Il principio di autoresponsabilità è stato stabilito dalla legge appena approvata. CAI e sindaci unanimi: «Ha vinto il buon senso».
Infortuni in montagna? Ognuno risponde per sé
di Francesco Ferrari
(pubblicato su L’Eco di Bergamo il 19 settembre 2025)
Nel luglio dello scorso anno 2024 era stata Regione Lombardia, con un emendamento ad hoc, ad introdurre il principio di autoresponsabilità in montagna. Ora arriva anche la nuova legge nazionale sulla montagna ad esprimersi in questa direzione: chi percorre un sentiero in quota non può imputare un incidente o un infortunio subito agli enti locali sul cui territorio si trova.
Un pronunciamento che trova un coro unanime di reazioni, dai sindaci (che in passa- to hanno dovuto affrontare cause legali, avviate da persone che avevano subito infortuni in montagna) a professionisti e associazioni della montagna.
A stabilire il principio dell’autoresponsabilità è un comma della legge sulla montagna da poco approvata in Parlamento: «Il fatto colposo del fruitore costituisce caso fortuito ai fini della responsabilità civile». Cadute casuali di sassi o infortuni per comportamenti imprudenti non saranno dunque imputabili ai Comuni o altri enti.
«Accogliamo favorevolmente questo pronunciamento – reagisce il presidente del CAI Bergamo, Dario Nisoli – Noi lo specifichiamo sempre a chi si iscrive a un corso o una gita: chi frequenta l’ambiente montano deve affrontare un rischio ineliminabile connesso all’ambiente naturale. La normativa dice una cosa, ma è bene che sia stato chiarito».
Sulla stessa lunghezza anche Damiano Carrara, che guida la VI delegazione orobica del Soccorso alpino: «La montagna, anche su itinerari tracciati, è un terreno d’avventura: non si può pretendere un controllo o una sicurezza totali. La responsabilità implica la conoscenza dell’ambiente e l’uso di attrezzatura adeguata, oltre alla consapevolezza che rimane sempre un rischio imponderabile».
Così anche i sindaci dei Comuni di montagna. «Mi sembra un principio talmente ovvio che sarebbe quasi inutile commentarlo – esordisce il primo cittadino di Valbondione, Walter Semperboni – Nel 2017 un escursionista ferito da un masso aveva fatto causa al Comune, chiedendo i danni: per fortuna è arrivata la sentenza di assoluzione, perché sarebbe assurdo cercare colpevoli dove non ci sono». Semperboni ribadisce che «la montagna presenta i suoi pericoli, ma gli imprevisti sono da addebitare al fato. I sindaci hanno già in capo tanti problemi e colpe che non dovrebbero avere, per fortuna almeno questa no. La montagna non deve essere il giardino o il parco giochi di chi viene e fa quello che vuole, magari pensando di salire a duemila metri in ciabatte».
Gli fa eco Claudio Agoni, primo cittadino di Schilpario: «Sarebbe assurdo il contrario. Gli imprevisti ci sono ovunque, tanto più in montagna. Se un sindaco dovesse essere responsabile di chi va in montagna, sarebbe una follia: presenterei subito le dimissioni. Questa volta ha prevalso il buon senso».
Lo sostiene anche la sindaca di Castione, Samantha Tagliaferri: «In montagna servono responsabilità, conoscenza e rispetto del territorio. Ciascuno deve essere cosciente che l’imprevisto è sempre dietro l’angolo e assumersi il rischio, altrimenti bisognerebbe blindare tutti i sentieri e controllare ogni persona che passa».
Un plauso alla legge è arrivato anche dal Collegio nazionale delle guide alpine, che sottolineano – oltre all’importanza del principio di autoresponsabilità – anche come «viene ribadito il riconoscimento come professioni delle figure di guida alpina, aspirante guida, accompagnatore di media montagna e guida vulcanologica» e «l’attività escursionistica viene riconosciuta come strumento essenziale per la tutela e la promozione del patrimonio ambientale».
