Percorsi inutili – 6

Percorsi inutili – 6
2006
Già agli ultimi due mesi di scuola il problema era evidente. Petra si stava trasformando, da ragazza florida, luminosa e solare, a figura esiliforme, sguardo ripiegato per volontà di accelerare il passaggio da ragazza a donna, ma anche lievemente dark perché accentuato da un trucco scuro per nulla in linea con la sua natura.

Per la promozione aveva chiesto ed ottenuto un particolare modello di Nokia, carissimo, fighissimo e soprattutto di cui non poteva fare a meno. Non è senza importanza che il vecchio cellulare le fosse caduto nel water della barca a vela nella loro settimana a Ponza e Ventotene. Volenti o nolenti di un nuovo acquisto c’era bisogno. Il modo però con cui aveva condotto la visita in negozio e la trattativa con la commessa aveva decisamente fatto arrabbiare la mamma, come non molte altre volte era successo. La trattativa infatti era tale non per avere di più spendendo di meno come il buon senso vorrebbe, bensì per convincere la madre, con l’aiuto inconsapevole della commessa, che quello era l’unico articolo che valesse la pena di comprare.

Solo dopo il salato pagamento alla cassa Bibi aveva realizzato d’essere stata presa per i fondelli dalla figlia, che in più nella vacanza velica non si era certo comportata bene in compagnia di indifferenza, strafottenza e malumore appena represso.

Il passaggio delle consegne, in partenza per la nostra Sardegna, vedeva Guya e me piuttosto preoccupati: una figlia magra come un chiodo che pesava come la sorella minore, che soppesava con lo sguardo qualunque cibo, stizzosa come non era mai stata. Per due settimane avremmo dovuto sopportarla ma anche agire per distrarla dai suoi propositi, che francamente ci sembravano tipici di una personalità a forte rischio di anoressia. Speravamo molto nella compagnia di Alessandra, che caso mai aveva problemi contrari e per questo era stata soprannominata Pammi (da Pamela Anderson), nonché nel confronto-scontro con Milo, la sua passione mai sopita.

Arrivati sull’isola diedi tempo a Petra di prendere i suoi ritmi, ma soprattutto Guya non abbassava la guardia. Primi più unti del solito per ingannarla, pietanze e insalate ricche di sostanza, suggerimenti di gelati sulla spiaggia, anche a costo della propria linea. Io, che problemi di peso certo non ne avevo, trovavo la nuova filosofia del cibo davvero appagante e mi sembrava di mangiare come un porco. Di giorno smaltivo sudando sulle pendici settentrionali del Monte Coltellaccio o nella valletta a occidente della Punta lu Casteddacciu, gite solitarie che avrebbero distrutto un cammello, col caldo che faceva. Per quello ogni notte raffreddavo nel freezer una bottiglia d’acqua in modo da berla il giorno dopo decentemente fresca.

Ma la ragazzina era furba e ci cascava fino ad un certo punto. Di nascosto la controllavamo se andava a vomitare subito dopo aver mangiato: non ci era mai sembrato, però….

Piccoli litigi, discussioni facevano parte del reciproco conoscersi ma presto le cose presero una piega bellica evidente perché nel gioco si era inserita una ragazzina tedesca, Paola. Questa, pur ribadendo il suo disinteresse per Milo (ricambiata), in realtà era sempre presente e concedeva poco spazio a iniziative. Alessandra era già fidanzata con Augusto e dall’alto della sua posizione tentava di giudicare con oggettività un comportamento fluttuante in cui Petra dava a Milo dell’immaturo e quello la ripagava con dispetti e piccole attenzioni a Paola. Con rare apparizioni di Falk, che lavorava in un ristorante vicino ad Arzachena, il resto della litigiosa brigata era costituito da Elena e dalle due gemelle Mona e Cleo, sempre più legate e sempre più libere di parlare tra loro in tedesco cosa che, si sapeva, faceva molto arrabbiare Maestro Tommasino.

