La Grande Avventura
di Antonio Migheli
Il Col del Lys è un valico di 1300 metri a poco più di un’ora da Torino, che connette la parte iniziale della Val di Susa a sud con la Val di Viù (la prima delle tre Valli di Lanzo) a nord. Nel territorio di Mompellato, l’ultima borgata che si attraversa salendo dalla Val di Susa, sono presenti numerosi torrioni di serpentino che negli anni ‘80-’90 del secolo scorso hanno avuto una discreta frequentazione alpinistica, per essere poi quasi del tutto dimenticati. Forse perché non sono mai “abbastanza”: non sono abbastanza vicini a Torino, le vie non sono abbastanza facili, ma neppure abbastanza dure, non sono abbastanza lunghe ma neppure semplici monotiri… insomma un posto considerato arrampicatoriamente un po’ sfigato.
A dispetto di ciò, i torrioni (a occhio e croce una ventina) sono stati praticamente tutti chiodati e qualche solitaria cordata la si trova sempre. Nulla a che vedere con la chiassosa Sbarua, naturalmente: qua i merenderos manco si sa che faccia abbiano; e gli arrampicatori che ci bazzicano, quasi tutti locals, non vestono Montura o E9.
I due chiodatori a cui si deve la maggior parte del lavoro sono Teddy Di Giorgio, compassato e asciutto signore dall’aspetto ieratico, e Lorenzo Gillio, che io paragono a un folletto per una certa sua aria vagamente trasognata, come se non fosse mai sul pezzo. Lorenzo proviene dalla vecchia scuola dell’arrampicata libera finalese anni ’80, quando non si pensava a quanti metri fosse distante l’ultima protezione; ogni tanto ci fa vedere sue foto sbiadite in fuseaux variopinti, che suscitano in me una discreta invidia, pensando che quegli stessi anni li ho passati a fare ricerca nel chiuso di un laboratorio e forse una fetta di vita me la sono persa.
Un giorno della scorsa estate Lorenzo, che conoscevo appena, mi invita a ripetere una via che lui e Teddy avevano appena chiodato a Mompellato, Vista su Suppo, una vietta carina ma un po’ discontinua. Lo accompagniamo io, Cajo e il Profumiere; e lo sfottiamo allegramente per tutta la salita e soprattutto la discesa, visto che riusciamo pure a perderci lungo il sentiero che lui stesso aveva tracciato. Lorenzo incassa; e intanto sogna… qualche giorno dopo torniamo, io e lui, a ripetere Titanic, una bella via aperta da Teddy negli anni ’90 e richiodata da poco, su un altro torrione, questo sì bello continuo. Mentre saliamo, notiamo che sulla sinistra di Titanic ci sarebbe spazio per un’altra linea.
Passano i mesi e a novembre 2024 ci troviamo alla base della futura via. Abbiamo deciso di aprirla dal basso, a spit e nel caso usando friend oppure i provvidenziali “provvisori” (sia benedetto Roberto Vigiani che ne ha insegnato l’uso a un mio amico, in uno dei suoi corsi per chiodatori). Attacco la placca, sembrava abbattuta e invece si rivela ostica. “Lorenzo, fa attenzione”, questo il mantra che per tutta la chiodatura della via gli avrò ripetuto un migliaio di volte. Sì, perché Lorenzo, dopo una parentesi di quasi trent’anni, si è ricatapultato di recente nell’arrampicata, non solo con la mentalità finalese anni ‘80, ma anche con l’attrezzatura di quell’epoca: è stato duro dissuaderlo dal continuare a usare l’Otto e passare al secchiello. E ora si ritrova con un Reverso tra le mani, che ogni volta gira e rigira per cercare di capire qual è il verso giusto.
Fra un “fa attenzione” e l’altro, la placca viene chiodata; segue un tratto a bellissimi buconi, per i quali la roccia di Mompellato è famosa; e poi una fessura che termina con un sinistro pilastrino, che sembra reggere ai trazionamenti… ancora una rampa e il primo tiro è andato.
Un breve trasferimento e davanti a noi la parete scende di qualche metro in un anfratto… “che dici, Lore’, partiamo dall’antro?”.
Ci infiliamo dentro e riparto, stavolta la parete è verticale e liscia, metto due spit vicini per fare un A0, sembra un tratto inscalabile (si rivelerà solo 6a+)… poi si riparte coi buconi, e intanto la sera è arrivata e ci caliamo.
