Metadiario – 283 – Ricordi selvaggi e blu (AG 2012-002)
Non appena Guya e io ricevemmo l’invito, e dopo aver dato un occhio al programma e risposto entusiasti di sì, mi tornò a memoria la festa che organizzammo in campagna, all’inizio della Val Tidone. Era il mio sessantesimo compleanno, e volevamo avere con noi un centinaio dei nostri migliori amici, per un evento mangereccio, alcolico e danzante. In una cornice di prati e boschi e ambientata in una vecchia cascina riadattata, la festa ebbe successo e tutti riguadagnammo a fatica le nostre case: alcuni, prudentemente, il mattino dopo. Al clou della serata, verso mezzanotte di un freddo e piovigginoso sabato d’ottobre, un centinaio di persone si agitavano al suono rock delle varie band più blasonate, mentre il catering insisteva a porgere calici sempre più traditori. La fine serata invece fu verso le 6.00, quando ormai il bar era passato ai cappuccini e alle brioches e due o tre coppie sfinite e irriducibili si trascinavano in trance al suono dilatato di Knocking On Heaven’s Door, versione Guns N’ Roses (12 minuti e 53 secondi).
Ma torniamo all’invito: questa volta si trattava del settantesimo compleanno di Mario Verin, che proprio ai primi di aprile 2012 aveva posto, assieme alla moglie Giulia, la parola fine alla monumentale documentazione del “sentiero” Selvaggio Blu con la pubblicazione del Libro di Selvaggio Blu. E nel frattempo faceva anche i suoi settanta annetti… Doppia occasione dunque per invitare, da ogni parte d’Italia, una marea di amici a Santa Maria Navarrese. Con il nostro numero già dalla prima sera avevamo occupato ogni disponibilità ricettiva del paese, dall’albergo ai B&B, dalle camere al campeggio. Il mattino dopo (5 aprile 2012) era prevista una bella gita al Belvedere di Salinas, quello a strapiombo sul mare dell’Aguglia di Goloritzé: lassù bevemmo solo qualche lacrima di champagne, perché il nostro numero soverchiava dieci volte quello delle bottiglie. Ma è il pensiero che conta. Poi ci fu l’ulteriore camminata verso il cuile Irbidossili nei pressi del quale un piccolo esercito di pastori, tutti amici di Mario, aveva preparato un pranzo leggendario, dove gli otto maialini allo spiedo erano solo una parte del pantagruelico menù di specialità locali.
Sarà stata la nostalgia dei miei sessanta anni (la festa era stata fatta nel 2006), ma il vedere come Mario e Giulia avevano organizzato quel ritrovo mi provocò una punta d’invidia assieme al proposito, per gli eventuali settanta miei, di fare altrettanto: puntare cioè sulla natura e sullo stare assieme piuttosto che sulle danze scatenate (tra l’altro nel 2016 chi ne avrebbe avutà più la forza?).
Polle gigantesche di Cannonau annaffiavano i piatti su cui la gente si avventava con poco decoro. Una fame bestiale era il risultato delle tre ore di cammino. Prima delle musiche e dei canti di rito, ci furono anche un po’ di parole. Antonio Cabras, uno dei capi dei pastori, forse il più intraprendente, iniziò un discorso partendo dagli anni ’80. Giunto verso i ’90, Franco Bellotti si accorse che erano già passati dieci minuti e intervenne, da buon romano: – Aò Antonio… e mo quanno ce arrivamo ar duemila? Dopo le grappe i ricordi si annebbiarono un poco, la gente rotolò verso il Golgo ebbra di ginepro e accecata di calcare.
Il Libro di Selvaggio Blu ha avuto un bel successo ed è stato ristampato. Ha ottenuto bellissimi riconoscimenti internazionali e fior di recensioni.
È la storia, ovviamente illustratissima, di un sentiero tra i più belli e impegnativi del Mediterraneo. Fu proprio Verin, che oltre a essere grande fotografo è anche alpinista e socio del Club alpino accademico italiano, a idearlo e ad aprirlo tra il 1987 e il 1988 insieme con l’amico Peppino Cicalò, un architetto nativo dell’isola.
Assieme alla nostra salita del 1981 sull’Aguglia di Goloritzé, l’escursionismo si affacciò sulle riviste nazionali con Jacopo Merizzi che nel 1985 firmò su Airone un trekking da Cala Luna a Baunei, percorrendo Còdula Sisine.
Quella di Peppino Cicalò era una sua vecchia idea, coltivata assieme al fratello Piero fin da quando erano ragazzi: partire a piedi da Pedra Longa e raggiungere Cala Sisine seguendo il bordo della falesia.
