Nel luminoso sito climbingpills, peraltro in seguito malauguratamente “spento”, il 27 maggio 2011 fu pubblicata, facendola risorgere, una vecchia intervista a Massimo Demichela, preceduta dal suo famoso pezzo Grundal lo scalatore. Ripubblichiamo qui entrambe le cose, fiduciosi che se ne apprezzi lo spirito goliardico.
Grundal lo scalatore
di Massimo Demichela
[pubblicato suLiberi Cieli 1979 (annuario sezione CAI-UGET Torino) e su lafiocavenmola.it]

Grundal era malvagio, orinava e defecava nei bivacchi, tagliava le gomme alle auto sotto i rifugi, rompeva chiodi e appigli sulle vie classiche e soprattutto non percepiva nulla da nessuna parte; calpestava, dragava la roccia, aveva un unico scopo: dimostrare di essere il più forte. Ma diceva di essere buono.
Il riconoscimento della massima potenza gli avrebbe fruttato bestiali vantaggi che però a lui non interessavano: danari, gloria, spedizioni, ed infine la pedula gialla, quella per il settimo grado.

Avevamo sputato a lungo sulla bellezza della fede-alpe; avevamo vomitato per bene sulla fatica-lavoro; antagonismo, competizione: eresie, retaggi del passato, spettri tipici dei vili artificialisti teutoni e fascisti, noi nooo! Noi boni calaforgnani di lontano ovest, amici di uomo, tutti amici, bona mariuana, bono chianti e spaghetti, tutti fratelli hippie; però quel cretino lì davanti messo tanti chiodi così, noi libera, grunt, superato tre ore di meno. Bianco bono, come Calanques.
Sublimi valori merda, nobili fedi merda, lotta con… merda: noi “percepiamo”. Il nonno credere di diventare migliore perché sé purificare con acciaio infuocato di gelo, sete, fatica; noi capito tutto, noi spirituali, diventare migliori con meditazione prosciutto, con percezione melone e il selvaggio 4000 diviene casa accogliente e noi trovare lì ascesi arancione mistica, non quella antica, più buona la nostra, marca Zen Etichetta oro, autentic made China.

Grundal giunse alla calda parete di roccia, diedri di roccia solida e rossa lo portarono in alto, fessure vero incastro, impossibili placche di calcare grigio, estremo, Grundal salì, alla quarta lunghezza fu duramente impegnato da un delicato traverso; la fessura successiva, strapiombante e svasata, lo costrinse al volo come la gallina; chiodi e bestemmie lo portarono poi in cima. Invece il piccolo topo salì, salì alla ricerca di un cibo che non conosceva ancora; un ragno, dondolando dal filo, sorrise. Grundal giunse alla tetra e selvaggia colata di vetro, lunghe colonne gelide e lucenti scendevano dall’alto, attorno tetre cornici di roccia nerastra, ma ad osservarle bene comparivano splendide e microscopiche macchie variopinte, fiorilicheninsetti; ad un certo punto però le macchie cessarono, allora il severo uomo di ghiaccio guidò la mano di Grundal, il corvo sorrise più in alto.
Intanto, tutt’intorno, dementi si dicevano Cristo, Budda; ciarlatani che vendevano fumo beandosi degli sciocchi che lo comperavano e nutrendosi di fumo peggiore, ma a loro, i Siddharta, tutto era concesso; idioti spezzavano i bicchieri, torrenti di parole associate a caso, ruota di pavone sulla placca dorata, grande impresa, cretinismo di élite, consacrazione. Alcuni salivano e basta.
Finalmente giunse la notizia, una lunga scalata orizzontale, difficilissima, su roccia putrida, brutta, e soprattutto sul mare più fetido e invaso dai più laidi scarichi industriali e naturali della storia dell’inquinamento, questa volta nessuno avrebbe superato o anche solo seguito Grundal.
Ma non fu così, fu un lungo e splendido cammino sulla roccia bianca, vicino al mare azzurro, una lunga catena di passaggi facili e difficili, divertenti ed eleganti che si concluse senza religioni, con il piacere di una giornata di gioco.

