Il sociologo francese Alain Caillé: «Si tratta della forma generale per descrivere il rapporto tra soggetti umani, purché siano considerate persone, riconosciute come tali nella loro singolarità».
Nel dono riconosciamo il valore dell’altro
di Simone Paliaga
(pubblicato su avvenire.itil 24 dicembre 2019)
Quanto la logica utilitarista, centrata esclusivamente sull’individualismo e sul paradigma dell’interesse, è capace di dare ragione dell’agire degli uomini? Dal 1981 il Mauss, il Mouvement antiutilitaire dans les sciences sociales, lavora per aprire delle crepe in questa visione. A guidarlo dall’inizio è il sociologo francese Alain Caillé, che ha appena pubblicato Extension du domaine du don (Actes Sud, pagine 330, euro 28,20) in cui tenta di tirare le fila della sua ricerca.
Dopo quarant’anni di lavoro come definire il dono?
Non esiste una definizione universalmente accettata e per di più alcune lingue non dispongono di una parola equivalente. Sulla scia del famoso Saggio sul dono di Marcel Mauss del 1925 possiamo definirlo come una prestazione di beni o servizi resi senza garanzia o certezza del ritorno. Questa definizione non permette però di cogliere il significato o l’intenzione del dono. Preferisco ritenere il dono come la forma generale per descrivere il rapporto tra soggetti umani, purché siano considerate persone, riconosciute come tali e valorizzate nella loro singolarità. È il gesto con cui mostro di riconoscere il valore dell’altro. È un operatore di riconoscimento.
Perché scrive che il dono non è gratuito?
Perché il termine gratuità è carico di ambiguità. Se si sostiene che per essere vero il dono deve essere gratuito e privo di intenzionalità, allora, il dono diventa, per dirla con Derrida, «la figura dell’impossibile». Ma questo è assurdo. Non posso dare qualcosa senza alcuna motivazione e attesa, come se non mi interessasse assolutamente. Tuttavia, si può donare in maniera disinteressata purché si distingua tra disinteresse, come mancanza di motivazione, e disinteressamento. Allora si può ben dire che il dono è gratuito, se non altro a causa dell’incertezza della restituzione.
Quale differenza corre tra dono e carità?
Se la carità è fatta senza riconoscere il valore della persona a cui è profusa, allora la carità non appartiene all’ordine del dono. Allo stesso modo, un regalo fatto senza consentire al destinatario di ridonare a sua volta, in un modo o nell’altro, schiaccia o annichilisce il destinatario. Il vero dono è quello che consente all’altro di dare a sua volta.
Perché donare?
Ci sono quattro possibili ragioni per donare. Si può donare per interesse, sperando in un ritorno più importante del dono iniziale, oppure si può donare per affetto, amore o simpatia per l’altro, in questo caso parlerei d’amorevolezza (aimance). Per interesse personale o interesse per gli altri. Ma si può anche donare per obbligo, per senso del dovere, per convenienza o, ancora, per piacere.
Riassumendo…
Per interesse personale e interesse per gli altri (aimance), per obbligo e libertà-creatività (libercreatività).
Lei ritiene che occorra andare oltre Mauss. Perché?
Da un lato perché alcuni temi rimangono ancora impliciti in lui, come il legame tra dono e lotta per il riconoscimento. Dall’altro, perché Mauss ragiona nei limiti di una reciprocità semplice. Ora, se vogliamo rendere il paradigma del dono un paradigma veramente centrale per le scienze sociali e la filosofia, e lo ritengo auspicabile, abbiamo bisogno di un approccio più generale che ci consenta di pensare, in particolare, al legame tra dono e teorie della lotta per il riconoscimento, come hanno fatto Hegel, Honneth, Fraser; il suo rapporto con le teorie della cura, penso a Giligan, Tronto; e con la fenomenologia del dono confrontandosi con Husserl, Heidegger, Derrida, Marion.
Qual è l’apporto delle teorie del caring al paradigma del dono?
Le teorie della cura ci hanno permesso di renderci conto della necessità di passare da un semplice paradigma del dono a un paradigma generalizzato.
Per questo ha intitolato il suo libro Extensions du domaine du don?
Il titolo accenna al primo romanzo di Michel Houellebecq, Extensions du domaine de la lutte. Ora, il dono analizzato da Mauss è quello che lui chiama un dono agonistico. Egli descrive una forma di lotta condotta con il dono. Ma, come ho appena detto, dobbiamo andare oltre i risultati di Mauss. Nel mio libro, provo a mostrare che il dono permette di affrontare domini vari come il rapporto con la natura, il gioco, lo sport, le relazioni internazionali, il consumo, l’efficacia simbolica, ossia la guarigione con le parole, la religione, l’autorità, e molti altri.
Perché nel suo lavoro ha rinnovato la triade del dono (dare, ricevere, restituire) con un quarto elemento, il chiedere?
