Un ecomuseo spontaneo
La valle, che chiude idealmente il circuito attorno ai Parchi Nazionali dello Stélvio e Svizzero, già di per sé è un parco etnografico tanto che si è parlato di questa valle come di un ecomuseo, spontaneamente sorto e mantenutosi grazie alla maturità culturale e civile delle popolazioni locali e ad una legislazione rigorosa e rispettata.
La Val Monastero, o Val Müstair, è un piccolissimo lembo di territorio, estrema propaggine sud orientale della Svizzera incastonata fra Engadina, Val Venosta e Bormiese. Forse anche per questa sua posizione isolata il territorio è riuscito a mantenere intatte le caratteristiche umane e ambientali che ora ne fanno un esempio unico di conservazione.

Il nome della valle deriva dalla presenza presso l’omonimo centro abitato di un millenario insediamento monastico la cui fondazione si vuole far risalire a Carlo Magno. Nonostante il migliore valico di accesso sia quello di Tubre con la Val Venosta, a parte una brevissima parentesi, la valle è sempre stata sotto il controllo del meno accessibile territorio delle Leghe Grigie e, successivamente, della Svizzera, dipendenza ecclesiastica del vescovo di Coira. Molto più probabilmente l’imperatore carolingio non transitò mai per questi luoghi ma, sensibile alla posizione strategica del luogo vide in un monastero un ottimo avamposto culturale e al contempo militare. Pertanto su sollecitazione imperiale, il vescovo di Coira, Costanzo, diede inizio ai lavori nel 780.
Per la sua posizione di confine con i domini austriaci, la valle fu teatro di conflitti territoriali fra gli Absburgo, la Confederazione Elvetica e le Tre Leghe (Leghe Grigie). Nel 1499 in seguito ad un ulteriore tentativo absburgico di penetrazione le truppe svizzere e delle Leghe Grigie si affrontarono in un’epica battaglia presso Calven, in territorio oggi italiano, nel punto ove la valle è maggiormente stretta. Seppure inferiori numericamente gli alleati sbaragliarono i Tirolesi e penetrarono in territorio nemico, fino a Silandro massacrando la popolazione maschile di quei luoghi.
Se la battaglia riuscì a scoraggiare per sempre le mire egemoniche degli Absburgo, tuttavia non salvò gli abitanti della Val Monastero dalla vendetta imperiale: solo in pochi scamperanno al passaggio dei 15.000 soldati mandati colà pochi anni dopo per lavare l’onta della sconfitta di Calven.
La maggioranza della popolazione della valle è di origini ladine e la lingua parlata è il romancio, derivato della latinizzazione della antichissima lingua retica. Oggi l’unità linguistica è un po’ spezzettata ma resta nelle linee generali a testimonianza di un’antichissima unità etnica e di migrazioni ancestrali. La lungimiranza della legislazione elvetica ha mantenuto in vita questa millenaria parlata e ne protegge ancor oggi l’individualità favorendone in tutti i modi la conservazione: a scuola, alla radio, in televisione e negli spettacoli teatrali si parla romancio; persino il prete officia nella medesima lingua.

La valle non avrebbe le caratteristiche che offre se da tempo immemorabile non si fosse creata con intelligenza e sensibilità una vera e propria simbiosi fra uomo e ambiente. A questo proposito il territorio della Val Monastero rappresenta un esempio purtroppo poco conosciuto di come turismo, vita montanara e ambiente possano benissimo convivere e trovare reciproci vantaggi.
Tutte le opere che l’uomo ha deciso di costruire per favorire il suo lavoro, dalle strade di campagna alle opere di regimazione dei torrenti, dai sentieri alle opere di bonifica, sono state pensate in rapporto organico con l’ambiente circostante, fauna compresa. Ogni cosa ha una sua funzione precisa ma è realizzata nel rispetto del mondo in cui è inserita, delle sue esigenze e di quelle della comunità.
Il territorio è diviso in «terzieri» (terzal daint, terzal d’immez, terzal d’ora) che sovrapponendosi all’organizzazione comunale permettono l’accentramento di certi servizi come quello sanitario e quello sportivo: ogni terziere dispone di palestra polifunzionale trasformabile in teatro o sala da concerto.
La attività economiche sono basate sullo sfruttamento delle risorse della montagna ed in particolare del patrimonio forestale che viene in parte esportato e in parte lavorato sul posto in piccole aziende artigiane per la realizzazione di mobili e di opere in legno scolpito. Una fetta minore del reddito viene dall’allevamento del bestiame e dai prodotti caseari.
Del tutto particolare e rilevante è invece l’attività turistica che, per scelta comune degli abitanti, ha generato un tipo di offerta unica nelle Alpi. Lo sci di pista è stato limitato, per non dire scoraggiato (solo Tschierv offre qualche pista) e si è preferito puntare sullo sci di fondo. In conclusione la valle offre con successo un turismo diverso che proprio per questo attira sempre di più l’attenzione degli amanti delle vacanze in montagna, in barba alle chiassose e orribili stazioni invernali che si trovano a pochi chilometri di distanza.
Un cenno davvero particolare lo merita il Monastero di S. Giovanni Battista. Nel 1983 l’abbazia è stata inserita dall’UNESCO fra i più importanti beni culturali dell’umanità. Il complesso monastico primitivo era costituito dalla chiesa abbaziale e da un’annessa casa-torre. Successivi ampliamenti e migliorie lo hanno poi portato alle attuali dimensioni facendone il maggiore centro di culto di epoca carolingia delle Alpi Centrali: ancor oggi parte del complesso è attivo e ospita un ordine di monache di clausura.