Intervista a Massimo Demichela
a cura di Walter Giuliano
(pubblicata su Alp n. 42; in seguito ripresa nel libro Nuovi Mattini: il singolare sessantotto degli alpinisti, a cura di Enrico Camanni, Vivalda Editori, 1998)
Torinese, classe 1954, ha fatto parte del gruppo di sfondamento torinese, e non solo sulla roccia: le sue frecciate satiriche sono proverbiali. Un giorno ha scritto un racconto che non è mai diventato famoso: la storia di “ Grundal”, un arrampicatore teppista e sognatore.
Dice Demichela: «Il sessantotto ha sicuramente influenzato l’evoluzione dell’alpinismo. In quegli anni eravamo davanti a un ambiente alpinistico che era quanto di più retrivo e ottusamente conservatore si possa pensare. La scuola Gervasutti di Torino ne era un esempio emblematico, in cui si rasentava l’idiozia nel senso mentale anche su problemi tecnici specifici. Vigevano regole assolute: l’alpinismo è solo questo, il resto è merda; le scarpe da usare sono solo queste, il resto è merda; l’abbigliamento è questo e basta, ecc. Una serie di persone ebbe un moto di ribellione verso questa “muffa”, una ribellione più o meno cosciente e politicizzata, portata avanti più a livello personale che nella scia di una corrente di pensiero. Nella realtà si trattava forse di rivendicazioni minime, ma era comunque difficile ottenerle. Molto difficile.
Gian Piero Motti le razionalizzò e diede loro una logica; anche se non fu un ribelle nel vero senso della parola, ebbe la lucidità di elaborare un preciso percorso di allontanamento dall’alpinismo classico.

Giancarlo Grassi fu un altro grosso elemento di rottura rispetto a quello che era il modo di andare in montagna di quegli anni. Poi ci sono stati i giovani Mauro Pettigiani, Roberto Bonelli, Danilo Galante… Furono protagonisti di un momento di grande cambiamento, distaccandosi nettamente dalla tradizione sia nel fare dell’alpinismo di punta, sia nel modo di essere.
Allora non c’era assolutamente un approccio democratico alla montagna, anzi vigevano regole ferree e anche il divieto di poter assumere certi atteggiamenti. Era l’elitarismo dei poveri, della stupidità…
Andare ad arrampicare era fare palestra; si rimaneva ancorati al concetto di alpinismo come sofferenza e non come divertimento. Lo scrollone dato dal nostro gruppo permise di uscire da quella routine, di allargare gli orizzonti non solo in senso geografico, ma anche in senso ideale.
Io ero anche un “mestatore”, un sobillatore di masse, ma politica e alpinismo erano due cose diverse, separate. Un distacco favorito dal fatto che nell’ambiente della sinistra extraparlamentare in cui militavo la montagna era considerata cacca, un ambiente non socializzante in cui si generavano negative competizioni personali.
Era falso, anche se il mondo alpinistico tradizionale poteva farlo pensare. Più tardi anche la sinistra lo ha capito e infatti la montagna appartiene oggi anche al suo patrimonio culturale».
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Sai qual’ è la cosa che più mi spiazza e mi inganna del blog Fabio? Non vedere le facce e non sentire il tono della voce. È un handicapp enorme quando si parla con chi non si conosce.
Grazie per la tua risposta….alla prossima.
Mi riferisco al post di Piero. Nell’ambiente CAI l’arrampicata sportiva è sentita come attività minore pur essendo oggi tra le specialità in maggior espansione. Spero che il CAI prenda urgentemente e decisamente posizione nella questione dei Maestri d’arrampicata ( e chiodatura di falesie) poichè perdere questo treno vorrebbe dire uscire da una delle attività oggi in maggior espansione.
Dino Marini
No, Simone. Mi riferivo al fatto che voi quattro (compresi quindi Carlo e Marcello, e in verità pure tanti altri) contestate apertamente l’interlocutore se dice cose che ritenete sbagliate. Non state zitti. Intervenite. Cosí si alimenta la discussione.
A volte – è vero – si eccede, e non dovrebbe succedere. Però il confronto delle idee, se condotto con l’uso della ragione, è salutare. Serve a farci capire che esistono persone che la pensano in modo differente da noi. E ci si deve domandare: “Ma hanno forse ragione? È meglio che ci rifletta, senza pregiudizi”.
… … …
Comunque, ci risentiremo alla prossima battaglia, Gogna permettendo!
