I nemici

La cultura del rispetto è pregna di consapevolezze che culminano nel riconoscere l’altro come un noi stessi in altra forma, tempo e luogo. Non può emergere dalla burocrazia violentante delle leggi che impediscono di dire negro, cieco o storpio. Tra le vie per incamminarsi verso questo processo cristico c’è quella che si avvia dalla constatazione che tutti siamo quantitativamente differenti e sostanzialmente identici, quando osservati attraverso il potere delle emozioni.

I nemici
di Lorenzo Merlo
(ekarrrt – 22 ottobre 2024)

Le emozioni non sorgono da noi. Esse sono energia sciamante che si annoda in noi in funzione del nostro stato, della nostra concezione, delle nostre esigenze e soprattutto del nostro gradiente di consapevolezza in merito alla realtà. Se questa è concepita come esterna a noi si tenderà a culminare nel conflitto, con il supporto, appunto, delle emozioni necessarie. Diversamente, se è vista come una nostra creazione, ne verrà l’assunzione di responsabilità di tutto e il potere di tendere alla serenità. Nel primo caso, l’orgoglio, l’importanza personale, tanto celebrate dalla cultura liberista, materialista, egoica, positivista, sono i detonatori dei conflitti di qualsivoglia misura, da quelli endogeni esistenziali a quelli esogeni geopolitici. Nel secondo, ci si trova nello stato di emancipazioni dalle gogne elencate nel primo, e quindi con in dote un altro potere, quello di disinnescare le egregore del maligno. In pratica, se fossimo consapevoli di vivere per un solo istante, sceglieremmo di farlo nella pena o nella beatitudine?

Le emozioni possono essere descritte come mirini o obiettivi. Lenti che obbligano o impongono una vincolante prospettiva sul mondo, sull’altro, su noi. Una specie di tunnel dove non è possibile fare inversione o uscire a piacimento.

Sembra nascano in noi e da noi. Ma questa è una concezione delle emozioni piuttosto inefficace per escogitare come emanciparsene, per evitare di finire nel tunnel e crederlo tutto.

A questo scopo, è preferibile concepirle come energia latente che, occasionalmente – ma non fortunosamente – ci attraversa o ci cattura, imponendoci una certa prospettiva sul mondo, a mezzo della quale fioriscono le idee e le esigenze, i pensieri e le azioni che spesso chiamiamo di buon senso. Una formula perfetta per separarci dal mondo, dagli altri, dalla presa di coscienza che emozioni differenti, ma di identica natura, stanno catturando i cuori e le menti degli altri. Come detto, un’ideale base di partenza per credere fideisticamente che i nostri valori siano superiori, fino al diritto di sopraffare quelli a noi sconvenienti.

Davanti a un conflitto, non disporre delle consapevolezze necessarie per dare per certo, e quindi tenere presente la differente emozione delle parti, impone ad entrambe di giudicare e soprattutto di identificarsi con il proprio giudizio. Una condizione la cui natura è simile a un bisturi: la sua esistenza comporta separazione. Da quello stato, quindi, appare necessario difendere il mondo racchiuso nel nostro cannocchiale e perciò combattere, e garantire così lo status quo di sofferenza che tutti, a parole, proclami e leggi, vorremmo eludere.

Quando una pari emozione alla nostra attraversa altri individui, le parti tendono ad unirsi, a sentire solidarietà reciproca, a fare corpo. Al contrario se non condivise.

Lo si può osservare costantemente. Per esempio, in occasione di un gol, quando emeriti sconosciuti, tifosi della medesima squadra, esultano o si rattristano. O quando, all’opposto, cioè se non condivise, anche tra fratelli, amanti e amici la frattura relazionale può spaccare soddisfacenti relazioni.

Un’emozione condivisa aggrega in dimensione variabile. Riconoscersi nella medesima cultura, in una ideologia, religione o passione è essere entro la medesima emozione. Solo un’altra emozione, che rappresenta sostanzialmente un cambio di esigenza, scaccia la precedente e impone altri tunnel. La loro violenza e la loro insistenza modificano in noi la visione esterna e lo stato intimo. È in questi termini la verità spirituale dell’insorgenza di malesseri e malattie.

