Una montagna di pubblicità
di Bruno Telleschi
La pubblicità della montagna promette una montagna di occasioni per divertire il turista. Non bastano più le passeggiate o le escursioni (trekking), ma è possibile fare molto altro o tanto altro, anche la ferrata per il Castel del Bombasèl (Cermiskyline) «emozionante e spettacolare» sull’alpe del Cermìs in val di Fiemme, per esempio: «Alpe Cermìs in val di Fiemme. Passeggiate, trekking, ferrata e molto altro all’Alpe Cermìs», inutile e dannosa per l’educazione e la pratica dell’alpinismo come tante altre che sottraggono agli escursionisti il gusto e l’esperienza di una facile arrampicata. Del resto gli autori della ferrata sono gli stessi vandali che hanno sbancato la Forcella del Macaco per facilitare il passaggio dei gitanti verso i laghetti di Bombasèl, gli stessi che coltivano il mito delle ferrate difficili e acrobatiche, di cui basta l’esempio della nuova ferrata dell’Acquatona a Sappada in Friuli: «un’esperienza unica e adrenalinica» con obbligo di guida tuttavia per accompagnare i bambini al parco giochi, stravagante come tante altre che ingabbiano i monti. Una brillante impresa da paragonare ai ponti tibetani e alle teleferiche (ziplines) che si diffondono anche nell’Italia centromeridionale per provare l’ebbrezza del volo nel vuoto, per esempio a Pacentro «uno dei borghi più belli d’Italia» nel Parco nazionale della Majella: «un’esperienza che ricorderai per tutta la vita». Bello? Per ricordare un borgo deturpato da un cavo aereo come si può osservare in ogni periferia, dove l’intreccio delle linee elettriche impedisce la rassicurante vista del cielo.
Tra i divertimenti che trasformano la montagna in circo, luna park o disneyland e i turisti in cannibali (Carlo Crovella), merenderos (Thomas Colussa) o lanzichenecchi (Alain Elkann) ci sono il pesce nei rifugi, gli aperitivi in funivia e tanto altro. Tante «attrazioni turistiche inutili» che destano l’indignazione dei montanari e il richiamo all’essenziale, all’essenza della montagna da collocare piuttosto nella contemplazione della bellezza, dai fiori lungo il sentiero all’infinito dei panorami in cima alle montagne (Carlo Alberto Zanella). Nell’elenco dei divertimenti in montagna bisogna però aggiungere i cani e i ciclisti. I marziani con il cane in cima al monte Bianco o con la bicicletta sul monte Rosa non sono meno stravaganti dei turisti con le ciabatte (o sneakers) sui ghiacciai, sono alieni che invadono la Terra con gli usi e i costumi di un altro mondo: se il rifugio non è un albergo neppure è un canile, né un garage che costringe a sopportare i cani degli altri e contemplare le biciclette degli sportivi. La facile polemica contro i difetti dei turisti in infradito e selfie o gli eccessi degli sportivi in elicottero con paracadute e tuta alare trascura l’essenza del divertimento: chi va in montagna per mangiare pesce e bere aperitivi può allo stesso modo portare a spasso il cane o la bici. Del resto la stessa ambizione del vuoto che spinge qualche fanatico a lanciarsi dalle cime dolomitiche raggiunte in elicottero è condivisa dalle masse dei ciclisti lanciati in folle discesa dopo aver conquistato la salita in funivia. La funivia dei ciclisti infatti non è meno scandalosa dell’elicottero dei paracadutisti, ma impressiona meno la fantasia popolare incline a condannare la modernità e difendere la tradizione. Se la cima fosse stata raggiunta arrampicando il volo non sarebbe stato meno folle. Né sarebbe meno stravagante mangiare polenta e funghi anziché pesce e aperitivi o travestirsi da contadine tirolesi a Cortina. In ogni caso sarebbe un equivoco confondere la cultura con il folklore.
