Voglio andare a vivere in montagna

Voglio andare a vivere in montagna
di Antonio Massariolo e Francesca Boccaletto
(pubblicato su ilbolive.unipd.it)

L’Italia delle terre alte. Il nostro Paese è un territorio montano per il 43,4% dei suoi comuni. Sono 661 i comuni tra gli 800 e i 1500 metri sul livello del mare, 2.202 tra i 400 e gli 800 metri d’altitudine, 3.471 sono considerati totalmente montani. Significa che in montagna vivono quasi nove milioni di persone. Dati che ci fanno capire come, forse, di montagna sarebbe corretto occuparsene di più e non solamente da un punto di vista turistico. 

Ci sono regioni che hanno il 100% del loro territorio considerato montano e, come si legge nel rapporto Montagne Italia 2025 dell’UNCEM, cioè l’Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani, “la condizione insediativa e socioeconomica delle montagne italiane presenta un quadro di assoluta evidenza che ne qualifica immediatamente, nella percezione diffusa, i tratti essenziali associandoli a una immagine di rilevante penalizzazione per la permanenza di residenze e di attività produttive. Questa evidenza sociale non riesce tuttavia a proporsi con altrettanta immediatezza come evidenza statistica e a identificare quindi una partizione territoriale del territorio nazionale che risulti indubitabilmente segnato dai tratti della montanità.”

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Su Il Bo Live una conversazione con Mauro Varotto, docente di Geografia all’Università di Padova e referente del corso di aggiornamento professionaleRIMONT, pensato per favorire nuove residenzialità in montagna, fornendo strumenti utili per il reinsediamento e l’attivazione di nuove economie in aree montane marginali. Con il percorso NEWMONT, dedicato alle nuove forme di comunicazione scientifica, giornalistica e istituzionale sulle montagne oltre gli stereotipi, si inserisce nel progetto Orizzonte Montagna. L’obiettivo è quello di offrire un’opportunità di riflessione sia per chi vive in montagna, sia per chi vuole andare a viverci, nel tentativo di mettere insieme queste due dimensioni – spiega Varotto a Il Bo Live – La vera sfida sta nella mediazione, ovvero nella creazione di un collegamento tra le comunità di montagna, che spesso subiscono questi processi dall’esterno, e i nuovi abitanti o potenziali tali, che stanno cercando casa e vogliono informarsi“. 

E Varotto continua: “Oggi è necessario governare il cambiamento in atto. Sono sempre di più le persone interessate: è importante inserirle in una dinamica di collaborazione e cooperazione. Con questo percorso, noi consideriamo l’area triveneta: la Val Posina, nelle Prealpi vicentine, la Val di Zoldo, sopra Belluno, nel Cadore, e Tolmezzo, interessante come intersezione tra dinamiche di risalita e progetto di comunità […] Le montagne interessate da questi fenomeni di ripopolamento non sono né quelle troppo turistiche né quelle troppo marginali: sono quelle che riescono a garantire servizi minimi essenziali. Qui non consideriamo le scelte di tipo eremitico, più sporadiche, a interessarci è la fascia intermedia, abbastanza prossima alla pianura, alle città”. E sulle motivazioni aggiunge: “Ci sono persone che scelgono di andare a vivere in montagna per realizzare un progetto di vita, facendo perno sulle risorse di una montagna tradizionale, un esempio potrebbero essere i nuovi giovani pastori, ed esistono persone che si spostano, muovendosi tra montagna e città, come faccio io del resto, con la residenza nel comune montano di Posina e il lavoro a Padova. Ovviamente le difficoltà ci sono ma vanno soppesate con le opportunità. Lo stile di vita non è lo stesso del centro di una città, non si hanno le stesse opportunità ma, in cambio, si riceve qualcos’altro“. 

Dunque, non una montagna semplicemente turistica, intesa come luogo di villeggiatura, ma un luogo da chiamare casa nel quale fondare e far crescere concretamente un progetto di vita. “Oggi le soluzioni più interessanti sono quelle in cui a un impegno per la montagna si affiancano attività professionali non associabili all’immaginario della montagna: con e dopo la pandemia, per esempio, la possibilità di lavorare da remoto ha spinto anche in questa direzione“.

