La montagna nascosta…

La montagna nascosta…
di Paolo Gallese
(pubblicato su medium.com il 18 giugno 2018)

Che strani meandri, la Storia… la vita. Fu seguendo le orme di un mio avo, su cui poi feci la tesi, Publio Ventidio Basso, che conobbi l’Oriente, l’altra metà del mondo. Prima dalle pagine dei libri e poi percorrendone le valli.

Ventidio era figlio di un nobile ribelle Piceno, quando gli Italici si ribellarono a Roma. Dopo la presa ad Ascoli, da bambino, fu condotto nell’Urbe prigioniero con la madre, esibito tra altri centinaia nel trionfo di Pompeo Strabone, padre del più celebre Magno. Meravigliosa storia quella di Ventidio, che da prigioniero ridotto in povertà, riuscì ad inventarsi ottimo logistico, seguì Cesare in Gallia e ne divenne tra i più competenti luogotenenti. Finché sorte (e capacità) vollero che egli conducesse, per primo e unico tra i generali romani, una guerra vittoriosa contro i Parti, sfilando alla fine in trionfo, per quelle stesse vie che lo videro in catene da piccolo.

Publio Ventidio Basso

Fu seguendo le sue brillanti operazioni in Anatolia e poi in Siria, in Armenia che avvicinai terre, luoghi e culture che prima non erano per me che nomi sui testi. I suoi impegni gli impedirono di seguire le vie che aveva percorso, prima di lui, il grande Alessandro, ma il nome di quest’ultimo echeggiava in ogni dove in quelle regioni.

Ventidio piegò verso sud, in Giordania e Giudea, guardando orizzonti che non poté raggiungere. Altri doveri lo chiamavano altrove.

Al contrario di lui, che mi aveva involontariamente indicato la strada, io potevo spingermi a guardare oltre l’Eufrate ed oltre il Tigri. Così cercai di leggere quel che poteva aver letto anche lui. Ma lessi avidamente soprattutto i greci. E cominciai a vagare in quelle terre asiatiche sulle orme di Ciro, di Serse e infine di Alessandro il Grande.

Alessandro Magno

Fu Alessandro a prendere il testimone di Ventidio nella mia fantasia e a condurmi per mano. Con lui attraversai la Persia, la Battriana, la Sogdiana, fino ai passi dell’Indukush, da dove lo sguardo volgeva al Karakorum.

Alessandro mi fece innamorare dell’Asia, mi spinse avanti, mentre anche lui piegava a sud, verso l’India. Oltre invece c’erano i Kushani e poi la Cina. A nord una distesa infinita ricca di popoli di nomadi cavalieri. Anche Alessandro guardò quegli orizzonti e deviò. Io no, mi inoltrai ad Est.

Percorsi i secoli, seguendo le carovaniere, mentre i commerci della seta tracciavano vie divenute leggendarie. E nuovi popoli e nuove religioni esplodevano in tutte le direzioni di un mondo che scoprivo pieno di cultura e di tradizioni. Mi sentivo come Bonatti, che tracciava piani e progetti di viaggio vivendo la sua avventura prima ancora di recarsi in luoghi remoti. Avido delle avventure di Walter fin da bambino, immaginavo quel che avrebbe fatto lui e mi preparavo al viaggio.

I nomadi del nord restavano una tempesta che tuonava a tratti, descritti da Ammiano Marcellino, dagli scrittori persiani, da quelli uiguri, cinesi. Finché esplosero davvero, sciamando dall’Altai, nel nord della Mongolia e fluirono a occidente guidati da Temujin (Gengis Khan), travolgendo tutto per creare il più esteso impero terrestre mai creato. Un flagello complesso nelle sue dinamiche, che si ripeté nei suoi orrori quando Timur (Tamerlano) seguì le orme del suo avo.

Marco Polo

Seguii anche io le orme delle cavallerie mongole, giungendo nuovamente al Mediterraneo, dove le crociate languivano, ne ricostruii la storia. Attesi che i furori dei Khan si calmassero. E con il giovane Marco, il veneziano, quasi io fossi un vecchio mercante che ne aveva viste tante, ripresi il viaggio su strade ora più sicure, ancora una volta verso Est.

Di nuovo il nome di Alessandro riempiva di ricordi la strada che seguivano i Polo. Ma non volli seguirli fino alla corte del Khan Kublai. Con il giovane Macedone avevo lasciato il mio sguardo alle alte vette tra Afghanistan e Pakistan: da lì potevo correre la vista sulla catena del Karakorum.

Lì, scoprii che gli italiani avevano fatto la Storia. Là, c’era la Luna. La nostra conquista della Luna. Con la sua gloria e le sue recriminazioni. Comunque era l’altro mondo. Lo dissi a Desio, quando ebbi l’opportunità di intervistarlo, tanti, tanti anni fa. Lui ridacchiò, allegro al paragone.