Ai cani e ai ciclisti l’ideologia dominante (mainstream) attribuisce virtù magiche e miracolose alla fantomatica rivoluzione verde che confonde l’artificio con la natura: né i cani né tantomeno le biciclette sono fenomeni naturali. L’invenzione dei cani risale al paleolitico con la manipolazione degli sciacalli e dei lupi e si diffonde fino ai nostri giorni con la dissennata moltiplicazione delle razze, anche pericolose. Del resto gli amici dei cani preferiscono salvaguardare l’incolumità degli animali senza preoccuparsi per la vita degli uomini. A parte una sparuta minoranza di ciclisti eroici e coraggiosi che si muovono per trasporto e sfidano gli automobilisti per difendere l’ambiente, gli altri si muovono per diporto e sfidano l’ambiente per diventare a loro volta automobilisti e motociclisti. Le orde barbariche in discesa fuori strada sono le avanguardie del nichilismo tecno-scientifico che vuole distruggere la civiltà degli uomini e imporre la dittatura delle macchine, sono gli zelanti zeloti che alla montagna come occasione per stabilire un rapporto diretto con la natura preferiscono il rapporto artificiale con la tecnica. Alla saturazione del mercato l’astuzia del capitalismo risponde con nuovi prodotti di consumo per soddisfare la voracità del sistema industriale. Se non sono più sufficienti le motociclette e le automobili per sostenere le vendite, il mercato ricorre ai veicoli elettrici e alle biciclette che inquinano allo stesso modo perché rafforzano l’alienazione da sé e dal mondo reale. Tra il pesce, gli aperitivi, i cani e i ciclisti, la polenta, eccetera c’è qualcosa in comune che riguarda l’essenza del divertimento.
Alle occupazioni futili l’indignazione popolare oppone spesso le manifestazioni culturali come se ascoltare musica in montagna, per esempio, fosse più dignitoso della polenta o del pesce. Sarebbe sufficiente soffrire in fila al sole e al caldo per entrare agli Uffizi o nei Musei Vaticani e aspettare il proprio turno sulle ferrate ingolfate dai principianti per comprendere che anche le attività apparentemente più nobili non hanno senso se non corrispondono a un interesse reale. Spesso il turista si mette in coda dovunque sia sollecitato dalle circostanze soltanto per registrare un punto nella sua collezione di feticci senza sapere nulla, né dove sia né dove vada. D’altra parte per vistare gli Uffizi o i Musei Vaticani bisogna andare a Firenze o a Roma. Per contemplare il Catinaccio bisogna arrivare almeno nella valle di Fassa. Ma se lo scopo del viaggio fosse la musica o il teatro non ci sarebbe alcun bisogno di andare in montagna poiché le città sono piene di teatri e di arene all’aperto. Come se fosse necessario andare in montagna per mangiare polenta o al mare per mangiare pesce o viceversa. Ma non è così. Come scrive Gabriele D’Annunzio, conviene rinunciare ai concerti e andare nel bosco per ascoltare la musica e il silenzio della natura: «Taci. Su le soglie / del bosco non odo / parole che dici / umane (La pioggia nel pineto 1-4)».
L’essenza del divertimento non sta nei contenuti ma nel modo, consiste nella mancanza di un rapporto diretto e autentico con i luoghi della vita e dei sentimenti. Consiste nel fare altrove quello che si può fare anche a casa senza la fatica del viaggio e la noia del soggiorno. Con la crescita del turismo di massa (overtourism) cresce la mancanza di interesse reale con le cose e si interrompe l’equilibrio tra la domanda e l’offerta con la conseguente moltiplicazione dell’offerta turistica e la proliferazione dei divertimenti dovunque e comunque, comprese le ferrate sportive e le discese in bicicletta (downhill). Con il predominio dello spettacolo e della tecnica la diffusione della bicicletta offre nuovi prodotti e nuovi spazi per superare la saturazione commerciale delle auto e delle moto, tanto che la società non produce ciò di cui gli uomini hanno bisogno ma al contrario gli uomini hanno bisogno di ciò che la tecnica produce. Conviene davvero consumare tutto ciò che la scienza e la tecnica consentono di fare senza interrogarsi sul senso della vita? Ai bisogni fittizi del consumismo moderno conviene opporre la resistenza della natura e della storia, conviene introdurre un principio di selezione fondato sull’uso specifico dell’ambiente e del paesaggio per distinguere il divertimento dal sentimento e ristabilire il primato della coscienza sull’alienazione: non fare altrove quello che puoi fare anche a casa!
