L’obiettivo degli incontri del ciclo Sicurezza e Montagna: diritti, doveri e responsabilità era di intervenire culturalmente sul dilagante e pericoloso concetto di sicurezza costruita sulla base di certezze e certificazioni e non sulla responsabilizzazione dell’individuo. “In sala pochissimi i giornalisti, e un pubblico quasi inesistente. E’ stato veramente come discutere a tavola con degli amici (Ettore Togni)”. Anche per questo motivo, purtroppo, non vi fu seguito a questo workshop e il ciclo s’interruppe. Abbiamo diviso in due puntate gli Atti del Convegno di Sondrio.
Montagna innevata – 1
(scivolare tra leggi, ordinanze, bollettini e buon senso)
Atti del Convegno, Sondrio, 24 maggio 2008
a cura del Collegio Regionale Guide Alpine della Lombardia
Il Convegno
Da qualche anno le Guide alpine lombarde, con il sostegno della Regione Lombardia, si stanno impegnando e stanno investendo in azioni che hanno come obiettivo univoco il recupero della cultura della sicurezza basata sull’auto-protezione e sulla responsabilizzazione dell’individuo. Ecco, dunque, nascere l’idea di un ciclo di incontri per approfondire il concetto di sicurezza nonché gli aspetti giuridici e legali. Tentare, dunque, di fare chiarezza nel panorama normativo inerente la montagna, al fine di dare indicazioni certe e unitarie all’utenza, con particolare attenzione all’ambito della sicurezza e responsabilità del singolo individuo come pure del partecipante” e dell’”organizzatore”.
Il convegno si è tenuto il 24 maggio 2008, dalle ore 10, a Sondrio (“città alpina” 2007), nella Sala Fabio Besta della Banca Popolare di Sondrio, via Vittorio Veneto 4. Aperto a tutti, nell’ambito di un pubblico regionale e interregionale, l’invito era soprattutto rivolto a magistrati, prefetti, legali, giornalisti, sindaci e amministratori, rappresentanti di Arpa e Meteomont, di categorie professionali, dell’associazionismo e del volontariato, con i graditi contributi dati da altri personaggi, come psicologi, atleti od opinion leader.
Montagna invernale: scivolare tra leggi, ordinanze, bollettini e buon senso è il primo workshop di un ciclo sulla Sicurezza e Montagna: diritti, doveri e responsabilità (in realtà non vi fu seguito e il ciclo s’interruppe dopo questo workshop, NdR). L’iniziativa nasce dalla necessità di fare un po’ di ordine all’interno del panorama di legalità (o illegalità) nelle varie forme di utenza della montagna, che da un po’ di anni ha avuto strascichi, a volte contrastanti fra loro, in diversi tribunali italiani e ha suscitato l’interesse del mondo del diritto. Il frutto della “sicurezza dovuta” è fatto di leggi inapplicabili, assurde proposte di patentini per sciatori, autovelox sulle piste da sci, ordinanze di totale divieto di sci fuoripista quando gli stessi organismi promuovono le loro stazioni con immagini di sci fuoripista.
L’obiettivo del convegno è arrivare a suggerire comportamenti responsabili, dimostrare l’inutilità dei decaloghi fatti di regole di condotta, mettere allo stesso tavolo del confronto tutte le parti che intervengono su problematiche riguardanti la montagna, con lo scopo finale di lanciare il messaggio dell’auto-protezione, della sicurezza che deve risiedere nella persona e non solo nelle norme e nelle attrezzature.
Elenco partecipanti al tavolo di lavoro
Chiara Marolla, prefetto di Sondrio
Gianfranco Avella, Procuratore della Repubblica di Sondrio
Corrado Scolari, coordinatore Assessori Provinciali Protezione Civile
Erminio Sertorelli, Presidente del Collegio Nazionale Guide Alpine
Massimo Zanini, Presidente del Collegio Maestri di Sci della Lombardia
Attilio Lionello Silvestri, Sindaco di Livigno
Giuseppe Saglio, psicologo
Francesca Manassero, avvocato, chairwoman
Gli Atti
Francesca Manassero (chairwoman)
Dei seminari in programma sulla sicurezza in montagna, quello di oggi è dedicato alla sicurezza sulla neve. La giornata si svolgerà in questo modo: dapprima abbiamo i saluti istituzionali da parte di coloro che hanno promosso, ideato, sostenuto e appoggiato questo evento e l’intero questo ciclo di convegni, vale a dire il Collegio Regionale della Lombardia rappresentato dal Presidente, con il contributo della Regione e della Prefettura. L’evento è stato anche organizzato con la collaborazione del Collegio Regionale dei Maestri di Sci. Per motivi organizzativi di tempo, subito dopo i saluti del Presidente del Collegio Regionale delle Guide Alpine, prenderà la parola il dr. Avella, Procuratore della Repubblica di Sondrio, il cui intervento è molto atteso, il quale per suoi problemi e per altri impegni istituzionali deve lasciarci presto; quindi faremo questa sostituzione di precedenze.
Seguirà l’intervento del Prefetto, la dott.ssa Marolla, e poi l’intervento del rappresentate per l’Assessorato allo Sport della Regione che è la dott.ssa Borghini, qui accanto a me. Dopo di che ci saranno gli interventi di tutti i relatori che si esauriranno nel corso della mattinata, dovrò anzi pregare i relatori di contenere i loro interventi nei dieci-quindici minuti per permettere a tutti di parlare. Poi si riprenderà nel pomeriggio e il pubblico, previa prenotazione, potrà replicare o porre le proprie domande ai relatori della mattinata. Quindi lascio adesso la parola a Gianantonio Moles, Presidente del Collegio delle Guide Alpine della Lombardia.
Gianantonio Moles
Per stemperare il clima devo fare la battuta, chiedo scusa ma è la prima volta ufficiale che porto gli occhiali, quindi mi trovo un po’ in imbarazzo, ma li devo mettere. Buongiorno e ben trovati a questo speciale evento promosso e organizzato dal Collegio Regionale delle Guide Alpine, con il contributo della Regione, l’appoggio della Prefettura e la collaborazione con il Collegio Regionale dei Maestri di Sci, per cercare di favorire uno scambio di idee tra operatori del settore, addetti ai lavori, ma anche con il contributo e le idee del pubblico appassionato di attività e sport nella natura. Il protagonista indiscusso di questo ciclo di workshop è il concetto di sicurezza, che in questi tempi ha assunto un’importanza e un valore rilevante.
Anche nello sport e nella nostra specifica sfera di interesse che riguarda le attività che si praticano in montagna, si tende ad imporre la sicurezza con delle misure e provvedimenti imposti, che a nostro avviso spesso non raggiungono gli obiettivi che si prefiggono e contemporaneamente ostacolano e danneggiano nell’opinione pubblica l’idea della natura e della sua scoperta. Che cosa è per noi la sicurezza riferita alla pratica delle attività sportive in montagna? Il concetto di sicurezza è strettamente legato al concetto di esperienza. E come potremo definire l’esperienza? L’esperienza è una somma di situazioni vissute che portano ad avere delle idee, delle sensazioni che costituiscono la base e il substrato con cui vengono affrontate situazioni nuove, ma allo stesso tempo in parte già vissute e conosciute: nel concetto di esperienza si possono inserire dei temi che ne costituiscono i valori.