Purtroppo, un rifacimento risalente al 1492 ha fatto scomparire l’originaria copertura a travi del soffitto che venne sostituita da una volta gotica a costoloni, poggiante su sei colonne.
Le maggiori attrattive dell’edificio sono però offerte dalle decorazioni risalenti al IX secolo, il meglio conservato ciclo di affreschi carolingi del mondo, e da alcune importanti sculture romaniche fra cui spicca la celeberrima statua di Carlo Magno, 70×190 cm. L’appartamento riservato al vescovo di Coira durante le sue visite è oggi il museo conventuale. Nella prima sala sono conservati rilievi carolingi in marmo di Lasa, gigantografie di affreschi non visibili nell’abbazia e il plastico del complesso conventuale. La seconda sala presenta affreschi seicenteschi e sculture di Johan Patsch che operò presso il convento dal 1628 al 1638. I pezzi più pregiati della terza sala sono una Madonna con il Bambino in legno dipinto, di epoca romanica, e un’altra Madonna con il Bambino di fattura gotica. La quarta sala contiene gli affreschi romanici strappati dalla basilica per mettere in luce i sottostanti affreschi carolingi. La quinta sala, quella dei principi-vescovi, è una grande stua foderata in legno con stufa in maiolica. La sesta sala è pure una stua ed era adibita a camera da letto del vescovo.
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Giorgio, è davvero incoraggiante sapere che esistono ancora luoghi preservati e godibili.
Qual è il costo medio di una permanenza in un luogo così? È una domanda seria.
“Lo sci di pista è stato limitato, per non dire scoraggiato, solo Tschierv offre qualche pista…” mi permetto solo di aggiungere, a questo magistrale affresco di una valle davvero unica, che a Tschierv non ci sono impianti di risalita a deturpare il paesaggio. La piccola e silenziosa stazione di sci è in quota, a 2150 metri, ci si arriva con una strada secondaria che si stacca dalla nazionale. Si chiama Minschuns. Una pista di rientro poco visibile e uno stupendo fuori pista collegano la micro stazione a Tschierv. I progetti di collegare Tschierv a Minchuns con una cabinovia sono stati finora scoraggiati con la negazione di contributi pubblici, a differenza di quanto purtroppo avviene sulle nostre montagne per “valorizzare” il turismo. Così Minchuns rimane un rarissimo esempio di come dovrebbero essere le stazioni di sci del futuro: nessun albergo o condominio (la ricettività, discreta, è nel fondovalle), solo impianti leggeri: nel caso di Minchuns tre lunghi skilift poco impattanti servono un vasto comprensorio di grandissimo interesse per lo sciatore maturo. Minschuns, appoggiata sui dolci e soleggiati pendii dell’Alp da Munt, ricorda le stazioni di un tempo, nonché i famosi “club fields”, le stazioni di sci neozelandesi che sono oggetto di studio quali esempi virtuosi per il futuro: piccole stazioni in quota senza infrastrutture, con impianti poco impattanti e poco costosi da gestire, tipo manovie e skilift appunto, niente innevamento artificiale e tanti stupendi sentieri di neve battuta per lunghe passeggiate invernali a piedi. Chi è interessato al futuro dello sci guardando al passato e al rispetto per la natura può trovare senza dubbio in Minchuns fonte di ispirazione.
L’ho letto con molto piacere perchè nella mitica valle di Shangri nelle Alpi-la, ci sono già stato tre volte. Una volta l’ho raggiunta partendo in treno da Ginevra (estremità occidentale della Confederazione) e proseguendo con vari cambi di treno e di scartamento, fino a Zernez da dove ho preso l’autobus della Posta che percorre tutta la valle Monastero e raggiunge Malles/Mals. Mi sono fermato un giorno per fotografare il Rom, che pochi sanno è un affluente dell’Adige, il mio fiume sacro. Sono geografo e veronese. L’autobus ferma anche a Glorenza-Glurns. Gioiellino di città medioevale da non perdere. https://www.suedtirol.info/it/regioni/val-venosta/glorenza Unico neo, molto grave, siccome era in autunno, stavano istallando decine di enormi cannoni da neve per il Tour de Ski
https://www.schweizmobil.ch/it/sci-di-fondo/piste-di-fondo/route-0276.html .
Aggiungo all’informazione questi siti
https://www.postauto.ch/it/idee-per-escursioni/biosfera-val-m%C3%BCstair
https://www.myswitzerland.com/it-ch/scoprire-la-svizzera/route/al-torrente-rom-sentiero-didattico/