 Le emozioni fanno sempre da setaccio dell’infinito. Di tutte le idee pure e imperiture, quelle che, secondo Platone, risiedono e compongono l’iperuranio, solo le idonee a sostenere la nostra posizione e identità, quindi stabilità, vengono viste o, apparentemente, scelte. Quelle che, a nostro giudizio, ci mettono in pericolo, che fanno traballare oltre l’accettabile la nostra condizione, non sono viste e, se lo sono, vengono scartate. Qualunque espediente è valido per respingere o accettare. La morale, la coerenza, i valori, le priorità finiscono più o meno facilmente al patibolo, strozzati dal filo rosso della sopravvivenza della nostra moralistico-meschina biografia.

Ma se tutte le idee esistono già, così come la risposta a tutti i perché – per trovarli basta trovare gli arzigogoli del filo rosso delle biografie che li mostrano – va da sé che la nostra selezione è necessariamente parziale, e la nostra realtà o descrizione di essa, nient’altro che autoreferenziale. Parziale in quanto di tutte le infinite ne prendiamo una, o di tutte quelle prese da altri la nostra è totalmente o parzialmente autoreferenziale, in quanto noi stessi in altro tempo, o il prossimo nello stesso tempo, ne estrarremmo altre differenti manciate per descrivere la medesima realtà, a quel punto divenuta un’altra.

Nulla di nuovo, lo hanno detto Humberto Maturana, Kurt Gödel, Platone, Plotino, i Veda, i Toltechi, Hafez, Arthur Schopenhauer, la fisica quantistica (anche se i meccanicisti non ci arrivano), Foucault. Proprio la sintesi di un suo pensiero – la verità è nel discorso – basta a delineare il concetto che la nostra descrizione, il nostro discorso, che seguitiamo a considerare vero e compiuto nel momento in cui lo affermiamo, non è che una suggestione, il risultato di un incantesimo, cioè di un recinto, gogna o emozione che fa di noi ciò che vuole.

Quello appena sopra non è che un elenco breve di pensatori e tradizioni, le cui configurazioni del mondo basterebbero ad edificare un’umanità immersa in una realtà di bellezza, di pienezza. Ma capire la bontà della loro parola non basta, l’esperienza non è trasmissibile, ricrearla è necessario affinché dal piano intellettual-cognitivo esse divengano carne, sangue, parola e pensiero.

Infatti, invece di essere saggi da millenni, siamo qui a consumare una vita di stenti e soprattutto vittimistica o peggio, sostanzialmente solo intellettual-ideologica. Un’emozione che ci costringe ad identificarci con il tunnel della storia e a non vedere mai il cielo. Cioè, a considerare utopia il salto quantico che dal trampolino dalla dimensione egoica ci lanci nella dimensione del bene e del bello; che dal brutale dualismo si possa passare alla consapevolezza dei suoi plumbei limiti.

Se le esperienze non sono trasmissibili e se riconosciamo che esse hanno il potere di intervenire nella nostra descrizione del mondo, dovremmo anche poter raggiungere la forza per accettare e fare nostra la consapevolezza che viene dalla banale constatazione che stiamo semplicemente dando significato differente alla realtà. Da lì, a riconoscerne il reciproco diritto, dovrebbe essere un’altra banalità. Ma se così non pare, allora c’è di mezzo la prevaricazione egoica e il suo pilastro portante, cioè l’identificazione di noi con ciò che chiamiamo io.

Ma se così seguitiamo a procedere, il nostro immaginario seguiterà a risiedere, con il liquame al collo, nella latrina edificata dal razionalismo, dal materialismo, dal positivismo, dalla scienza e dalla logica formale. Tutti ottimi strumenti per amministrare la vita, ma pessimi, se non letali, quando sono creduti gli unici ad avere diritto di stare sul nostro banco di lavoro, o quando dai campetti di gioco regolamentati e condivisi, ci addentriamo nelle foreste selvagge delle libere relazioni interpersonali, come la cultura scientista che ci domina, impone. Un accidente che, senza che nessuno se ne sia accorto, ha conficcato le unghie fino in fondo a noi, fino a delineare la strada dei pensieri e perfino quella dell’anima, tanto da renderci nemici.

