Sopraffatti dalle cattive notizie: come reagire

Troppe tragedie, per evitare il dolore le ignoriamo, il giornalismo di soluzione è la nuova sfida.

Sopraffatti dalle cattive notizie: come reagire
(dal solution journalism alla disconnessione selettiva)
di Alessandra Magliaro
(pubblicato su ansa.it il 18 ottobre 2023)

Certe immagini dell’orrore, certe storie, ci restano impresse, ci tolgono il sonno e a volte è meglio così perchè abituarsi, assuefarsi all’indicibile è ancora peggio e significherebbe essere indifferenti e non c’è bisogno di scomodare Antonio Gramsci (Odio gli indifferenti è il titolo di un suo libro) per capire che abituarsi al brutto che si respira porta a non reagire, a non indignarsi, a non agire, ad essere vigliacchi, “il peso morto della storia”, diceva.

Non c’è giorno in cui non ci sentiamo travolti da un’ondata di brutte notizie, e in certi momenti ne siamo sopraffatti. La scia infinita dei femminicidi o l’attacco dei terroristi di Hamas in Israele, come non sentirsi empaticamente vicini, stravolti, straziati dalle immagini di quei ragazzi che un minuto prima ballavano al rave di musica e un secondo dopo erano carne da macello? La scena di quel corpo di ragazza nudo su un camioncino e la giovane Noa che urlava mentre la separavano dal fidanzato ci hanno tolto il sonno, e sapere come i bambini e i civili di Gaza siano vittime per la reazione di Israele e l’assenza di corridoi sanitari e umanitari, che è una delle regole di guerra, sono altrettante ferite che sanguinano.

Sono giorni particolari, come quando la Russia di Putin attaccò l’Ucraina o quando morirono al Bataclan a Parigi 90 persone per mano di un commando jihadista nel 2015. Ma anche i giorni ‘normali’ non scherzano: cyberbullismo, morti sul lavoro, le stragi dei ragazzi sull’asfalto, le violenze degli ex, e si potrebbe andare avanti citando il disastro del clima, i barconi dei migranti che naufragano e via disperandoci. Siamo informati, tantissimo, la quantità di informazioni che riceviamo da ogni dove e principalmente attraverso lo smartphone è mostruosa, eccessiva e spesso ci opprime. Soprattutto perché su 100 notizie abbiamo la sensazione che 99 siano negative. Come ci si può difendere? E’ una domanda umana con alcune possibili risposte.

Innanzitutto piano piano, più o meno consapevolmente, abbiamo imparato a selezionare, ad attivare la cosiddetta disconnessione selettiva. Facciamo una selezione cercando di distinguere le notizie false, fake, pilotate, smarcandoci da quelle spudoratamente di propaganda ma soprattutto provando a stare alla larga sempre di più dalle cattive notizie. No bad news, al massimo ci accontentiamo di un titolo perché andare ad approfondire, guardare video e immagini ci sembra troppo opprimente. Siamo codardi? Forse, certamente abbiamo messo in atto un meccanismo di autodifesa e spegniamo un interruttore interno.

Ci sentiamo in colpa forse a non essere informati, a dribblare le immagini ‘il cui contenuto non è per i più sensibili’, ma sentiamo al tempo stesso che è uno dei modi per autotutelare la nostra salute mentale. Ma, come per Israele in questi giorni, restarne fuori è praticamente impossibile. E allora? Speriamo che qualche buona notizia arrivi, che una scoperta scientifica ci faccia sperare, che una tecnologia innovativa ci salvi, che una storia sia a lieto fine, cerchiamo bellezza insomma e come rabdomanti vaghiamo tra tutte le nostre fonti di notizie, dai social sperando di trovarla e che ci faccia bene. Quei villaggi cooperativi abitati in pace, solidarietà, fratellanza tra palestinesi e ebrei, come Neve Shalom, una comunità intenzionale di famiglie che hanno scelto di abitare e far studiare i propri figli insieme, dando vita a un modello concreto di coesistenza alla pari, un’oasi di pace in collina a metà strada tra Gerusalemme e Tel Aviv è una di quelle belle storie cui ci abbeveriamo respirando speranza. E di questi tempi ha il sapore di una favola.
Ma non solo.

A leggere il report di Reuters Institute, il Digital New Reports 2023 , dove c’è una analisi approfondita di tutto il sistema a cominciare dal boom delle notizie visive su TikTok e Instagram, social che ormai sono anche fonte di informazione per un pubblico giovane o giovane adulto, questo della disconnessione selettiva è un fenomeno mondiale, con picchi in America dove 4 americani su 10 vogliono volutamente essere disinformati sulle cattive notizie. Ma al di là delle percentuali è un trend da raccontare, pensando che dentro un po’ ci siamo tutti, persino chi lavora nell’informazione.