Erano i tempi anche del campionato del mondo di calcio, la sera dell’incontro Germania-Italia fu incandescente. Falk e Milo avevano fatto gli sbruffoni tutto il giorno, il viso dipinto da indiani, pronosticando una sicura batosta per noi pavidi e vigliacchi italiani. Le tifoserie davanti alla televisione erano rigorosamente separate, ciascuna a casa propria. Ma gli urli si sentivano anche a Olbia. E fu così che dopo aver meritatamente vinto, nessuno venne a congratularsi mentre noi sguaiatamente facevamo casino nella notte.

Ma fu più forte di loro e, al momento dei commenti sulla prossima partita con la Francia, ancora non tennero la lingua a freno e si lasciarono andare a vendicative e livide previsioni di certa disfatta italiana.

Dopo la vittoria, le ragazzine naturalmente furono senza pietà e andarono avanti giorni a fare battute di scherno su questo tema, provocando perciò rabbie represse che ogni tanto esplodevano nel chiuso del loro ambito. La figura di Paola era diventata un incubo, quasi come l’ormai mitica e mai più rivista Strunz.

Il Re del Pelo intanto era arrivato per una rapida visita che spendemmo su una mediocre prima ascensione al pilastro nord del Balcunaddu, la via Alea jacta est.

I giorni trascorrevano tra coordinate certe: da una parte le donne andavano in spiaggia ad arrostire al sole del pomeriggio mentre io rimanevo in casa a lavorare. Avevo parecchie cose da concludere, grane da affrontare non certo aiutato dall’assenza di UTMS, con un segnale GPRS che avrebbe spazientito Giobbe se avesse dovuto fare o ricevere e-mail. Mattino e sera erano dedicate alle scaramucce italo-tedesche. E per tutti i santi giorni l’incubo del sospetto che Petra fosse borderline, con lunghe telefonate con la madre che in verità ci sembrava non troppo ricettiva.

Anche per rifarmi di un’inattività ormai fastidiosa, andai da solo sulla cresta N della Rocca de Ballizzu (Quota 790 m di Monte Sempio), concedendomi un’arrampicata non troppo facile ma non così difficile da dire che per me fosse rischiosa. Ovviamente alla base non sapevo cosa mi aspettava, ma via via che la cresta si svolgeva sotto il mio muovermi mi sembrava di aver davvero indovinato la giusta meta. Solo nella parte finale ebbi un’esitazione, una fessura che mi piaceva molto ma che da solo sarebbe stata un’imprudenza, tra l’altro a destra della cresta. Così tornai sul filo e finii in bellezza. Mentre scendevo il caldo cominciava a sentirsi ma dentro di me sembrava che qualcosa si fosse placato, mi sembrava di avere nuove energie da spendere.

Elena dopo la salita di Mamma Drago alla Rocca de Ballizzu (Monte Sempio). Ben visibile la cresta nordSardegna, Monte Sempio, cresta nord

Riuscii perciò ad essere più papà di quanto lo fossi stato fino ad allora e volli condurle ad una spiaggia diversa dal solito, diressi l’auto a Cala Girgolu con l’intenzione di fotografare almeno i resti della Tartaruga, lo scoglietto decapitato anni prima da vandalico gesto. Petra, Guya e Alessandra non le smossi dalla spiaggia, Elena venne con me alla ricerca dello scoglio che, siccome non voleva farsi riconoscere, ci costrinse ad una bellissima cavalcata sulle bianche e rosa scogliere di questa baia, con Tavolara di fronte che quasi la si tocca con mano. La bambina era a piedi nudi ma non fiatò mentre io non sapevo come facesse su quel granito ruvido con sentierini spinosi inframmezzati. Ero fiero di lei. Solo al ritorno individuammo il mozzicone e facemmo le penose foto di rito.