Se parli di chili ci hai azzeccato Bertoncelli. Oltre che fine umorista sei anche veggente?
La ribellione è giusta quando ci si ribella contro cose ingiuste. È cosí difficile da capire?
… … …
Già, ma chi stabilisce che cosa sia giusto e che cosa sia ingiusto? È su questo che vi voglio veder discutere. Insomma, qui sta il busillis.
Ai Crovella e ai Cominetti l’ardua sentenza. Per non parlare di Simone e di Matteo, pezzi da novanta.
Eh eh, proprio domenica scorsa (prima della restrizione assoluta) ne ho incontrati alcuni, di quegli allievi del passato, ed è accaduto quanto citato. Ma il mio commento all ‘articolo verte su un altro concetto che io contesto, ovvero che la ribellione sia positiva a prescindere, perché aprirebbe sempre nuove strade all’evoluzione. La ribellione fine a se stessa non necessariamente fa questo effetto, anzi. Io confido molto di più nell’innovazione all’interno della tradizione. Ricordo che, nel periodo (circa) del Nuovo Mattino, Manera era Direttore della Gervasutti, per cui non è necessario ribellarsi all’ordine costituito per realizzare l’innovazione. (PS: ma perché fare gite, anche tecnicamente impegnative, in tanti non lo considerate alpinismo? Anzi, immaginate di portare a casa 200 persone dopo una lunga e complessa teaversata…). Molte delle gite più gratificanti della mia lunga militanza le ho proprio fatte con le Scuole…
Ma come, Simone? Chi è quel matto che organizza corsi CAI con duecento persone? Magari duecentocinquanta. Chissà, forse addirittura duecentocinquantacinque.
E poi giuro che qui io non l’ho ancora letto da nessuna parte. Sei sicuro che sia vero? Oppure è una illazione contro il povero Crovella? Peggio, una menzogna meschina. Insomma, una fake news. 😂😂😂
State buoni, se potete. E sorridete. Col coron non v’è certezza…
Mi pare di capire che uno dei partecipanti al blog ha organizzato uscite con più di 200 persone per le quali viene ancora ringraziato. Ma non l’ ho letto proprio in tutti i post, quindi non ne sono certo.
Armand Charlet fu un maestro nell’arte di torcere le caviglie per applicare la tecnica delle punte di piatto sui pendii di ghiaccio. Nessuno riusciva a uguagliarlo.
Sennonché, nei primi anni Trenta, i Grivel, fabbri e guide alpine di Courmayeur, idearono i ramponi con le punte frontali. Fine di tutti i vantaggi per Charlet? Niente affatto. Charlet, per non perdere la supremazia sul ghiaccio, proibí le punte frontali alle guide di Chamonix. Di fatto per decenni ostacolò fortemente l’evoluzione dell’alpinismo in Francia.
Charlet era uomo del Club Alpino? No, era guida alpina di Chamonix e capo dei corsi guida; dunque aveva il potere di ordinare quanto in effetti ordinò.
… … …
Come si vede, l’oscurantismo non è prerogativa di una sola parte. Alligna un po’ qua e un po’ là. Si manifesta piú di frequente quando si raggiunge una posizione di potere: per difenderla.
E cosí, alla fine della giostra, si scopre che la libera circolazione delle idee può trovare ostacoli impensati, perfino in chi, a parole, si dichiara come il piú libertario dei libertari.
“Tuttavia risate (ed anche scherzi) se ne son sempre fatti a valanga anche nelle uscite ufficiali.”
Senza esagerare ed esclusivamente a comando però… sempre dopo che il capo abbia iniziato a ridere lui per primo.
Disciplina sabauda.