In un ampio gruppo di paesi, i dati mostrano un calo del consumo settimanale di diverse fonti di notizie nell’ultimo anno e un minore interesse per le notizie in generale. L’interesse dichiarato per le notizie è minore tra le donne e i giovani, con il calo spesso maggiore nei paesi caratterizzati da alti livelli di polarizzazione politica. Alcuni mercati, con media stabili e ben finanziati e un’elevata fiducia nelle istituzioni, come Finlandia e Paesi Bassi, sono in controtendenza, mentre mercati precedentemente stabili come Austria e Germania stanno iniziando a risentirne. Quest’anno, per la prima volta, Reuters Institute ha chiesto informazioni sui diversi modi in cui le persone evitano le notizie e ha scoperto che circa la metà di coloro che evitano (53%) cercavano di farlo in modo generico o periodico, ad esempio disattivando la radio quando arrivavano le notizie o scorrendo le notizie sui social media.

Questo gruppo comprende molti giovani e quelli con livelli di istruzione più bassi. Un secondo gruppo tende ad evitare le notizie intraprendendo azioni più specifiche . Ciò potrebbe comportare il controllo delle notizie meno spesso (52%), ad esempio disattivando le notifiche del cellulare, o non controllando le notizie come ultima cosa la sera. C’è, nel Digital New Reports 2023, un 32% di persone che scelgono di evitare alcuni argomenti, ad esempio temi che abbassano l’umore o aumentano l’ansia. Notizie che si ripetono eccessivamente o che vengono percepite come “emotivamente faticose” vengono spesso trascurate a favore di qualcosa di più edificante. Nel report si leggono degli esempi come “Cerco di evitare storie relative all’attuale economia del Regno Unito perché è semplicemente deprimente. Probabilmente sto scegliendo di leggere storie più spensierate rispetto a prima“, ha scritto M, 51 anni, Regno Unito. “Voltare le spalle alle notizie è l’unico modo in cui sento di poter farcela, a volte. Devo fare consapevolmente lo sforzo di voltare le spalle per il bene della mia salute mentale” ha detto F, 42, Regno Unito. In molti paesi vicini al conflitto in Ucraina è stato registrato che è più elevato rispetto al 2022 la scelta di evitare notizie sulla guerra. Anche i dibattiti tv politici divisivi e polarizzati sono in tutto il mondo uno di quei casi in cui si cambia canale.

La prova che alcune persone si stanno allontanando da importanti argomenti di attualità è estremamente impegnativa per l’industria dell’informazione e per coloro che credono che i mezzi di informazione abbiano un ruolo fondamentale nell’informare il pubblico come parte di una democrazia sana. Molte testate giornalistiche stanno cercando di affrontare sia l’elusione periodica che quella specifica in vari modi. Alcuni stanno cercando di rendere le notizie più accessibili per i gruppi difficili da raggiungere, ampliando l’agenda delle notizie, commissionando notizie più stimolanti o positive, o abbracciando un giornalismo costruttivo o risolutivo che dia alle persone un senso di speranza o di azione personale. Non è chiaro se il pubblico pensi molto alle definizioni degli editori di termini come giornalismo positivo o giornalismo risolutivo. Possiamo piuttosto interpretarlo come il desiderio, spesso dichiarato, che le notizie siano un po’ meno deprimenti e un po’ più facili da comprendere. Molte testate giornalistiche stanno adottando approcci diversi come il giornalismo di soluzione su argomenti come il cambiamento climatico, che mirano a dare alle persone un senso di speranza o una spinta alla chiamata in azione. 

Cosa è il solutions journalism?
E’ ormai noto in tutto il mondo il cosiddetto solutions journalism: un approccio all’informazione molto rigoroso che si avvicina al giornalismo d’inchiesta e che sceglie l’approfondimento alla velocità di narrazione per raccontare le soluzioni invece di focalizzare l’attenzione solo sui problemi.

Si tratta di spostare il focus, la visuale per costruire inchieste, reportage che pur affrontando tematiche dure, drammatiche cerca sempre la via di uscita ai problemi, la soluzione appunto. E così chi legge è informato correttamente ma allo stesso tempo riesce a coltivare la speranza.

La nascita di questa corrente dell’informazione risale all’inizio di questo secolo e ha visto la sua svolta nel 2010, quando Tina Rosenberg e David Bornstein hanno inaugurato la rubrica “Fixes” sul New York Times.

Il cosiddetto ‘giornalismo di soluzione’, quello che informa su come risolvere i problemi o evidenziando cosa imparare dai fallimenti è probabilmente la sfida per questo mestiere e per far sì che ci si senta di nuovo dentro le notizie. Una sfida non facile, che però alcuni stanno sperimentando, come il Solutions Journalism Network, che ha formato oltre 25mila giornalisti nel mondo e che sta guidando un cambiamento globale nel giornalismo, incentrato su ciò che manca più spesso alle notizie: ossia come le persone cercano di risolvere i problemi e cosa possiamo imparare dai loro successi o fallimenti…
Il 26 ottobre si celebrano i primi 10 anni di attività del Solutions Journalism Network, organizzazione non profit.
Esiste anche in Italia, si chiama Constructive Network fondato nel 2019 da giornalisti italiani  Assunta Corbo, Vito Verrastro, Andrea Paternostro, Isa Grassano, Marco Merola, Mariangela Campo e Angela Di Maggio.

