Marco Confortola

Marco Confortola
di Sara Sottocornola
(pubblicato su Uomini e Sport n. 39

Condividere con le persone la bellezza della montagna e il rispetto per ‘ambiente“. È così che Marco Confortola riassume il futuro che immagina. L’alpinista valtellinese, vicino allo straordinario traguardo dei 14 Ottomila, in questa intervista ci racconta il suo ultimo libro, Oltre la cima, un’opera in cui riflette sul cambiamento della montagna, la sua più grande passione, e su come viverlo come un’opportunità. Parla dell’evoluzione tecnologica applicata all’alpinismo e al soccorso alpino, e ricorda episodi importanti della sua carriera, segnata da successi straordinari e momenti di grande difficoltà. Da Confortola, conosciuto a livello mondiale per le sue salite, una bella testimonianza di un coraggio e di resilienza, qualità indispensabili per affrontare le vette più estreme del mondo e i cambiamenti che la vita mette di fronte a tutti noi.

Marco, il tuo ultimo libro, Oltre la cima, sta riscuotendo un grande successo. Quali sono le tue riflessioni sulla montagna?
Il libro è un viaggio attraverso il cambiamento. La montagna è l’ambiente che conosco e amo di più, ed è un punto di osservazione unico per comprendere i cambiamenti climatici e l’evoluzione dell’alpinismo. Andare “oltre la cima” significa capire che la montagna non è solo una sfida personale, ma un ambiente che ci insegna il rispetto, l’adattamento, come affrontare la vita. Nelle mie spedizioni, nel mio lavoro di guida alpina ed elisoccorritore, e anche nella mia vita quotidiana in Valfurva, ho imparato che solo attraverso il cambiamento si cresce.

Come nasce l’idea del libro?
Nasce grazie a mia moglie che sentendomi raccontare di un mondo che sta cambiando, parlando delle mie esperienze (alpinismo, elisoccorso, giovani, incontri e speech aziendali) mi ha suggerito di scrivere queste riflessioni in un libro. Ti racconto un episodio particolare. Prima che uscisse il libro, al Tresero sono state trovate delle incisioni rupestri di 3.500 anni fa, segni lasciati dall’uomo prima che il ghiacciaio le coprisse. Sono poi state rivelate con il suo ritiro, più volte nella storia. Questo ci mostra come il cambiamento sia sempre esistito, e di come l’uomo si sia adattato. Oggi è molto più veloce: vivo ogni giorno il cambiamento nell’alpinismo: una volta portavo diversi clienti legati insieme sul Gran Zebrù, ora ne porto uno solo ed è necessario prestare molta più attenzione alle condizioni del ghiacciaio. Anche la via di salita è cambiata.

Come affrontare questo cambiamento?
Sul Gran Zebrù, la mia montagna, che assomiglia un po’ al K2, già vent’anni fa ho aperto una via alternativa alla normale, perché il ghiaccio se ne stava andando. I! cambiamento va visto come un’opportunità, come ho fatto anche io stesso: l’amputazione subita per i congelamenti sul K2, avrebbe potuto significare la fine della mia carriera, invece l’ho vissuta come un’opportunità. Ho scritto cinque libri, creato tre giochi da tavolo per insegnare come muoversi in montagna anche ai bambini. In 26 anni di elisoccorso, ho visto troppe persone morire per errori evitabili come attrezzatura sbagliata o sottovalutazione del rischio. Con il gioco vorrei trasmettere la bellezza della montagna e l’importanza di affrontarla con consapevolezza. La sicurezza dev’essere uno stile di vita.

La tua esperienza con il soccorso alpino, come ha segnato queste riflessioni?
Nel 2017 sul Dhaulagiri sette militari indiani erano bloccati ad oltre cinquemila metri. Grazie alia tecnologia, ai social, il mio staff in Italia è riuscito a comunicare con i piloti Piergiorgio Rosati e Michele Calovi, che avevano tentato i! recupero. Nonostante la stanchezza dopo la mia ascensione, ho partecipato attivamente al recupero dei sette alpinisti utilizzando la long line, e alla fine li abbiamo portati tutti in salvo. Ricordo anche un intervento al Monte Cavia, dove un alpinista americano solitario si è salvato grazie a un dispositivo satellitare che ha permesso di attivare i soccorsi. La tecnologia in questi casi fa la differenza.

