Metadiario – 281 – Il Festival di San Vito (AG 2011-002)
Nell’ottobre 2011 fui invitato dagli organizzatori del San Vito Climbing Festival a partecipare al trentennale dell’apertura de Lo Sballo di San Vito, così ancora una volta volai in Sicilia.
Lì feci cordata con il lecchese Natale Villa e, saltuariamente con Jerome Bernard e Luigi Cutietta. Mi accontentai di brevi arrampicate sportive, dato lo scarsissimo allenamento per via dell’operazione subita.
Interessante fu il convegno, con le rievocazioni varie e l’intervento dell’asso del festival, Rolando Larcher. Raccontai un po’ dei vecchi tempi, ma poi mi concentrai su quello che ritenevo il problema del momento. Cito dalla relazione originale:
«Sulla Scogliera di Salinella, una delle falesie oggi più frequentate a San Vito Lo Capo, tra l’82 e l’84, i valtellinesi Giuseppe Miotti, Jacopo Merizzi, Federico Samaden, Piera Panatti, Carlo Pozzoni e Giuseppe Sironi aprirono undici brevi ma stupendi itinerari, di notevole difficoltà, con il solo uso di mezzi tradizionali, quindi nut, friend e qualche chiodo.
Ecco i nomi: Al Cappone, Sindrome Kosterlitzensis, Perfidi cannoli di San Vito Lo Capo, Via le Mutande, QPBCMHLSUN, Via lo Stato, Joanna Ridens, Chiappe al Vento, Vortice Rosso, Dam to cosc e via dell’Abbaglio. Questi itinerari sono oggi del tutto dimenticati, soprattutto perché la maggior parte è stata attrezzata a spit e rinominata. Le poche e scarne note di relazione sono conservate nel mio libro Mezzogiorno di Pietra e nella guida Sicilia. Credo che anche invitando i protagonisti per un’identificazione sarebbe difficile ottenerla al completo per tutti.
Se fossero stati solo i valtellinesi… Ma in seguito anche i siciliani produssero belle linee, a merito di Maurizio Lo Dico, Giuseppe Maurici e soprattutto Roby Manfrè. Anche quindi la via della Puppù, la via “aperta da noi”, via del Rosso, Galleria del Vento, Lame taglienti, Sbarbine di primavera, In questo posto amore mio non ti conosco, Voglia di Sole… tutte dovrebbero tornare a vivere. Magari qualcuna non è stata ancora spittata! E ce ne sono di più, una di Marco Marantonio, una di Alberto Giolitti e tre di ignoti…
San Vito Lo Capo si avvia a diventare la Kalymnos della Sicilia, un vero e proprio paradiso per gli arrampicatori sportivi. Tra tanti itinerari bellissimi e attrezzati secondo me potrebbero sopravvivere queste misteriose e dimenticate perle di un tempo, a memoria storica, ma soprattutto in previsione di una futura ondata di moda trad dalla quale anche San Vito Lo Capo non sarebbe esente.
Ripristinare questi brevi itinerari potrebbe essere un ulteriore fiore all’occhiello di questo centro d’arrampicata, quel qualcosa in più che altri centri non hanno o non hanno più.
E siccome è più facile preservare che ripristinare, si potrebbe segnalare l’esistenza di altre quattro vie aperte dai valtellinesi nella stessa area di San Vito Lo Capo: lo spigolo Pecolla alla Quota 482 m di Monte Sauci (salito slegati in scarpe ginniche), Odore di Sassista bruciato alla parete sud di Pizzo Castelluzzo, Il Gioco del Falco alla Fortezza delle Rocche del Tuono ed Erbocid al Bastion Contrario delle Rocche del Tuono. Potrebbero non esserci limiti in questa operazione, solo sul Pizzo Monaco Chiari di Luna, Boomerang, Madre de Dios sono tre gli itinerari di Roby Manfrè e compagni che non possono essere dimenticati così, almeno in rispetto alla sua memoria. Per non parlare della via del Trio (porno) pastorale, a sinistra di Madre de Dios. Questa merita una citazione a parte, Popi Miotti mi ha raccontato che, mentre era impegnato nel primo tiro, già difficile, tre pastori si sono avvicinati al compagno Carlo Pozzoni e gli hanno attaccato discorso. A un certo punto uno tira fuori una rivista porno e gli chiede se al Nord si fanno davvero quelle cose lì… Pozzoni dopo aver a lungo sbirciato risponde di sì, il discorso prende una piega ben precisa e alla fine i tre pastori esclamano di voler emigrare! Miotti ricorda anche la terza lunghezza, una delle più impegnative che lui abbia mai affrontato a causa della difficoltà di protezione… ma forse anche per altri pensieri».