Chi vuole vedere la torre di Pisa deve andare a Pisa, dunque chi va a Pisa per vedere la torre di Pisa è giustificato dalla ragione, purché non si perda negli ingorghi del traffico. «Perdersi nella grandezza dell’arte e ritrovare la meraviglia», recita il manifesto ufficiale del turismo toscano con l’immagine della torre pendente: è un miracolo se il turista ritrova la meraviglia della torre, se riesce a raggiungere la piazza dei Miracoli senza perdersi nel traffico. La suggestiva pubblicità della Toscana propone un «Rinascimento senza fine» da vivere in città in campagna al mare o in montagna occultando in buona fede la distesa degli stabilimenti balneari o la devastazione delle Alpi Apuane. «Perdersi ogni giorno tra sentieri, panorami e possibilità» con l’immagine di due viandanti sul crinale della montagna e il sole all’orizzonte sarebbe affascinante, senza perdersi però tra le strade e le ghiaie delle cave di marmo. La regione che invita al silenzio e alla contemplazione per «Spegnere i pensieri e connettersi con la natura», con l’immagine della campagna, e per «Scoprirsi padroni del tempo e dello spazio in un istante che sa di eternità», con l’immagine di due ciclisti di fronte al mare, ribadisce il fascino della natura: «In Toscana c’è tutto quello che posso desiderare. Anche il mio equilibrio» con l’immagine del viandante in collina che contempla il mare.
Sorprende nella pubblicità della montagna lo scarto impressionante tra la grandezza degli ideali che promettono paradisi perduti e la miseria della realtà quotidiana. La contraddizione è evidente nella pubblicità della Valle d’Aosta che suggerisce al turista di vivere in sintonia con la natura: «L’energia ritrovala qui», «Il tempo ritrovalo qui» con una coppia di escursionisti alle falde del Cervino, «Lo spazio ritrovalo qui» con il profondo panorama delle montagne; ma in realtà confonde lo spazio e il tempo della natura con l’energia da impegnare nei divertimenti. Oppure invita a scoprire «Il lato wild del Monte Bianco» con un soggiorno a La Thuile per vivere «la potenza della bellezza», sebbene il turista che arrivasse a La Thuile, solleticato dalla pubblicità, farebbe fatica a riconoscere il paradiso nella speculazione edilizia che ha devastato la bellezza naturale di quella conca alpina. Si tratta della stessa regione che prima costruisce nuove funivie per attraversare le Alpi senza fatica da Courmayeur a Chamonix o da Cervinia a Zermatt e poi organizza gare per le biciclette in discesa, per esempio la Maxiavalanche, «un appuntamento imperdibile per tutti gli appassionati della mountain bike», con la riduzione progressiva dei sentimenti in emozioni e adrenalina, la droga moderna degli sportivi. Il contagioso esempio del ciclismo sportivo inquina le montagne un po’ dovunque, anche in Trentino. A Madonna di Campiglio nella pubblicità della montagna le Dolomiti diventano una «terra di grande sport e divertimento», una «outdoor area» specializzata in «bike park» disseminati qua e là in tutta la provincia.
«E se fossi qui?» ci chiede e si chiede la pubblicità del Tirolo meridionale (Südtirol alias Alto Adige), per esempio in autunno con l’immagine di una bella e giovane coppia attorno ad una tavola imbandita di leccornie locali. Quale sarebbe l’identità della montagna? La domanda è giusta, giustamente allusiva sul senso del viaggio, però paurosamente in bilico tra i sogni di bellezza e la realtà dei consumi fittizi: ma la risposta non è pertinente. Infatti «che ci faccio qui?» potrebbe chiedere a se stesso il turista che fosse andato in Tirolo per mangiare prodotti tipici senza essere giustificato dal bisogno delle montagne. Non ha molto senso viaggiare per mangiare come se in ogni città non si potesse allestire una trattoria tipica, giapponese cinese… e dunque anche tirolese o abruzzese. Alla domanda del turista «che ci faccio qui?» la pubblicità propone di scoprire la val Passiria, il fascino dell’autunno fra le montagne della val Passiria con la foto del viadotto pedonale: il fascino «selvaggio e romantico» della Passerschlucht (la Gola del Passirio) «un vero spettacolo della natura!»: il fascino delle reti metalliche e delle griglie sospese con lo stesso orrore sulla via dell’Amore nelle Cinque Terre o sulla ciclabile del Garda.