Torniamo dopo qualche settimana… stavolta attacca Lorenzo con un tiro di placca abbastanza semplice, poi tocca a me su una placca impegnativa, per fortuna sono placchista, e dopo un ultimo pilastrino faccio sosta: è il quarto tiro. Riparte Lorenzo, la scelta è fra un muro aggettante a sinistra e un camino a destra, ma abbiamo deciso che vogliamo chiodare una via divertente, e dunque infiliamoci nel camino! E così arriviamo al sesto tiro, una serie di strapiombini e magnifiche placchette a bugnoni; intanto ci siamo spostati sulla faccia ovest della parete, è tardi e decidiamo di scendere.
Dovevamo tornare la settimana dopo, ma iniziano le nevicate e Mompellato diventa off limits. Intanto tutti a chiederci “ma ‘sta benedetta via quando la finite?”.
Finalmente un giorno di marzo di quest’anno 2025 partiamo decisi… per due settimane c’è stato sole a palla, ma naturalmente quel giorno è velato, anzi negli ultimi due giorni ha pure nevicato. Lorenzo propone di arrivare al torrione dal lato nord dall’alto e calarci fino all’ultimo punto chiodato. Partiamo, fa freddo e ci troviamo di fronte a mezzo metro di neve fresca… arranchiamo per due ore e quando arriviamo la parete ovest è ovviamente piena di neve… si rimanda… “ma voi due quando la finite ‘sta via?”.
E così arriviamo al 24 aprile 2025, stavolta ci siamo. Ripetiamo i tiri già chiodati e si riparte. Traverso verso sinistra e a seguire lungo la parete ovest, ancora all’ombra, una fessurona da camminarci dentro fino a giungere a una placca. Vorrei proseguire in traverso, ma la placca diventa strapiombo, no bbuono… un bel passaggio espostissimo, i piedi sul bordo del vuoto, penso malignamente a chi ripeterà il tiro da secondo… risalgo in verticale, un friend per riuscire a chiodare una bella sosta aerea; e recupero Lorenzo, che mi manda un po’ di accidenti mentre avanza sulle uova. Ultimo tiro: sto per attaccare la placca fessurata a sinistra, ma guardiamo in su e vediamo uno spigolo che nemmeno lo spigolo nord dell’Agner… allora si va su per lo spigolo e, vabbè, saranno solo 15 metri, ma che sensazione fantastica… e finalmente la grande avventura ha termine!
Falesia di Mompellato, settore Ovest
Via La Grande Avventura
Aperta integralmente dal basso da Antonio Migheli e Lorenzo Gillio (novembre 2024-aprile 2025).
Altitudine: 1350 m
Dislivello di avvicinamento: 100 m
Dislivello: 170 m
Difficoltà: 6a+ max (6a obbl.)
Esposizione: sud-ovest
Note
Sufficienti 12 rinvii. Non necessarie protezioni mobili. Possibile anche usare una mezza corda da 60 m doppiata. Tutte le soste sono costituite da due spit collegati da cordino. Presente maillon di calata solamente su S1, S2, S4. Dato l’andamento obliquo verso sinistra della via, è vivamente sconsigliato calarsi sulla stessa. In caso di necessità, sfruttare le adiacenti soste di Titanic sulla destra. Da S5 possibile via di fuga seguendo la cengetta che scende nel canale adiacente alla parete che porta all’attacco della via.
Avvicinamento
Sulla strada Provinciale del Colle del Lys, salendo da Almese, poco prima dell’abitato di Mompellato svoltare a sinistra per varie borgate (indicazioni) fino a Suppo (termine sterrata, parcheggiare con cura). Passare tra le case e subito dopo la fontana risalire brevemente verso destra il sentiero CAI fino a quando questo entra nella faggeta e comincia a scendere. A quel punto risalire i prati sulla sinistra seguendo i bolli rossi, fino a pervenire nei pressi di un rudere ad un sentiero ben segnato che entra nel bosco. All’incrocio con l’indicazione verso destra per il Primo Torrione, seguire invece il sentiero marcato che risale il bosco, passa davanti alle Placche della Comodità e prosegue in leggera salita verso ovest. Superato l’attacco della via Vista su Suppo, poco oltre svoltare verso destra e risalire leggermente il bosco, fino ad arrivare all’attacco di Titanic. Salire due piccoli risalti di roccia sulla sinistra fino all’attacco della via (30 min da Suppo).