I nemici ultima modifica: 2025-04-06T04:46:00+02:00 da GognaBlog

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41 pensieri su “I nemici”

  1. …e comunque probabilisticamente aveva anche ragione considerata la percentuale di italiani di merda in circolazione…

  2. Bertoncelli, sei de coccio (con simpatia, eh).
    Rileggi quello che ho scritto, e magari anche la sentenza della Cassazione:

    […] non si desume che la frase ingiuriosa “italiano di merda” fosse stata pronunciata consapevolmente per finalità di discriminazione, di odio nazionale razziale o di conflitto tra persone a causa della etnia, non risultando che l’imputato avesse manifestato, nel contesto in cui erano state profferite, odio e sentimenti similari connaturati ad una situazione di inferiorità degli italiani. Anche perché non si può ritenere che il riferimento all’“italiano”, nel comune sentire, nel nostro territorio, in cui l’italiano è stragrande maggioranza e classe dirigente, sia correlato ad un sentimento che può dare luogo ad un pregiudizio corrente di inferiorità. Per cui il termine “italiano”, accoppiato alla parola ingiuriosa, può essere letto come individualizzazione di una persona singola (per fatti relativi ad una situazione eminentemente personale e familiare), nei cui confronti si ha disistima, piuttosto che come riferimento ad una identità etnica in quanto facente parte di una comunità nazionale, quella italiana, che proprio nel nostro paese non può essere correlata ad una situazione di inferiorità o suscettibile di essere discriminata. Di conseguenza, non si riscontra l’aggravante di cui all’art ecc. ecc.

     

  3. Matteo, qui abbiamo degli estranei che entrano da clandestini in casa nostra e, tra le altre infinite cose, ci dicono: “Italiani di merda”.
     
    Se tu e Placido lo considerate normale, beh… avete seri problemi. 

  4. Fabio, tieni per te i tuoi giudizi.
    I tuoi pregiudizi non ci riesci proprio. Spiegami cosa trovi di sbagliato in questa frase di Placido, tale da scatenare la tua patologica idiosincrasia verso l’Islam (o anche solo dove vedi la giustificazione a qualcuno):
    “Un insulto è un insulto, ma quelli rivolti da un gruppo dominante ad un gruppo discriminato sono più gravi.”

  5. Matteo, se tu vivessi in Iran saresti uno tra i piú fanatici ayatollah. 
    Come dicevo prima, l’uso della ragione – che tentarono di insegnarti a Ingegneria – soccombe contro la tua forsennata fede ideologica.

  6. Bertoncelli tu hai un grave problema di incapacità selettiva alla comprensione.

  7. Ti lascio nel tuo brodo.
     
    N.B. Forse capirai quando dovrai subire violenze sulla tua carne viva. Però, anche in quel caso, lo ritengo improbabile: contro la fede religiosa o ideologica la ragione non vale. 

  8. Al commento #33 si legga “Non a caso infatti si parla DI aggravanti.”
    Il “di” mi è rimasto nella tastiera.

  9. Bertoncelli:

    Quindi i gruppi minoritari o discriminati possono insultare e il gruppo predominante no?

    Sei serio?
    Un insulto è un insulto, ma quelli rivolti da un gruppo dominante ad un gruppo discriminato sono più gravi. Non c’è simmetria. Non a caso infatti si parla aggravanti.
    Tu ad esempio metti sullo stesso piano un insulto verso un omosessuale in quanto tale ed un insulto verso un eterosessuale in quanto tale? (a parte che, significativamente, non mi pare esistano parole per insultare un eterosessuale in quanto tale)

  10. @ 31
    2. non possiamo pensare/illuderci che il gruppo predominante ed i gruppi minoritari o discriminati siano sullo stesso piano.
    In poche parole: “contesto”.

    Quindi i gruppi minoritari o discriminati possono insultare e il gruppo predominante no? Geniale!

    È la stessa logica perversa che si ritrova in alcune sentenze della magistratura, in base alle quali i mariti mussulmani, quando picchiano le proprie mogli, godono dell’attenuante che ciò fa parte della loro cultura.
    Se il picchiatore invece è un maschio bianco occidentale, allora trattasi (giustamente) di violenza. Per di più “patriarcale”.
    Complimenti al cervello!
    Benvenuta sharia!

  11. ilfetido al #30: sono d’accordo, e non mi sembra di aver scritto il contrario.
    Solo due precisazioni, forse scontate, e poi smetto, che quel che avevo da dire l’ho detto:
    1. non possiamo (far finta di) dimenticare che gli insulti rivolti a gruppi storicamente discriminati sono particolarmente odiosi perché portano con sé il peso della storia.
    e per questo
    2. non possiamo pensare/illuderci che il gruppo predominante ed i gruppi minoritari o discriminati siano sullo stesso piano.
    In poche parole: “contesto”.