Anche chi vive in montagna ogni giorno deve affrontare molti cambiamenti…
Sorvolando parecchie valli alpine, ho notato un abbandono di prati, boschi e pascoli. Il cambiamento purtroppo porta anche a uno spopolamento delle valli. Dovremmo tutti insieme aiutare tutti i custodi della montagna come agricoltori, malgari, alpeggiatori, e montanari. Questo è un cambiamento negativo: la montagna non si mantiene da sola. I prati falciati non si puliscono da soli. Dietro c’è i! lavoro di persone che vanno aiutate e sostenute, anche politicamente. Questo vale per la montagna come per il mare.

Per contro ci sono sempre più giovani che tornano a vivere in montagna grazie alla tecnologia…
Sì, lo smart working che permette di vivere e lavorare in luoghi meravigiiosi spesso scomodi da raggiungere. L’importante è vedere il cambiamento come opportunità, senza perdere il contatto umano. Purtroppo oggi i giovani guardano più lo smartphone che negli occhi delle persone ma sta a noi riuscire a renderli partecipi delle bellezze che ci circondano.

Scrivi anche che la tecnologia è fondamentale, ma va usata con intelligenza.
Può essere un’arma a doppio taglio. Nel 2013, al Nanga Parbat, i terroristi hanno ucciso 11 alpinisti al campo base. Grazie all’intelligenza con cui la notizia è stata diffusa, si è evitato un’escalation di violenza. Le fake news, l’odio social sono l’altra faccia della medaglia. Quando ho scalato il Nanga Parbat nel 2023, ho raggiunto la cresta sommitale e una bufera di neve fredda mi ha investito impedendomi di trovare il famoso tubo di Messner con il biglietto di vetta. Il mio tracciatore GPS, però, ha confermato che ero in vetta, grazie alla tecnologia e al tracciato GPS ho ricevuto il certificato di vetta dal Club Alpino Pakistano.

Come vedi il tuo futuro?
Lo vedo nella condivisione. Ho avuto la fortuna di vivere esperienze incredibili, grazie a molte persone come Agostino Da Polenza, che mi ha permesso di scalare il mio primo 8000. Voglio restituire ciò che ho ricevuto. Organizzare trekking, raccontare storie, condividere la mia passione per la montagna. Voglio portare questo messaggio anche in Nepal e Pakistan, dove ho in mente progetti di sensibilizzazione ambientale. L’educazione è fondamentale: dobbiamo insegnare ai bambini il rispetto per la natura partendo da cose semplicissime come evitare di buttare plastica sui sentieri.

Vuoi parlare del tuo prossimo 8000?
Mi piacerebbe chiudere la corona degli ottomila per mio orgoglio personale, ma anche per ringraziare tutti gli amici, sponsor e clienti che mi hanno sempre sostenuto in questi 21 anni di avventure extraeuropee.

La carriera
Marco Confortola è Guida Alpina, Maestro di sci, Tecnico Elisoccorso e formatore aziendale. Valtellinese, nato il 22 maggio 1971, ha scalato tredici delle quattordici vette che superano gli 8000 metri della Terra:

2004. Everest, versante nord
2005 e 2006. Shisha Pangma
2006. Annapurna
2007. Cho Oyu (salita in velocità, CB-Summit-CB in giornata)
2007. Broad Peak
2008. Everest (installazione stazione metereologica al Colle Sud (quota 8000 m) nell’ambito del progetto Share Everest 2008 del Comitato EV-K2-CNR.
2008. K2 (salita passata alla storia per il tragico crollo di un seracco in cui persero la vita 11 alpinisti. Confortola sopravvisse dopo il bivacco a 8400 metri ma subì l’amputazione di tutte le dita dei piedi a causa dei congelamenti)
2012. Manaslu
2013. Lhotse
2016. Makalu
2017. Dhaulagiri
2019. Gasherbrum II
2022. Kangchenjunga (è da segnalare che quest’ascensione è stata contestata, NdR)
2023. Nanga Parbat

Per completare la corona dei 14 Ottomila, a Confortola manca ora solo il Gasherbrum I 8080 m, che ha in programma di scalare.