D’altro lato, responsabili dell’imponente lavoro di chiodatura a Salinella erano stati i fratelli inglesi Jim e Scott Titt (presenti all’evento), assieme agli austriaci Joseph Gstottenmair e Karsten Ölze e al catanese Daniele Arena: duecento le vie spittate, un’enormità ben lontana dall’esaurimento.
Ebbi l’impressione che nessuno capisse neppure cosa stavo dicendo. Ripetevo: “cosa possono importare 11 lunghezze su 200? Che sminuimento possono avere i chiodatori, o gli utenti assatanati di spit, o ancora un’amministrazione comunale magari assetata di sempre più ingenti quantità di roccia arrampicabile in modo sportivo per malintese questioni di responsabilità?”.
Chiedevo semplicemente un po’ di rispetto della storia… perché neppure i nomi originali avevano conservato, proprio con l’intento di cancellare ogni traccia, non concedendo nulla alla memoria, perciò banalizzando.
Alla fine, in un silenzio neppure troppo imbarazzato, la mia proposta si scompose miseramente tra i sorrisetti compassionevoli sia inglesi che siciliani. E, oggi, le vie in questione sono ancora là, dimenticate.
Avevo capito che il ripristino era assai improbabile: e in ogni caso un’azione di schiodatura non sarebbe stata certo condivisa.
Il Festival di San Vito Lo Capo era nato nel 2009 da un’idea di Massimo Cappuccio e Giuseppe Peppe Gallo, quando ancora San Vito Lo Capo era una località solo balneare e ancora poco conosciuta dagli appassionati dell’arrampicata.
Il Festival si svolgeva ogni anno nel mese di ottobre ed era tra lemanifestazioni outdoor più importanti della Sicilia. Coinvolgeva centinaia di appassionati d’arrampicata da tutto il mondo. Ogni anno si incontravano atleti, pubblico, specialisti di fama internazionale e prestigiose aziende di settore.
Assieme ai grandi sponsor e agli ospiti di fama internazionale, centinaia di climber, tra i quali tutti i più famosi, arrivavano da tutta Europa e da oltre oceano per arrampicarsi sulle rocce sanvitesi: con loro anche registi di film outdoor e freestyler tra i più quotati. Si giunse fino alla decima edizione, quella del 2018, poi la manifestazione fu sospesa.
Oggi San Vito Lo Capo è comunque uno degli spot d’arrampicata più importanti del Mediterraneo, concorrenziale a Kalymnos e Leonidio. Nelle oltre mille vie chiodate su ottima roccia, in uno scenario paesaggistico tra i più belli della Sicilia, ci si può arrampicare tutto l’anno su una smisurata quantità di roccia calcarea. Accanto alla massa di itinerari d’arrampicata sportiva,inerbiti dal cambio climatico e quasi del tutto in oblio sopravvivono quei pochi percorsialpinistici e d’avventura aperti nei primi anni Ottanta.
Ultima curiosità. Su quella che oggi le guide moderne di arrampicata chiamano “la Pineta” (per me Scogliera di Salinella) figura una via Gogna (6a, 28 m) che io di certo non ho mai aperto e una subito accanto a destra, Brave old Way (6a, 28 m), che forse si rifa ad un itinerario precedente. Probabilmente sono due di quegli undici itinerari trad per i quali invocavo la salvezza.
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Uuuh… Che dire… Mi inchino di fronte a cotanta spocch… ahem… sapienza!
Non c’erano già abbastanza Marchesi del Grillo in ‘sto blog?!?
infatti non si è detto che il rimbalzo è generato ESCLUSIVAMENTE su una corda molla. Ti mancano proprio le basi, datti ad altro. Un saluto a tutti i membri del GB
[OT e poi mi ritiro]
L’oscillazione e il rimbalzo si generano anche sulle corde tese/in tensione, altrimenti, ad esempio, i cordofoni non esisterebbero.
esattamente, e se recuperassimo un approccio linguistico consapevole potremmo riconoscere il valore semantico insito nella traduzione che ti ho proposto: una corda molla genera oscillazione sotto il peso del funambolo. Il movimento stesso — il molleggiare — è il risultato diretto della proprietà “slack” della corda/fettuccia. Dare un nome italiano a questa realtà, come corda molleggiante o la molleggiante, non significa solo tradurre, ma comprendere e restituire in modo trasparente la relazione tra forma, funzione e significato. Si tratta insomma di capirne di traduttologia, o di avere la decenza di restarsene in disparte quando non si hanno le competenze per parlare, atteggiamento che oggigiorno è oramai tristemente scomparso sotto scroscianti “1vale1”.
Sul Monte Disgrazia si innalza la celeberrima Corda Molla. Un nome che evoca ricordi o desideri.