Relazione con l’ambiente, è un concetto molto generale e ampio che si riferisce agli ambienti in cui si vive o in cui si fanno delle esperienze di vita. L’uomo di montagna, quello che da generazioni vive in montagna, può contare prima di tutto sulle esperienze che i genitori gli hanno trasmesso e che a loro volta sono state tramandate dal passato, poi lui stesso avrà e farà esperienze e tutto questo per avere una conoscenza molto approfondita e raffinata dell’ambiente. È fin troppo evidente che i messaggi e le informazioni che un montanaro può ricavare dall’ambiente naturale in cui vive sono molto più importanti di quelle che potrebbe recepire un cittadino abituato a situazioni molto diverse. È altrettanto evidente che un montanaro che pratica e frequenta gli ambienti estremi della montagna ha più probabilità di avere una visione completa della situazione di quel posto e di quell’occasione semplicemente perché ha sedimentato maggiori elementi e conoscenze specifiche.
Un altro aspetto dell’esperienza è la consapevolezza della personale condizione fisica, forza, resistenza, velocità, agilità sono solo alcune delle qualità che occorrono per muoversi con sicurezza negli ambienti naturali. Chi si muove tra i monti, ma più in generale nella natura, è abituato ad avere un dialogo continuo e profondo con il proprio corpo e ogni volta che è in atto questa azione riceve dei messaggi che, rielaborati, forniscono delle risposte più o meno previste e prevedibili.
Poi la tecnica, che potremo definire semplicemente con “qualità del gesto motorio”, la tecnica è un parametro che spesso va a braccetto con la condizione fisica, è fondamentale avere acquisito la tecnica più appropriata perché questa permette di essere in equilibrio nel momento e nella situazione. Il primo effetto rilevante di una buona tecnica è la leggerezza e il risparmio energetico, ma soprattutto una maggiore predisposizione alla positività. Gli animali propongono delle tecniche fantastiche perché non sono consapevoli, quindi non passano al vaglio della razionalità, ma derivano direttamente da secoli di evoluzione.
Abbigliamento ed equipaggiamento, anche il saper scegliere il capo più adatto o il materiale specifico nelle diverse situazioni assume un aspetto rilevante, perché anche il materiale utilizzato nello sport ha subito delle evoluzioni notevoli, è stato pensato da qualcuno in risposta a differenti problematiche, studiato, modificato, reso sempre più performante. Anche qui, però, bisogna parlare di relazione tra utilizzatore e attrezzo: certo, se utilizzo una bella giacca confezionata con il materiale più sofisticato assolutamente impermeabile, non dovrò fare altro che indossarla e rimanere asciutto, ma se utilizzo un paio di ramponi monopunta è importante che io abbia imparato ad usarli, e si rientra nel campo della tecnica. Ma ancora di più se ti porti l’ARVA, devi saperlo usare, e per fare ciò occorre dedicargli molta attenzione ed energia. Potremmo naturalmente continuare con gli esempi in cui l’utilizzo del materiale è subordinato ad una perfetta conoscenza tecnica.
Aspetti psicologici e motivazioni: ho volutamente lasciato per ultimo questo argomento, consapevole del fatto che questo è un elemento di fondamentale importanza, essendo un aspetto trasversale a tutto quanto citato in precedenza. Quando frequentiamo la montagna nei suoi ambienti più selvaggi, ci poniamo in una condizione di minor sicurezza e di maggior fascino: il gioco è quello di garantirsi dei margini di sicurezza più alti, ma avendo chiara consapevolezza che la sicurezza assoluta è un miraggio. L’alpinista estremo che margine di sicurezza ha quando prova a realizzare le sue imprese? La risposta è che il margine è basso, a volte molto basso. Allora potremmo dire che queste persone sono folli? Queste persone semplicemente accettano questo margine molto sottile e contano molto su tutte le cose che abbiamo appena citato, sulla loro relazione con l’ambiente, sulle loro qualità fisiche, sulla loro tecnica, sui materiali accuratamente scelti e conosciuti, sulle forti e incrollabili motivazioni. Per analizzare queste ultime, non c’è che l’imbarazzo della scelta: affermazione personale, successo, denaro, idee spirituali, filosofiche, morali, etiche, necessità psicologiche, fisiche, contemplative, necessità di dare dei significati tangibili all’esistenza, di sentirsi diversi, unici e importanti. Credo che nell’alpinismo estremo le motivazioni siano un cocktail di molte di queste cose.
In più la guida alpina deve relazionarsi in maniera importante con un altro aspetto, la piena responsabilità di altre persone che a lui si affidano totalmente: qui il cursore che indica i margini della sicurezza viene spostato avanti verso il massimo, la guida deve agire con tutte le sue conoscenze di montanaro e di alpinista, ma deve progettare un piano che possa essere cucito addosso ai suoi clienti e allievi e quindi deve tenere il massimo conto di tutte le cose che questi ultimi non posseggono nel loro bagaglio di esperienza. La guida deve essere pronta sul terreno e in più deve essere dotata di intuizioni psicologiche, spiccato senso dell’osservazione, curiosità, predisposizione ai rapporti umani, altruismo, e deve avere un forte senso di previsione, prevedere le azioni successive: quasi un mago o forse una specie di santone?
Una guida responsabile tenderà, se ne ha la possibilità, a trasmettere quegli elementi che contribuiscono ad innalzare il livello di sicurezza, ma anche quello di soddisfazione delle persone di cui è responsabile e questo aspetto dà grande importanza al valore del ruolo di insegnante e maestro di montagna che la guida sente fortemente di avere. L’azione e l’operato degli operatori di montagna, peraltro previsto dalla legge delle Guide Alpine e dai Maestri di sci, va salvaguardata e incentivata con delle azioni volte a implementare quelle caratteristiche che abbiamo identificato e che tendono ad innalzare il livello e i margini di sicurezza. La guida deve poter svolgere la sua professione perché riteniamo che in questi tempi di progressivo e rapido distacco dalla natura e dalle origini dell’uomo si debba cercare di recuperare quei valori e quei messaggi che tra i monti è più facile intravedere. Grazie e buon lavoro.
Francesca Manassero
Ringrazio il Presidente Gianantonio Moles che è entrato subito nel vivo del tema, anticipando temi che verranno poi sviluppati nel corso della mattinata sotto i diversi profili, psicologico, giuridico, alpinistico, ecc. Quindi, come anticipato, adesso darei la parola al Procuratore della Repubblica di Sondrio dr. Gianfranco Avella, il cui intervento è molto atteso per le sue esperienze in campo e anche nella sua qualità di promotore del forum giuridico europeo sulla neve (Bormio).
Gianfranco Avella
Cercherò di essere breve. La prospettiva da cui io culturalmente parto è che bisogna evitare lo spopolamento della montagna e questo è fondamentale, dato che la montagna altrimenti si inaridisce. Quindi privilegiare la presenza dell’uomo, che ovviamente deve essere una presenza discreta, una presenza compatibile. E allora bisogna favorire tutto ciò che, non rappresentando un impatto inaccettabile per l’ambiente, favorisce la presenza dell’uomo.
In questo contesto possiamo certamente inserire l’attività stimata e importante delle guide alpine, che devono essere presenti in numero adeguato alla fruizione degli utenti. Le guide devono abitare nel territorio montano, devono esserci e soprattutto non devono diminuire seguendo lo spopolamento. Le guide sono assai importanti in questa prospettiva globale.
Ed proprio questo il contesto in cui ho sempre cercato di battermi, perché amo la montagna, forse la ho più vista che percorsa, ma la amo profondamente, ecco. Queste sono le motivazioni che mi hanno spinto ad occuparmi del forum di Bormio, di cui parleremo in seguito. Così nasce anche la mia attrazione per la neve: sì, io sono sciatore, non è che impazzisco a sciare, però mi piace. Dice un proverbio russo “sotto la neve pane”, perché voi sapete l’effetto termico e di custodia che la neve ha: dove c’è la neve avremo poi buonissimi raccolti, perché il seme matura bene. Io invece dico “sopra la neve pane”, perché la montagna invernale va anche utilizzata per la ricchezza che può dare al territorio, sempre nel rispetto di quella presenza discreta di cui abbiamo parlato, perché ci sono interventi che sono accettabili e interventi invece che devono essere ritenuti inaccettabili.
