Ora non scappo più
di Gabriele Canu
(pubblicato sulla sua pagina fb, il 25 luglio 2025)
Quel puntino lassù sono io, su quella che – se non la più bella – è senz’altro una delle più iconiche vie delle Dolomiti e dell’intero arco alpino. Avevo 31 anni, non molto tempo libero e lo passavo a infastidirmi su vie pestifere in montagna: moderatamente difficili oppure, più di frequente visto che il livello non era così alto, lunghe corse affannate su difficoltà moderate e protezioni infami, incastonate tra l’altro in formazioni geologiche assolutamente sconsigliabili. Mi piaceva tanto l’esplorazione, salire montagnucole inesplorate, senza nomi altisonanti e magari non sempre attraenti, perché? “perché sono lì”, diceva Mallory. E me lo ripetevo anche io, caro George: perché sono lì.
Cercavo cose quanto più possibile distanti dalle folle, dal grado, dall’era moderna: l’avventura, per me, era quella roba lì. Nessuno le avrebbe probabilmente mai ripetute, ma la cosa mi lasciava totalmente indifferente: non cercavo il riconoscimento, cercavo con l’esplorazione di placare la mia infinita curiosità. Vista con il senno di poi, questa ricerca dell’avventura mi ha reso quello che sono ora: una persona in grado di buttarsi in cose totalmente sconosciute – come le riprese, i documentari, le public relations, i festival – con qualche (etto)grammo di incoscienza e tanta voglia di fare qualcosa di diverso e totalmente inesplorato per me: raccontare a un piccolo mondo qualcosa visto attraverso i miei occhi. E con la consapevolezza che certo, può anche andare male. Anche malissimo, tutto sommato. Ma se non provi, non c’è alcun rischio di vincere.
Sono passati tredici anni, da quel giorno, e di cose dentro me ne ho viste cambiare: ora scalo una dozzina di viette l’anno, cose tranquille per vedere valli e vallette che ancora mancano nella raccolta di fotogrammi di luoghi visti e vissuti. Me la faccio addosso su terreni dove un tempo mi divertivo, rileggo i racconti che scrivevo sul mio gapclimb anni fa e sorrido pensando a quante volte parlano di soste notturne nell’area di parcheggio di Tagliolo sud, sulla A26, alle porte della Liguria: nei lunghi rientri solitari in macchina di ritorno dalle dolomiti o dalle alpi centrali, quando sentivo che l’aria si faceva umida e il sudore sgorgava in simultanea al sorgere del sole dietro la collina, mi coglieva un sonno letargico.
Sonno che fino a quel momento era disturbato dall’adrenalina, dal fresco della notte, dal ricordo della salita, degli scomodissimi bivacchi in parete, degli spaventi, delle emozioni, dell’orgoglio per quel gradino più in là, per quel personale limite portato un centimetro più avanti della domenica precedente. Ogni maledetta domenica tutto di colpo crollava, a 49 minuti da casa. Forse avevo paura di rivedere il mare che ero certo essere proprio dietro a quelle collinette, forse quel mare voleva dire casa, forse casa voleva dire prigione. Da chi, da cosa, è diverso per ognuno. C’è chi la domanda se la pone, chi ha la risposta ma preferisce fingere di non saperla, chi ignora la domanda perché è infinitamente più facile scappare da un dolore che attraversarlo. Ma tutti, scappiamo da qualcosa.
Ora non scappo più, non così almeno. Ho imparato a stare in casa in una giornata di alta pressione senza mangiarmi le mani per non essere altrove, so passare un paio di giorni in un rifugio gestito da nuovi amici per il solo gusto di stare in montagna, a leggere o studiare, a ustionarmi il collo, a farmi un bagno nell’acqua ghiacciata del lago, a chiacchierare con i giovanissimi rifugisti che mi sentono come uno di loro nonostante la differenza di età.
Insomma, la domanda di quest’anno per il mio compleanno è: ho perso qualcosa? La risposta è che ho guadagnato qualcos’altro. Perdere vuol dire lasciare un vuoto. Se lo baratti con qualcos’altro a cui riesci a dare lo stesso valore, non hai perso. Il tempo è uno, la vita è una. La monotematicità è bella perché ti permette di raggiungere vette (metaforiche e non) molto alte. Ma il saper allargare lo sguardo e non fossilizzarsi nel fare solo quello che sai fare per la paura di scoprirti incapace di fare e vivere altro, è un dono prezioso che bisogna saper cogliere. C’è almeno una possibilità per ognuno per riconoscerla, accoglierla e arrancare per uscire dalla palude della zona comfort: quella nicchia dove siamo qualcuno, abbiamo un ruolo, siamo riconosciuti. Dove siamo probabilmente meno bravi di qualcuno, ma certamente più fighi di molti altri. È dura uscire di lì, uscire da quel comfort lì. Ho visto troppa gente essere in quel loop senza riuscire a uscirne: a cinquant’anni, sessanta, ancora incastrato lì. Mi sono immaginato nella stessa situazione, mi sono spaventato, e ho capito che era troppo importante trovare il modo di uscirne. Da solo, o in compagnia, o con l’aiuto di qualcuno: non siamo supereroi, anche se ci piace pensare di esserlo.
