina con la tazza di caffè fumante in mano. Lui racconta che già al terzo giorno di salite nel Sella inizia a sperare nel brutto tempo, che però implacabile non arriva.

Il 20 mattina tutti e quattro prendiamo la funivia del Lagazuoi e ci avviamo in discesa verso la parete ovest del Lagazuoi Nord: l’attacco è assai comodo, ma in compenso la salita della via del Drago si rivela ben presto un bell’ingaggio. Ci sono dei momenti in cui uno si chiede se siamo davvero sulla via giusta… Davanti siamo Anne-Lise ed io, dietro un sempre più preoccupato Luca Santini conduce i vari tiri di corda: a parole affannosamente, in realtà con sicurezza, a mio avviso. Giovane, un po’ inesperto, ma bravo.

Punta delle Cinque Dita, Anne-Lise Rochat impegnata da prima sulla via dei Camini Schmitt, 19 luglio 1983
Alessandro Gogna sulla parete ovest del Lagazuoi Nord, via del Drago. 20 luglio 1983.
Luca Santini, assicurato da Luca Crepaldi, sulla parete ovest del Lagazuoi Nord, via del Drago. 20 luglio 1983.
Alessandro Gogna in arrampicata sulla via del Drago, parete ovest del Lagazuoi Nord, 20 luglio 1983.

Il programma è quello di salire, l’indomani, la via dei Fachiri alla Cima Scotoni. Visto dalla via del Drago, l’itinerario si rivela in tutta la sua potenza: e la sua fama di arrampicata libera senza chiodi non fa che aumentare la reverenza.

Così il 22 luglio la via dei Fachiri è solo per noi due, i Luca preferiscono la totale inattività. Ce la beviamo con rapidità, una salita fulminea di pochissime ore.

I giorni dopo non sono piacevolissimi, dentro di me si fa largo una forte sensazione di gelosia. Non capisco perché Anne-Lise, che è qui con me, non ci sia davvero, fino in fondo. Dormiamo assieme, facciamo l’amore, tutto procede bene… eppure io sento che c’è qualcosa di non detto, o almeno di non deciso. Questa sensazione si acutizza ogni sera, quando lei cerca un telefono con impressionante regolarità. Molto reticente in proposito. A chi telefona? Va bene famiglia, una o due amiche, mettiamoci anche un amico… ma poi?

Chi ha provato questa condizione sa bene quanto può essere destabilizzante l’ignoranza di ciò che realmente pensa, fa e prova il tuo partner. Il mio malessere in questi giorni di tempo incerto è così forte da contagiare anche Luca Santini, che non sa più con chi stare. Luca Crepaldi ha dovuto tornare a Milano.

Il 25 luglio l’instabilità del tempo e la roccia presumibilmente bagnata ci fanno scegliere una salita abbastanza breve, la via Cassin alla parete sud della Cima Piccolissima di Lavaredo. Anche qui in tre riusciamo in una salita davvero veloce di questo piccolo gioiello.

Anne-Lise Rochat in sosta sulla via del Drago, parete ovest del Lagazuoi Nord, 20 luglio 1983.
Anne-Lise Rochat in arrampicata sulla via dei Fachiri a Cima Scotoni. 22 luglio 1983.
Alessandro Gogna in arrampicata sulla via dei Fachiri a Cima Scotoni. 22 luglio 1983.

Il tempo sembra essersi rimesso, mentre al contrario tra me e Anne-Lise scoppia una litigata per il motivo sopraddetto. Abbastanza violenta, tanto da farle rifiutare di venire con noi al Pilastro di Mezzo del Sass dla Crusc per salire la mitica via Messner.