Per comprendere il tema del reinsediamento nelle terre alte si deve necessariamente tornare indietro nel tempo e considerare il fenomeno dell’abbandono dei comuni montani, che ha origini lontane. “L’abbandono della montagna inizia tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento. In parte è dovuto a un incremento demografico, con condizioni igienico-sanitarie migliorate, una maggiore natalità e una minore mortalità: vi è un aumento del carico demografico ma non vi sono abbastanza risorse per sostenerlo – spiega Varotto – Se da una parte esiste un sovrappopolamento, dall’altra vi è una economia che inizia ad assumere connotazioni di tipo industriale e attira la popolazione nei centri di pianura. La ricerca condotta negli anni Trenta del secolo scorso dall’Istituto nazionale di economia agraria offre una mappatura dell’abbandono: un fenomeno che si mostra intenso, già negli anni Trenta, nella parte occidentale dell’arco alpino italiano e resta dapprima potenziale nella parte orientale, dove invece inizierà tra gli anni Cinquanta e i Sessanta, nel secondo dopoguerra, quando la pianura diventa più attrattiva, luogo di sviluppo che richiama popolazione. Oggi questo fenomeno dell’abbandono è ancora in parte presente, o meglio, da un lato vi sono comuni che continuano a perdere abitanti, principalmente a causa dell’invecchiamento della popolazione, ma vi sono anche fenomeni di ritorno, che andrebbero favoriti e incentivati. C’è bisogno di manutenzione e gestione della montagna, anche per il turismo, e vi è l’opportunità garantita da nuovi mezzi di comunicazione, la tecnologia, lo smart working che possono consentire di vivere in montagna, che non è la stessa da cui si è scappati“. 

A questi aspetti, che rendono più attraente la montagna, se ne aggiungono altri, fondamentali, sui quali oggi si fonda qualsiasi progetto di reinsediamento: la dimensione di micro-comunità, il contatto con la natura, il fattore climatico. Nel libro Migrazioni verticali (Donzelli), a cura di Andrea Membretti, Filippo Barbera e Gianni Tartari, ci si chiede se la montagna ci salverà. “L’indagine dei sociologi, che ruotano attorno all’università di Torino, parlano proprio della propensione a cercare una casa o stabilirsi in montagna nel prossimo futuro per sfuggire ai cambiamenti climatici, al calore estremo“.

I dati sono online, disponibili su MICLIMI (Migrazioni Climatiche e Mobilità Interna della metromontagna padana).

Su un’idea di montagna da ripensare come luogo dinamico, sulla differenza tra abitare in montagna e abitare la montagna, sulle montagne di mezzo – “che sono qualcosa di più di un concetto altimetrico, qualcosa di più di uno spazio marginale, sono il luogo di una nuova medietas tra funzioni diverse, un nuovo progetto di vita per le contrade a venire” – e su esigenze e nuove visioni legate anche a considerazioni sul futuro del pianeta, si basa una riflessione scritta da Varotto per il sesto numero di Mappe del Touring club italiano, dedicato a La vita in alto, a cui affidiamo le conclusioni. “Abitare la montagna non significa semplicemente avere un domicilio in quota, possedere o frequentare con una certa assiduità un’abitazione – scrive – L’azione dell’abitare si dilata e investe un perimetro più ampio, implica un investimento sulla montagna, presuppone un sentirsi parte dei luoghi, considerarli casa in termini larghi ed elettivi, farsi carico del loro destino, creare con essi un fascio di relazioni ambientali e sociali: la dimensione quantitativa o burocratico-amministrativa dell’insediamento cede così il passo a una dimensione qualitativa, più ricca ma anche molto più complessa da definire. Capire questa differenza è fondamentale alla vigilia di movimenti migratori verticali che sempre di più in futuro potrebbero interessare la montagna come via di fuga da città e pianure roventi a causa del global warming”.


Riabitare la montagna: formazione, mediazione, facilitazione al reinsediamento nelle terre alte
Inserito in Orizzonte Montagna, progetto dell’Università di Padova coordinato di formazione e cultura per la montagna, il corso RIMONT (le iscrizioni sono in chiusura, il corso inizierà a settembre) si ispira a esperienze già realizzate in altre aree dell’arco alpino italiano per accompagnare la domanda di nuove residenzialità in aree montane, allo scopo di fornire strumenti per favorire il reinsediamento e l’attivazione di nuove economie in aree montane marginali.

Partendo da esperienze concrete della montagna veneta e friulana (Val di Zoldo, Val Posina, Carnia) verranno affrontate questioni di governance e gestione dei processi di ripopolamento, valorizzazione del patrimonio insediativo (disponibilità di alloggi, accesso a incentivi per ristrutturazioni), inserimento all’interno del tessuto economico e sociale dei territori (rapporti tra vecchi e nuovi abitanti, forme di cooperazione, accesso ai servizi). Il corso si offre come opportunità per una nuova alfabetizzazione alla montagna per aspiranti montanari, fornendo competenze trasversali di carattere ambientale, economico e sociale utili a favorire l’inserimento e l’integrazione nel tessuto economico, sociale e ambientale delle montagne del Triveneto.