Nel contesto, quindi, del come appoggiare in ogni modo discreto la fruizione della montagna invernale si pone con grande rilevanza l’attività dello sci. E allora nasce un quesito fondamentale: cosa fanno le singole province?
In Italia eravamo arrivati al punto, e in parte lo siamo ancora, che ogni comune si faceva le sue regole di circolazione sulla neve, c’è un frazionismo che è eccessivo e che non va bene. Là dove si circola le norme debbono essere uniche, perché se sono uniche tu hai la possibilità di avere un’aspettativa nel comportamento altrui, lui si deve comportare così in quel contesto perché abbiamo la stessa regola a cui rispondere. Come si fa ad andare in Svezia, per esempio, se ogni stato avesse codici della strada totalmente differenti? Ogni stato fa guida a destra, o guida a sinistra, stop, non stop ma a parte questo l’Europa si riconosce in regole fondamentalmente uniche. E, scusatemi, quando si hanno gli sci ai piedi non è la stessa cosa?
Sarà banale, ma è un concetto nostro, nato in Valtellina e anticipatore. Verrà il momento in cui arriveranno i cinesi a sciare, appena cresceranno la ricchezza media e la ricchezza individuale media. Arriveranno e fruiranno delle piste che ci sono in Europa. Cosa gli facciamo trovare? Una legislazione in Austria, una legislazione in Svizzera, una legislazione in Italia, magari in Italia le singole regioni con legislazioni anche diverse?
Voi cogliete quanto è fondamentale avere poche regole. Sono stati coinvolti grandi maestri, per esempio Stiffler che, anche se ha ottantacinque anni, è quell’uomo che ha creato in Europa il concetto di diritto dello sci, tantissimi anni fa, nel 1940. Il diritto dello sci come? Come branchia autonoma del diritto sportivo. Abbiamo raccolto questi grandi maestri intorno al forum di Bormio per tre anni, credo che anche per il quarto riusciremo a portarli e tutti riconoscono il concetto delle poche regole. La montagna non va devastata con un sacco di regole: devono essere poche, certe, ma soprattutto regole condivise da tutti. È fondamentale che sulla montagna non ci siano confini, non devi fare cinque metri e là essere in un altro stato dove le leggi sono diverse.
Quindi qual è il nocciolo fondamentale per la montagna invernale, intorno al quale ci riconosciamo? Un nucleo già esiste, ed è il decalogo della FIS. Abbiamo anche note critiche a questo decalogo, però il decalogo della FIS è costituito da dieci, diciamo ora dodici regole, che sono condivise in tutto il mondo. Ne deriva che eventuali norme aggiuntive vanno aggiunte a questo decalogo, devono essere internazionali, in modo che un domani anche il cinese se scia in Francia, se scia in Austria, sa che deve rispondere alle stesse regole e allora per lui, ma anche per te, sarà meno pericoloso incontrare pericoli sulle piste, perché tutti e due avremo ovunque lo stesso codice, fatto di poche norme.
Quindi è importantissimo accogliere, recepire e analizzare e raccogliersi intorno a questo concetto di unitarietà. Per esempio la legge italiana, l’ultima approvata, prevede la precedenza a destra. Questa è pericolosissima, perché se l’olandese che viene a sciare qui non lo sa, perché non rientra nella sua cultura, sarebbe come essere in automobile e rispettare precedenze non riconosciute da altri, con ciò intensificando il rischio di collisioni. Per fortuna questa legge, grazie a Dio, non la conosce nessuno: non si può legiferare in Italia la precedenza a destra sullo sci, bisogna farlo per l’Europa intera, se si ritiene che la norma sia giusta deve essere una norma per tutti.
Ecco, intorno a questi concetti banalissimi si sono trovati tutti i massimi esperti europei. Parlo di Hans-Kaspar Stiffler, presidente della Commissione Giuridica sulle Funivie Svizzere, membro del Legal and Safety Commitee (Comitato Giuridico e di Sicurezza) FIS dal 1973 fino al 2006; parlo di Heinz Walter Mathys, Primo Procuratore Pubblico del Cantone di Berna, cioè il Procuratore numero uno della Svizzera; parlo di Joseph Pichler che purtroppo in seguito è morto di tumore, ma era il più importante in Austria (il suo posto lo ha preso Herbert Gschöpf); di Gerhard Dambeck, presidente del Tribunale di Kempten (Germania). Insomma, sono questi i nomi iper-citati su una qualunque rivista di diritto o su un libro di diritto sportivo. In Italia il numero uno è Carlo Bruccoleri, non si discute, è il più grosso esperto di diritto della neve.
Per riassumere, quindi, cosa è importante? Le guide alpine ovviamente non curano solo la montagna invernale, curano anche la montagna estiva: la visuale del diritto sulla neve è limitata all’inverno e alla primavera, ma il riconoscimento di una prospettiva a norme uniche e norme unitarie, a dir la verità, non dovrebbe essere solo per il diritto invernale sulla neve, dovrebbe essere più vasto.
Facendo un passetto indietro, la Regione Lombardia ha fatto un regolamento per le aziende di agriturismo, un regolamento che sicuramente costituisce un passo in avanti, ma non aver distinto tra agriturismo di pianura e agriturismo di montagna è un deficit culturale molto forte, perché in pianura tu hai tutto molto più facile, in montagna i clienti sono rari, li devi attirare, e così torniamo a quel concetto iniziale, il vigilare sullo spopolamento. E allora vi faccio un altro esempio forte, l’edilizia, le norme dell’edilizia: ma vi rendete conto che cosa significa costruire sul piano e costruire invece sui piani inclinati? Perché l’edilizia in montagna è edilizia sui piani inclinati, quindi il rischio, ad esempio, è cinque, sei volte maggiore: queste specificità vanno tenute presenti.
Quindi un giorno, la si dovesse recuperare, andrebbe riconosciuta la specificità delle aziende di agriturismo di montagna, che devono avere facilitazioni che ancora nessuno riconosce. E’ assurdo che abbiano tutti le stesse condizioni.
Ora vado a chiudere, spero di avere illustrato quello che è il concetto fondamentale dello spirito di unità e perché le norme fondamentali dovrebbero essere uguali. È inutile fare l’Europa se poi ognuno si fa le norme etiche, le norme fondamentali, non so se rendo l’idea. Faccio un altro esempio forte: se ognuno si facesse la sua legge sull’aborto andremmo in rotta di collisione. Io, perciò, porterei tutti i dibattiti a Bruxelles, sulle questioni fondamentali, per raggiungere un punto di mediazione che vada bene a tutti.
È quindi fondamentale che, per le norme di circolazione che attengono alla sicurezza sullo sci, almeno sullo scenario europeo (che è poi scenario mondiale) le norme siano uniche per tutti e in questo io chiedo anche l’aiuto forte delle guide alpine e spero di avere, proprio al prossimo forum di Bormio, l’importante contributo di relatore del loro Presidente Nazionale. Grazie.