Il 26 Luca ed io partiamo da soli all’attacco di quello che in futuro diventerà uno degli zoccoli più temuti e anche evitati. Allora nessuno pensava di “tagliare” metà via percorrendo da destra la grande cengia del Sass dla Crusc. In effetti è una via nella via, perché le caratteristiche di friabilità difficile di questo zoccolo non sono omogenee con le difficoltà tecniche della parte superiore. Ma non mi sembra possa essere un motivo sufficiente per questa vigliacca mutilazione di un itinerario così storico e famoso. Il taglio di grandiosità non è mai giustificato. Grande via, con l’impegno di salirla tutta in arrampicata libera. Ricordo bene tre momenti. La traversata a destra, in un ambiente spettacolare, non imitabile, nell’ombra di una parete esposta a ovest. Il giungere sulla famosa cengetta, alla base del passaggio Messner. Con il suo buon chiodo piantato nella fessura che fa da radice alla piccola cengia. Uno sguardo ai quattro metri più famosi delle Dolomiti mi convince che non sono nella disposizione del “vincere o morire”. Chi sono io per insistere dove perfino Heinz Mariacher non aveva provato a passare? Non impiego molto a prendere la mia decisione, cioè traversare subito e lungamente a destra seguendo la variante Mariacher (che comunque ti “regala” un bel passo di VII) e poi ritornare a sinistra al di sopra dei famosi quattro metri.

E infine gli ultimi tiri, al sole glorioso di un pomeriggio stupendo, nel diedro aperto che costituisce la parte finale di questa via che ha fatto la storia dell’alpinismo.

La gioia e la soddisfazione di essere onorevolmente riusciti a salire con buona sicurezza la Messner al Pilastro di Mezzo mi fa essere meglio disposto nei confronti di un’Anne-Lise che comunque non è rimasta sola tutto il giorno, visto che è arrivato da Torino l’amico Pietro Crivellaro.

Quando ci reincontriamo è pace fatta, anche se nulla è chiarito o risolto.

Anne-Lise Rochat sulla via Cassin alla Cima Piccolissima di Lavaredo. Sotto di lei si intravvede Luca Santini. 25 luglio 1983.
Anne-Lise Rochat sul famoso traverso della via Cassin alla Cima Piccolissima di Lavaredo. 25 luglio 1983.
Alessandro Gogna sulla via Messner al Pilastro di Mezzo del Sass dla Crusc. 26 luglio 1983.
Alessandro Gogna sulla via Messner al Pilastro di Mezzo del Sass dla Crusc. 26 luglio 1983.

Il 27 luglio con lei ci dirigiamo alla Fessura Dimai della Torre Grande delle Cinque Torri di Averau. Una via non lunga che però non ti regala spensieratezza, anzi. Bellissima e meritevole di essere percorsa, un gioiello di eleganza.

Il tempo è ora bello e sembra davvero stabile. La sera del 28 la passiamo tutti e quattro al rifugio Falier e il mattino dopo attacchiamo la via Vinatzer-Castiglioni alla parete sud della Marmolada di Rocca, noi due davanti, Luca e Pietro dietro. Io sono in shorts e non ho portato con me neppure una felpa. Mi stupisco ancora oggi di questo mio atteggiamento, non è il mio solito modo di aver a che fare con le pareti difficili.

Comunque andiamo tutti e quattro fortissimo, la parte finale della via è un po’ bagnata ma neanche tanto, Ma non usciamo in tempo per prendere la famosa funivia. Così, scendiamo per quello che di giorno è una miserabile pista di sci estivo. Per non infradiciare le scarpe continuiamo con le scarpette d’arrampicata ai piedi… fino a che la neve finisce, fino a che arriviamo al Passo Fedaia per fare un autostop per Malga Ciapela. La sera festeggiamo il mio compleanno (37 anni).

Il 30 finalmente concedo riposo, anche se lo vedo come tempo perso. Il primo di agosto è previsto che io porti Anne-Lise alla stazione ferroviaria di Belluno: destinazione Torino e poi, molto probabilmente Courmayeur. Sento che il mio ‘nemico” è là che risiede…