Crovella, ci sono anche le vie di mezzo, ostia! Ho fatto l’ufficiale negli Alpini e ho avuto enormi responsabilità che ero ancora ventenne. Muovere dei reparti in montagna come lo si faceva nei primi anni ’80 (oggi non si fa più) ti assicuro che non era affatto semplice, perché il piacere alpinistico della gita doveva coniugarsi con esigenze tattiche spesso complesse. Questo non per vanto, ma solo per dire che se mi parli di Istituzioni, recepisco. Personalmente sono sempre stato un vero hippy, quindi le Istituzioni mi sono state strette, proprio perché alcune le ho conosciute a fondo. Mi è piaciuto fare il militare tanto quanto mi piace suonare la chitarra elettrica a tutto volume su un palco. Entrambe le esperienze formano e danno frutti. Ho cari amici nell’Esercito e frequento veri figli dei fiori in tutti i sensi con grande piacere. Converrai però che l’alpinismo fatto con 200 persone non è alpinismo, nonostante i tuoi ex allievi ti stimino (meno male) e tutte quelle cose lì, ma andare in montagna non è quella roba di certo. Mi rendo conto che nell’umanità ci siano esigenze e gusti differenti, tutti sicuramente meritevoli di rispetto, ma, per favore non prendiamo per validi solamente quelli rigidi perché danno apparenti veloci risultati. Perché la vita è plastica.
Ti capisco senza condividerti.
Con immutata stima, ciao.
Ma non ho mica detto quello! Ho detto che l’innovazione avviene nel solco della continuita’. Anchd io uso scarpette ecc. Ma non credo che la ribellione per partito preso sia per forza un valore. E invece credo che sia degno di rispetto anchd chi si riconosce nei valori della tradizione. Buona serata a tutti!
Non contraddire mai le istituzioni e adeguarsi a ciò che dice chi comanda, tesi molto in voga in certi ambienti caiani (non in tutti, per fortuna), è il modo migliore per rimanere all’età della pietra
Il Cai è una associazione di una immobilità elefantiaca su qualunque tema (ambiente, tecnica, etc.. storico lo scazzo con Paolo Caruso sul suo metodo), che ha sempre guardato con grande sospetto ad ogni novità, tanto che per anni ha osteggiato l’arrampicata libera, che solo grazie alla ostinazione di pochi e al poco conformismo ai dettami istituzionali alla fine è arrivata in commissione centrale, dopo ampie baruffe interne. oggi ci sono gli IAL…
poi un conto è essere spiriti di rottura e un conto esseri spernacchianti (anche se spesso le due cose coesistono). Non conosco de Michela e non so a quale delle due categorie possa appartenere
Certo è che chi ha cambiato il modo di andare in montagna negli anni 70 e 80, tutto era meno che “istituzionale”
se fosse vera la retriva teoria crovellocentrica e militaresca, ai corsi del cai si andrebbe ancora con i rigidoni e con le piccozze a becco dritto e liscio anni 50.
invece oggi anche ai corsi istituzionali si usano scarpette e becche a banana. guarda un pò.
Chi ha un carattere “anarcoide” ed un animo “ribelle” non deve far parte delle istituzioni, che per definizione hanno precise “regole” di comportamento e possono quindi apparire come ambienti militareschi. Ve lo dico anche per esperienza personali, visto che sono stato, per discreto tempo, uno dei responsabili di una scuola di scialpinismo che si muoveva con più di 200 individui e realizzando delle gite anche di un certo impegno: lunghe e complicate traversate, terreni glaciali o di alta montagna, a volte itinerari in prima assoluta o relazionati poche volte in precedenza. Ho anche avuto esperienze organizzative di corsi di alpinismo, escursionismo e canyoning, gestiti sempre con la stessa filosofia. Per muoversi in gruppo in contesti “montani”, alpinistici/scialpinistici ecc, l’impostazione organizzativa è inevitabilmente”paramilitare”, altrimenti non si combina niente o, peggio, si rischia grosso. A volte tali regole istituzionali possono apparire soffocanti, ma per il buon funzionamento delle istituzioni sono inevitabili. Chi non le sopporta non deve far parte delle istituzioni: non ci deve proprio entrare. Ritengo quindi poco illuminato entrarci e poi ribellarsi e fare della ribellione alle istituzioni un valore ideologico, dandogli una pennellata di goliardia. Io mi sono permesso di intervenite, in merito all’articolo e a una certa scia di pensiero che ne è derivata, perché detesto il principio per cui “ribellarsi” alle istituzioni (in Italia sostanzialmente rappresentate dal CAI in tutte le sue frange) sia, a prescindere, un valore positivo, mentre riconoscersi nei valori delle istituzioni sia, per definizione, una cosa negativa. E’ evidente che fra i lettori ci sono due orientamenti di pensiero (da un lato gli istituzionali – che spesso vengono appellati “caiani” con disprezzo – e dall’altro i “goliardico-ribelli”): temo purtroppo che si tratti di due visioni inconciliabili. Hanno diritto ad esistere entrambe queste filosofie, ma occorre che i “ribelli” arrivino a rispettare pienamente chi si riconosce nei valori istituzionali, cosa che invece non è. Per la cronaca nelle gite da 200 persone c’erano regole ben precise, sia individuali che di gruppo, e nessuno pensava minimamente di infrangerle: la controprova è che quando incontro, ancora adesso, certi allievi di allora, vedo che, seppur in gita privata e a distanza di 30-35 anni, seguono con esattezza le stesse regole spicciole di comportamento in montagna. Le hanno interiorizzate. Tutti noi le abbiamo interiorizzate.: è inevitabile che ci venga da pensare che “quello” sia il modo giusto di andare in montagna. Per me questo è un valore e, se qualcuno di voi non lo condivide, vi invito a rispettare chi ha una mentalità diversa (opposta) rispetto alla “ribellione” aprioristica. Nello specifico, e qui concludo, il passo avanti degli anni ‘ 70 (almeno a Torino) fra alpinismo classico e arrampicata su pareti senza vette è stato principalmente compiuto da “innovatori” (Motti, Manera, Grassi ecc ecc ecc), mentre i ribelli per partito preso sono stati, per lo più, dei comprimari.