«Con questa legge si compie un passo importante verso il riconoscimento concreto del valore della montagna e di chi la vive e la tutela ogni giorno anche con il proprio lavoro», commenta Martino Peterlongo, presidente del Collegio.
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Non c’è nulla di cui devo “convincermi” perché sono convinto da sempre. Se mi fate obiezioni come quelle avanzate dimostrate che non “sapete” leggere le opinioni altrui, specie andando in profondità. sintetizzo: le due fattispecie (divieti ossessivi oppure responsabilità individuale) si escludono: o la società, attraverso atti giuridici (come questo) evidenzia al di là di ogni ragionevole dubbio che ogni singola scelta nell’andar in montagna è solo individuale oppure, se la società non riesce a scaricare la responsabilità individuale sui singoli, allora la tiene in capo a sé, da cui è inevitabile che agirà come un vigile imponendo a priori i divieti e le altre forme connesse. Finora la società, sia dal lato istituzionale che nelle affermazioni di singoli cittadini (esempio i parenti che reclamano giustizia perché nessuno ha fermato chi poi è incappato in incidenti mortali) hanno dimostrato di ragionare nella seconda fattispecie, cioè della società mamma che pensa ai suoi figli, vietando dove ritiene che sia pericolo (e se chi è preposto non vieta finisce in tribunale). Se invece la società dimostrerà che riesce a fare il salto di qualità e passare alla prima fattispecie (quella della responsabilità individuale), ben venga, non posso che gioire. io però sono co0me San Tommaso e voglio però vedere le cose all’atto pratico, non ultimo in sede giurisprudenziale. Non sono ancora del tutto convinto che i sindaci siano completamente sollevati da responsabilità “preventive” per esempio sulla percorribilità di un certo sentiero (magari mezzo franato) o sulla fattibilità di uscite scialpinistiche nel territorio comunale post precipitazioni. E’ contro queste responsabilità implicite che molti comuni (o enti equiparati) agiscono a priori ponendo dei divieti, almeno nessuno li potrà citare in giudizio. Quando non vedremo più del tutto ordinanze del genere (o altre cose equiparabili, come numeri chiusi ecc ecc), allora potremo dire che la società è davvero passata dal modello “mamma” al modello della responsabilità individuale. A cose fatte ci crederò davvero. per ora si tratta di una legge, passo importantissimo, ma sappiamo che in Italia “fatta la legge, trovato l’inganno”. E non solo per i temi della montagna.
Carlo credo che la gran parte dei frequentatori per scelta della andare per monti e valli lo sapesse o lo sa …era ed è da spiegare meglio ai famigliari che spesso hanno intrapreso vie legali nel dopo disgrazie anche dove non vi era necessità alcuna.
Ah, quindi adesso ti sei convinto che la società securitaria e paternalista non è poi inarrestabile e che la certificazione o la “patente” per andare in montagna magari non è una necessità ineluttabile e auspicabile…
Mi fa piacere, sinceramente.
Non tutto è prefetto, per cui anche questa scelta ideologica e giuridica presenterà inevitabili risvolti negativi agli occhi di chi cerca tali risvolti per denigrare la scelta in sé. Ma finalmente è stato chiarito (o quanto meno è in via di chiarimento) il punto basilare di tutta la questione: andare in montagna è una scelta individuale e come tale comporta l’assunzione di responsabilità da parte di compie tale scelta. Di volta in volta potrebbero emergere profili di responsabilità altrui che incidono sul singolo caso, ma si sta finalmente sgomberando (anzi, si dovrebbe aver già sgomberato) il campo dall’equivoco di fondo. Quello cioè della società sicuritaria che deve “pensare per te” addirittura ex ante e “impedirti di partire” anche per la singola specifica uscita, per cui, se nessuno ti ha fermato, ecco che parenti e amici delle vittime “chiedono giustizia”. basta con questa ipocrisia. Gli alpinisti i frequentatori della montagna (in ogni disciplina) devono dimostrare di essere tutti adulti e consapevoli, sapendo che andare in montagna non è “a rischio zero” e che l’errore umano, anche dei cosiddetti esperti, fa parte della vita.