Il 31 luglio altra grande salita: lo spigolo sud-est della Torre Trieste per la via Cassin-Ratti. Siamo in tre di nuovo, dunque l’attacchiamo molto presto, forse se non ricordo male con la pila frontale accesa, almeno sul primo tiro. Ricordo poco della via Carlesso fatta tanti anni fa e vagolo per qualche minuto nella penombra, ma alla fine trovo l’itinerario giusto. Saliamo in velocità, a dispetto dell’essere in tre. Di mano in mano che salgo pongo sempre più impegno a salire in libera, anche se spesso verrebbe voglia di non farlo, per la perdita di tempo che questo comporta. Ovviamente non siamo attrezzati da bivacco, dunque non possiamo concedercelo. E invece alla fine ci riesco, sono felicissimo, progressione potente anche negli ultimi tiri, con arrivo sulla spaziosa vetta poco dopo il tramonto. Appena il tempo di stringerci la mano, poi giù subito alla forcella e alla ricerca della giusta serie di camini da seguire in corda doppia. Non sono sicuro che abbiamo seguito la via migliore, ma di certo non ci siamo persi e abbiamo sempre trovato ancoraggi che proseguivano una discesa nel buio totale senza luna.

Arriviamo al furgone alle 22, assetati e affamati da 18 ore di digiuno totale. Anne-Lise preme affinché non ci buttiamo a fare cena bensì la portiamo subito ad Agordo per… telefonare, naturalmente!

Qui davvero rischiamo un altro litigio, questo è davvero troppo. In piazza di Agordo, Luca ed io ci guardiamo in faccia: sono le 22.45, siamo affamati come poche altre volte. Prima di andare a telefonare, Anne-Lise ci guarda e ci dice: – Mi aspettate, vero?
E io, arraffando due o tre buste di prosciutto: – Non credo proprio…

Mentre lei si dirige alla cabina, che vediamo a qualche decina di metri, mi trattengo dall’accendere il fornello a gas per scaldare l’acqua degli spaghetti. Nel frattempo ci abboffiamo di pane, formaggio, prosciutto e beviamo vino.

Luca Santini sulla variante Mariacher della via Messner al Pilastro di Mezzo del Sass dla Crusc. 26 luglio 1983.
Alessandro Gogna sulla via Messner al Pilastro di Mezzo del Sass dla Crusc. 26 luglio 1983.
Alessandro Gogna sulla via Vinatzer-Castiglioni alla parete sud della Marmolada di Rocca. 29 luglio 1983.
Alessandro Gogna sulla via Vinatzer-Castiglioni alla parete sud della Marmolada di Rocca. 29 luglio 1983.

Quando la vediamo uscire dalla cabina stiamo masticando l’ultima fettina di prosciutto pulendoci la bocca  con i polsini dei pile.

Anne-Lise osserva la scena, le briciole per terra e le buste di prosciutto vuote.
– Non c’è più prosciutto, vedo. Siete dei maiali!
Non rispondiamo.
– E siete degli ingordi… e a me proprio non piacciono gli ingordi!
– Sì, sì, siamo proprio ingordi.

Senza neppure attendere che lei sbollisca e che mangi un po’ di formaggio, vado al posto di guida. Ripartiamo, allo scopo di trovare un posto dove finalmente fare la pasta e poi dormire.

L’acqua bolle, gettiamo la pasta che in cinque minuti è al dente e pronta. Scolare, condire e via. Tutto in un silenzio gravido di minaccia. Mentre lei affronta la sua porzione con compassata misura, Luca ed io divoriamo i nostri piatti schioccando rumorosamente i palati, quasi a gara a chi faceva più casino. Ognuno di quei colpi secchi è come un “vaffanculo” a tutte le telefonate del mondo.

Quella notte non ci sarà alcun’altra spiegazione, solo un violento riappropriarsi di quello che ognuno di noi sente come dominio di uno sull’altro.

Quando la porto a Belluno, lasciando Luca da qualche parte, le cose sono appianate, ma solo temporaneamente. Alla stazione attendo che arrivi da Milano Giovanni Rosti: i due non si incontrano.

Con lui ritorno in zona Primiero, ritroviamo Luca che nel frattempo si è fatto amicizie femminili e cerca di racimolare qualcosa. Tanto che il giorno dopo, 4 agosto e giornata incerta, lascia me e Giovanni andare da soli al Totoga per fare Scaramacai, la via di Manolo più facile (6b) della parete…

Il 5 agosto vado sempre con il solo Giovanni alla Tognazza, dove saliamo la via Furlan con uscita Busin. Anche oggi Santini preferisce stare con le due milanesi che sono salite con noi in furgone. Quando scendiamo vediamo da lontano che la porta scorrevole del furgone, posteggiato poco sotto al Passo Rolle, è chiusa.