“La sfida era interessante”, racconta oggi Verin nelle pagine del libro appena uscito, “le vertiginose pareti sul mare, il carattere roccioso del Supramonte, l’orizzonte blu del golfo che si confonde col cielo colpiscono la mia immaginazione. Partiamo in tre, con Piero che ci accompagna per un primo tratto…”. Ma poi rimangono in due a percorrere valli rocciose e incassate, ginepraie che ti portano a salti di roccia imprevisti, in un orizzonte ristretto che, pur aprendosi a volte in panorami grandiosi, per lo più tende a imprigionare qualunque tentativo di navigazione terrestre in terreno selvaggio.
Filo conduttore è l’itinerario in quattro tappe, nato collegando antichi sentieri di pastori a vertiginosi passaggi d’arrampicata, che accompagna il lettore alla scoperta del Supramonte e delle sue scogliere a picco sul mare.
«Oggi il nome Selvaggio Blu – spiegano Giulia e Mario – viene usato in senso generico per indicare i trekking in Ogliastra. Ognuno interpreta il sentiero a modo suo e sono pochissime le guide che lo propongono nella versione integrale, così come era stata tracciata dagli autori. Dopo più di 25 anni a Baunei c’è ancora chi lo ama e chi lo odia, chi ne prova invidia e chi lo vorrebbe proteggere. Tutti hanno una storia da raccontare. Ma Selvaggio Blu è uno solo, questa è la sua storia».
Ancora oggi ci sono polemiche sul come preservare questa costa e questo entroterra dell’Ogliastra dalla furia del turismo. Ricordo ancora le discussioni con i pastori al riguardo, parlo del 1997, quando ancora tra loro c’era chi si affannava a smantellare gli ometti, nascondere le poche fonti e cancellare i rari bolli di vernice. Mi auguro che la simpatica veemenza con la quale difendevano la propria terra e i propri diritti sia ugualmente forte nei confronti di chi, prima o poi, vorrà costruire, facilitare, colonizzare.
Il 6 aprile, con Massimo Frezzotti e Salvatore Bragantini, andammo nella Còdula di Luna. Al posteggio incontrammo Caroline Ciavaldini e James Pearson, reduci dall’aver ripetuto Mezzogiorno di Fuoco (8b, 270 m) a Punta Giràdili. Mentre la Ciavaldini aveva impiegato alcuni tentativi per salire i tiri chiave di Mezzogiorno di Fuoco rotpunkt, Pearson è riuscito a salirli tutti al primo colpo e i due hanno impiegato 11 ore in totale, commentando poi con “un grazie ai primi salitori, un lavoro magistrale per aprire questo gioiello”.
Loro stavano per andare ad Amico fragile (8b, 230 m) sulla Parete di Donneneittu. Venimmo poi a sapere che quel giorno Pearson era riuscito a salire il tiro chiave di 8b a vista, prima di scivolare sul tiro di 7b!
Ma su quella parete erano state per fortuna aperte altre vie, di altro genere: una di queste, sull’Avancorpo, era Porceddu incantatore: era alla nostra portata e la salimmo. Nel pomeriggio, con la nostra macchina a noleggio salimmo in località Genna Ostuno e da lì per tracce di sentiero ci arrampicammo fino sulla cresta a nord della Serra Oseli, alla ricerca chi della via Fantasia sarda di Brambilla chi della possibilità di qualche via nuova. Arrivammo al Colle Nord di Serra Oseli 910 m. Da lassù dominavamo una bella fetta di Supramonte: quel genere di panorami e di situazioni che non ci basta mai…
Ci ripromettemmo di tornare, ma il giorno dopo andammo invece a Punta Giràdili per salire la via Parthenia, un piccolo capolavoro di Roberto Vigiani. Io ero in cordata con Salvatore, Mario Verin con Federico Schlatter. Il panorama dalla Giràdili è uno dei più grandiosi della Sardegna, mi riportò a quando tanti anni fa cercavamo il passaggio per scendere alla base del Monte Ginnircu.

L’8 aprile con Salvatore affrontammo la parete est della Quota 973 m di Serra Oseli. Lasciata l’auto nello stesso posteggio che serve anche per la falesia di arrampicata sportiva, seguimmo per poco il corso del ruscello e salimmo alla base della parete. Da un leccio gigantesco partimmo per il primo tiro (IV e V); dopo una seconda lunghezza molto più facile arrivammo al clou: un muro di calcare perfetto solcato da una vaga fessura che però a un certo punto si vedeva morire in una sezione ancora più compatta. Affrontai con decisione la fessurina e la salii quasi tutta per circa 25 m (VI+): giunto in prossimità della fine della fessura, trovai modo di collegare un bellissimo spuntone a un chiodo-bomba. Ero così soddisfatto del lavoro che, invece di avventurarmi ulteriormente fiducioso dell’ancoraggio, vinto dal caldo e dalla fifonite, mi feci vergognosamente calare. La via è ancora là ad aspettare qualche volonteroso più bravo di me.