Descrizione
L1: attaccare la placca delicata (6a), poi superare un muro a grossi buchi (5c), fino ad arrivare ad un pulpito con possibilità di sosta facoltativa (due spit non collegati); di qui traversare leggermente a destra e risalire la bella fessura verticale (5c) sino a un pilastrino sporgente (trazionare con attenzione), da cui ci si ristabilisce su una rampa con passo difficile (6a). Seguire la rampa verso destra e superare un muretto con passo delicato (6a) fino a sosta in prossimità di un ginepro (30 m).
Effettuare un breve trasferimento di una decina di metri e scendere per 2-3 metri in un anfratto situato subito a sinistra della linea di spit di Titanic.
L2: uscire dall’anfratto con passi in piena placca (6a+), oppure sfruttando in spaccata il bordo opposto dell’anfratto (6a). Successivamente attaccare il bellissimo muro verticale a buone prese (5c) sino a sosta su comoda cengia (20 m).
L3: risalire leggermente la bella placca in diagonale verso sinistra, sino a sosta in prossimità del bordo laterale della placca (5c, 20 m).
L4: attaccare la magnifica placca (6a), superare un delicato bombé (6a+), poi tratto più facile (5c) sino a pilastrino finale (6a) e sosta alla base del camino (30 m, tiro chiave della via).
L5: entrare nel diedro camino e seguirlo con passi delicati e protezioni distanti, sino a sosta su comoda cengia (5c, 20 m).
L6: risalire lo strapiombo ben ammanigliato (5c) e ribaltarsi su magnifica placca a bugnoni (5a), seguita da due muretti (5c), fino a sosta posta in prossimità del bordo della parete (20 m).
L7: dalla sosta, traversare immediatamente a sinistra e seguire una larga fessura orizzontale in costante esposizione (5c), sino a pervenire alla base di una placca. Mantenersi molto bassi e continuare a traversare lungo il bordo terminale della placca in prossimità del vuoto, sino a portarsi sotto la verticale degli ultimi due spit. Risalire la placca (6a) e traversare a sinistra fino a sosta aerea (15 m).
L8: seguire il bellissimo spigolo ben ammanigliato fino a sosta finale, in comune con l’ultima sosta di Titanic (5b, 15 m).
Discesa
(1, sconsigliata) seguire le corde fisse che portano a terra dopo un salto di alcuni metri; da qui scendere nel ripido e mal segnato canale di discesa posto a sinistra della parete faccia a monte. (2) calate in doppia su Titanic: con due mezze da 60 sono sufficienti tre calate da 50, 55 , 30 metri.
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Ma siete sicuri le la vostra bella butunera di spit non intacchi in alcun modo la via che già c’era a sx di Titanic?
https://www.gulliver.it/itinerari/mompellato-falesia-di-settore-ovest-quattro-stracci/#reviews
Il Job è (era) un’evoluzione del Famau.
Si può vederne un’immagine qui: Muntagne Noste 2012
Il robot, a Milano detto GGB, è stato inventato da Gigi Ballabio. Non attorcigliava le corde, funzionava meglio dell’Otto in doppia, si usava per recuperare i secondi e pesava meno del Famau.
Direi che le varie piastrine e secchielli odierni ne sono diretti discendenti.
Perché adesso cosa usate??
E perché sono “meglio”??
Il robot era un buon discensore, a differenza dell’otto non attorcigliava le corde che entravano ed uscivano dritte. Si poteva usare anche per recuperare il secondo, in un senso scorreva e nell’altro bloccava. Un pò come gli attrezzi di oggi.
Ho ricordi confusi. Il job era quello che poi è diventato il robot?
Il Job era stato inventato da Enzo Appiano e realizzato da un artigiano con il quale Enzo lavorava. Io l’ho usato per anni e ne ho ancora uno da qualche parte. lo preferivo all’Otto in quanto non attorcigliava le corde. era in duralluminio e non era affatto pesante.
A parziale rettifica di quanto scritto nell’articolo, segnalo che Lorenzo (ma anche altri arrampicatori piemontesi dell’epoca) allora usava il JOB. Credo pesasse da solo come un attuale imbrago completo di tutta la NDA…
Il Famau era l’oggetto più mortale che avessero inventato.
Il Famau detto “osso preistorico”.
Giancarlo Grassi lo usava abitualmente.
Ogni avventura è bella a mamma sua.
Migheli, capisco il tuo rimpianto nel non aver potuto vivere l’epopea arrampicatoria finalese dei primi anni ’80. Me lo dicono anche i miei figli che conosco i vari personaggi che l’hanno determinata, pensa un po’.
Ogni torinese ricordo che aveva il Famau e non l’otto, che ai tempi si chiamava Clog.