Insomma quest’anno devo dire grazie alla terapista, a chi mi capisce e mi lascia essere – con i dovuti limiti – quello che sono. E poi un grazie a me, eccheccazzo, tutti bravi a parlare ma poi quello che deve buttare il cuore oltre l’ostacolo sei te, nessuno lo fa al posto tuo, neanche quelli che paghi.
E quindi una pacca sulle spalle e auguri con qualche ora di anticipo per i tuoi quarantaquattro, Ga!
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In Visione verticale di Alessandro Gogna c’è una bella ricerca che riguarda questa compulsiva spinta che ha ben descritto Gabriele. Questo è un ottimo contributo e qui qualche risposta l’ho trovata.
Concordo con le cancellazioni pro pulizia. Grazie.
13 Demichei , hai ragione sono un prepotente. Mi scuso ma della tua non me ne ero accorto.
grazie, non mancherò! E.B.
a te viene porta da molti anni…
Giustamente Gogna ha fatto pulizia. Ma non si può sempre porgere l’altra guancia.
L’articolo di Gabriele Canu non meritava di ospitare litigi sulle pensioni, troll e insulti. L’accetta è stata tirata fuori, anche se in ritardo perché magari il 14 agosto si può passare il tempo diversamente. Mi ripugna fare questo genere di interventi. Per rispondere alla domanda di Battistella: sì, sono disponibilissimo a pubblicare tuoi articoli, purché firmati in modo credibile, sui temi che vorrai.
Oopss… Il Capo ha estratto l’accetta!
che delusione, per una volta ogni tanto che le discussioni prendono pieghe costruttive per il futuro! male male, caro Alessandro. Se ti mandassi un articolo su questi temi, saresti almeno disposto a darmi la possibilità di pubblicarlo?
Bella e sincera riflessione personale; contrariamente a quanto pensa Chang, credo che valga per molti dei mono (o quasi) maniaci scalatori. Per me comunque il testo e’ chiaro: “Riuscire a” si usa per indicare un obiettivo perseguito con volontà e impegno, un tentativo in una certa direzione che l’osservatore percepisce nella persona in questione. Che questo impegno sia doveroso o meno non è rilevante.
Tranquillo Chang, io decido solo per me stesso 🙂
e bravo tu, che con animo certosino sei andato a scovare la parola contestabile: “riuscire a”, nove caratteri su cinquemila che hanno trasformato una riflessione personale in qualcosa da cui difendere o difendersi. Non escludo che sia perché tu non hai mai avuto a che fare con gente che dopo un incidente è caduta in depressione perché non poteva andare a scalare rendendosi conto di botto che nella vita non aveva altro, o che non hai mai avuto a che fare con persone per cui l’alpinismo da grande passione diventa una dipendenza perché al di fuori di quella nicchia sono pesci fuori d’acqua… chissà.
In ogni caso hai perfettamente ragione, senza legge nulla è dovere. Uno può anche martellarsi il ginocchio ogni dì, o stare in una relazione tossica, o spaccarsi di crack senza volontà alcuna di riuscire a uscirne. Tranquillo che io non decido niente per nessuno, anche se nei miei post personali metto nove caratteri che non ti piacciono 🙂
Esperienza assolutamente personale, condivisibile o no, ma i giudizi sull’esperienza altrui li lascerei fuori da considerazioni personali
Ma chi gliel’ha detto che ci sia la volontà di “riuscire ad uscirne?”. L’ha deciso lui che per questi individui sarebbe doveroso farlo?
Bravo
Vedi Fabio, il fatto è che questa (Eu)Genia o (Eu)Genio che sia, vorrebbe FOTTERSI i contributi che hanno pagato gli altri per vivere alle spalle degli altri.
Ecco qui mi sento proprio di condividire: “infinita curiosità” un bel motore, un ottimo motivo, uno stimolo, una ragione per agire.
mi sembra tutto giusto…?
Sicuramente sono cose sui cui riflettere.
Ma ognuno di noi avrà le sue motivazioni e arriverà alle proprie conclusioni.
Grabriele ha alle spalle una intensa attività alpinistica su vie di grande impegno. Forse si era infilato in un vicolo cieco? O forse gli sembrava a lui fosse cieco?
Di sicuro nella vità non c’è solo l’alpinismo, come non c’è solo il lavoro o solo il divertimento. Personalmente, per motivi familiari, sto vivendo un momento (lungo) lontano dai monti, dalla scalata, e sinceramente non mi sento bene, mi manca.
Bello mi sembra tutto giusto
Per fortuna Gabriele Canu non scappa più ed invece Luca Fois scappa ancora!