Nel pomeriggio, altra ricognizione sul versante ovest di Serra Oseli: dal Colle Nord di Serra Oseli scendemmo fino a rintracciare l’attacco di Fantasia sarda e concludendo che non c’erano tante altre possibilità di aprire vie con mezzi tradizionali su difficoltà adatte a due poveri vecchi e bacucchi.
Ancora abbondantemente contagiati dalla fifonite, il 9 aprile salimmo una via a spit abbastanza distanziati sulla Quota 970 m di Serra Oseli, la Special Guest con uscita su Scaramante. Nel pomeriggio, sessione istruttiva nella piccola falesia del Villaggio gallico, dove vedemmo uno dei guru locali, l’inglese Peter Herold, insegnare a un quasi principiante come si saliva un 7a.
Il 10 aprile Salvatore e io andammo a curiosare sulla Quota 384 m di Punta Giogadorgiu, dove arrampicatori sardi sulla parete sud-ovest avevano tracciato Mellosarda, quattro lunghezze bellissime su solido granito. L’ultima riservava un duro passo di aderenza, ben protetto a spit, che Salvatore riuscì a fare da primo con un resting quasi inutile. Ci seguiva la cordata di Mario e Giulia Verin con Massimo Frezzotti, guidata da quest’ultimo. Quando Braga e io stavamo ormai scendendo all’auto, immersi nella macchia, lassù in alto Frezzotti affrontava l’ultimo tiro.
“Vuoi vedere che ora il Braga si ferma a guardare come sale Massimino?” pensai. E guardandomi indietro lo vidi a una decina di metri da me, concentrato come un gatto sulla preda. Non commentai e osservai anch’io le gesta di Massimo, che fu costretto a riposarsi sui due spit tre volte prima di passare. Il Braga mi raggiunse esultante. Il distaccato e incisivo opinionista economico del Corriere della Sera non stava nella pelle.
– Hai visto, hai visto? Frezzotti s’è attaccato!
– Sì, sì, ho visto… e ho visto anche che siamo proprio teneri nelle nostre debolezze…
– Sì, sono un po’ competitivo… e confesso che mi sento gratificato…
Ci fu anche un episodio divertente la sera, al ristorante. Qualcuno della tavolata mi chiese cosa avessi fatto durante il giorno, risposi di quel posto nuovo e di Mellosarda. Dopo le lodi alla via aggiunsi che gli spit erano veramente pochi e distanti e che bisognava padroneggiare bene quel grado per non terrorizzarsi più di quel po’.
– Ma la via l’hanno aperta dei sardi?
– Sì, quei “bastardi” – fu la mia risposta.
In quella vedo gli occhi dei miei interlocutori roteare in modo sinistro… Dietro di me il cameriere, evidentemente sardo, aveva sentito tutto…

Non ebbi neppure la presenza di spirito di spiegare che “bastardi” era in realtà affettuoso, mi tenni la mia “grezza” e ne ridemmo a tal punto da ricordarcene ancora oggi. Non abbiamo mai smesso di fare fantasie su cosa il cameriere possa aver aggiunto ai nostri piatti…
Mellosarda fu l’ultima salita di quella vacanza: al di là di una gita in auto con Guya al Supramonte di Urzulei (12 aprile), il tempo volse al freddo e brutto e riuscimmo solo a fare una puntata al Castello di Jerzu, solo per riscontrare gradi molto stretti e poco amichevoli in un vento che ci portava via…
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Ma è un autodafè?
Bei ricordi! Ma qui si sta avvicinando un altro compleanno !! …fra un paio di giorni sennò sbaglio 😉🍾
Concordo con Giorgio!
Perché questi racconti descrivono anche particolari generalmente noiosi, ma resi interessanti dallo stile di chi scrive.
Ripenso sempre alle didascalie di 100 nuovi mattini. Che so a memoria, e che insieme all’immagine che corredano, sono spesso la descrizione più approfondita di molte parole.
Sempre detestata la superficialità.
Considerata la mia avversione a leggere sullo schermo, grande o piccolo che sia, lunghi racconti, spero di leggere presto di questa affascinante vita in un bel libro…anzi in una collana di bei libri! Siamo giá al sessantesimo compleanno, direi che il materiale non manca!