Un cartello mi aveva incuriosito nella peraltro scarsa segnaletica in quel di Padru. Sul tornante dal quale partiva il sentierino per la Punta Russu, seguito anche con Luisa Raimondi due anni prima, avevano messo un bel cartello con piantina topografica e descrizione di un itinerario escursionistico. E questo a cura del comune. Volli andare a vedere. La descrizione era accurata, il sentiero lungo il Canale Marragone fino alla Sella 575 m (costruito dai carbonai e che non ero riuscito a percorrere per via dell’infrascamento) era stato riaperto con duro disboscamento. Il lavoro, piuttosto ben fatto, portava anche oltre nella valletta opposta. Consigliava una brevissima deviazione per una cascata in posto davvero selvaggio, ma poi proseguiva ancora a est fino a fermarsi inesorabilmente davanti ad un muro vegetale invalicabile. Tornai indietro senza cessare di chiedermi perché i lavori non erano proseguiti (e non mancava neppure tantissimo) fino alla sterrata proveniente dagli Stazzi Pietrisconi. Ma il caldo mi cuoceva il cervello a tal punto che dubitai di poter dare una risposta sensata.

L’anno prima era tanto piaciuta Tavolara, così il giorno dopo eravamo là, dove l’acqua è limpida alla massima potenza e i fondali sono da sogno anche per un arrampicatore incallito. Ancora felicità nei loro occhi, anche in quelli di Petra, per una volti sgombri dall’ombretto livido che ultimamente era il preferito.

A Tavolara se non altro non c’era l’affollamento di altre spiagge. Per un po’ di giorni girò tra loro il tormentone “Ccerto che sei propprio ‘n cojone”. Le versioni di questo episodio sono un po’ incerte, ma pare comunque che un signore romano, bello de sole e de panza, camminasse sulla spiaggia assieme ad un ragazzotto, evidentemente suo figlio. Ad un certo punto il ragazzo esclamò, non così a bassa voce: – Ammazza quant’è bona quella…
– Chi, quella? – volle certificare il padre.
– Quellalà.
– Ccerto che sei propprio ‘n cojone!
– Ah pà, tu alla mi età quante te n’eri fatte?
– Ma che c’entra… belle come mamma, nessuna!
E detto questo riprese a camminare seguito dal figlio che rimuginava.

A Lu Impostu c’erano i “due nonni”, lei 74, lui 78, di Roma. Siccome avevano una pensione da fame da anni facevano la stagione qui. Il caffè te lo portavano alla sdraio, con un carretto, come lo volevi, con dolcificante, corretto, senza zucchero. Più lei faceva le lasagne e i panini “boni boni”. Un giorno una “buzzicona”, dal sedere decisamente non più così florido, anzi decadente, andò a chiedere un gelato al nonno che subito esclamò: – ‘n vedi che culo questa, chiappe d’oro è questa…. Alle mie donne invece dava indistintamente delle “passerotte”.

Le notti brave dai Morgenstern, nelle tende, nei furgoni abbandonati non conoscevano tregua. Elena ebbe la visita di uno dei numerosi gattini lì di casa. Peccato quello avesse una diarrea di proporzioni inusitate (almeno in proporzione al suo peso). Verso l’una di notte ci fu molto movimento, i sacchi piuma di Elena e delle due gemelle erano irrimediabilmente compromessi, lei si alzò alla ricerca di acqua con cui pulire sommariamente. Dopo un lavoro molto difficoltoso, guardandosi bene dal venire in casa a chiedere aiuto, si arrese e concluse la notte perseguitata da una puzza bestiale. In tutto questo le gemelle si erano lasciate sottrarre i sacchi piuma per il lavaggio senza smettere di dormire, erano state reintrodotte nei sacchi più che umidi e avevano continuato a dormire della grossa. Assieme al gattino.