Oltre la cima di Marco Confortola, 208 pagine, Sperling&Kupfer, 2024, euro 19,90

«Il cambiamento c’è. Ma c’è anche la possibilità di approcciarlo, almeno nel quotidiano» scrive Marco Contortola in questo libro. E il vero protagonista di queste pagine è proprio il cambiamento, che l’autore ci invita a guardare attraverso l’ambiente che meglio conosce e più ama: la montagna, un punto d’osservazione privilegiato per comprendere questioni globali – come il surriscaldamento e i cambiamenti climatici – e un’instancabile maestra di vita capace di rivelare, con i suoi segnali, la direzione che sta prendendo il mondo e gli scenari ai quali ci dobbiamo preparare. Perché le difficoltà che viviamo ogni giorno dipendono da problemi più grandi, ma possiamo difenderci. In questo senso, andare «oltre la cima» significa comprendere come l’alpinismo non sia solo una sfida con se stessi, una ricerca di record, successi e primati, ma un modo di rapportarsi al mondo e a un ecosistema in perenne trasformazione con rispetto e spirito di adattamento. Perché ogni mutamento, positivo o negativo che sia, implica una reazione, impone un nuovo sguardo sulle cose. Marco lo ha imparato durante le sue spedizioni verso le vette più alte della Terra, lo ha appreso dopo il dramma vissuto sul K2, ma anche nel suo lavoro di guida alpina e soccorritore, o semplicemente scrutando la quotidianità nella valle nella quale è nato e vive. Solo cambiando si cresce, ci dice l’autore, e questo è un prezioso insegnamento che possiamo ricevere in dono e applicare giorno dopo giorno: nel lavoro, nei rapporti personali, nelle incombenze della vita. Basta solo andare «oltre la cima» e guardare le montagne in modo diverso.

Marco Confortola ultima modifica: 2025-06-29T05:27:00+02:00 da GognaBlog

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12 pensieri su “Marco Confortola”

  1. Sintetico e glaciale RM. Stupendo il suo commento, al solito un grande. Non occorre aggiungere altro

  2. “Non lo definisco, mi rifiuto di parlare di lui e di entrare in una polemica priva di spessore, che rischia di inserirlo in una dimensione che gli è estranea. Io seguo l’alpinismo tradizionale, dove contano uno stile elegante e un certo modo di muoversi. Confortola appartiene all’epoca degli Ottomila su pista: quella dei turisti, non degli alpinisti. Non posso contestare il nulla e associare il mio nome al suo” (RM)

  3. Mi dispiace fare la voce stonata fuori dal coro, sarà stato un caso isolato o forse il signore in questione nel frattempo é cambiato, ma nell’agosto del 2012, mentre procedevo verso il San Matteo, io e la mia compagna di alpinismo, fummo raggiunti e superati da lui e da tre ragazzi. Ci accodammo a loro pur conoscendo perfettamente il percorso. Giunti peró al bivio dove si sale a dx per raggiungere il ghiacciaio, il signore si sedette e non si mosse da lì, tra lo stupore dei suoi 3 clienti o da me presunti tali. Io che ho i capelli bianchi e sufficiente esperienza da comprendere certe situazioni, mi sono allontanato nella direzione opposta con la mia amica. Appena sparito dalla loro visuale, mi sono fermato, ho atteso pochi minuti, poi siamo ritornati sui nostri passi, constatando che lui e i suoi ragazzi avevano ormai raggiunto il ghiacciaio, dove lui stava aiutando loro a calzare i ramponi, essendo gli stessi incapaci di farlo in autonomia. Appena raggiunti, io sono stato zitto mentre lui si é rovolto a me con fare arrogante, dicendomi: “ Dove credeva di andare da quella parte?”. Io senza battere ciglio risposi: “Non abitanto qua sotto come Lei ed essendo stato quassù oltre 20anni fa, non intendendendo nel modo più assoluto sfruttare le altrui conoscenze e/o competenze, sono andatoa cercarmi la strada da solo”. Non ho aggiunto altro, anche se avrei voluto, ma raccontando il fatto in alta valle, più d’uno mi ha detto che non aggiungere altro é stara la scelta giusta dato il carattere del mio interlocutore. La mia compagna di quel giorno, di cui evito di citare il nome, ma che all’occorsenza non avrebbe alcun problema a presentarsi da sé, può confermare quanto ho affermato fin ora. In ogni caso, per evitare ulteriori discussioni, pur essendo stati pronti a ripartire prima di loro, abbiamo atteso che partissero prima di noi, e visto che erano diretti verso la via normale e battuta per il San Matteo, abbiamo optato per l’attrversare il ghiacciaio dove non v’era alcuna traccia di passaggio, verso la cima Dosegú, per poi raggiungere la cima Pedranzini e successivamente il Tresero e da lí ridiscendere al rifugio Berni dove eravamo partiti. Questo racconto lo pubblicai lo stesso anno su una rivista di una sezione del CAI, senza fare alcun accenno ne ai nomi delle persone ne ai luoghi dove si svolsero i fatti descritti. Ma visto il tempo ormai trascorso ho ritenuto opportuno raccontarlo ora, ma sono pronto a ricredermi, chiedere scusa e correggere quanto da me scritto, se il signore in questione, intendesse giustificarsi, o sostenere che ho capito male le sue intenzioni. Grazie e chiedo scusa a chi ho fatto perdere del tempo col racconto. pb