– Che cazzo sta succedendo là dentro… sta a vedere che Santini se le fa a due per volta… – ci facciamo i nostri film ridacchiando come idioti.
Intorno al furgone c’è un bel numero di vacche che pascolano. Arrivati al furgone, nello scampanio assordante, bussiamo. Subito ci viene aperto da una delle due che c’invita ad entrare e a chiudere subito. Con gli occhi sgranati e terrorizzati accenna alle vacche: – … gli animali… grossi!

– Capo, ho cercato di spiegare a xxxx che non fanno niente… ma non c’è stato verso, è spaventata. Anche yyyy si è prodigata a spiegarle che quelli sono gli animali che fanno il latte…

– Ma quelle corna, mi fanno paura! – e nel frattempo cerca ancora di chiudere la porta scorrevole.

Giovanni ed io vogliamo fare merenda, poi vedremo che farne di queste pazze. Anche Santini da qualche ora ha capito che non c’è trippa per i gatti e che lo scarico è l’unica soluzione possibile. Facciamo merenda incuranti della terrorizzata che però, nel frattempo, sentendosi spalleggiata non più da un solo maschio bensì da tre, si sta calmando.

Alessandro Gogna sulla via Vinatzer-Castiglioni alla parete sud della Marmolada di Rocca. 29 luglio 1983.
Anne-Lise Rochat sulla via Vinatzer-Castiglioni alla parete sud della Marmolada di Rocca. 29 luglio 1983.
Anne-Lise Rochat e Luca Santini sulla via Cassin alla Torre Trieste. 31 luglio 1983.
Giovanni Rosti si scalda le mani all’attacco della via Furlan alla Tognazza, 5 agosto 1983.

Le riportiamo a Fiera di Primiero dai loro amici, quindi partiamo immediatamente con destinazione la Rocchetta Alta di Bosconero, per lo Spigolo degli Scoiattoli.

La mattina dopo ci ritroviamo a scalare slegati in tre sul grande zoccolo della via di Strobel e compagni. Faccio a tempo a fare il tiro chiave (e anche in libera, tra l’altro), ma poi si scatena il diluvio. Mi faccio calare alla loro sosta. Poi l’intensità diminuisce, ma continua a piovigginare. Scendiamo, sempre slegati, fino alla base. Anche qui ho l’impressione che abbiamo tirato un po’ la corda del destino…

L’ultima salita, partito Luca per Milano, non so più come, ce la facciamo il 9 agosto Giovanni ed io in Civetta. Partiamo abbastanza presto dal furgone, oltrepassiamo il rifugio Coldai e andiamo alla base della parete nord-ovest della Torre d’Alleghe, con l’intenzione di salire la via Bellenzier.

All’attacco troviamo una cordata di due bulgari, già impegnata sul primo tiro difficile, che gentilmente ci lasciano passare. In un vuoto stomachevole arriviamo al tiro chiave, quello dato di VII grado senza che ben si comprenda con quali mezzi e con quanti chiodi. Che poi sono comunque davvero pochi. Con me ho tre chiodi, due piatti e un chiodo a U. In più ho qualche nut e qualche friend.

Nel tiro, che trovo bello difficile su roccia spaziale e inchiodabile, verso la fine vedo traccia di chiodatura e in quelle fessurine metto i miei due chiodi piatti. Esco sull’estrema sinistra di una bella cengia orizzontale, larga circa trenta centimetri e lunga due metri, più o meno.

Giovanni Rosti sulla via Furlan alla parete est della Tognazza, Lagorai, Passo Rolle. 5 agosto 1983.
Giovanni Rosti sulla via Furlan alla parete est della Tognazza, Lagorai, Passo Rolle. 5 agosto 1983.
Giovanni Rosti (seduto fuori) e Luca Santini con due ragazze tedesche che cercava di rimorchiare. Agosto 1983.
Luca Santini e Giovanni Rosti sullo Spigolo Strobel della Rocchetta Alta di Bosconero. 6 agosto 1983.
Giovanni Rosti sulla via Bellenzier alla Torre d’Alleghe. dietro di noi la cordata di bulgari. 9 agosto 1983.