Tuttavia risate (ed anche scherzi) se ne son sempre fatti a valanga anche nelle uscite ufficiali.
Mi viene da pensare alle novizie. Solo risate e scherzi.
Gli alpinisti sono uguali in tutto e per tutto agli altri esseri umani.
E seguono pari pari l’evoluzione della società dove vivono.
Giocano solo ad un’altro gioco che loro pensano superiore, così si pensano superiori e creano loro strutture a pagamento per giocare, come tutti.
Forse il numero delle eccezioni è più alto che in altri giochi.
Risate e scherzi si fanno anche nelle caserme. Per dire che dal mio punto di vista, l’alpinismo ha come solo lato serio quello di non fare cose che possano mettere a repentaglio l’incolumità delle persone. Nei primi anni ’80 ho fatto l’istruttore alla Sez. Ligure e ricordo un clima esattamente da caserma, dove chi detiene il potere scherza e si diverte a spese di chi subisce. Non parliamo poi dell’atteggiamento degli istruttori maschi nei confronti delle allieve femmine, abbastanza viscido.
Lungi da me il volere denigrare chicchessia o il mettere in dubbio la trasmissione di certi valori di vita importanti, ma (ero già aspirante guida alpina) quel clima a me non piaceva, nonostante avessi da pochi mesi terminato il servizio militare e di quell’andazzo non ne volessi più sapere. Non so se Crovella abbia fatto il servizio militare, ma nelle parole di Demichela ho colto esattamente quel disagio e voglia di ribellione che io stesso ho provato.Per me l’alpinismo è sempre stato voglia di vivere e credo che chi interpreta al meglio questa visione, secondo le mie conoscenze, siano i corsi del CAB (Club Andino Bariloche) argentino da cui escono alpinisti di gran lunga migliori di quelli che sforna il nostro CAI, sia per doti fisiche che per mentalità. E si divertono pure!Viva la revolucion.
Se intendi altre scuole (alpinismo/scialpinismo/arrampicata) ma sempre di Torino, più o meno l’impostazione è/era analoga, perché a Torino è comune l’approccio che si definisce “sabaudo”. Goliardia, provocazione, sberleffi vari non fanno tanto parte della nostra tradizione, di vita prima ancora che di montagna. Però questo NON significa affatto che non ci si diverta, anche con spirito lieve. Se rileggete l’articolo di inizio gennaio (autore Fornelli) e relativi commenti, la cosa è specificata molto bene. In particolare la Scuola Gervasutti ha sempre fatto dell’eccellenza alpinistica la chiave distintiva, per cui tutto è finalizzato su quell’obiettivo primario, specie in quegli anni. Agli occhi degli estranei il clima poteva apparire pesante e militaresco, in particolare se gli estranei erano di natura goliardica: il contrasto era molto forte. Tuttavia risate (ed anche scherzi) se ne son sempre fatti a valanga anche nelle uscite ufficiali: basta chiedere a Manera, può raccontare aneddoti spassosi per una settimana di fila.