Voglio andare a vivere in montagna ultima modifica: 2025-09-14T05:46:00+02:00 da GognaBlog

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20 pensieri su “Voglio andare a vivere in montagna”

  1. Mi trasferirò in montagna in un borgo della val germanasca lasciando Genova, a detta di tutti sono pazza ma è il sogno della mia vita e lo realizzerò ,per questo sono felice. Ho ristrutturato una casa in pietra e comprato una stufa a legna ora sono pronta a vivere nel luogo da me scelto

  2. Vivere in montagna e molto complesso. Isolamento, alti costi, pochi servizi. Occorrono realtà e sistemi molto strutturati. Se in questo corso c è posto per una testimonianza, vengo volentieri a portarla. Grazie mille 

  3. Due sono i fattori: un lavoro stabile e la cerchia familiare.In montagna si trovano in prevalenza lavori stagionali e il reddito annuo potrebbe non essere sufficiente. In secondo luogo si deve Iabbandonare tutta la cerchia familiare, amici, relazioni, vita sociale. La montagna è  isolamento e implica dover scendere ” a valle” per qualsiasi necessità ( medico, uffici, scuole….). Però  chi riesce, e può  superare queste difficoltà,  allora sì  che la montagna potrà  dare molti vantaggi. Aria pulita, pace,natura,silenzio, niente delinquenza….ecc, ecc. (E non continuo la lista perché  la bellezze della montagna si conoscono già)

  4. Mi sembra che ci sia un’idea un po’ distorta di vivere in montagna. 
    In Italia ci sono realtà molto differenti tra loro difficili da paragonare.
    Azzerando anche solo ipoteticamente queste differenze, direi che la vera differenza sta tra chi vive in squallide periferie desolate tipiche della pianura padana, e tutti gli altri. Personalmente le grandi città hanno sicuramente molto da offrire e uno stile di vita se volete anche affascinante e romantico, così come la vita un po’ isolata immerso nella natura sui monti( io appartengo a questa categoria).
    La vita in villetta a schiera  tra capannoni campi di mais e fabbrichette sinceramente non la capisco……

  5. Vivere in montagna… vivere in montagna. Ma vai da Conad! Avete presente la pubblicità? Ecco, rappresenta bene il concetto di vita in città (vivere come polli in batteria, a mio avviso). L’unica cosa che veramente ti “regala” la montagna è l’idea di una possibile libertà. Quella vera! Tutto il resto è opinabile, in un senso o nell’altro.

  6. Certo che in molti avete un’idea della vita in montagna veramente distorta. Fosse come molti pensano si morirebbe tutti di malattia, i giovani sarebbero tutti disoccupati o depressi aspiranti suicidi e via discorrendo. 
    Sono 41 anni che vivo in montagna (a 1600m) e proprio quel mondo chiuso con le sue piccinerie, lo adoro.

  7. Non è  una decisione facile xche implica problemi pratici, spesso rilevanti. Per pensionati va bene se stanno bene di salute, ma la vedo molto difficile per i giovani che hanno bisogno di lavorare e crearsi una vita etc… dopotutto : mare, montagna, pianura, città,isola …. se non hai un reddito diventa dura. A meno che si sia abbastanza bravi da vivere in modo antartico…. ma non è facile.  Salutoni a tutti.  Roberto 

  8. Non è  una decisione facile xche implica problemi pratici, spesso rilevanti. Per pensionati va bene se stanno bene di salute, ma la vedo molto difficile per i giovani che hanno bisogno di lavorare e crearsi una vita etc… dopotutto : mare, montagna, pianura, città,isola …. se non hai un reddito diventa dura. A meno che si sia abbastanza bravi da vivere in modo antartico…. ma non è facile.  Salutoni a tutti.  Roberto 

  9. Cosa vuoi vivere in montagna in questo paese di merda (Italia) dove non ci sono dottori, ospedali, viabilità, scuole, cura del paesaggio???!!!
    Però per la Nato, le armi e i nazisti ucraini 100 miliardi l’anno li facciamo uscire!!!! BASTARDI!!!

  10. Io abito a Roma e da trent’anni sogno di vivere e lavorare in montagna. Adesso che sono andata in pensione il sogno c’è ancora, ma rimane un sogno. Qui ho interessi, figli, nipoti e amicizie. Avrei.bisogno di tornare a Roma periodicamente, ma non ho abbastanza soldi per mantenere due case.

