Metadiario – 289 – Lacrime nel Vuoto (AG 2014-004)
Non contenti di essere stati sulle croste dei nostri ospiti Giulia e Mario nel 2013, ci ripetemmo nel 2014. Facemmo la traversata in traghetto assieme alla cugina Simona, che era venuta apposta dal Texas per fare vacanza marittima con Guya. A lei avevamo prenotato un bed&breakfast. Già la sera del nostro arrivo con Giulia e Mario scalai alla Rocca del Porto, non c’ero mai stato. L’8 giugno con Giulia salimmo Marinaio di Foresta, una via che Oviglia aveva chiodato su Pedra Longa con molto gusto e senso della ricerca (assieme a Cecilia Marchi e Giorgio Caddeo, ottobre 2013).
Poi commettemmo lo sbaglio: il giorno dopo ci lasciammo attirare da Lughe ‘e vida mia, una lunga via su uno spigolone secondario di Gorropu (Costas Mammaluccas) chiodata da Corrado Pìbiri e Fabio Erriu (maggio 2013). L’avvicinamento all’inizio era in discesa, da Sedda Ar Baccas si andava giù alle gole per almeno 400 m fino alle prime pozze, poi si saliva e si scendeva ancora in un caldo abbacinante. Speravamo in qualche folata di vento, magari proveniente dallo stretto fessurone della gola, ma l’afa non ci graziava. Di fronte a noi la bellissima e gigantesca parete ovest della Punta Cucuttos con le sue lisce placche che salgono come un toboga al contrario fino alla verticale parete finale. All’attacco della via, Giulia ebbe un lieve colpo di calore, rimanemmo indecisi qualche minuto se salire o no. Poi decidemmo che eravamo arrivati fino a lì e dunque… mi avviai. Andai avanti per otto tiri di corda, su roccia così stupenda da essere quasi monotona, ma alla sosta mi accorsi improvvisamente che non avevo quasi la forza di recuperare le due corde! Questo è un colpo di calore, mi dissi. E mi venne in mente quando ero stato più o meno così, all’ultimo giorno sulla Salathé del Capitan.
Mario andò in testa e in breve raggiungemmo il bosco in cima che traversammo lungamente per andare a prendere la sommità del grande canalone che delimita la parete. Mario e Giulia erano molto gentili con me, si offrirono di portare tutto il materiale, ma io… era solo di acqua che avevo bisogno… e naturalmente l’avevamo finita. La forza di gravità mi spingeva giù nel canalone di detriti, irregolare, sconnesso. Le ginocchia facevano fatica, ma lì almeno eravamo all’ombra. Dopo aver messo i piedi nell’acqua putrida del primo lago, ci avviammo stancamente nella risalita della dorsale che ci avrebbe riportati alla Tomba del Gigante e a Sedda Ar Baccas. Ormai con il culo in auto, tutto mi convinceva che non avevo più il fisico e che perciò dovevo lasciarmi permeare ancora di più dalla magia della Sardegna, ben oltre le arrampicate: così mi entusiasmai perfino nella classica traversata in gommone da Santa Maria fino a Cala di Luna, con Guya, sua cugina Simona e altri turisti assortiti. A proposito… anche qui ce ne sarebbe da raccontare…
Stavo invecchiando e trovavo la misura reale di questo processo adorando le grandi pareti e le scogliere che mi si ponevano in parata una dietro l’altra, costringendomi a desiderare di essere ancora come ero una volta. Il pensiero che oggi siano gli altri ad agire è consolatorio, perché vedo che almeno la passione ha cambiato corpo ma è rimasta in tanti, forte, seduttrice. Traversai la spiaggia di Cala di Luna gremita di bagnanti, mi addentrai nell’assolata còdula e andai avanti barcollando per il caldo fino alla seconda ansa, all’attacco della Carovana dei Miserabili. Poi tornai al mare, ed è con un po’ di nostalgia che vidi gli spit attorno alla Fessura degli Spilli di Manolo. Dei ragazzi tedeschi stavano salendo su quelle vie attrezzate, quieti.