Sono pieno di gioia per il fatto di essere riuscito a fare uno dei tiri senz’altro più difficili delle Dolomiti, ma ben presto il buon umore mi si spegne: in tutta la cengia non c’è alcun chiodo di sosta, il chiodo a U che mi è rimasto non serve a nulla. Vedo bene dove gli altri hanno piantato i chiodi, ma ho bisogno di un chiodo a lama che non ho e non posso neppure calarmi a recuperare… Friend e nut del tutto inusabili. Il tiro dopo è dato di VI, vedo il primo chiodo bello distante e neppure così buono all’apparenza.

Dopo una decina di minuti di studio, non ho altra soluzione che sedermi gambe nel vuoto all’estrema sinistra della cengia e disporre una sicurezza a spalla al mio compagno. Quando lo sento in prossimità (non oso neppure sporgermi un poco) gli dico:
– Giovanni, ascolta. Vedi di non volare. Fregatene di passare in libera, te ne prego…
– Ok – mi risponde – ma perché?
– Lo vedrai il perché. In ogni caso togli almeno uno dei due chiodi.

Quando mi raggiunge sbianca in volto…
Furiosamente martello nella fessura il chiodo recuperato da Giovanni. Almeno possiamo continuare: sarebbe stato davvero pazzesco cercare di raggiungere il chiodo visibile senza neppure un chiodo di sosta.

In cima meditiamo sull’avventura appena vissuta. Siamo stati bravi, ma ci è andata anche bene.

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Pilastro di Mezzo, via Messner ultima modifica: 2022-12-28T05:21:00+01:00 da GognaBlog

18 pensieri su “Pilastro di Mezzo, via Messner”

  1. Cosa vuoi ancora che aggiunga?   Ho notato le difficoltà del percorso e la destrezza di chi sale; in particolare , si notano soprattutto i tuoi perfetti e abili movimenti. E’ evidente che non sono esperienze alla portata di tutti. E’ necessario che ci sia tanta esperienza, attitudine   e quant’altro… Ciao

  2. La cengia della sicura a spalla potrebbe essere quella che si vede al minuto 8:00 del video di Dolomitiche?
    https://youtu.be/SgT2zG-Th_k
    In ogni caso, una sicura a spalla su difficoltà del genere, nel momento in cui il secondo salendo toglie l’ultima protezione… 
     

  3. Con me ho tre chiodi, due piatti e un chiodo a U. In più ho qualche nut e qualche friend.

    3 chiodi, quando si dice andare leggeri😁

  4. Fatiche immani e a tratti incubi da togliere il fiato, ma alla fine arriva sempre la  felicità .
    Congratulazioni, Grande della montagna.Si percepiscono le tue abili  tecniche nell’arrampicata.

  5. E’ bellissimo leggere queste avventure dove si assapora ancora un senso di libertà che non esiste più:

    La colpa è solo nostra.
    Inquadrati in schemi, regole, patentini, corsi, aggiornamenti, digitalizzazione,  sicurezza ad ogni costo.

  6. “E’ bellissimo leggere queste avventure dove si assapora ancora un senso di libertà che non esiste più.’
     
    Caro Giovanni, malgrado tutto, la libertà esiste ancora. Sta dentro di noi.
    … … …
    Dal film “Le ali della libertà”:
    Andy Dufresne (dopo due settimane in cella di isolamento): “C’era il signor Mozart a tenermi compagnia…”
    Heywood: “Perché, quelli ti hanno fatto portare il giradischi là dentro?”.
    Andy Dufresne: “Ce l’avevo qui [indica la sua testa].  E qui [indica il suo cuore]. Questo è il bello della musica: nessuno… nessuno può portartela via”.
     