Francesca Manassero
Ringrazio il dr. Avella per aver evidenziato subito un tema che poi è il messaggio di tutto il ciclo di convegni, cioè la necessità che emergano delle norme fondamentali unificate, poche regole condivise da tutti, la cui radice non può essere convenzionale, come ha stilato il Procuratore, cioè non può venire dalla tradizione, magari mutuata dal codice della strada come è avvenuto da noi per il caso della precedenza, ecc. Quindi non resta a questo punto che lasciare agli esperti della montagna, quindi alle guide alpine e agli alpinisti, di stabilire quali possono essere queste norme fondamentali e quali i principi che le muovono. Passo ora la parola alla dott.ssa Marolla, Prefetto della Provincia.
Chiara Marolla
Mi fa piacere portare il saluto della Prefettura che ha voluto patrocinare e sostenere questa iniziativa, proprio perché il tema della sicurezza in montagna è un tema che sta particolarmente a cuore alla nostra amministrazione e all’ufficio che io dirigo in particolare. Purtroppo gli eventi che sono intervenuti anche quest’anno hanno messo in luce come la mancanza del rispetto delle regole può portare veramente a degli eventi tragici. In questo mi riporto a quello che è stato in effetti detto sia dal Presidente, sia dal Procuratore, perché le regole sono necessarie affinché le persone possano, nel rispetto di queste, avere una civile convivenza anche nel momento dello sport. Però probabilmente alla fonte di questo rispetto delle regole è necessaria anche una maggiore formazione, una maggiore attenzione anche nei giovani, anche a livello scolastico, quindi fin dai primi anni di vita, perché poche regole come ha detto il Procuratore, ma regole chiare vengano sempre ricordate, vengano rispettate anche e soprattutto dai giovani. Io mi appello a tutti voi che con tanto entusiasmo – devo dire da quando ho potuto avere modo di conoscere le guide alpine con le quali, voi sapete, ho anche partecipato a una bellissima manifestazione -mi appello a voi perché con il vostro entusiasmo e la vostra esperienza e le vostre capacità, grazie anche al sostegno ovviamente delle amministrazioni che hanno voluto sostenere questo progetto, si possa effettivamente arrivare a una migliore conoscenza e formazione di questo tema. Per migliorare la situazione sia nella nostra valle, sia a livello generale. Quindi ringrazio per questa giornata, mi spiace dover allontanarmi da questi lavori, però leggerò con attenzione gli Atti di questo evento. Grazie e buona continuazione.
Ivana Borghini
Allora, io innanzitutto vi porto i saluti dell’assessore regionale Piergianni Prosperini, che è veramente dispiaciuto di non aver potuto intervenire stamane come aveva programmato, ma ha avuto degli impegni che lo hanno portato altrove. Dicevo che l’Assessore era particolarmente interessato ai lavori di questo workshop perché il problema della sicurezza è una delle priorità della Giunta Regionale, non soltanto della nostra direzione generale che si occupa di sport e di turismo ed è particolarmente preposta agli argomenti che trattiamo oggi. Ma, dicevo, la sicurezza in tutti i suoi aspetti e in tutte le sue declinazioni è veramente uno degli obiettivi prioritari del programma regionale di sviluppo di questa Giunta. Questo è anche uno dei motivi per cui già da alcuni anni stiamo lavorando, devo dire molto bene, con grande sintonia con il Collegio delle Guide Alpine che ha recepito il nostro invito, il nostro suggerimento, a orientare l’attività di promozione istituzionale, che viene fatta annualmente con la nostra collaborazione, con il nostro contributo. Il Collegio ha risposto, sta rispondendo molto bene, e di questo ne siamo grati sia al precedente Presidente che al nuovo, perché siamo veramente molto sintonizzati su questo obiettivo.
Adesso vi dirò brevemente che cosa fa la direzione generale sport per il problema della sicurezza, come lo stiamo affrontando e qual è la strategia che stiamo mettendo in atto, di cui il lavoro di oggi è un tassello, è uno delle tante azioni che messe insieme costituiscono un’azione di sistema che noi pensiamo e speriamo efficace per migliorare il problema della sicurezza in montagna. Come sapete, la Regione è impegnata nella formazione delle guide e dei maestri di sci, a questo proposito anche per poter approfondire meglio e inserire dei percorsi formativi più aggiornati, adeguati: soprattutto sul problema della sicurezza stiamo facendo una revisione, un aggiornamento dei programmi, dei corsi di formazione per i maestri di sci. Abbiamo incaricato la nostra agenzia regionale per la formazione di fare uno studio mirato e un’analisi che vada in questo senso. In modo particolare, stiamo anche lavorando sul percorso formativo per la qualificazione dei soccorritori su piste da sci: anche questo è un tema nuovo, è un argomento che non è stato finora trattato, ma ci siamo resi conto che non è più procrastinabile e stiamo appunto lavorando per definire un percorso formativo che abbia degli standard di sicurezza che siano adeguati alla situazione di oggi e anche ai livelli di sicurezza, diceva prima Avella, che gli sciatori dovrebbero trovare su tutte le piste, anche quelle di altre stazioni sciistiche di altre regioni e nazioni.
Un’altra direzione in cui ci stiamo muovendo è quella di incidere sulla formazione dei giovani, con la direzione scolastica regionale, che è l’ex provveditorato agli studi per intenderci: stiamo studiando, programmando una campagna per promuovere nelle scuole sia la conoscenza delle regole, ma anche soprattutto il concetto di sicurezza come conoscenza dell’ambiente e dei pericoli che un territorio può provocare; infine, anche una capacità di autoresponsabilizzarsi e di saper riconoscere il pericolo e saperlo percepire. Ricordo anche che la nostra direzione generale è impegnata nel supportare la messa a norma degli impianti di risalita delle stazioni sciistiche, anche questo da un punto di vista della sicurezza è un tassello, uno dei tanti.
Come abbiamo già visto nei precedenti interventi, la sicurezza non è possibile pensare sia determinata soltanto da un fattore: è una componente armonica di tanti elementi e di tanti fattori. Oggi giorno c’è la tendenza a sopravvalutare la tecnologia, c’è un po’ la mitizzazione della tecnologia, la tecnologia è importantissima, ma non è sufficiente a dare sicurezza, il rispetto delle regole è fondamentale per la sicurezza, ma forse da solo non basta. C’è un grosso lavoro da fare perché queste regole vengano conosciute, vengano introiettate, quindi diventino patrimonio di chi va in montagna e diventino dei comportamenti addirittura fatti istintivamente, che vengano senza neanche doverci pensare, insomma.
Poi c’è la conoscenza dell’ambiente, perché adesso si ha anche un po’ un senso di onnipotenza, la tecnologia ci ha dato questa illusione, sembra che si possa andare dappertutto, si possa fare tutto, si possa affrontare qualsiasi situazione, pensando di poterla dominare: non è così, non è mai stato così e purtroppo non lo sarà mai. Insomm,a ci vuole anche una consapevolezza dei propri limiti e saper riconoscere i rischi che determinati ambienti o territori comportano.
Per questo, e lo stavo dimenticando, c’è un’altra iniziativa che mi preme ricordare, forse ancora non pubblicizzata adeguatamente, ma che pure va nel senso della formazione e della sicurezza: dal Collegio delle Guide Alpine è stata promossa per l’8 giugno una giornata degli accompagnatori di media montagna. Il Collegio si è fatto carico di invitare tutti, anche chi in montagna non c’è mai stato, a provare ad andare in montagna in sicurezza, con il loro accompagnamento gratuito. Si possono trovare date e programmi su Internet, sul sito della Regione, sul sito delle Guide Alpine. Abbiamo pubblicato le locandine, per ogni provincia, delle escursioni che sono state programmate per quella provincia: tutti potranno partecipare gratuitamente, basta presentarsi, iscriversi, per provare ad andare in montagna e farlo in sicurezza.