Il 14 andammo ad arrampicare (era con noi anche Massimo Frezzotti) al Monte Oro, altra falesia purtroppo esposta al sole ma con vie che sono uno spettacolo. Mi riuscì 39,5°, alla prima, e questo mi fece un po’ dimenticare la défaillance di Gorropu…
Sempre per la gioia dei nostri ospiti, non poteva mancare la visita di Marco Marrosu, proveniente da Cagliari. E quando c’era Marco era difficile non pensare alle vie nuove. Così il 15 giugno ci avviammo verso Punta Orruvia, una vetta di porfido ben visibile dalla strada che da Lotzorai va a Urzulei, poco più a nord di Punta Giogadorgiu, la struttura dove sono presenti parecchi itinerari sportivi (per esempio Mellosarda). Dalla strada la cresta sud assomiglia a una piccola cresta sul del Salbitschijen (un paragone molto ardito…). Guya e Simona al mare; Mario, Massimo e Giulia preferivano terreni di scalata noti perché ci sospettavano di “cinghialismo”, uno sport nel quale ci reputavano campioni. In effetti, già la salita all’attacco, scrutata in foto e su google earth, non lasciava presagire nulla di buono. Ma noi ci avviammo speranzosi, anche se già era difficile trovare il modo di arrivare al bosco oltre il corso del Riu Oddala (Riu ‘e Gurue) senza far arrabbiare nessun pastore o contadino.
Poi, il dado fu tratto, cominciammo a salire sperando di incontrare e seguire delle pietraie che ci avrebbero potuto evitare macchia e spine. Arrivammo all’attacco dopo 75 minuti. Faceva già caldo e il sole lì non era ancora arrivato. Nella prima lunghezza in diedro-fessura, tra le altre, sistemai una protezione particolare: un vecchio excentric, di quelli pesanti, in voga prima dell’avvento dei friend. Dovevo pur liberarmi il garage! Pregai Marco di lasciarlo lì, a testimonianza della nostra stupidità. Marco proseguì in cresta, al sole, prima facile poi per una bellissima placca solcata da una fessura discontinua. Dopo altre lunghezze arrivammo alla base del risalto finale, un arcigno becco roccioso sul quale avremmo voluto salire per via diretta sullo spigolo: ma il caldo e lo scarso allenamento ci consigliarono il ripiego di salire sulla parete subito a destra. Iniziai senza molta convinzione quell’ottava lunghezza salendo una fessura con un blocco di granito che mi ostruiva l’uscita su un piccolo ballatoio. Anche Marco non era convinto, e quando scesi dopo aver armeggiato un po’, lui si avviò a destra per un’altra serie di fessure. Quella fu la volta buona: dopo molta pulizia riuscì ad arrivare in cima, e io lo seguii trovando un tracciato perfettamente pulito dai blocchi mobili: ci lasciai anche un altro excentric…
La discesa fu rapida, con una corda doppia raggiungemmo il canale, ripassammo dall’attacco e poi, con il sudore che ci colava negli occhi, ci avviammo verso il basso, verso l’acqua del Riu Oddala a fare un provvidenziale bagno. Entrambi avevamo gli occhi irritati a causa probabilmente delle resine e del lattice del fiordaliso e dell’euforbia, specie abbondanti lungo la via e che regolarmente strappavamo quando ostacolavano la progressione.
Al torrente iniziò un fastidioso bruciore al mio occhio sinistro, che sarebbe terminato soltanto in serata dopo una visita alla guardia medica di Baunei. Per questo chiamammo la via Lacrime nel Vuoto.
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Ces récits d’escalade en Sardaigne me rappellent des souvenirs toujours forts : la beauté des falaises , la mer, la chaleur, et (c’était en septembre) la sécheresse, la maigreur des animaux domestiques qui cherchaient désespérément un brin d’herbe à manger. Mais aussi la gentillesse des locaux et le plaisir de grimper sur ce beau calcaire. Et les Gorges de Gorroppu, quel merveilleux endroit !