  12. Non sarà un insulto razziale ma è un insulto anche pesante ….come tutti del resto gli insulti che si riferiscono all’appartenenza a qualcosa ( razza ,religione o provenienza geografica

  13. E la dicitura “giuliano/ dalmati ” sui documenti?
    E la sbandierata “razza Piave”?

  14. Bertoncelli, per quello che vale la mia opinione, sono d’accordo con il giudice.
    “Italiano di merda” è un insulto che non implica alcuna aggravante razziale.
    Non mi risulta infatti che noi italiani siamo stati considerati appartenenti ad una razza a sé stante ed inferiore, a differenza di quello che invece è successo (e succede) ai neri di qualunque nazionalità, o agli ebrei.
    Questo è il “contesto” cui mi riferivo.

  15. Caro Matteo, quello che volevo dire  è che siamo tutti uomini, bianchi, rossi, gialli o neri. E anche se di fedi o culture diverse: cattolici, mussulmani, buddisti, ebrei, americani, africani, europei, asiatici, ect. siamo sempre uomini. Al di là delle fedi e culture diverse, abbiamo tutti fame, sete, ci ammaliamo delle stesse malattie, invecchiamo, caghiamo e pisciamo. E la cacca puzza in egual misura, la mia come quella di Trump o di Putin, di uno sporco negro, di un italiano di merda o di un netturbino o del più attuale operatore ecologico.
    Certo quello che c’è o non c’è  nel cervello fa la differenza.

  16. @ 22
    Mastronzo, con la scusa del “contesto” si può quindi dire ciò che si vuole? perfino insulti etnici o razziali? finanche scemenze astronomiche?
    Secondo la Corte di Cassazione, italiano di merda non è un insulto etnico, mentre negro è un insulto razziale. Si badi bene: solo negro, non negro di merda!
     
    E io dovrei digerire simili idiozie? e addirittura tollerare quel negro di merda – poverino – che in casa nostra dice italiano di merda e poi se la passa liscia grazie ai lunari favorevoli di qualche giudice?
     
    P.S. Ho scritto “quel negro di merda” nel contesto appropriato. O forse la tua interessante teoria “del contesto” vale solo per alcuni e non per altri? Insomma, trattasi di “contesto ad personam”?

  17. Placido si esatto mi sento sotto attacco….se sei maschio allora per forza passi per patriarcale e maschilista, se sei bianco allora sei razzista, se sei etero allora sei omo/ transfobico, sei sei magro allora fai bady shaming…..a avanti così…… mi sembra si stia un po’ esasperando la situazione

  18. “Il sangue che abbiamo tutti nelle vene è dello stesso unico colore.”
     
    Caro Alberto, guardandomi in giro, leggendo quello che succede nel mondo o certi commenti anche sul blog io temo che quello che abbiamo in comune abbia un altro colore e stia nel cervello…

  19. 19 Fabio, non siamo razzisti solo noi italiani bianchi.
    Italiano di merda è un appellativo razzista. perche anche nelle altre culture c’è il razzismo, ma questo non può e non deve  essere una scusante. Il sangue che abbiamo tutti nelle vene è dello stesso unico colore.

  20. Il contesto, Bertoncelli, il contesto!
    C’è scritto anche nell’articolo che hai linkato.
     

  21. ilfetido:

    per essere veramente anticonformisti e rivoluzionari oggi bisogna essere: maschi,bianchi,etero,magri.

    A parte che mi sembra tu stia facendo confusione, significa che ti senti sotto attacco in quanto “maschio,bianco,etero,magro”?
    Spero tu ti sia accorto che le critiche verso noi “maschi,bianchi,etero,magri” non ci vengono rivolte perché possediamo queste caratteristiche, ma perché spesso e volentieri, dalla posizione di potere che storicamente abbiamo sempre avuto e tuttora abbiamo, discriminiamo/dileggiamo chi non le possiede.
     

  22. @ 19
    Mi sono dimenticato di precisare che “italiano di merda” era stato detto da un negro…  Scusate, da un uomo di colore.

  23. Negro è un termine dispreggiativo e volutamente di uso razzista. Punto!!!
    Infatti si dice sei uno “sporco negro” e chi lo  usa non lo fa per essere gentile,  ma solo per dimostrare la propria arroganza e quanto è razzista.

  24. Qui mi sembra cada a pennello, come dico sempre per essere veramente anticonformisti e rivoluzionari oggi bisogna essere: maschi,bianchi,etero,magri.