Concludo, richiamando il concetto appunto che la sicurezza è proprio il risultato di varie componenti, di molti fattori, per cui i lavori di questo workshop, ma direi di tutta la sequenza, di tutto il programma dei tre workshop che sono stati ideati dal Collegio, deve servire a mettere a fuoco tutte queste componenti e io veramente mi auguro che dai lavori di oggi possa scaturire per tutti una maggiore chiarezza, una maggiore consapevolezza di tutti i fattori che determinano la sicurezza e in modo tale che tutti gli attori coinvolti possano fare la loro parte. Perché ritengo che non si possa delegare la sicurezza a un unico soggetto, la sicurezza bisogna costruirla, ed è importantissimo che tutti facciano la propria parte, che ognuno si assuma la propria responsabilità in merito a questo obiettivo della sicurezza. La nostra direzione generale sta affrontando i temi e i compiti che sono di propria squisita competenza, però io veramente faccio un appello a tutti gli operatori della montagna perché ognuno ci aiuti oggi a fare chiarezza su che cosa vuol dire fare sicurezza e poi tutti possano dare il proprio contributo, assumersi le proprie responsabilità, in modo tale che ci sia davvero più sicurezza. Grazie.
Francesca Manassero
Ringrazio la dott.ssa Borghini che ci ha illustrato l’azione sistematica della Regione e poi ha evidenziato un concetto che secondo me verrà ribadito più volte nel corso della giornata: la non delegabilità della sicurezza per ogni individuo che frequenta la montagna. Ora, su questo punto, il prossimo relatore, che è Alessandro Gogna, guida alpina, alpinista e scrittore, ci potrà dare maggiori informazioni. Grazie.
Alessandro Gogna
Introduzione ad un nuovo concetto di sicurezza
Buongiorno a tutti, in effetti è così, il mio intervento è soprattutto da storico della montagna, ovviamente anche guida alpina, ma storico della montagna in particolare, proprio per andare a definire, analizzare meglio il concetto di sicurezza. Perché io credo sia importante usare una parola avendone presente tutti i significati e le sfumature che normalmente magari noi non diamo, ma qualcun altro dà a questa stessa parola, tra l’altro significati che sono anche in evoluzione, cioè che non sono significati statici. Per abbreviare i tempi di esposizione ho deciso di leggere quello che mi sono preparato, piuttosto che parlare a braccio.
In questi tempi recenti la preoccupazione che andare in montagna provochi incidenti e vittime è in fortissimo aumento rispetto al passato. Prima prevaleva più un senso di fatalismo e di rassegnazione alla sventura, che per fortuna oggi tende a diminuire sempre di più: di fronte alla tragedia e accanto al dolore umano c’era anche una sorta di accettazione. Io l’ho ben presente, me la ricordo molto bene questa sensazione, anche di fronte ai lutti che anch’io purtroppo ho dovuto vedere e accettare. Andare in montagna secondo la mentalità del tempo richiedeva talvolta il pagamento di tragici tributi, tra l’altro si riteneva colpissero comunque alla cieca, cioè come sventura e si giudicavano inevitabili come guerre, guerre mondiali, genocidi, carestie, malattie e tutte le altre sventure e lutti immaginabili.
Una consolazione a questa sofferenza umana era fornita dal naturale spirito religioso, cui però oggi si ricorre sempre meno. La fiducia nel benessere proprio della seconda parte del XX secolo, i progressi enormi della medicina, i piaceri consolatori e materiali dei consumi per tutti, unitamente alle gioie sostitutive e virtuali di una società sempre più incollata ai video dei computer hanno portato anche l’incapacità, da parte del singolo e della collettività, ad accettare dolore e sofferenza. La fiducia in uno sviluppo senza fine delle potenzialità della scienza, della ragione e della tecnica hanno fatto il resto.
La maggior parte delle persone, dunque, si adagia nell’ottimismo di una crescita morale e materiale della società che neppure segnali importanti come guerre nei Balcani e terrorismo internazionale riescono a scalfire.
Mentre si registra il massimo dell’audience in televisione quando si parla di Padre Pio, ecco che dall’altra parte i disperati, gli esclusi dall’apparente benessere e felicità, ricorrono a maghi ed a stregoni, più spesso agli imbroglioni, per tentare di sollevarsi dalla loro condizione: e in entrambi i casi assistiamo alla grande difficoltà in cui si trova quella Chiesa che dovrebbe essere scuola di spirito, unica referente degli esclusi dalla felicità fisica, morale e spirituale.
Ugualmente la montagna e la natura in generale non sono più viste come palestra di vita, rifugio, o tempio religioso: al contrario, la maggior parte le vede come hobby, gioco, passatempo, vacanza con gli amici, sport. Dunque, pure montagna e natura hanno fallito e nella nuova ottica sportiva le disgrazie non sono più considerate inevitabili danni collaterali bensì fastidiosi quanto “evitabilissimi” difetti in un meccanismo che unisce ormai a filo doppio vacanza e danaro.
Giustifichiamo, dunque, la diminuzione degli alpinisti che salgono le vie classiche con la mancanza su di esse di adeguate e moderne attrezzature; assistiamo alla proliferazione delle vie ferrate di vetta e di valle, alla sponsorizzazione di richiodature, a segnaletiche esagerate, alla plurinformazione di vie e di itinerari escursionistici, alla caccia all’ultimo itinerario selvaggio, viaz o canyon per poterlo domare con funi e scalette; e infine assistiamo alle cause civili e penali che pretendono di fare giustizia là dove ci sono stati solo errori. E così ai ristoranti girevoli in quota o al golf sul ghiacciaio della Marmolada si aggiunge la graduale e spietata convinzione che tutto prima o poi sarà finalmente innocuo, depurato e confezionato, e soprattutto omologato nelle regole. La convinzione stessa di poter scendere e salire ovunque su ogni metro quadro di roccia, con gli sci, a piedi, d’inverno, sarà la causa numero uno della richiesta di regole, sia sportive che di responsabilità giuridica.
Di fronte a questo scenario c’è chi si ritrae spaventato e che si chiede se non stiamo sbagliando qualcosa. Da una parte sappiamo che è giusto aver abbandonato rassegnazione a sventure e fatalismo, dall’altra assistiamo sbigottiti ad una serie di tragici incidenti; come il passaggio, da una circolazione automobilistica su strade strette e pericolose, allo scorrimento su larghe e moderne autostrade e superstrade munite di guardrail non ha rallentato il tasso d’incidenti, così, anche con le regole, la gente cade dai sentieri, viene colpita dai sassi sulle vie ferrate, perde l’appiglio su una via di montagna o viene seppellita da una valanga in una discesa fuoripista.
Da qualche anno le Guide alpine, con il sostegno della Regione Lombardia, si stanno impegnando e stanno investendo in azioni che hanno come obiettivo il recupero della cultura della sicurezza basata sull’auto-protezione e sulla responsabilizzazione dell’individuo.
Il primo ad introdurre questi nuovi concetti fu la guida alpina Lorenzo Merlo che nell’aprile 2002 pubblicò un interessantissimo articolo su ALP Wall, dal titolo ToFeelNotToKwow! Riporto solo una breve citazione:
«Quando un Tuareg si avvia alla traversata insieme alla sua carovana, non ripassa il manuale di deserto, di tempesta di sabbia o di sopravvivenza sahariana. La cultura con la quale è cresciuto, nella quale si identifica (senza alcun processo di razionalizzazione), sono la sede della sua sicurezza. Una cultura forzatamente coniugata, scaturita e formata dalla relazione con l’ambiente.
Per lo stesso motivo un camoscio sente quando poter attraversare una colata ghiacciata e quando no. È per questo nocciolo che l’alpinismo è atto culturale, non sportivo».