Del resto l’illusione della natura ritorna spesso nella pubblicità con l’immancabile e triste pozzanghera di Carezza: basta salire sulla Roda di Vaèl con la divertente ferrata per ammirare il villaggio turistico e il centro commerciale graziosamente mimetizzati nella foresta. L’ambigua domanda sull’identità del Tirolo e del turista diventa ossessiva nella pubblicità del Friuli (Friuli e Venezia Giulia) che ripropone in modo analogo l’identificazione della montagna con la regione della natura e dei divertimenti. Il ritornello (claim) «Io sono Friuli Venezia Giulia» rimbalza di anno in anno e di giorno in giorno: «Io sono tutta la montagna che c’è», una montagna di bellezza e natura («io sono tutta bellezza che c’è»), ma anche una montagna di sport e divertimento («Io sono divertimento… io sono la buona tavola»). Come succede spesso in Italia ogni salmo finisce in gloria, nella gloria della buona tavola tra colli, vigneti e osterie. Arriva sempre «il momento di pedalare attraverso luoghi che sono il perfetto incontro di uomo e natura», come se l’incontro tra l’uomo e la natura capitasse pedalando tra le osterie. Se tu fossi qui per divertirti, perché non rimani a casa tua? Il turista che va in montagna per divertirsi vive un obbligo feticistico e consumistico senza la coscienza della differenza di un mondo differente.
Infine una considerazione sulla pubblicità del Veneto: «The land of Venice» che riduce l’identità della regione ad una città. Le immagini sono disparate, ma alla montagna è dedicata una foto di Cortina d’Ampezzo intravista dalla panchina di due turisti e due biciclette. Non è proprio una bella vista: se vado in montagna per vedere le montagne non voglio vedere le tue biciclette parcheggiate con le auto e le motociclette. Ne vedo già abbastanza in città.
19Scopri di più da GognaBlog
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.
Lo sboccio come funghi di gare di trail, così come di Mtb, downhill e derivati, denota una volontà senza precedenti di sfruttamento della montagna come risorsa economico-sportiva che ben poco ha a che vedere con la tutela e il rispetto dell’ambiente. Qualcuno obietterà forse che ci sono torme di volontari pronti a ‘riassettare’ i sentieri dopo ogni gara, ma il discorso è tutto un altro. Voglio ricordare ai saccenti di quando un campione come Jornet Burgada si fotografò nudo sul Monte Bianco: la fece passare per una ‘protesta libertaria’ contro alcune ordinanze del sindaco di Saint-Gervais ma in realtà agli occhi di molti il gesto apparve come una mera bravata irrispettosa della Storia dell’Alpinismo e soprattutto dei tanti che lungo le vie al Bianco hanno trovato la morte. Sempre in relazione al tema ‘spirito della montagna e dei montanari’ quattro anni fa ho assistito personalmente a una scena che mi ha lasciato allibito: una nota ultra trailer in corsa di allenamento giunse alla fontana all’esterno di un rifugio: con occhi spiritati si fece largo tra alcuni ragazzini in coda per bere, bevve velocemente e ancor più velocemente ripartì, dando inavvertitamente un calcione, rompendolo, a un vaso di fiori che i custodi del rifugio avevano collocato vicino alla fontana. Non si fermò nemmeno per un secondo a constatare il danno, semplicemente continuò la sua corsa di allenamento come se niente fosse. Ecco questo intendevo dire quando ho scritto “nulla a che vedere con lo spirito della montagna e dei montanari”.
