Prima del Baltoro

Metadiario – 258 – Prima del Baltoro (AG 2004-003)

Il mio lavoro con la formazione dei dirigenti procedeva con regolarità, e non avevamo solo grandi clienti come Banca Intesa o Mediaset: il 25 maggio 2004 la campagna di Compiano ci vide assieme ad un gruppo di oncologi provenienti da ospedali di tutta Italia. Questi si conoscevano più che altro per nome e il gruppo era tutt’altro che omogeneo. Nel corso del trekking di orienteering ricordo un tasso di litigiosità decisamente superiore alla media, con insospettabili atteggiamenti quasi infantili. Solo al momento della riunione corale in cui si fece la sintesi dell’esperienza ci fu quell’autocritica da parte dei singoli necessaria a creare un team. Apparve improvvisamente la statura di quei professori cui fece senz’altro bene un confronto su temi così diversi dai loro abituali. E ciò subito prima della calata dai 22 metri della torre del castello, che contribuì ulteriormente all’abbattimento di certi ego pervasivi.

Federico Raiser nella Ghiacciaia di Moncòdeno. Foto: Federico Raiser.
Elena sulla Spalla Sud-ovest dell’Adamsberg (punto panoramico), 14 giugno 2004

Il 23 marzo 1997 avevamo tentato, in condizioni invernali e in numeroso gruppo eterogeneo, di raggiungere la Ghiacciaia di Moncòdeno: non c’eravamo riusciti, ma mi ero ripromesso di tornare. Così scegliemmo una data dove la neve poteva essere solo un ricordo, il 30 maggio. Il gruppo era composto dalle stesse persone dell’altra volta, o quasi: Petra, Elena, Guya, Giovanni, Paola e Costanza Sicola. Emozionante per tutti fu il non propriamente agevole ingresso nella grotta, con conseguente vista sulle stalattiti e le stalagmiti di ghiaccio.

Giochi sulla Spalla Sud-ovest dell’Adamsberg…
… riusciti.

Poi ci fu la settimana di vacanza estiva a Ischgl. Gli sportivi mattinieri s’incrociavano con gli altri nelle vie animate di Ischgl: questo succedeva nel primissimo pomeriggio, ora dell’incerto risveglio dei nottambuli del Coyote Ugly. Erano quelli i ritmi di Ischgl, e bisognava conoscerli. È gente sempre nuova quella che cavalca su moto più o meno rombanti l’Hochalpenstraβe, la strada panoramica che unisce la Paznauntal a Montafon, traversando la zona settentrionale del gruppo del Silvretta. Loro non sono propriamente appassionati di montagna, ma se questa gente viene qui ci sarà il suo bravo motivo.

Sulla Spalla Sud-ovest dell’Adamsberg, 14 giugno 2004
Sulla Spalla Sud-ovest dell’Adamsberg, 14 giugno 2004

La Silvretta Arena è a misura di bici e di sci. I fanatici della due ruote arrancano, espellono tossine a fontanella ma non demordono, sanno che il vento asciuga rapidamente il sudore e sono ostinati. L’itinerario più famoso è lo Schmugglertour, il «giro dei contabbandieri» che collega Ischgl a Samnaun, un paesino in territorio svizzero che, come la nostra Livigno, permette acquisti con agevolazioni fiscali. Lo Schmugglertour concede molte varianti, adatte anche al percorso a piedi: qui due sportivi ben diversi, il camminatore e il ciclista, agli antipodi per l’abbigliamento e per la velocità, trovano un terreno comune, quello subito sotto alle nevi e alle rocce del Silvretta, campo in quota per ascensioni più alpinistiche.

È un pubblico di adulti quello che predilige Ischgl, quello che vuole respirare lo stile di vita internazionale, tra bei negozi e wellness in relax, che è lo spirito stesso di Ischgl. Ma certamente Petra, Elena, Guya ed io non eravamo tra quelli che ci lasciavamo tentare.