Dopo un’altra di quelle notti, fortunatamente non disturbata dai gatti, ma accorciata da chiacchierate fino alle due-tre di notte, andai a svegliare Elena, le feci fare una frugale colazione, la misi in macchina a dormire un’altra mezzora mentre io la conducevo a Monte Sempio. Quando ci arrivammo erano le sei di mattina del 12 luglio e faceva un fresco gradevole. Elena dormiva in piedi come gli asini. Ci avviammo alla base della parete nord-ovest. Volevo arrivare per via completamente autonoma a quella fessura che qualche giorno prima mi aveva respinto. Man mano che Elena si svegliava ricordava i nodi e le manovre di assicurazione, ma non c’era da fidarsi troppo. Dopo una prima lunghezza abbastanza impegnativa e po’ sporca di terriccio e una seconda assai più facile, superammo due bellissimi tiri che da soli valevano la via. Elena era entusiasta, io pure. Mi godevo quella natura perfetta, quei nostri movimenti inutili nell’insegnamento del non necessario che praticavamo, quell’amore che sentivo scorrere dal profondo e che la spingeva ad abbracciarmi ad ogni sosta, ogni volta che poteva.

La quinta lunghezza la conoscevo già ma non glielo dissi, quindi anche lei fu con me alla base dell’arcigna fessura ad incastro finale. Questione di poco: spinto dalla vocina di lei, che a quell’ora mi assicurava come una professionista, in pochi minuti fui al di sopra e poco dopo anche lei stava salendo facendo coscienziosa pulizia di tutto il materiale da me usato. Fu lì che notò una formazione rocciosa più bizzarra delle numerose altre, disse che le sembrava una Mamma Drago. Fu il nome della via, che ci venne in mente quando ci abbassavamo nell’ormai assolato canale di discesa, verso gli enormi massi che precedevano l’auto, sola in una valle di silenzio.

La parete ovest della Rocca de Ballizzu con i tracciati di Mamma Drago e Narici di Porco. Sulla destra è No traversi per BarbiSardegna, Monte Sempio, parete ovest

Un grande silenzio immobile c’era anche il giorno dopo, quando a Rocca Manna stavo salendo la fessura in Dülfer che precedeva le belle e regolarmente geometriche fessure del pilastro centrale, quello che l’anno prima ci aveva impauriti. Marco, questa volta debitamente dotato di chiodi, risolse brillantemente, quasi del tutto in libera, uno dei tiri più estetici di tutto questo comprensorio roccioso. Ebbi modo di seguire la sua progressione, d’incitarlo, di consigliarlo, di applaudirlo senza battere le mani. Un piccolo capolavoro. Toccò poi a me proseguire, in una lunga fessura, un po’ in spaccata, un po’ d’incastro che poi si sarebbe allargata a camino. Ansimavo come una locomotiva scoppiata, strisciavo là dentro alla ricerca del centimetro in più: e allorché riuscii a utilizzare anche il gomito capii che ce l’avevo fatta. Era nata Ombre nella Mente.

Prima della partenza sentivo di dover fare almeno una cosa ancora: andare in municipio e chiedere materiale d’informazione sui sentieri ripristinati e segnalati. Oltre al Canale Marragone avevo visto altri due itinerari, quindi potevano essercene degli altri.
– A chi posso chiedere per avere informazioni su itinerari escursionistici qui a Padru?
La signorina fu gentile, disse che l’assessore non c’era ma forse l’addetto a non ricordo più che cosa poteva essermi utile. Costui fu un po’ meno gentile, chi sarà questo ficcanaso di continentale, si sarà chiesto. Mi confermò comunque che i percorsi erano per il momento solo tre e candidamente ammise che di materiale informativo non c’era neppure l’ombra, neppure un foglio dattiloscritto o una stampatina di computer. Però chiacchierando riuscii a sapere perché il sentiero finiva di colpo: perché oltre si sarebbe entrati nel comune di San Teodoro…

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Percorsi inutili – 6 ultima modifica: 2014-07-27T07:55:00+02:00 da GognaBlog

2 pensieri su “Percorsi inutili – 6”

  1. 2
    Ale says:

    GRAZIE PER AVERMI FATTO RIVIVERE QUELL’ESTATE.

    Quante risateeeee.ti voglio bene zietto

     

  2. 1
    Luca Visentini says:

    Finalmente l’ho letto, e gradito! 🙂
    Ci sei tu, la tua vita, l’arrampicata e la Sardegna. Ci sono problemi, c’è la tua storica voglia di avventura e libertà, ci sono momenti di autentico spasso.

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