Caro Luciano hai ragione, mi sono espresso male. La corsa in montagna e il trail effettivamente esistono da tanti anni e persino il Tor des Geants non è una novità: risale agli anni 40 e lo idearono gli Alpini, pensa un pò (ne scrissi io stesso sette o otto anni fa…). Recente è invece lo sviluppo maniacale che il trail ha avuto: in Valle d’Aosta praticamente non esiste più una montagna degna di questo nome cui non si dedicata una gara. Si corre ovunque e la sfida è sempre più estrema, per quota e condizioni climatiche. Lo spirito della montagna e dei montanari puoi conoscerlo solo se vivi in montagna. Ma certo non ha nulla a che vedere con il trail. E se la pensi diversamente, è un problema tuo. Saluti.
@15 Ih, ih. Si vede che inizio a fare scuola…
Gli antichi dicevano: gutta cavat lapidem, la goccia scava la pietra (ieri e poi oggi e poi domani e poi dopodomani…). Chissà, giorno dopo giorno, si passerà dagli attuali sfottò alla futura condivisione delle idee. Me lo auguro per le montagne.
In sintesi: La gente e’ brutta, va rinchiusa nei centri commerciali
Ennesimo pippone sul come (non) andare in montagna, di scuola crovelliana, saccente e filosofeggiante, interminabile
Lettura da casa di riposo (occhio che la pazienza delle mogli ha un limite)
Direi che mi sta bene l’articolo nel suo insieme, ho solo una domanda ed un consiglio: chi sarebbero i titolati ad aver unico ed incondizionato accesso al monte???
Le consiglio l’adozione di un cane
Il link corretto è questo:
https://www.studionord.news/compie-60-anni-la-classicissima-staffetta-tre-rifugi-di-collina/
11. Patrizio, quale sarebbe “lo spirito della montagna e dei montanari”? Sono davvero curioso.
Quanto alla corsa in montagna nata pochi anni fa, almeno fatti un giro in rete, così eviti figure barbine:
https://www.studionord.news/category/sport/
Buonasera Crovella, leggo ora il suo secondo commento e messa così mi trova d’accordo pienamente. Quanto alla ‘sciocchezza’, la mia era una provocazione: qualche gara l’ho fatta anche io (senza pretesa alcuna di piazzamento) e generalmente i sentieri restano dopo la gara tali e quali a com’erano prima…tranne alcune eccezioni. E quanto a rompimento di coglioni, caro Regattin, dover ritracciare un sentiero dopo il passaggio dell’UTMB non è tanto divertente…E comunque la corsa in montagna è nata pochi anni fa e non ha nulla a che vedere con lo spirito della montagna e dei montanari.
Secondo me l’unico neo di chi corre in montana è rappresentato dai ricordìni seminati, come per esempio i pacchettini di gel (di dubbia efficacia ma frutto di svariati effetti collaterali). Ma non sono solo i runner a lasciarli, e non solo in montagna.
Scusate, l’ennesima sciocchezza alla quale mi riferivo è nel commento 5, non nel testo ovviamente.
Condivido pienamente il testo, aggiungo però che esiste ancora una montagna diversa, aliena a questi schemi ormai ben collaudati. Si difende ancora bene perché richiede fatica, esperienza, capacità (e desiderio) di sapersi arrangiare nelle piccole emergenze. Di luoghi così ce ne sono ancora molti nelle Alpi e non credo che in futuro assisteremo al loro arrembaggio da parte dei vari attori citati nel testo, troppe complicazioni per diventare davvero attrattiva per i potenziali investitori.
Non posso infine esimermi, dopo aver letto questa ennesima “sciocchezza” (autocensura): “non fanno gare di corsa in montagna devastando i sentieri” dal commentare che avete proprio rotto i coglioni con questa storia.
Il problema NON sono i cani in quanto tali, ma la moda consumistica di portarsi dietro i cani, cioè il trasportare in quota un modello cittadino. Infatti per molti umani, il cane è purtroppo solo più uno status symbol da “esibire”, come il rolex al polso o il SUV rombante. Questo trend, negativo anche in città, lo diventa maggiormente quando i cani vengono condotti in montagna.