Ischgl
Elena sulla Spalla Sud-ovest dell’Adamsberg (punto panoramico)

Lasciato lo scorrazzare dei centauri e il passeggiare mondano, per entrare nel vero mondo della Silvretta Arena volevamo percorrere almeno una parte dell’enorme ra­gnatela di itinerari ancora innevati. Solo così si potevano confrontare i due stili di vita, in modo rilassante e spensierato.

A Ischgl e dintorni aveva sciato Ernest Hemingway con elegante tecnica a telemark. La disciplina, tornata in auge nelle Alpi era in rinascita anche lì e le piste e i fuori pista di Ischgl si prestano perfettamente alle curve inginocchiate. In alcuni settori le condizioni della Silvretta–Skiarena per praticare quella disciplina erano ancora favorevoli con uno spettacolare manto di “firn”.

A chiacchierare con Rudolf Walser, Stefan Wolf o una delle altre quattro guide del Mountain Guide Club, si apriva ogni orizzonte: dallo sci fuoripista allo scialpinismo, dalle semplici gite fino alle ancora possibili escursioni con racchette da neve.

Dal belvedere dell’Adamsberg verso il gruppo del Silvretta
15 giugno 2004. Dopo il malefico guado, continuiamo a piedi verso la Jamtalhütte.

Arrivammo a Ischgl il 12 giugno. Il tempo non era bello, fummo perciò costretti a limitarci a giri in automobile, tipo allo Zeinisjoch o alla Friedrichshafener Hütte (per poi salire a piedi al punto panoramico della Spalla Sud-ovest dell’Adamsberg 2305 m.
Il 15 giugno, nel tentativo di raggiungere in auto la Jamtalhütte, nei pressi della Scheibenalm la Volvo si bloccò nel bel mezzo di un guado che avevo affrontato con troppo ottimismo. Feci scendere tutte dall’auto, costringendole a uscire a piedi nudi per non inzupparsi scarpe e calze. Io invece, nella gelida acqua fino ai polpacci mi affannavo a sistemare sassi più o meno piatti nei pressi delle ruote in modo togliermi dalla panne. A marcia indietro tentai a più riprese di riguadagnare il lato del torrente che avevamo appena lasciato, senza successo. Nel frattempo, mentre Elena faceva il tifo per i miei sforzi e come carta assorbente ascoltava i miei improperi, Guya e Petra si erano avviate verso la vicina malga (la Scheibenalm) per vedere se qualcuno aveva un trattore. Fecero ritorno con un simpatico ragazzino che in qualche modo si fece capire: niente trattori a disposizione. Però si tolse anche lui le scarpe e mi aiutò a lastricare il fondo del torrente. Alla fine ce la facemmo e, posteggiata l’auto nei pressi della malga, continuammo a piedi la nostra gita che, da quel momento in poi, non ebbe altri momenti adrenalinici.

Jamtalhütte e Jamtalferner. Al fondo è la Dreilanderspitze.
Nella Fimbatal (Val Fenga), verso la Heidelbergerhütte

Il 16 giugno noleggiammo delle mountain bike e da Ischgl raggiungemmo Galtür lungo la sinistra idrografica della valle, per poi riscendere sull’altro lato. Il giorno dopo, raggiunto in auto un punto tra Gampenalm e Fimbaalm, continuammo a piedi fino alla Heidelbergerhütte 2264 m. E l’ultimo giorno, il 18, altra gita a piedi dalla Romans Hütte fino allo specchio d’acqua del Madleinsee.

Nella Fimbatal (Val Fenga), 17 giugno 2004.
Val Fenga: Heidelbergerhütte e Gemsbleisspitze.