  7. Per me: EB Maestria(da non confondere con le altre) e San Marco by Berhault- Grillo entrambe ottime per la loro epoca.
    PA e Dolomite Edlinger pollice verso…
    Articolo magnifico e vie anche.
    E’ bellissimo leggere queste avventure dove si assapora ancora un senso di libertà che non esiste più: dall’abbigliamento non codificato al casco che non c’è quasi mai (non che non si debba metterlo ma che bella la libertà di fare come si vuole senza che nessuno abbia da dire…)
    Un applauso ad Alessandro 

  8. L’elenco e l’inarrestabile sequenza di vie dure, lunghe e difficili la dice lunga sul livello. 
    Peccato per il rosicare d’amore che tanto fa male quanto incazzare.
    Evviva le milanesi.

  9. Ogni attrezzo (dagli sci agli scarponi alle piccozze) ha i suoi difetti. Nulla è perfetto. Sta di fatto che, riguardando rapidissimamente le foto di questo articolo (ma più o meno vale per gli altri contemporanei della serie UVA), mi pare che tutti i componenti del gruppo, ad eccezione di Gogna, avessero, almeno in questa occasione, le EB. Tutti stupidi, quindi? No, semplicemente quella era la dotazione più diffusa del momento (inizio anni ’80), anche fra chi arrampicava “tosto”. Attenzione a non cadere nell’errore di valutare il materiale d’epoca con i parametri di oggi.
    Inoltre nella valutazione individuale del materiale di montagna agisce sempre un tasso di soggettività esperienziale (anche passata): al tempo, sul terreno, io mi sono trovato bene con le EB, invece mi trovavo malissimo con le PA (rosse e nere) e infatti le ho abbandonate. Al giro dopo, mi sono trovato benissimo con quelle che io chiamavo le salamandre (le San Marco gialle e nere), mentre mi sono trovato malissimo con le più o meno contemporanee Edlinger della Dolomite. Se applicassi le mie “preferenze” direi EB e salamandre erano il massimo, PA ed Edliger facevano schifo. Ma, in assoluto, non era così.

  10. “qualche articolo fa (nei commenti) sminuite come “rumente micidiali, robe cartonate e poco gestibili”, non impediva di muoversi su vie non certo da quartograditi”
    vedi che vuoi fare il ganzo senza sapere… e non ne imbrocchi una:  io mica ho detto quello, ho semplicimente detto che erano rumente mentre tu le magnificavi come scarpe straordinarie. Le ho usate qualche volta agli inizi della mia avventura alpinistica e le ho trovate decisamente primitive. 
    Poi se uno va va, con qualunque cosa abbia ai piedi. Edlinger scalava scalzo su tiri che io non farei neanche con scarpette moderne, qualche tempo fa un ragazzo al Muzzerone ha fatto da primo per mettere su una corda una via di 6c+ con le scarpe da avvicinamento… conta il manico, non la scarpa. 
    E quello conta in tutto. 
    Bello l’articolo, una rassegna delle vie che in quegli anni erano i sogni proibiti di molti. Grande capo, belle pure le foto. 

  11. Crovella, le EB, con le quali ho arrampicato parecchio, non erano il massimo della precisione. Ma come spesso avviene  non è tanto la scarpa, ma il piede che conta.
    Poi vale sempre il principio che il piede sta dove la mano tiene… ahahahah

  12. Constato con piacere, anche dalle foto di questo articolo, che l’uso delle scarpette EB, qualche articolo fa (nei commenti) sminuite come “rumente micidiali, robe cartonate e poco gestibili”, non impediva di muoversi su vie non certo da quartograditi (vedere qui in particolare le foto che ritraggono Giovanni Rosti).

  13. In cima meditiamo sull’avventura appena vissuta. Siamo stati bravi, ma ci è andata anche bene.

    Quante volte c’è andata bene, ma non ce ne siamo resi conto…
     

  14. Grande racconto, grandi avventure, grandi salite, e come sempre scritto in modo godibilissimo!
    Bravo Capo!

  15. È normalissimo ancora oggi che delle milanesi abbiano paura delle vacche.
     
    E poi senza casco!! Ricordo anch’io quando significava che eri forte. Sicuramente i bulgari vi hanno lasciato passare per quello.
     

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