Le informazioni che rendono note le iniziative concrete nell’ambito del turismo e degli sport alpini vanno ad aggiungersi al già enorme bagaglio di nozioni fornito da servizi meteo, bollettini valanghe, segnaletica, manualistica dell’attrezzatura, materiale cartografico e bibliografico, rete internet e normativa. L’insieme di queste informazioni è talmente vasto e permeante da influenzare la percezione che se ne ha, fino ad arrivare a non dubitare MAI della certezza che ne deriva.
Ettore Togni, per tanti anni presidente del Collegio delle Guide Lombarde, ha da tempo avviato questa crociata per una “nuova sicurezza”. Da lui cito una frase molto sintetica ma piena di significato:
«Troppo spesso pensiamo che certezza sia sinonimo di sicurezza, ovvero garanzia.
Siamo talmente abituati ad associare i due significati che li crediamo direttamente proporzionali tra loro.
L’ingannevole risultato è: più certezza = più sicurezza.
Invece, queste due parole hanno in comune solo la rima. Nient’altro».
Questo è il frutto di un processo culturale le cui conseguenze si riflettono nel quotidiano di tutti noi: la certezza è un bisogno tale che, se soddisfatto, tende a sostituire anche il bisogno di sicurezza.
Ma, attenzione: se una qualunque cosa è “certa”, cioè “certificata”, allora è anche garantita. E la garanzia più o meno conclamata fa nascere il “diritto” alla certezza e quindi alla sicurezza. Diritto che fa dimenticare il “dovere” di essere auto-responsabili.
Abbiamo prodotto garanzie e certezze troppo spesso valide solo sulla carta, creando un forzato “diritto alla protezione” che, paradossalmente, ha portato nell’individuo e nelle sue comunità una de-responsabilizzazione più o meno marcata. In definitiva, senza neppure esserne coscienti, tendiamo a delegare la responsabilità a chi di fatto ha prodotto quell’insieme di realizzazioni in campo di sicurezza e di cui poi ha fornito debita informazione.
Negli ambienti di lavoro la sicurezza è ricercata attraverso le normative, l’attrezzatura e le tecniche ma, fortunatamente, sempre di più anche con la formazione del lavoratore.
Anche nelle strutture sportive, non fosse altro perché sono a pagamento e sono opere costruite dall’uomo, la sicurezza è ottenuta con le stesse doverose modalità.
Negli ambienti naturali quali la montagna, il mare, il deserto, la jungla, ecc. si tende a fare la stessa cosa mediante i decaloghi, l’allenamento, il perfezionamento dell’attrezzatura e del gesto tecnico, ma con ciò concedendo sempre meno spazio alla componente umana, alla capacità di fare delle scelte in un ambiente dove nulla è certo. Esperienza, intuito, sensibilità nell’interpretare la Natura, relazione con l’ambiente… possiamo dare o non dare un nome all’insieme di queste doti, ma è indispensabile recuperarne il contenuto, reso ormai sterile da un perverso meccanismo sostitutivo.
Qualche consiglio a chi inizia a frequentare la montagna può essere utile e opportuno, ma oggi rischiano di essere fuorvianti i decaloghi e i falsi slogan nello stile “montagna sicura” o “montagna in sicurezza”. La montagna non è un impianto sportivo e le discipline della montagna non sono sport, sono atti culturali forieri delle più variegate emozioni individuali quindi, come tali, non bisognose di regole costrittive, a volte oppressive, che ne determinano la fine quasi per definizione. E con la fine dell’emozione, nel festival delle “certezze”, ancora una volta si perde coscienza di “dover” essere prima di tutto auto-responsabili.
“Montagna invernale: sulla neve, scivolare tra leggi, ordinanze, bollettini e buon senso” è il primo workshop del ciclo “Montagna e sicurezza”. L’iniziativa nasce dalla necessità di fare un po’ di ordine all’interno del panorama di legalità (o illegalità) nelle varie forme di utenza della montagna, che da un po’ di anni ha avuto strascichi, a volte contrastanti fra loro, in diversi tribunali italiani e ha suscitato l’interesse del mondo del diritto. Il frutto della “sicurezza dovuta” è fatto di leggi inapplicabili, sono assurde proposte di patentini per sciatori, autovelox sulle piste da sci, ordinanze di totale divieto di sci fuoripista quando gli stessi organismi promuovono le loro stazioni con immagini di sci fuoripista.
Secondo me, obiettivo di questo convegno dovrebbe essere il suggerire comportamenti responsabili, dimostrare l’inutilità dei decaloghi fatti di regole di condotta, mettere allo stesso tavolo del confronto tutte le parti che intervengono su problematiche riguardanti la montagna invernale, con lo scopo finale di lanciare il messaggio dell’auto-protezione, della sicurezza che deve risiedere nella persona e non solo nelle norme e nelle attrezzature.
Personalmente credo che la causa degli incidenti sia più da ricercare nel nostro disequilibrio interiore e nella mancanza di relazione con l’ambiente esterno, che infatti è vissuto più come sfondo alle nostre prodezze o al nostro divertimento che come reale e potente partner della nostra natura interiore. Ma è certamente anche dovuto al più o meno cosciente sovraccarico di fiducia che riserviamo alle “certezze di sicurezza”. L’escalation di misure e attrezzature di sicurezza non fa che allontanare ciò di cui abbiamo più bisogno e che temiamo di dover affrontare per via della fatica necessaria: la vera sicurezza che nasce dentro di noi nella contemplazione della nostra stessa serena responsabilità. Forse il compito più difficile, ma grande vera prevenzione. Grazie.
Francesca Manassero
Prima di passare al prossimo intervento volevo dire una cosa in relazione a quanto appena detto da Alessandro Gogna, cioè al riguardo dell’illusione di sicurezza che danno le norme. Siccome le norme per loro natura non possono che essere generali ed astratte, cioè non possono che applicarsi a tutti gli individui, a categorie e a categorie di situazioni, è chiaro che una norma di sicurezza deputata in modo generico in un ambiente mutevole come quello alpino non ha senso e a proposito della pericolosità di queste norme di pretesa di sicurezza vorrei fare l’esempio del secondo comma dell’art. 17 della Legge 363 (che detta norme in materia di sicurezza nella pratica degli sport invernali), in cui è detto che i soggetti che praticano lo scialpinismo devono munirsi, laddove per le condizioni climatiche della neve sussistono evidenti rischi di valanghe, di appositi sistemi elettronici per garantire un idoneo intervento di soccorso. Ora lasciando stare che questa normativa secondo me esula un po’ dal suo campo di applicazione, con la discutibile pretesa di disciplinare una parte di scialpinismo, e lasciando anche perdere questioni tecniche che verranno magari affrontate in seguito, secondo me è un po’ erroneo dire che quando le condizioni climatiche della neve lo richiedono si utilizzi l’ARVA.
Chi legge questa norma e non è esperto pensa che con l’apposito sistema elettronico in tasca o nello zaino ha garantito un idoneo intervento di soccorso, quindi a lui sembra che se si mette l’ARVA in tasca e arriva una valanga, ecco che arrivano dieci elicotteri, lo tirano fuori e lui è sano e salvo. Questa è un’illusione di sicurezza data da una norma di sicurezza che è secondo me assolutamente folle, nel senso che chi va in montagna sa benissimo che l’ARVA bisogna saperlo usare, bisogna saperlo usare senza esitazione e dopo lungo esercizio e comunque che non garantisce la salvezza e non mette al riparo dal pericolo. Quindi mi auguro che da questo convegno emerga proprio la necessità di un’auto-responsabilizzazione, di un’auto-protezione, proprio perché la certezza del soccorso non può essere né prevista dalla norma, né essere regolata. Adesso lascerei la parola al dr. Giuseppe Saglio, psicologo, nonché scrittore, che ci parlerà delle componenti psicologiche dell’alpinismo e dell’andare in montagna.