Poi ci fu un viaggio stampa, ancora a Ischgl. Il 26 giugno proponemmo l’esperienza di nordic walking, fino alla Paznauner Taja. Assieme a Mario Pinoli e Katja, ero con Matteo Menetti, Massimo Morello, Claudio Primavesi, Graziano Capponago Dal Monte, Maurizio Bono e Luigi Grella. Non è possibile dire che questa disciplina sia entusiasmante: un fenomeno molto diffuso tra gli escursionisti teutonici che a quel punto potevamo permetterci di prendere in giro bonariamente. Con gli stessi il giorno dopo andammo in vetta all’Adamsberg, a piedi dalla Friedrichshafener Hütte.
Nel weekend del 3-4 luglio, a Levanto, fu festeggiato in anticipo il mio 58° compleanno: l’ultima escursione prima della partenza per il Ghiacciaio del Baltoro la feci il 5 luglio con un altro gruppo dei formatori della Riesco: dal bivacco Sacchi salimmo al Monte Maggiorasca (Appennino genovese/piacentino) con la ferrata Mazzocchi.

La Heidelbergerhütte nella Val Fenga, con Piz Davo Lais, Fuorcla da Tasna e Fluchthorn.
Riposo alla Heidelbergerhütte

Inutile raccontare dei frenetici giorni prima della partenza per il Pakistan: oltre alle problematiche tecniche che affrontavo con Mario Pinoli giorno per giorno, c’era un intero luglio da organizzare lavorativamente senza la mia presenza.

Il punto chiave era rappresentato dall’evoluzione di Kappatre Comunicazione, attività che ormai aveva assunto rilevante importanza, soprattutto economica.

Tra le pecore verso il Madleinsee, 18 giugno 2004
Tra le pecore verso il Madleinsee, 18 giugno 2004

Il 10 maggio Katja aveva riassunto la situazione con una mail:
“… Per la struttura kappatre comunicazione, se vuole crescere, dobbiamo cominciare a pensare di creare un vero marchio. Perché? Soprattutto perché siamo una agenzia di comunicazione e vendiamo comunicazione. Non dobbiamo, noi, fare gli errori più gravi della comunicazione del marketing, come non rispettare ad esempio le regole di base della corporate identity con il nostro marchio. Ma anche perché, se noi lavoriamo bene e abbiamo una buona reputazione, sia presso i clienti che i giornalisti, un marchio ben riconoscibile e sempre uguale favorisce una nostra penetrazione migliore nel mercato.

Presso Stubai e Innsbruck abbiamo reputazione ottima, e loro stessi lo riconoscono e ci promuovono; ma, con clienti più esigenti ed attenti al marketing, come ad esempio Ischgl, rischiamo di perderla.

Verso il Madleinsee, 18 giugno 2004
Madleinsee (Paznauntal) e Kuechlspitze

Per creare un vero marchio c’è bisogno di: 
a) Stabilire un “corporate design (cosa che in parte abbiamo già risolto); sviluppare e definire il marchio; definire i colori (non tra blu e viola ma viola preciso, se è stato deciso viola) e adeguarli per la stampa o per uso internet/e-mail (!); definire la grafica del logo (attenzione, logo non è solo l’immagine con le montagne, ma è l’insieme di immagine e nome kappatre comunicazione) dunque bisogna definire posizioni e proporzioni. Poi: definire la veste tipografica (?), in tedesco si dice Geschäfts-Ausstattung per almeno:
1.) biglietti da visita;
2.) carta lettera/carta fax (la carta viene usata per certe corrispondenze, offerte, rassegne stampa e tutto quanto è scritto che conviene “timbrare” con il nostro logo. Abbiamo bisogno di un
k3com_primapagina.doc, che sia leggero da poter essere spedito via e-mail ma che possa essere ben stampato (ti ho inoltrato un doc che ha fatto la brava Priska: può già essere una prima soluzione, ma è ancora troppo “pesante”. In più occorre impostare la pagina in modo che, giunti alla sua fine, si aggiunga automaticamente la seconda pagina (terza, quarta, ecc.);
3.) fatture (finora abbiamo usato Melograno/K3, si può cambiare?);
4.) adesivi per buste che spediamo.

Occorre anche scrivere in ogni tipo di testo kappatre comunicazione in minuscolo e adeguare il sito con la nuova veste tipografica (magari non ora, ma un giorno bisognerà farlo).