  11. Io abito a Roma e da trent’anni sogno di vivere e lavorare in montagna. Adesso che sono andata in pensione il sogno c’è ancora, ma rimane un sogno. Qui ho interessi, figli, nipoti e amicizie. Avrei.bisogno di tornare a Roma periodicamente, ma non ho abbastanza soldi per mantenere due case.

  12. Bella, bellissima l’idea di “vivere in montagna”, fuori dal caos e immersi invece nella natura. In realtà, spesso è una chimera di non facile concretizzazione. Dipende dallo stile di vita che si segue e da altre caratteristiche della propria vita, esempio se si ha o meno famiglia, soprattutto con figli ecc. Io amo moltissimo la Montagna (cioè il concetto ideale e riassuntivo di tutte le montagne, che comprendo in tale concetto), spero di frequentarla il più a lungo possibile (con le autolimitazioni, già descritte, per scelta etica di alleggerire il peso antropico di tipo “turistico” sulle montane), ma non credo che sarei felice a vivere stabilmente in montagna: difatti non mi ci sono mai traferito stabilmente. Vi sono miei interessi,  che riguardano strettamente il mio modo di vivere, che sono marcatamente cittadini e non credo che ci rinuncerei. Ovviamente faccio riferimento alla mia città di residenza (Torino) che è molto particolare rispetto al concetto medio di “metropoli”. Magari se l’alternativa per me fosse “vivere a Milano (o a Roma) oppure in montagna”, forse non avrei dubbi a scegliere la montagna. Ma così, preferisco lo stile cittadino, tenendo Riporto queste considerazioni per sottolineare che il concetto di positività del vivere in montagna è molto soggettivo e si può benissimo amare la montagna, senza con questo scegliere di viverci stabilmente. essendo una scelta molto personale, ogni considerazione in merito va modulata in funzione della persona che prende tale scelta.

  13. Tutto vero quello che dice Luca nella sua scelta di vita , i paeselli sono (anche) quello e finito il corso(Marcello) ,ammesso finisca, tutti gli anni la montagna ti presenta l’esamino per l inverno ,la vita più cara con annesso chi vuole standard di guadagno cittadini avendone quasi monopolio e meno numeri,neve e ghiaccio anche se nevica  meno mettono sempre in guardia la guida, svernare costa in abbigliamento e riscaldamento e anche se cerchi un autonomia con legno locale tocchi il tasto proibito del montanaro …(voce  Fantozziana )…” LA PROPRIETÀ BOSCHIVA PRIVATA! “che pur in sfacelo e tenuta da giungla ma nelle memorie collettive ataviche è ancora nei modi della Serenissima Veneziana gestione …insomma superati questi piccoli scogli navigare nei monti è davvero intrigante e ci si può crescere bene quasi tutto.
    Un benvenuto particolare a chi mette radici e non da ossigeno al fenomeno seconde case che sono un finto RI-vivere dei borghi.

  14. @2: Anch’io, quando arrivai in montagna, 12 anni fa, feci capo – per ovvi motivi – ai residenti (uno) in borgata. Col tempo mi sono accorto che quello che mi potevano insegnare non era molto: mangiavano un solo tipo di fungo, ad esempio, anche se ce ne sono di buoni che loro non consideravano del tutto. E anche un mondo oscuro di piccinerie mentali, gelosie, invidie, repressioni comportamentali, intrighi. Ho provato a portare il mio contributo umano, per aprire un orizzonte differente, non so dire con quale risultato, ma sicuramente non determinante. Continuo a provarci ogni volta che penso ci sia occasione. In ogni caso non andrei da nessun’altra parte, a vivere. La montagna mi ha dato e mi da tantissimo, ma non è affatto semplice abitarci.

  15. Ehi Telleschi,   2786?  E io dovrei rimanere in pianura perché tra sette secoli ci sarà il mare?  Nel frattempo vado in montagna. 

  16. Un corso per imparare a vivere in montagna l’ho fatto anch’io tanti anni fa.
    I docenti erano le persone che già ci vivevano e la natura. Tutto gratis.

  17. Il Varotto che propone il ripopolamento della montagna è lo stesso Mauro Varotto che ha scritto con Telmo Pievani un romanzo fantascientifico sul futuro tropicale dell’Italia (Viaggio nell’Italia dell’Antropocene. La geografia visionaria del nostro futuro, Aboca 2021). Chi pensa di sfuggire al riscaldamento globale salendo in montagna si illude: nel 2786 in montagna ci sarà il mare e ci farà un gran caldo!

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