Ci andai.

Compresi appieno quali fatiche avevano affrontato gli antichi. Ed esplorandone le valli, i ghiacciai, i fiumi, scoprii un luogo incantato. Uno di quei luoghi di cui tutti gli antichi parlano, che sognarono tutti un giorno di raggiungere, qualunque fosse, e lì fermarsi, dimenticati.

Poco lontano dalla valle del ghiacciaio Baltoro, dove in lontananza svetta la montagna più selvaggia e nascosta della Terra. Preso dall’infatuazione per questa vetta superba, confine di mondi, lontana da ogni mondo, ho percorso sentieri, pietraie, crepacci, pendii immersi nelle tempeste di polvere e di neve, brillanti di terse nottate stellate.

Leggendo i racconti di chi ha potuto giungere fino a quell’estremo, colpisce il citare continuamente un piccolo popolo. Achille Compagnoni parla di questo popolo con semplicità di uomo dei monti, dicendo che alcuni gli sembravano svizzeri, uno in particolare, biondo, roseo, “uno di noi” sorride.

Sono gli Hunza. Abitano una valle protetta, incantata, meravigliosa come può esserlo un sogno. Mi sono fermato a riposare tra questa gente. Mora, bionda, scura, rosea, con occhi tondi, occhi a mandorla. Un piccolo campionario del mondo. Musulmani, tra i quali le donne non portano velo, dove non ci sono moschee, né chiese, né feste religiose, perché il rapporto con Dio è un fatto di ognuno e resta nel cuore. Dove però si canta, si balla, esiste ancora, pensate, il Carnevale, come il nostro. Soprattutto si impara a leggere, per conoscere il mondo, dove da loro non è mai esistita una letteratura.

Eppure, qui, in questo luogo di cui mi sono innamorato, tra queste persone che non conosco davvero, ma che vorrei… Alessandro mi strizza l’occhio, mi dà di gomito. Alessandro giunse a un passo. Ma deviò.

Ma poveri e oscuri soldati macedoni, stanchi, alla ricerca solo di pace e serenità, la leggenda vuole che giunsero proprio in quella valle. Gli Hunza, dicono i racconti di quelle montagne, sono i discendenti di un gruppetto di uomini di Alessandro il Grande. Non lo dimenticarono, se il nome di Alessandro ancora è vivo tra le vette del Karakorum. Senza volerlo ne realizzarono il sogno: un popolo di tanti colori, di tante tradizioni, eppure un popolo.

Piccolo. Povero, ma con dignità. Sorridente. In questi bambini vedo quello che dovremmo essere. Loro non ambiscono alla montagna nascosta. La grande montagna.

Lei è lì, da sempre. Non è una dea, non è uno spirito, non è la dimora di nessuno. E’ dove finisce il mondo. Quello che ci portiamo dentro.

Walter Bonatti forse lo aveva capito.

Io l’ho visto ai confini del mondo, sotto un cielo coronato dalle più selvagge cime di cui, qui da noi, quasi nessuno conosce il nome.

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La montagna nascosta… ultima modifica: 2020-01-16T05:16:27+01:00 da GognaBlog

10 pensieri su “La montagna nascosta…”

  1. E’ talmente bello perdersi tra gli albicocchi in fiore di Karimabad dove le montagne nascoste svettano altissime che non ti viene nemmeno voglia di provare a salirle.

  2. Esempio di articolo di profondo interesse, capace di coniugare “montagna” con “storia” e “cultura”. Complimenti!PS: per pura combinazione, ieri sera in tv hanno dato il film su Alessandro…

  3. ….e quando Alessandro il macedone e si volse indietro a guardare il suo impero sul quale il sole non tramontava mai, aveva: (credo) 24 anni!
    Su YouTube c’è una bellissima lezione di Alessandro Baricco sullo storytelling che ne sintetizza senza sminuire  tutte le imprese.

  4. Grazie Paolo per queste parole. Anche per me la conoscenza di questo piccolo popolo, delle valli Kalash e dei piccoli villaggi che le punteggiano è stata un’emozione forte e completa. La loro semplicità, i sorrisi franchi che ti accompagnano, i riti ancestrali che accompagnano la loro esistenza. Hai risvegliato tanti ricordi…
     
     

  5. Grazie per questo onore…
    L’unica cosa, avverto Alessandro Gogna che l’unica immagine che abbiamo di Ventidio è quella a destra, un omino stilizzato, su questa moneta coniata da Antonio, reso famoso dal suo triumvirato con Ottaviano e Lepido ed immortale da Shakespeare per il suo amore con Cleopatra.
    Perdona il dovere iconografico.
    https://images.app.goo.gl/bDtTXn74QtKYjEkLA

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