  25. Bertoncelli, non dubito delle tue capacità e dei tuoi talenti, ma ti assicuro che non sei tu a decidere cosa è offensivo e cosa non lo è per una determinata categoria di persone (e, se ti può consolare, non sono nemmeno io).
    Prima di sbeffeggiare allegramente, come fai tu, l’espressione “persona con disabilità”, ti invito a provare a sentire come suona differentemente rispetto a “disabile”. “E’ un disabile”. Disabile, punto. Tutto il resto non conta. Una persona riassunta, rinchiusa e definita da una sola parola.
    Prova poi a sostituire “disabile” con altre parole come “negro” (che ti piace tanto), “frocio”, ecc.

  26. Penso che anche il soffermarsi in superficie con uso, abuso e divieto di alcuni termini sia parte della repressione in atto: non sono inclusiva (che ora va tanto di moda) se a una serata dico “Buonasera signori e signore”, ma se mostro attenzione per tutti, soprattutto durante il quotidiano.
    Quando ero giovane usavo dire “di colore”, ma poi mi sono accorta che non significa proprio nulla e che l’accento va posto sull’intenzione che muove gesti e parole.
     
    (Alle pendici dell’Etna piove e su nevica!)

  27. Rilevo la presenza dei soliti diversamente giovani che concordi professano la loro diversa intelligenza esternando le loro idee diversamente moderne…

  28. si fece confusione fra i due vocaboli: quello italiano era neutro, quello americano era offensivo
     
    Più che parlare di confusione, direi che la traduzione tra lingue e culture diverse comporta sempre problemi di resa delle sfumature, non essendoci quasi mai una perfetta corrispondenza tra i significati dei vocaboli.
     
    E’ vero che “nigger” è sempre stato (nella cultura americana) un termine profondamente razzista; tuttavia, anche il termine “negro” (presente anch’esso nella lingua inglese e dal significato originariamente neutro – come il nostro “negro“) è oggi associato (in quella cultura – così come nella nostra) a una connotazione dispregiativa.
     
    Come detto, i significati delle parole e le sensibilità dei popoli cambiano nel tempo.
    Certo, possiamo restare legati all’uso che ne abbiamo sempre fatto (delle parole),ma è fondamentale fare attenzione al contesto.
    Entrare in un locale del Bronx frequentato da afroamericani e gridare “Guarda quanti negri ci sono qua dentro!” non credo sia una buona idea: spiegare loro che il termine, secondo te, è  neutro e non offensivo potrebbe risultare problematico, anche se sei spagnolo.
    Olè! 🙂
     
    P.S.”tu ignori il significato di “politicamente corretto” e di “woke”?
     
    Eddai, Bertoncelli, suvvia… 🙂

  29. Bertoncelli non fare il finto tonto, leggi tutta la storia, non il titolo.

  30. Balsamo, tu ignori il significato di “politicamente corretto” e di “woke”? Davvero?
    Ma dove vivi? Sul pianeta Papalla? 

  31. @ 6
    “Ma a voi piace trastullarvi […].”
    Ma “a voi” chi? A chi ti rivolgi?
    Tu hai ribattuto a un mio commento e quindi è a me che ti devi rivolgere. E con me si usa il “tu”.
    Il “voi”, di estrazione fascista, lo puoi usare con i fascisti, neri o rossi che siano.
    … … …
    In quanto ai tagli alla sanità, è un tema troppo serio per affrontarlo con gli slogan.
     
    N.B. A Castelfranco Emilia (Modena), il mio paese, esisteva un ospedale, aperto addirittura ai tempi della regina Margherita.
    Fu chiuso anni fa per decisione del Partito. A quei tempi la Meloni andava ancora a scuola.

  32. “Genitore 1 e genitore 2 sono diciture lecite. Questo ha previsto ieri, 15 febbraio 2024, la Corte d’appello di Roma con una sentenza cruciale per i diritti delle famiglie arcobaleno in Italia.
    La Corte ha confermato la decisione del Tribunale del 2022, che aveva dichiarato illegittimo il decreto del ministero dell’Interno del 2019, laddove imponeva la dicitura ‘padre’ e ‘madre’ sulla carta d’identità dei minori, invece di ‘genitore 1’ e ‘genitore 2’.
    (Vedi demografica.adnkronos. com, 16 febbraio 2024)

  33. Da quanto ne lessi, il problema del negro fu sollevato, tra gli altri, dai traduttori italiani che si trovarono di fronte a nigger, questo sí dispregiativo. In sostanza si fece confusione fra i due vocaboli: quello italiano era neutro, quello americano era offensivo.
    Credo che in spagnolo anche oggi si usi “negro” senza intenti razzisti.