Sarebbe interessante sapere se nelle altre scuole di alpinismo/arrampicata dominava l’austero clima della mitica Gervasutti, senza dimenticare che IlCapo invitava a considerare l’aspetto goliardico di questo scritto, buona giornata a tutti.
👍 Ottima intervista, articolo interessante.
Ma io non credo proprio. Approfitto del contributo di Cominetti per chiarire meglio il mio commento precedente. Il Nuovo Mattino non può essere limitato alla reazione al conformismo precedente. Ricordo che c’e’ gia’ stato un confronto (poi chiarito) Camanni-Gobetti circa il fatto che il Nuovo Mattino avesse o no dei collegamenti con il ’68 politico. Lo stesso io sostengo con riferimento al solo ambiente alpinistico. In parole semplici e solo per restare all’esperienza torinese, perché non voglio allargare troppo il discorso, mi pare che il Nuovo Mattino si debba a personaggi come Motti e Manera, non certo ai comprimari folcloristici, provocatori per partito preso. Cioe’: quelli che hanno realizzato il vero passo avanti nella concezione dell’arrampicata (appunto i vari Motti, Manera ecc) non erano in esplicita contrapposizione con le istituzioni. Per es se non ricordo male Manera era Direttore della Gerva a cavallo dell’80, quindi non poteva essere in contrasto con se stesso. Per tornare all’articolo riproposto, è legittimo rileggerlo, per carita’, ma non facciamone un mito: è provocazione aprioristica o poco più. Anticipo eventuali osservazioni. Il più carismatico dei personaggi provocatori di quel periodo è certamente Andrea Gobetti, che conosco di persona da circa 35 anni (ci sentiamo tuttora con una certa regolarita’). Ma in lui, nei suoi scritti intendo, io scorgo un substrato di contenuto oggettivo, che viene poi esaltato e condito dallo stile anticonformista e molto particolare. Non sempre e così, anzi è molto raro che sia cosi, perché il talento di Gobetti è pressoché unico. Attenzione quindi a focalizzare correttamente i personaggi di riferimento: non facciamone dei miti solo perché sono provocatori per definizione. Questo il succo del mio pensiero. Buona serata a tutti!
Se non altro Demichela & C. erano dei caratteri di rottura. Che nello specifico la scuola Gervasutti fosse davvero così militaresca se ne sono sentite svariate, di campane. Magari il Demichela ha avuto uno scazzo con qualcuno dei suoi membri e il gioco fu fatto. Ricordo che in quegli anni il clima generale verso ogni tipo di imposizione era comunque di avversione a prescindere. Non dimentichiamo che i ’70 furono anni di grande fermento artistico e politico proprio perché figli di repressioni varie. E comunque se Nuovo Mattino e senso dell’arrampicata fine a se stessa presero corpo in quegli anni, un motivo ci sará stato.
Mah… al termine dell’articolo io sono piuttosto perplesso. Faccio notare che già in un recente passato (inizio gennaio, se non ricordo male) su questo Blog De Michela è stato stigmatizzato da diverse persone per una sua passata valutazione piuttosto infelice circa il clima dell’ambiente alpinistico torinese (forse addirittura della Scuola Gervasutti, se non ricordo male). Si tratta quindi di un personaggio che fa della provocazione il suo registro distintivo. Una provocazione fine a se stessa. L’impressione è che, alla fin fine, sia tutto lì: non c’è un vero costrutto. In ogni caso, non lo prenderei come un esempio positivo di riferimento.
@Fabio Bertoncelli. De Michela aka Grundal non ingrassa mai, sperimenta nuovi dimensioni nello spazio-tempo. B-)
Io ricordo Demichela ai piedi di una falesia finalese fine anni ’70 che lo ascoltai (ero un adoloscente) in un piccolo comizio (ai tempi era molto normale), che non ricordo più di cosa trattasse ma mi aveva colpito e non l’ho mai dimenticato, pur non ricordando assolutamente di cosa parlasse.
io lo trovo rivoltante. contenuti stupidi, ideologia stupida, stile stupido.
Scritto geniale.
Mi sembra che il nostro Max negli ultimi anni sia un po’ ingrassato. Leggerissimamente.
… … …
Mi scusi, signor Massimo Demichela, ma non sono riuscito a trattenere la battuta. Con simpatia. 😊😊😊