Giuseppe Saglio
Montagna in sicurezza, con responsabilità, per significato
Buongiorno a tutti, in effetti ascoltando l’intervento di Moles, poi anche quello di Gogna sono già state fatte delle puntualizzazioni, molto intelligenti, appropriate e anche molto attente agli aspetti psicologici che entrano in campo nel momento in cui ci si trova ad affrontare la montagna come ambiente naturale.
In effetti, ripercorrendo la scala gerarchica dei bisogni umani, strutturata dallo psicologo statunitense Abraham Maslow, ritroviamo il bisogno di sicurezza ai primi posti. Si presenta infatti immediatamente dopo la risoluzione dei bisogni fondamentali fisiologici, istintuali ed innati, quali la fame e il sonno. Corrisponde al richiamo – continuamente avvertito e riproposto – all’ordine e alla costituzione di regole come protezione rispetto al caos; riproduce un contesto riconoscibile quale difesa da un ambiente indifferenziato e disorganizzato.
Il concetto di sicurezza comprende due attribuzioni prevalenti di senso, variabili secondo la loro applicazione ai luoghi a cui sono destinate oppure alle persone che li utilizzano.
Un luogo sicuro, infatti, è un luogo protetto, riparato, che non presenta rischi e non comporta pericoli. Una persona sicura è una persona esperta, competente, pratica e determinata. Entrambe le categorie, quando sono riferite alla montagna, non possono essere disgiunte, ma piuttosto devono trovare correlazioni dinamiche e rimandi nuovi.
Nel nostro caso, a proposito dell’agire, ci vengono incontro tre termini, a mio parere inevitabili: sicurezza, responsabilità e significato.
La motivazione dell’andare in montagna è sempre sostenuta da un significato, correlato peraltro a un bisogno di ricerca, per certi aspetti sovradeterminato nella scala dei bisogni e, nello stesso tempo, prioritario. Il bisogno di ricerca risponde alla risoluzione dei bisogni primari (la ricerca di cibo), ma anche a quello di conoscenza. Se non possedesse un senso specifico, l’andare al di là del conosciuto resterebbe un atto vuoto, superfluo, inutile. Andiamo in montagna per abbandonare la quotidianità degli eventi e la familiarità dei luoghi. L’ambito alpino deve essere di per sé inabitabile, ma nello stesso tempo attraente, inusuale e suggestivo, sconosciuto e interessante. Un’eccessiva attribuzione di priorità al significato potrebbe però far dimenticare, portare a sottovalutare o a trascurare i criteri di sicurezza necessari.
Un’attenzione prevalente o esclusiva alla sicurezza allontanerebbe invece il senso del rivolgersi alla montagna in quanto luogo della conoscenza e dell’esperienza.
Ridurre ogni forma di esposizione, prevenire e prevedere troppo in termini di sicurezza spegne l’interesse alla ricerca, attenua le spinte creative, induce un processo di sostanziale devitalizzazione. Esporsi maggiormente o incondizionatamente alle incognite, prevenire e prevedere in modo insufficiente le variabili e gli indici di pericolo fa aumentare il rischio di una interruzione precoce o di un termine improvviso del processo.
Occorre riconoscere un elemento di congiunzione tra le due parti: la responsabilità per le proprie scelte e per i propri atti diventerà allora aspetto regolatore di un equilibrio altrimenti troppo instabile e fattore unificante di un rapporto che di per sé risulterebbe indefinibile.
Le regioni alpine, al di sopra delle aree abitate, hanno costituito da sempre un territorio anomalo per l’uomo. Anomalo, in quanto non abitabile e non frequentabile se non nella temporaneità. Anomalo, in quanto spazio diverso, eppure immediatamente contiguo a quello familiare e domestico e ancor di più, per queste stesse ragioni, necessario e vitale. Alterità che viene conservata al di là della conoscenza e della continua frequentazione dei luoghi.
Il superamento del confine corrisponde al diverso e all’inatteso, alla folgorazione e alla scoperta. Per sapere chi siamo e come siamo dobbiamo misurarci con il diverso da noi: l’esperienza del diverso è esperienza di conoscenza. Per poter fare esperienza di noi nel mondo abbiamo bisogno di un superamento della spazialità abituale. Un altro spazio in cui poter cercare e da cui poter tornare. Un territorio di accrescimento del sapere che permetta di ibridare e variegare ogni percezione e ogni apprendimento.
Perché la disposizione alla ricerca è essenziale? Non cedere alle semplificazioni promosse dal possesso delle certezze e dei dogmi, coltivare il dubbio e la curiosità, promuovere il confronto delle differenze apre al pensiero e favorisce nuove acquisizioni. Fonda i presupposti per l’espressione di sé e per lo sviluppo del Sé creativo. Permette l’evoluzione di sentimenti e emozioni attraverso i processi di crescita e di maturazione a cui si va incontro e che riconoscono una derivazione dalle esperienze autentiche ed utili.
Dall’altro lato la conformità dei sentimenti e della cultura, la tendenza ad una infantilizzazione sociale diffusa e a una delega incondizionata per le scelte, la cancellazione del diverso, la negazione del valore assoluto dell’unicità e dell’irripetibilità soggettiva – rispetto ai bisogni di uniformità del mercato – esaspera le variegature dell’individualismo, dell’egoismo, del narcisismo, accentua la vanità svuotante e la vacuità senza sostanza dell’onnipotenza; spegne ogni ipotesi costruttiva di progettualità e ogni forma utile di finalismo, isterilisce ogni apertura nei confronti del nuovo, depriva di senso e di forza ogni motivazione propositiva nei confronti degli altri e della vita.
E la vita è ricerca del nuovo, è esposizione al non conosciuto e al divenire attraverso l’approfondimento del presente. Esposizione al rischio per tutto ciò che è in trasformazione, per tutto ciò che non è controllabile e non è prevedibile. Esposizione al rischio per tutto ciò che è vivo.
Il pensiero per ricostituirsi ha bisogno di una traduzione, di una realizzazione e di una rivitalizzazione nell’esperienza. L’esperienza, in quanto applicazione pragmatica del pensare e bisogno di materializzare le intuizioni e le idee attraverso il fare e il costruire, promuove e sviluppa la conoscenza, apre nuovi orizzonti alle attività della mente.
Potremmo definire il concetto di sicurezza utilizzando anche le categorie della soggettività e dell’oggettività. La sicurezza oggettiva è applicabile allo spazio domestico, ai luoghi di lavoro, agli spazi abitati e a tutti quelli perimetrali e segnati da un confine: la pista, il parco, il sentiero, la strada.
Oggettivare la sicurezza resta comunque un’illusione: la messa in sicurezza è un processo che, all’apparenza, si configura come infinito: alcuni margini, alcune parti resteranno inevitabilmente scoperte. Una conclusione del processo, in questa direzione, potrebbe preludere una garanzia, ma condurrebbe anche ad una paralisi. Stabilirebbe uno svolgimento antivitalistico, portato a negare ogni dinamismo, a confermare l’inevitabile e continua trasformazione di ogni sistema biologico.
La vita di per sé, in quanto movimento incessante è negazione della sicurezza. La sicurezza soggettiva, d’altra parte, per poter mantenere la sua funzione di garanzia, deve essere supportata da un forte senso di responsabilità. Una responsabilità assunta in modo attivo e rivolta ad applicazioni comportamentali concrete.