  34. io uso tutti i termini che mi accompagnano da sempre, senza piegarmi al volere della propaganda
     
    Giusto, perbacco!
    Restare semper fidelis alle proprie tradizioni è il modo migliore per difendersi dalla propaganda e dal pensiero unico, e così distinguersi dall’appiattimento del pensiero della massa appecorata.

  35. Bertoncelli, la polemica su genitore 1 e 2 è un’invenzione politica della destra basata sul nulla, perché di fatto non è mai esistito un genitore 1 e un genitore 2. Ma a voi piace trastullarvi con queste sciocchezze pur di evitare di parlare dei tagli alla sanità ecc ecc 

  36. Fabio, io uso tutti i termini che mi accompagnano da sempre, senza piegarmi al volere della propaganda.
    Ultimamente ho riscontrato con piacere che per tanta gente i bidelli sono rimasti tali, anche se in tante scuole – controllati a vista dai controllori – non hanno più la possibilità di svolgere la loro preziosa funzione sociale di conforto, presenza, aiuto e monitoraggio.

  37. La parola negro fino ai primi anni Ottanta era di uso comune […] Poi qualcuno decise invece che era offensiva e che quanti la usavano erano razzisti
     
    Non direi che qualcuno (chi, esattamente?) abbia deciso. Piuttosto, nel tempo, la parola negro ha assunto culturalmente in modo diffuso una connotazione offensiva.
    Forse perché troppo spesso accostata a espressioni come sporco o bastardo e usata in modo spregiativo proprio da quei razzisti che tu citi (e chi disprezza e discrimina in base al colore della pelle, può a buon titolo essere definito un razzista).
     
    Usi, costumi e sensibilità cambiano nel tempo, e con loro anche il linguaggio. Le uniche parole che non cambiano sono quelle delle lingue morte.
     
    Poi, per carità, ognuno è libero di usare i termini che preferisce e di etichettare come “politicamente corretto” o woke (qualunque cosa voglia dire) chi ha sensibilità diverse dalla sua.
    Però poi non dovrebbe stupirsi se viene precepito come un tamarro 🙂

  38. La gabbia del politically correct mi è sempre stata sulle palle come la mascherea di ferro per il povero prigioniero del Seicento. Non stato dicendo che voglio legalizzare l’insulto e l’ingiuria. Ci deve essere un confine dato dall’eduzione rivcevuta (non solo dia genitori ma ANCHE dalla scuola ecc). Cmq io continuo a utilizzare abitualmente 8ovviamente alla bisogna, non a sproposito)nella mia parlata quotidiana termini come negri, cupi (il torinese di frocio, ma che non è offensivo nella tradizione dialettale nostra) e napuli (il termine torinese per meridionali). Per ragioni di lavoro conosco (e apprezzo) da anni un siciliano che usa il termine “milano” per indicare gli italiani del nord. Secondo me è meglio così, che diciamo pane al pane e vino al vino, che possiamo parlare in libertà e in scioltezza, senza infilarci negli scioglilingua degli schiavi del politically correct (audiolesi per sordi ecc). I terreni sui quali emerge la vera maleducazione sono ben altri e sono quelli comportamentali, non quelli linguistici.

  39. La parola negro fino ai primi anni Ottanta era di uso comune e non aveva la benché minima sfumatura offensiva. Nei suoi scritti la adoperò perfino Primo Levi (almeno fino al 1982), che di certo non può essere tacciato di razzismo. Poi qualcuno decise invece che era offensiva e che quanti la usavano erano razzisti.
    Oggigiorno si dice di colore. Se io fossi un negro, mi arrabbierei a sentirmi apostrofare in quel modo ridicolo. Almeno, se proprio si vuole seguire la moda del “politicamente corretto”, si dica nero.
    Per non parlare dei diversamente abili, parola che è l’apoteosi dell’ipocrisia. Disabile evidentemente è ritenuto offensivo… Se voi foste disabili, non vi sentireste presi in giro a essere apostrofati come diversamente abili?
    E gli operatori ecologici? I non vedenti? I non udenti? I non promossi? I non colpevoli?
    Il padre (papà) e la madre (mamma) stanno diventando genitore 1 e genitore 2. Roba da matti!
    E che fine hanno fatto i bidelli di una volta?

  40. Infatti nell’italiano maccheronico degli ipocriti e dei moralisti i negri diventano neri come i fascisti e gli zingari diventano nomadi come i pendolari. In entrambi casi è falso: i negri non sono fascisti e gli zingari non sono nomadi. Al  contrario vivono nel centro delle grandi città per sopravvivere di espedienti.

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