Emergenza in Spagna, Portogallo, Grecia e Albania: tre vittime e migliaia di evacuati. L’Europa brucia: 440 mila ettari in fumo. Così il clima ci porta nell’età del fuoco.
L’età del fuoco
di Daniele Cat Berro
(pubblicato su La Stampa del 14 agosto 2025, aggiornato)
Nel mezzo di quella che si annunciava come una delle più lunghe e intense ondate di calore documentate nel continente, con temperature fino a 45°C in Spagna e 43°C in Francia e Albania, l’Europa meridionale brucia, tra roghi di macchia e foreste divampati in più regioni dal Portogallo alla Grecia.

Tre persone sono morte, una in Albania e due in Spagna, altre sono state ricoverate in ospedale per ustioni o problemi respiratori. In Spagna l’emergenza ha toccato soprattutto Estremadura, Castiglia-Leon e Galizia, con diecimila persone evacuate dalle loro case. In Grecia uno degli incendi più preoccupanti è arrivato fino ai sobborghi di Patrasso, causando l’evacuazione di una ventina di centri abitati, ma è stata in difficoltà anche l’isola di Chio, dove decine di persone si sono rifugiate sulle spiagge, salvate dalla guardia costiera.
una donna mette in salvo il suo gatto a Patras, in Grecia.
Il sistema europeo di monitoraggio degli incendi, che fa capo al servizio di gestione emergenze del programma Copernicus, indica che dall’inizio dell’anno fino al 13 agosto 2025 con 1.628 focolai erano già andati in fumo circa 440 mila ettari di territorio, pari all’area della provincia di Grosseto, il doppio rispetto alla media del periodo 2006-2024. E la stagione non è affatto finita.
Per almeno un’altra settimana il tempo estremamente caldo e secco è restato propizio alla propagazione delle fiamme.
Da sempre gli incendi fanno parte delle naturali dinamiche delle foreste, favorendo talora la rinnovazione delle piante e l’evoluzione degli ecosistemi: ci sono specie adattate a climi secchi e propensi a sviluppare roghi, come il Pino d’Aleppo, che rilasciano i semi solo quando il calore del fuoco determina l’apertura delle pigne.
Tuttavia oggi le temperature più elevate a causa del riscaldamento globale aumentano l’evapotraspirazione da suoli e piante e intensificano le siccità, come attestato di recente da uno studio pubblicato su Nature (Warming accelerates global drought severity), causando dunque un più rapido disseccamento della vegetazione e favorendo condizioni ambientali favorevoli alla propagazione degli incendi. Così, a prescindere da chi o cosa li abbia innescati (fulmine, falò o barbecue incustoditi, mozzicone di sigaretta, piromani), i roghi diventano più ricorrenti anche in regioni e stagioni insolite, violenti e difficilmente controllabili, soprattutto in presenza di vento forte, minacciando l’integrità delle foreste e dei loro servizi ecosistemici tra cui la cattura di CO2 dall’aria, diventando fonti di emissioni serra.
Ad esempio nel 2025 gli incendi europei hanno già liberato nell’aria 14 milioni di tonnellate di biossido di carbonio, quasi equivalenti alle emissioni annue di una città italiana come Roma, e che a loro volta, in un circolo vizioso, contribuiranno ad alterare il clima. Si parla ormai di “pirocene”, l’età del fuoco, termine coniato da Stephen J. Pyne, esperto di storia ambientale all’Università dell’Arizona e autore dell’omonimo saggio pubblicato in Italia da Codice Edizioni.
Co me dimostrano gli immensi incendi che in questi anni stanno bruciando le foreste del Canada e i cui fumi, seppur diluiti, sono arrivati a più riprese fino a noi anche quest’estate, con un viaggio di 7.000 chilometri attraverso l’Atlantico, il problema è globale, e anche in Italia va affrontato – oltre che con azioni di mitigazione dei cambiamenti climatici – adeguando i servizi antincendio e con politiche di prevenzione ed educazione dei cittadini.
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Per curiosità sono andato a vedere sulla Treccani e “sghei” lo definisce voce lombarda, nota anche in altri dialetti. Probabilmente si estende nel Veneto occidentale per mescolanza della parlata, in effetti il mio interlocutore è del veronese. Cmq errore o meno (ma pare che non lo sia neppure!), i concetti da me espressi non sono minimamente inficiati se vale la “c” o la “g”… per cui continuerò per abitudine a usare la g (sghei), tanto che io usi la versione più lombarda o quella dell’estremo est, non cambia un piffero.