  4. mi piace leggere ed ancor di più leggere di persone che conosco, e Marco posso dire di conoscerlo, non perché siamo andati in montagna insieme, non perché abbiamo frequentato lo stesso mondo dell’aria sottile ma perché mi ha recuperato con l’elicottero del soccorso la bellezza di 20 anni fa.
    tt le altre vicissitudini le sappiamo solo Marco ed io e non interessano ad altri
    E’ la prima volta, a mia memoria, che qualcuno richiede commenti riguardo un articolo; in cerca di polemica? ci vuole poco a volte. comunque l’articolo mi è piaciuto perché chi parla sicuramente è un personaggio che a suo modo si esprime e secondo me si esprime semplicemente molto bene; ho avuto modo di ascoltare una sua serata anni e anni fa alla NOSTRA FAMIGLIA di Bosisio Parini e mi era piaciuta questa semplicità. 

  5. Ma cosa significa retorico ed alpino? Mi sembra che certe persone badano solo a catalogare le persone soprattutto quando sono giustamente famose forse per una sensazione di anonimato che li sconvolge. Anni fa ho visto una conferenza tenuta da Marco agli allievi di una scuola dopo aver mostrato un video su uno degli ultimi 8000 raggiunti. Parlava di rispetto e di amore che si dovrebbe avere verso Madre Natura. “Quando siete a passeggiare in un bosco prendetevi tutto il tempo possibile. Fermatevi di fronte ad un albero ed abbracciatelo….” Questi sono sommi insegnamenti da chi non è solo guida alpina ma emerito Maestro di Vita. A luglio faremo tre settimane nella sua splendida Valfurva alla ricerca di cime solitarie e ghiacciai da fotografare. Un giorno i nostri posteri li potranno vedere solo tramite immagini. Questa è il punto focale di cui discutere e non perdere tempo in banali ed insensate critiche. 

  6. 30 anni fa scendendo dal gran zebrù Marco mi raccontava cosa era per lui la montagna e i suoi custodi…Ho appena concluso di leggere il libro e a distanza di tempo  non poteva scolpire meglio di così questa preziosa pagina della sua vita. Tutti scriviamo nella VITA e il mio augurio e che ognuno di noi alpinisti, pur nella diversità possa aiutare Marco a scrivere questo pezzetto di storia sentendoci tutti protagonisti: far diventare la montagna uno strumento per salvare LEI
    la VITA!

  7. Uomo introverso e chiuso, come la sua bella Valfurva nella quale un destino avverso (K2 2008) lo voleva ricacciare e contenere. Con forza ne è uscito, creandosi un suo spazio ed un’attività alpinistica, magari di non primissimo piano. Molto stimato e benvoluto nella sua valle dove esercita l’attività di guida. Un altro, al suo posto, avrebbe chiesto una pensione di invalidità civile! Fa piacere ascoltalo nelle sue conferenze, un montanaro sincero e ancora un po’ titubante nelle spiegazioni. Come era ai suoi esordi.
     

  8. no Caminetti, ci aspettavamo qualcosa di più retorico e alpino da uno come te…

  9. Marco è stato allievo ai corsi guida quando facevo l’istruttore. Era giovanissimo e piuttosto introverso. Poi ci siamo incrociati qualche volta ma non posso dire di conoscerlo più di tanto.
    Non parlo degli 8000 perché è un tipo di alpinismo che non mi interessa e ne so poco o nulla.
    Cla, sei contento/a?

  10. È una grande uomo con una enorme tempra ,io ho letto un suo libro ,proprio quello dove ci fu la tragedia il k2,da brivido.

  11. Ehi commentatori!… Niente di niente, nemmeno un commentino?
    Va bene che è domenica e siete tutti in parete, va bene che su di lui è stato detto di tutto e di più, però mi sembra irriverente snobbarlo, fare finta di niente e passare oltre.
    Almeno dire se vi sono piaciuti i suoi libri. Io non li ho certo letti, piuttosto prendo in biblio tutta la collana Liala.
    Dai fate sentire tutti  che ci siete, anche tu Cominetti di qualcosa su un tuo collega, dacci un segno.

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