Discesa dall’Adamsberg
Levanto, 3 luglio 2004: Guya ed Elena per i compleanni anticipati

b) Stabilire una “corporate identity“, che dovrebbe essere la firma di kappatre comunicazione:
– definire un certo tipo di svolgimenti dei nostri lavori di base, come una firma, come già stabilito per il settore turistico;

– precisare la specializzazione di kappatre comunicazione (come già definito tra noi: turismo, sport, ambiente);

– lavorare tutti con la stessa filosofia verso i giornalisti, che bisogna considerare e trattare come “quasi-clienti”, perché è tramite loro che abbiamo successo o meno. Dobbiamo fornir loro un servizio utile e infastidirli il meno possibile con notizie inutili. Questo vuole dire, ad esempio, non mandare un comunicato stampa alla nostra mailing list, senza prima aver riflettuto se il contenuto possa interessare o meno determinati nominativi. Vuole anche dire di contattare i giornalisti con molto tatto e “non disturbarli” per chiedere loro un numero di telefono di un collega o interrogarli se hanno o meno ricevuto un nostro comunicato.

Poi ci sono delle difficoltà di fondo più difficili da superare: è complicato essere ben organizzati se non esiste un luogo che durante la settimana ognuno di noi frequenti per un certo minimo di giorni. Per me attualmente è molto difficile, perciò sogno di trovare un piccolo ufficio per noi, modesto, ma magari più vicino a dove abito io. Questo per avere il minimo di perdita di tempo in tangenziale… Siamo ancora ben distanti da questa possibilità, ma sarebbe il passo necessario per ‘conquistare il mercato della comunicazione’”.

Levanto, 3 luglio 2004: i nostri compleanni anticipati.
Levanto, 3 luglio 2004: Petra, Ale, Carlotta, Elena e, più lontana, Mariolina

Le risposi con un certo ritardo (18 maggio), dichiarandomi in generale pienamente d’accordo con lei e precisando alcuni punti. Sulla corporate identity osservai “non voglio diventi un’ossessione. Teoricamente, essere sempre uguali a se stessi può voler dire non migliorare mai, pensare di essere perfetti. Questo io so che non è vero, ma non vorrei mai fosse vero. La perfezione è la morte di tutto. Quindi: marchio ben riconoscibile e sempre uguale, ma nei limiti del buon senso”.

Sulla questione ‘reputazione’: “Avere timore di perdere la reputazione buona è giusto. Se pensi che Ischgl abbia maggiore competenza in comunicazione, bene, vediamo di accontentarli. A me era sembrato che fossero solo più “a loro agio” nel mondo del marketing, non necessariamente più competenti. E in ogni caso i meccanismi della comunicazione nei due mondi, tedesco e italiano, non coincidono completamente”.

Sulle fatture annotai che c’erano grossi problemi, che non potevamo risolvere in maniera automatica con il nostro programma Business per contabilità e fatture. Promisi di parlare con l’assistenza per vedere di mettere una seconda intestazione (kappatre comunicazione), ma facendo in modo che le fatture fossero numerate in modo progressivo assieme a quelle strettamente Edizioni Melograno.

Alle sue osservazioni finali aggiunsi: “I sogni bisogna farli vivere… Chissà, magari un giorno. Io non sono particolarmente affezionato a via della Bindellina. L’organizzazione però non riguarda solo il luogo. Riguarda anche tutte le forze lavoro…”.