Il problema non sono i cani in quanto tali, ma i loro padroni, o meglio ALCUNI padroni (purtroppo però in numero crescente negli ultimi anni), che non pongono minimamente attenzione al comportamento dei loro cani. Tocca ai padroni saperli governare. Ma, se si ha la mentalità che il cane è uno status symbol da esibire, non lo tieni nascosto dietro le tue gambe, che non dia fastidio a nessuno, bensì lo “spari” addosso a tutto e a tutti, sennò che gusto c’è? Sarebbe come comperarsi un rolex tempestato di diamanti e poi conservarlo chiuso in tasca, che nessuno la veda… E questa mentalità che è negativa e nociva.
Quindi in montagna non sono tutti i cani e/o tutti i padroni che creano problemi, ma solo alcuni cani e alcuni padroni. Solo che queste due categorie stanno crescendo di numero alla velocità della luce… e il problema sta prendendo una dimensione consistente.
Concludo: lungi dal rappresentare un sentimento di tutela della montagna, la critica tout court sulla presenza di cani in montagna mi suona elitaria, snob non meno di chi ritiene che la MTB abbia lo stesso diritto di uno scarpone di tracciare i sentieri.
Il cane sul Monte Bianco mi ha fatto inorridire. E condivido quasi tutto l’articolo di Telleschi. Non condivido invece affatto la generica peana, rafforzata dal commento di Crovella, contro i cani in montagna. I cani non hanno ruote, non fanno gare di corsa in montagna devastando i sentieri, sentieri dai quali non ne ho mai visto uno che sia uno lanciarsi a capofitto distruggendo fauna e flora alpina. Ne incontro invece tanti assai tranquilli e niente affatto mordaci e quelli che non sono tranquilli e anzi sono mordaci, hanno sempre accompagnatori umani autenticamente coglioni. Risalire al paleolitico per qualificare come invenzione la presenza del cane sulla Terra, quand’anche avesse piena ragione, mi lascia intendere che, semplicemente, Telleschi non ama i cani o ne ha paura. Un peccato questa caccia alle streghe così fuori luogo, perché il resto del pezzo non fa una piega.
Condivido, in particolare il paragrafetto sui cani. I cani dei gitanti in montagna sono diventati un altro tassello del problema. Come le MTB alla Capanna Margherita. Dobbiamo tutti crescere in consapevolezza e capire come saperci limitare. In quantità e qualità. Sennò, addio montagne. Non che spariscano completamente, le montagne (al netto di crolli e frane…): semplicemente diventeranno invivibili e impercorribili per i sapiens.
Ci mancava solo questo post, per farmi salire la carogna, più che mai, peggio che mai…
Ormai sono arrivato alle scritte offensive contro merenderos, quadisti, trialisti, ciclisti, panchinisti e tutta ‘sta feccia da fondovalle, buona solo per cagare in mezzo al sentiero, lasciando una cartiera intera, poi il plastichino del kleenex, poi il pacchetto delle sigarette… Manca solo la siringa.
E se li richiami, ti alzan pure la voce.. Finisce male, ve lo dico. Prima o poi, qualcuno si farà male.
L’ho già detto più volte: tutto ciò esiste e prolifera perché si contrappone al modo in cui si vive la vita di tutti i giorni, cioè ORRIBILE.
Vivendo male, ogni più piccola evasione dall’ordinario diventa un sogno.
Et voilà, ecco che l’operatore turistico (alcuni fanno master in rinomate università 😂) prepara un’offerta adatta a soddisfare la domanda.
Il problema del diffondersi della cocaina non sono gli spacciatori ma chi ne fa uso.
Educazione dei bambini nelle grandi città.
È lì che si nasconde una parte del problema.
Bisogna contribuire a creare una cultura adeguata. E il CAI, WWF e grossi enti, sempre monopolisti di ogni iniziativa, falliscono clamorosamente, facendo solo battage.
Sono incazzato.