Occorre soprattutto fare propria un’etica della responsabilità, per la quale si è parte attiva negli esiti e nelle conseguenze, rispetto all’etica dei principi che, secondo i criteri di Max Weber, resta invece ancorata ai dogmi e alle intenzioni. Un’etica che, fondata sul fare empirico e sperimentale, comprenda anche l’errore e sia soprattutto rivolta ad incrementare progettualità e creatività.
L’individuo, interprete dei suoi atti, deve quindi promuovere la propria autonomia esercitando le componenti di coinvolgimento e di iniziativa personale. La sicurezza soggettiva non può, ovviamente, essere delegata.
Chi frequenta la montagna deve allora considerare quella dimensione interposta tra rischio e responsabilità, ben conosciuta dagli alpinisti come dagli artisti. Una posizione che, fondata su un estremo rigore, comprende oscillazioni continue tra attenzione e abbandono, tra la sicurezza del guardare e l’insicurezza dello sguardo. Ci dobbiamo proteggere e ci dobbiamo riparare, ma ci dobbiamo soprattutto muovere per restare vivi.
Ci vengono in aiuto, a questo proposito, due rappresentazioni pittoriche: Le bianche scogliere di Rügen, un quadro del 1818 del romantico Caspar David Friedrich e Il terapeuta, un dipinto realizzato nel 1937 dal surrealista Renè Magritte.
Nel primo dipinto vediamo tre figure ritratte di spalle e volte alla vista del mare. In realtà solo una, in piedi, mantiene lo sguardo perso all’orizzonte. La sua è un’attrazione magnetica per il vuoto, è una visione immateriale, illusoria, impregnata di infinito e di tensione per l’invisibile. Ogni suo pensiero è fluttuante e saturo delle immagini fantastiche dei sogni. La condizione che esprime è quella dell’abbandono. Le altre due figure, una donna e un uomo guardano invece l’erba e le rocce ai loro piedi: la loro attenzione è solo per la vicinanza, per il tangibile, per il concreto e per il materiale. Esaminano il mondo con metodo classificatorio e con rigore scientifico.
Di quegli anni è anche la composizione del canto L’infinito di Giacomo Leopardi, carica delle stesse suggestioni e degli stessi significati: «questa siepe» e «quello infinito silenzio». L’uso degli avverbi diventa inequivocabile per la narrazione e per il significato della poesia come del dipinto. «Queste» cose che si toccano e si conoscono, «quelle» che non si vedono e si immaginano. Abbiamo bisogno di sicurezza, ma non possiamo vivere senza l’arte e la poesia. Abbiamo bisogno di aggrapparci al «questo», ma non possiamo escludere di abbandonarci al «quello». Per vivere e per non perdere noi stessi dobbiamo oscillare tra i due versanti, incessantemente e inesorabilmente.
La seconda immagine mostra un viandante seduto in riva al mare. La parte superiore del corpo è sostituita da una gabbia contenente due colombe. Sulla sommità un cappello come riparo; sulle spalle un mantello come protezione; in mano un bastone come appoggio; ai piedi una bisaccia come raccolta delle esperienze. E poi ancora la sabbia in cui si sprofonda e si fatica a camminare; l’oceano senza fine in cui si può naufragare e perdere, e nelle cui profondità ci si può riconoscere e ritrovare.
Il terapeuta rappresenta una condizione doppia: raccoglie e comprende due anime differenti, apparentemente contrapposte, ma appartenenti alla stessa unità, costituenti la stessa persona. Non potremmo parlare di completezza senza queste apparenti antinomie, senza queste evidenti opposizioni. In realtà la definizione di persona e il riconoscimento dell’individuo necessitano di questa composizione aperta.
Ecco allora le due colombe: terapeuta e paziente, guida e cliente, maestro e allievo, genitore e figlio, istituzione e società. Interagiscono tra loro scambiandosi insegnamenti e apprendimenti, idee e atti, pensieri e realizzazioni. E lo spazio in cui si trovano: protetto e garantito e quindi, in definitiva, sicuro. Ma anche inevitabilmente esposto perché aperto al mondo. Essere aperti al mondo e agli altri è assicurazione per la vita. È la vita stessa. Condizione indispensabile per l’esistenza cosciente. Bisogno primario fondamentale.
Insegnare la tecnica, la maniera, ma educare anche alla responsabilizzazione nei confronti di se stessi, degli altri e dell’ambiente potrebbe costituire il fondamento per le scuole di sci, i corsi di alpinismo e le pratiche di avvio all’escursionismo.
L’apertura della gabbia è anche un incoraggiamento e un’educazione all’autonomia, all’assunzione di responsabilità, al saper provvedere per la propria persona nel momento in cui si lascia la protezione garantita da altri. Una volta usciti nel mondo saremo noi ad adottare i criteri che abbiamo visto ed appreso: all’apprendimento per imitazione, ottenuto guardando l’azione del maestro, si aggiunge l’apprendimento per comprensione, raggiungibile attraverso i vissuti emotivi dell’esperienza.
Il cappello, il mantello, il bastone, la sacca per poter affrontare l’esterno e salvaguardare l’interno. Per crescere e diventare guide di sé e garanzia di sicurezza per gli altri.
L’uomo ha bisogno dell’altro da sé, ma più di ogni cosa ha bisogno della relazione con l’altro. Relazione nei confronti delle altre persone, ma anche nei confronti delle cose e dell’ambiente intorno. Porsi in relazione significa diventare parte attiva, essere interpreti di ciò che si fa e si dice, avere iniziative proprie, fare delle scelte, assumersi responsabilità per i propri comportamenti e per come ci si propone.nei.confronti.del.mondo. Grazie.
Francesca Manassero
Ringrazio il dr. Saglio che ha fatto emergere direi più o meno lo stesso concetto che sta emergendo da tutte le relazioni, anche se con motivazioni diverse, ma pur sempre l’esigenza che l’auto-responsabilizzazione dell’individuo arrivi dalle esperienze. Adesso dovrei lasciare la parola a Corrado Scolari, Assessore per la Protezione Civile della Provincia di Brescia, il coordinatore dell’Assessorato delle province della Lombardia, delle Protezioni Civili della Lombardia. Purtroppo occorre rimandare il suo intervento perché l’Assessore mi dicono è rimasto bloccato in viaggio. Quindi, a questo punto, approfitterei per fare io un breve inquadramento giuridico, sotto il profilo civile della responsabilità arrivando proprio al tema di questo evento, cioè della responsabilità sulla neve.
(continua su https://gognablog.sherpa-gate.com/montagna-innevata-2/)
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Ei Gogna: dopo sto pippone, domani c’è bisogno di un climbingporn per rilassarsi!
Aggiungo:
Tre) un vero peccato che non vi fu seguito
Quattro) sarebbe interessante organizzare oggi un convegno simile, anzi un ciclo simile, e confrontare i risultati con quelli del 2008
Ha ragione, sig. Cominetti. Si è preso una ben lunga pausa se ha letto tutto il testo! E, purtroppo aggiungo, spesso questi convegni con contenuti e relatori di spessore hanno le medesime conseguenze di un un pomeriggio davanti ad un G.P. si formula 1 senza neanche un sorpasso! Buona gita.
Tutto bello e giusto. C’è poco o nulla da aggiungere ai contenuti.
Però due cose:
Una) a suddetto convegno non c’è andato nessuno.
Dua) oggi è sabato e nessuno legge/commenta sul gognablog.
Sarete tutti in montagna. Io sono al mio lavoro di guida e mi sono preso una pausa.
Io questo lo trovo preoccupante.