Il sodalizio con Lorenzo Merlo, oltre alla sofferta fine di Controscuola, doveva subire purtroppo altre batoste. Lorenzo continuava la sua missione con le guide lombarde. Assai esemplificativa questa sua mail (del 26 marzo), oltre che a me inviata anche a Ettore Togni, Nic’ e Jacopo:
Cari Ettore, Alessandro, Nic’ e Jacopo, ieri ascoltando parte della registrazione per il film su Ettore Pagani, intendevo, coglievo (legittimamente o no, non è qui importante) il Vostro tentativo di trovare un posto al Vero. E’ un tentativo legittimato dalla nostra duale cultura: o di qui o di là. E’ il Nostro modo di leggere la realtà e quindi di esprimerla.
La nota che troverei opportuno proporVi è che quel modo, semplicemente non è l’unico, differentemente da quanto ci hanno inconsapevolmente insegnato, abbiamo imparato, o crediamo. Quel modo è l’unico che funziona quando la realtà può essere ridotta a due dimensioni – alto/basso, sotto/sopra, +/-, prima/dopo, ma non rappresenta la realtà pluridimensionale della natura e dell’uomo. Prendere coscienza di questa materialistica e positivistica riduzione della Natura, permette di accedere al pieno contenuto del noto slogan la “verità sta nel mezzo”.
Il muro contro muro, le opposte fazioni, la non conciliabilità delle posizioni che coglievo dalle Vostre parole – per come la vedo e la vivo – non ha e non può avere “nulla” a che fare con il problema della sicurezza nella relazione, del
modo della relazione.
Ciò che sarebbe a mio avviso utile ricordare in questa circostanza, sempre relativamente a quanto colto dalle Vostre parole di ieri, è che sarebbe opportuno ricondurre lo scambio su queste due semplici ma rappresentative figurazioni:
1. sostenendo la sicurezza tecnica ci si dirige verso l’assistenzialismo e le sue conseguenze sociali (pretesa di sicurezza totale, regolamentazione incondizionata come unico criterio culturale) e individuali (dipendenza, ripetizione, frustrazione, alienazione);
2. sostenendo che la sicurezza esterna, tecnicistica, implica la formazione della mentalità dell’assistenza, diviene possibile sostenere che la sicurezza interna, stimolata dal modo della relazione, tende ad alimentare la formazione della responsabilità. Attraverso questa si apre spazio ad una educazione utile alla prevenzione e soprattutto alla maturazione delle singole persone. In sostanza, un bene sociale e culturale.

Mi sono permesso di comunicarVi queste considerazioni soprattutto per una ragione. Tra le cose dette ieri, una era nuova. L’ha detta Alessandro (anche se tutti la vedevamo). Mi sembra importante che ci soffermiamo su di essa: “Tra le guide c’è un dibattito in corso” (la registrazione riferirà più testualmente). E’ nel fatto che stiamo parlando di un argomento, che su questo esprimiamo la nostra storia, che attraverso questa e per mezzo del dibattito stesso ognuno potrà elaborare il proprio percorso e integrare nella propria storia gli eventuali aggiornamenti.
E’ il dibattito, dunque, il valore, la ricchezza che non dobbiamo perdere di vista, che non dobbiamo sottovalutare… per la nostra identità, professione, forza, riconoscimento, affermazione, aggiornamento.
E’ attraverso queste implicazioni che alziamo il rischio di entrare nel sociale, di essere pensati assieme alla montagna, di essere citati dalle maestre, dagli insegnanti di educazione fisica, di essere propriamente citati dai giornalisti. Di essere riconosciuti come semplici professionisti. Di arrivare ad occupare lo spazio culturale e tecnico cui ognuno di noi oggi può aspirare”.

Nella triste realtà dei fatti questo fu l’ultimo messaggio prima del suo licenziamento, giustificato ufficialmente dalla sola mancanza di fondi. La fine di un sogno.

Con Popi Miotti procedeva alacre la stesura del libro sulle guide alpine lombarde, anche se la mia prossima partenza ne impediva un’esecuzione veloce.

Una casa editrice di Chiari (BS), la Nordpress, ebbe l’idea di fare la seconda edizione del libro Capodanno sulla Nord-est del Badile, di Franco Rho. Ovviamente diedi la mia collaborazione e il volumetto fu pubblicato nel giugno 2004.

Prima del Baltoro ultima modifica: 2025-01-25T05:16:00+01:00 da GognaBlog

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