Perché se dai qualcosa a qualcuno che non ne ha bisogno o non lo desidera, allora il dono si svuota e diventa inoperante. Il ciclo completo è quindi quello di chiedere, dare, ricevere, rendere. Si oppone al ciclo negativo, che chiamo diabolico, centrato sull’ignorare, prendere, rifiutare, mantenere.
Si può estendere il paradigma del dono alla politica?
Non solo si può, ma si deve. Questa estensione oggi si presenta con il nome di convivialismo in cui si riconoscono centinaia di personalità intellettuali e migliaia di attivisti in Francia e altrove. Secondo me costituisce l’alternativa che tutti noi cerchiamo al neoliberismo.
Alain Caillé
da Wikipedia
Alain Caillé (Parigi, 2 giugno 1944) è professore emerito di sociologia all’Università La Défense di Parigi Ouest Nanterre, dove ha diretto il Master di specializzazione in Scienze Sociali e Sociologia: Società, Economia e Politica.
Nel 1980, con altri studiosi provenienti da varie discipline, ha fondato il Movimento “Mauss”, Mouvement Anti-Utilitariste dans les Sciences Sociales che pubblica una rivista da lui diretta.
Inizialmente, s’impose nel corso degli degli anni Ottanta e Novanta come uno dei capofila di una critica radicale dell’economia contemporanea e dell’utilitarismo nelle scienze sociali.
Il suo manifesto Critica della ragione utilitaria costituisce una svolta nelle scienze umane e sociali: egli chiama gli intellettuali a produrre una alternativa al paradigma utilitarista che domina, secondo lui, le scienze da diversi secoli. La critica di Alain Caillé al paradigma utilitarista si estende a tutti i campi del sapere – dalla psicologia freudiana (fondata sul principio del piacere), alla micro-economia, passando per la filosofia, la sociologia, l’antropologia, ecc. Tuttavia, lontano dal negare che l’interesse sia una motivazione forte per l’azione, egli critica soprattutto la posizione che consiste nel considerare l’interesse come la spiegazione ultima di tutti i fenomeni sociali. Del resto, il paradigma del dono (ispirato dalle ricerche sul dono di Marcel Mauss) da, al dono, un valore preponderante rispetto alle motivazioni utilitariste.
La critica di Alain Caillé è di carattere pluridisciplinare. Il suo contributo intellettuale deve essere valutato oltre le tipiche contrapposizioni ideologiche. Non si può dunque confonderla con quella di un economista o di un sociologo di ispirazione marxista, poiché respinge i preconcetti utilitaristi, che a volte sono stati attribuiti all’economia politica marxista. Nei fatti, i lavori di Alain Caillé mescolano abilmente analisi sociologiche, storiche, antropologiche, filosofiche ed economiche.
D’altra parte, ha anche prodotto studi antropologici e sociologici sull’economia vista dal punto di vista del dono. Egli ha partecipato alla riscoperta di Marcel Mauss e di Karl Polanyi e nonché alla ridefinizione critica della nozione d’interesse nelle scienze sociali, in cui sopravvive quella che lui chiama la finzione dell’homo oeconomicus.
In Italia le sue opere sono state diffuse, anche grazie all’azione dell’editor Alfredo Salsano, dalle case editrici Einaudi e Bollati Boringhieri negli anni Ottanta e negli anni Novanta.
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Bruno, non capisco come tu, e Fabio nell’altro post, vediate capitalismo nello scambio di doni.
Fermo restando che si tratta di esperienze, ricerche e visioni personali – di Mauss e Caillé – nel mio vissuto nel dono non c’è un’aspettativa: so perfettamente che l’essere generosi e la pratica del dono sono onde che creano abbondanza; non mi aspetto che l’altro ricambi il mio dono poiché so che potrebbe arrivare da qualcun altro.
I romani avevano già un interessante concetto: Do ut des. Tipico, oggi come allora, dei politici… E in fondo, a prescindere, esprime il concetto di Aillé, no?
Mi piacciono due concetti, qui espressi. 1) che il vero dono non è gratuito (per il donante), ma deve “costare”, anche e soprattutto in termini immateriali; 2) che, ai giorni nostri, per come si è sviluppata la società occidentale, il dono è tale se, da parte del donatario, c’è una “richiesta”.
Mi piace inoltre il principio per cui la politica dovrebbe incentrarsi sul concetto di dono. Ovvero persone più capaci si impegnano per applicare le loro doti e governare gli eventi anche e soprattutto a favore delle persone meno capaci (il concetto di “capacita’” non è solo di natura economica, anzi…). Purtroppo il ruolo dei politici da decenni e decenni ha preso una strada per cui è diventato un “mestiere” con principale obiettivo tornaconto personale e non quello della collettività. Questo è uno dei motivi per cui ho evitato un coinvolgimento diretto nella politica.
In ogni caso (Mauss e Caillé) il dono esclude una transazione in denaro. In fondo si tratta di una forma di baratto che ostacola e nello stesso tempo anticipa il capitalismo.