E collabora con il network. A giugno è uscito in Italia il libro Inversione a U. Come il giornalismo costruttivo può cambiare la società, scritto proprio da Assunta Corbo e Mariagrazia Villa, presidentessa del Comitato Etico del Constructive Network. Il volume, edito da Do It Human Editore, è un manuale e saggio che racconta la storia del solutions journalism e suggerisce metodologie e strumenti da mettere in pratica come professionisti dell’informazione. Si propone anche come punto di riferimento per le persone che desiderano comprendere come informarsi in modo costruttivo.

Speranza, azione, dignità i tre ingredienti per il giornalismo dei ‘buoni conflitti’
Amanda Ripley, una nota giornalista del New York Times e scrittrice americana, ha cominciato a formare giornalisti per coprire diversamente i conflitti polarizzanti, in partnership con il ‘Solutions Journalism Network’, fondando Good Conflict che tra l’altro forma aiuta reporter e redattori a sviluppare le competenze del giornalismo dei Buoni Conflitti, compresi modi per indagare al di sotto delle solite narrazioni e ricostruire la fiducia con il pubblico e le fonti. Utilizzano umorismo, contenuti multimediali, scenari di gioco di ruolo, storytelling.

La reporter, che ha raccontato la sua esperienza sul Washington Post, confessa di aver staccato la spina dalle news per anni dopo essere andata da un terapista, scoprendo che anche alcuni colleghi facevano altrettanto. “Se molti di noi si sentono intossicati dalle nostre news, potrebbe esserci qualcosa di sbagliato in essi?”, si è chiesta, trovando conferma nella ricerca di Reuters Institute, secondo cui le news sono scoraggianti, ripetitive, di dubbia credibilità e lasciano il lettore con una sensazione di impotenza.

La stampa sembra ignorare “il fattore umano”, ossia la capacità di metabolizzare una valanga perpetua di cattive notizie. “Non penso che siamo equipaggiati, psicologicamente o mentalmente, a ricevere notizie e immagini catastrofiche e disorientanti 24 ore al giorno“, ha spiegato la collega Krista Tippett, premiata da Barack Obama con la medaglia per gli studi umanistici. I lettori possono spesso sentirsi davvero impotenti leggendo notizie, articoli su realtà dolorose. Ed è infine questo per cui sempre più persone le evitano.

Certi argomenti ci sembrano insostenibili da leggere, la violenza sulle donne, i minori non accompagnati che arrivano in Europa rischiando di affogare su un barcone, le persone sotto assedio in Ucraina, una lista lunghissima di temi. E’ difficile trovare spunti di speranza o dare ai lettori la sensazione che si può fare qualcosa, in prima persona ad esempio. Intervistando altri esperti, tra medici, scienziati e psicologi, Ripley è arrivata alla conclusione che ai media mancano tre ingredienti: la speranza (la cui assenza genera depressione, ansia, malattie), l’azione e la dignità. Bisognerebbe sempre trovare un modo per far intravedere la speranza dietro la paura, per convertire la rabbia in possibili soluzioni, per accostarsi a tutti con rispetto. 

Sopraffatti dalle cattive notizie: come reagire ultima modifica: 2024-01-23T04:13:00+01:00 da GognaBlog

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3 pensieri su “Sopraffatti dalle cattive notizie: come reagire”

  1. Sicuro, Marco: talmente tanto se ne parla di un fatto, che si finisce per immaginare, ma non si vede.

    Ma spesso vengono trasmesse pure immagini inopportune, entrando con violenza nella vita di chi ha vissuto qualcosa di terribile e nella vita di chi ascolta il notiziario.

  2. Questo mi indigna, cito:
     La scena di quel corpo di ragazza nudo su un camioncino e la giovane Noa che urlava mentre la separavano dal fidanzato ci hanno tolto il sonno, e sapere come i bambini e i civili di Gaza siano vittime per la reazione di Israele
    No, i bambini di Gaza non ce li fanno vedere, straziati, martoriati, a brandelli e sanguinanti mentre cercano di portarli in ospedali bombardati pure loro. Doppio standard, tipicamente occidentale: “la scena di quel corpo nudo…” e “il sapere (MA NON VEDERE, aggiungo io) come i bambini e i civili…”
    Questa non è INFORMAZIONE. Questa è una sottile manipolazione del pubblico.

  3. Non è il solo tenore delle notizie a essere estremamente negativo, ma anche la trasmissione continua di una stessa notizia fa passare la voglia di ascoltare un notiziario.
    La maggior parte delle volte non trovo utile l’ascolto.

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