In generale sulla grafia dei dialetti ne ho viste di tutti i colori, proprio perché i dialetti sono stati per lungo tempo quasi esclusivamente linguaggi orali e non scritti, per cui ognuno si inventa un po’ le varie grafie (che magari cambiano anche solo per pochi km di distanza). Per esempio il famoso “bougianen” riferito al torinese che non ama spostarsi (tipo il sottoscritto, per capirci), oltre che nella grafia “bougianen” l’ho visto scritto staccato (“bougia nen”) oppure senza “o”, cioè “bugianen” o anche “bugia nen”, o addirittura con la lineetta, cioè “buogia-nen” o “bugia-nen”: in pratica sei versioni per un solo termine… e chissa quante altre se ne leggono in giro…
P.S.: non vorrei sbagliare (che io non mi gabello per tuttologo…) ma in effetti esiste anche la variante sghei, credo in uso più a ovest del veneziano e triestino schei
“nessuno ha mai notato la differenza”
nessuno te l’ha fatto notare perché se facessimo notare tutti gli errori che commetti non faremmo altro per tutto il giorno e giocoforza ci si deve limitare alle castronerie maggiori.
Ma visto che siamo in tema: “i daneé fann daneé, i pioeucc fann pioeucc”
E comunque il detto del vero milanese è “i daneé fann danaà”.
E’ vero e hai fatto bene a segnalarlo: io ho sempre pronunciato sghei (con la g dura) perché un mio cliente del nord est lo pronunciava così (e lo diceva ogni tre per due…), ma è notorio che io non sono del nord est, per cui è comprensibile (e accettabile) l’errore fonetico. Tra l’altro, anche su questo blog, uso il termine nella versione sghei da mesi e mesi e nessuno ha mai notato la differenza, che quindi è irrilevante. Infatti la differenza lessicale non distorce un bel niente, i concetti da me espressi sono molto ben comprensibili anche se montati sull’assioma di base con la “g” (sghei) e non con la “c” (schei). Se vi disorienta il termine sghei (al posto di schei), userò il corrispondente milanese, dané, che sa ancor di più di “affari” (visto da lontano, è un termine che ha un che di losco e torbido…)… Classico il detto “i danè i fann danà”, i soldi fanno dannare: sottolinea l’importanza e il potere che hanno i soldi e la corrispondente “ansia” di procurarseli. Un altro detto lombardo (ma, visto dall’esterno, risulta ancor più da vero bauscia) è “danè fan danè, pioegi fan pioegi”: i soldi fanno (= producono) altri soldi, i pidocchi fanno altri pidocchi…
@crovella smettila di distorcere , si dice schei ed ha una sua storia, e no sghei che no c’entra niente
https://it.wikipedia.org/wiki/Schei
La specie umana è la più stupida che esista, proprio perché, essendo dotata dell’intelligenza più evoluta, pensa di gabbare gli altri, cioè sia gli altri della propria specie, sia quelli delle altre specie viventi, sia la Natura nel suo complesso. In pratica pensiamo di esser più furbi di tutti e soprattutto di tutto il il creato, ma alla fine ci diamo la zappa sui piedi: se le Terra brucerà tutta, moriranno bruciati anche i piromani e anche quelli che alimentano in vari modi il consumismo e, attraverso questa strada, le emissioni di CO2 e quindi il cosiddetto riscaldamento globale, che certo non si contrappone al fenomeno degli incendi.
Il meccanismo su cui si articola questo gioco perverso della specie umana è sempre lo stesso dalle Olimpiadi all’overtourism, alle guerre: gli “sghei”.
Di fronte al dio denaro non ragioniamo più o, meglio, ci sono alcuni individui che perdono completamente la lucidità, ammesso che l’avessero in precedenza. Ma bastano relativamente pochi “cretini” per distruggere tutto. Il fatto che moriranno anche loro è solo una magra consolazione.
Più che il clima è la guerra che ci porterà all’età del fuoco. Sveglia!
Gli incendi estivi creano un enorme giro d’affari, danno lavoro a un sacco di persone e fanno parlare dai media dei posti in cui hanno luogo.