Se l’avessero denominata nei tempi moderni, sarebbe stata la Slackline.
Amziché la Corda Molla al Disgrazia avremmo avuto The Slackline to the Misfortune Peak.
Al pensiero vengono i brividi.
A latere, “slack” non c’entra niente col rimbalzo/molleggio, ma indica solo che la “line” (corda, fettuccia, ecc.) non è tesa, ma, appunto, molla.
“Slack!” infatti è anche il comando per chiedere “du mou”, come direbbero in Francia.
Roberto Cuoco, limitati a fare ciò che fai – se fai qualcosa, ma magari come tanti qui scali e basta -, evita commenti su argomenti di cui non sai assolutamente nulla (come si evince dagli esempi che hai portato, che di solito dovrebbero sostenere un’argomentazione e invece in questo caso la inficiano, ridicolizzandoti…).
[OT]
Se chi parla inglese non si fa problemi ad usare parole italiane come “fiasco”, “primadonna”, “crescendo”, “mammamia”, “pasta”, “pizza”, “mafia”, “mandolino” ;), ecc. non vedo perché dovremmo farci problemi ad usare parole inglesi come “slackline”.
Io dormo tranquillo.
Piacevole e originale come sempre questo articolo del Capo.
Elias il fetido ti ha già risposto.
Elias dici bene ma sei poco credibile…hai sbagliato articolo..
Caminetti, non è necessario chiamare “linea molla” la slack line, questo lo può sostenere soltanto chi non ha alcuna cognizione di traduttologia o linguistica, ovvero chi ha passato una vita con il naso all’insù. Anni fa si faceva lo sforzo culturale di ricreare un corrispettivo italiano, adattato dal punto di vista fonetico, o semantico, o entrambi. Ora si tende a non farlo più, e a questo si riferiva il commento di Fabio. In questo caso ci starebbe bene una cosa tipo “la molleggiante”, calco semantico creativo che omette la parola “linea” (implicita) e aggiunge “molleggiante”, che restituisce bene l’idea del rimbalzo (slack). Ad alcuni questa proposta potrà sembrare insolita perché ormai abbiamo perso l’abitudine di scomporre criticamente gli elementi fonetici allogeni — come slack e line — riconoscendoli per il loro reale significato. Tali termini vengono così recepiti come unità opache, quasi fossero parole inscindibili, e proprio questa percezione compatta ne favorisce la diffusione rapida. Il successo dei prestiti crudi dipende in larga misura da questa mancata consapevolezza linguistica, che da ultimo ci impedisce di valutarne la traducibilità.
In una delle prime edizioni ebbi il piacere di scalare a fianco di da Pozzo, Brenna, Moroni e Calibani….che spettacolo….altri tempi
Qui un giovanissimo Marco Marantonio, che ogni tanto incontro, perchè da diversi anni abita nei dintorni di Pietrasanta.
Ha perfettamente ragione Gogna a chiedere, inascoltato, il rispetto delle vie storiche. Non è servito e non servirà a nulla, il mondo è già andato da un’altra parte, ma almeno ricordarlo fa bene. Ormai dire che hai chiodato una via fa figo, anche se in realtà hai solo richiodato un tracciato fatto in scarponi 40 anni fa.
Se non esiste il traducente, si può usare il termine inglese. Altrimenti lo si inventa, come fanno spesso in Francia e in Spagna; in breve ci si abitua. Per esempio, ora ci stiamo abituando (forse) ai nomi professionali femminili: avvocata, ministra, ecc. Facemmo lo stesso con senatrice, deputata, maestra e altri, che nessuno ora giudica ridicoli.
Una volta esistevano i calcolatori e i fine settimana; ora, a causa dello scimmiottamento, ci sono i computer e i weekend.
Si tratta soltanto di decidere ciò che vogliamo fare.
N.B. Non mi riferisco alle pubblicazioni scientifiche internazionali, ma ai discorsi di tutti i giorni.
P.S. L’articolo è piacevole, in stile Gogna.
Si ma, allora dovremo chiamare “linea molla” la slack line. Lo dico per gli appassionati.
Durante il fascismo il nonno di un amico che aveva un bar, aveva dovuto levare l’insegna dell’Aperol perché era considerata parola straniera. La modificò in Aperollo e per il locale podestà andava bene.
Bellissimo San Vito Lo Capo!
Commento minore: assolutamente d’accordo con Fabio! Non è il caso di questo bell’articolo, ma l'(ab)uso di termini inglesi è un segno di sudditanza culturale…
Una bella esperienza! C’era anche il mare ad abbracciare Palermo: un’isola incantevole!
Che cos’è uno spot? e il trad? e l’outdoor?
Chiedo semplicemente un po’ di rispetto per la nostra bella lingua, in particolare quando esistono i traducenti.